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Il ritorno di Muriel Barbery, gli elfi son gentili ma non hanno l’eleganza del riccio

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Academic year: 2021

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<no1>inizio: GBRBOS<no> Muriel Barbery, La vita degli elfi

Ripresentarsi al pubblico dopo un successo straordinario e inatteso come quello dell’Eleganza del riccio avrebbe fatto tremare i polsi a chiunque. Muriel Barbery ha lasciato passare nove anni prima della nuova sortita. La vita degli elfi è il risultato della lunga attesa.

Sin dal titolo, è un romanzo spiazzante. Non in sé: la letteratura sul piccolo popolo è vasta, gli amanti del genere a loro volta lo sono (un piccolo popolo). No, a spiazzare è il fatto che, dopo un Riccio a impianto filosofico centrato su problematiche antropo-sociologiche ritenuto così attuale da suscitare l’entusiasmo che tutti ricordiamo, l’autrice abbia scelto di rovesciare la sua scrittura in maniera tanto radicale. L’unica via possibile per non deludere i suoi sei milioni di lettori sparsi in tutto il mondo? Certo è che tra le riflessioni della portinaia pensatrice in duetto con la ragazzina superdotata di buona famiglia e questa vicenda ambientata in vaghi tempi lontani tra animali parlanti e temibili “consigli elfici ristretti”, la distanza è davvero grande.

Nonostante le varie centinaia di pagine, la trama è presto raccontata. Il romanzo racconta di due bambine – una spagnola (Maria), l’altra italiana (Clara) – arrivate tra i comuni mortali con modalità da fiaba, la prima in una sperduta campagna borgognona, la seconda sulle aspre montagne abruzzesi, con lo scopo comune di stupire il mondo combattendo a suon di graziosi prodigi il trionfo dei poteri malefici. Maria parla con i cinghiali e le lepri, Clara suona angelicamente il piano senza averlo mai studiato. Distanti all’inizio, le due bimbe entrano in contatto a un terzo del libro. Ed è lì che la trama comincia a muoversi. Prima pascola poeticamente per paesaggi incantati, nell’alternanza di capitoli tra la campagna francese in cui miracoleggia Maria e la montagna aquilana che Clara rende struggentemente musicale.

“È una fiaba ma anche la verità”, spiega la voce narrante a un certo punto, aggiungendo poi subito l’inquietante quesito: “Chi può distinguerle?”… Intervistata circa un anno fa, al momento del lancio del libro da parte dell’editore francese, Muriel Barbery negò la dimensione fiabesca. O meglio disse che un romanzo non può essere una fiaba (ineccepibile, da un punto di vista teorico). Disse che sì, La vita degli elfi prende a prestito alcuni elementi dall’universo del meraviglioso, ma soprattutto è legato a una certa “letteratura della terra”. E che non si tratta neppure di una parabola. Del resto, disse, gli elfi del romanzo non si sa se sono reali o sognati. A innescare il romanzo, affermò, è stata una frase del Libro del tè di Kakuzô Okakura in cui, nel 1906, egli parla con nostalgia della Cina antica che ha offerto all’arte nipponica i suoi più begli artefatti, rimpiangendo però che il mondo cinese si sia poi fatto moderno, ovvero “vecchio e disincantato”. Ritrovare un incanto, poetico e naturale insieme, è allora diventato lo scopo faro (quello apparente: superare l’odio per la madre e l’età cerniera dei dodici anni, forse, quello latente).

Tornando alla trama: quando le due bambine s’incontrano, il che avviene a Roma presso il Maestro, l’intreccio si annoda. Comandate da un elfo perverso, le forze del male vorrebbero distruggere il mondo degli umani. Ma a combatterle ci saranno Maria e Clara, formate dal mondo elfico (la parte buona di esso) in modo da instaurare nello scontro culminante la magica alleanza tra gli elfi (quelli positivi) e gli uomini (quelli capaci). Per riuscire però è imperativo che Clara e Maria sommino i loro superpoteri.

Drasticamente illeggibile per Les Inrockuptibles, scritto con enfasi manierista tale da suscitare o deliquio ammirativo o repulsione totale per Le Figaro, e saggiamente affidato al giudizio dei lettori da Le Monde, La vita degli elfi avrà comunque un seguito (lo scoglio del prossimo ritorno? Aggirato con un espediente pratico, la saga).

Gabriella Bosco

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