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Infermieri e Famiglia

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Academic year: 2021

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INFERMIERI E FAMIGLIA: UNA COMUNICAZIONE CONTINUA

Lunghi A, Bellieni CV

Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione, AOU Senese Con l’avvento delle nuove tecniche procreative sono aumentate le possibilità di scelta per i genitori, ma parallelamente si è creato il mito, l'aspettativa e la pretesa del "figlio perfetto": ad ogni costo si vuole un figlio, e si vuole essere certi che non abbia tare, spesso noncuranti dei rischi che con queste tecniche si fanno correre proprio a lui, al figlio stesso. Amniocentesi, fecondazione in vitro, villocentesi, e anche lo stesso aumento dell’età del primo concepimento sono fattori di rischio per il concepito, che viene spesso trattato come un semplice prodotto. Su questo prodotto si concentrano speranze e paure in modo estremo, trasformando la gravidanza in un periodo colmo d’ansia.

1 - Il figlio è spesso un investimento. Lo si può definire anche in altro modo: "Prodotto (del concepimento)", "scelta" dei genitori. "diritto (della coppia)".

Ma può avvenire un intoppo. La costruzione ideale che si era creata durante la gravidanza non sempre corrisponde all'attesa. Eppure durante la gravidanza era stato garantito che…; eppure erano state fatte amniocentesi, otto ecografie, tamponi vaginali, triplo test… Il prodotto è imperfetto.

Ecco, la gravidanza è stata vissuta continuamente esorcizzando la paura, tanto che la domanda che più di frequente viene posta appena il bambino nasce è: "E' perfetto?", "Ha tutto?", "E' normale?". E ora si vede che l'esorcismo medico-diagnostico non è servito.

Dunque la ferita si fa sentire. Dunque siamo vulnerabili. Dunque la medicina non è onnipotente e la sorpresa amara è più la ferita del proprio narcisismo che il dolore per la sofferenza altrui.

Il primo impatto è dunque con l'ansia di una lunga paura; che può sfociare in angoscia e in sofferenza. Cos'è la sofferenza? E' la mancata soddisfazione di un desiderio cui avevamo legato la nostra contentezza. In questo caso la sofferenza si fa sentire, col suo retroscena di attesa.

Dunque la responsabilità del personale curante è grande. Ma qual è questa responsabilità? Direi che è a due livelli.

2 - Il primo livello viene ancor prima di incontrare la famiglia. E' lo sguardo con cui il medico/infermiere/terapista guarda il bambino malato. Non tutti guardano il bambino nello stesso modo. E anche la stessa persona lo guarderà in modo differente a seconda del proprio umore. Ma la prima certezza è che lo sguardo con cui i genitori guarderanno il bambino passa attraverso lo sguardo del curante su di esso. "In ogni nascita c'è uno iato tra il bébé immaginato durante la gravidanza e il bébé reale presente alla nascita.

Questo iato si colma nelle prime ore grazie allo sguardo degli altri sul bambino, alle felicitazioni che vengono a colmare il narcisismo dei genitori." Talora però il bambino è diverso da quello che ci si aspetta. Allora " come riflesso del personale curante e appoggiandosi sulla fiducia che questi hanno a proposito della vitalità di questi piccoli esseri, i genitori possono guardarli e rivolgersi loro considerandoli come dei bambini a tutti gli effetti. Bisogna sottolineare l'effetto di transizionalità delle parole di chi si rivolge al bambino. questo permetterà ai genitori, quando potranno rivolgersi a lui, di prendere una certa distanza in rapporto all'emozione che suscita la sua vista, di rivolgersi a lui e considerarlo come una persona" (Druon). Ma se questo sguardo varia con l'umore, cosa resta da fare? Non è legato ad una variabile aleatoria? In parte sì. Ma quello che in fondo resterà di questo sguardo, quello che i genitori capteranno è se il curante guarda il bambino come una sua proprietà (cosa che può esprimersi in indifferenza o in onnipotenza) o come qualcuno che non è suo, qualcuno che ha una dignità in sé. Insomma, se il medico conserva ancora lo stupore, la domanda "chi sei tu?", "Chi sei tu, tu che non sei mio?". Questo vuol dire apprendere a guardare il bambino con ri-spetto. Cosa vuol dire "ri-spetto"? Vuol dire guardare una cosa, ma con la coda dell'occhio vedere anche un'altra che è garante della prima: in pratica non scordarsi della certezza che su chiunque, anche nelle peggiori condizioni, riposa un disegno buono: la vita accompagnata verso il suo compimento dalla compagnia di chi ci è stato messo accanto. "Le madri descrivono spesso questo momento esatto in cui sono state aiutate a prendere contatto fisicamente col loro bambino come il vero inizio della loro accettazione… Il loro bambino è davvero umano perché loro

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hanno potuto occuparsene come qualunque altro neonato. Diventano davvero madri soprattutto quando hanno potuto affrontare lo sguardo del bambino" (Shlenker) . Il valore della persona non equivale alla sua condizione. "Se il medico è incapace di elaborare da sé delle rappresentazioni positive di questo bambino, il rischio è di identificarsi con i genitori, di prendere posizioni estreme che vanno dalla presa di distanze scientifica alla fusione acritica, dal rigetto alla iperprotettività" (Roy).

3 - Il secondo livello è l'incontro con i genitori. Se il nostro sguardo sul bambino media il loro sguardo, è pur vero che la loro condizione non lascia indifferenti. Questo non vuol dire un generico sentimentalismo. In realtà significa dar loro la certezza che siamo dalla loro parte. E dalla parte del bambino. Amici e parenti li compiangeranno, li eviteranno ipocritamente per non metterli (mettersi) in imbarazzo; oppure li riempiranno della loro curiosità, non rispettandone la tristezza. Credo che l'atteggiamento più costruttivo con i genitori sia, per il breve lasso di tempo in cui forse tra le lacrime stiamo con loro, lo stesso rimanere accanto. Far sentire che ci siamo, che non scappiamo, che non abbiamo delle "terribili cose urgenti e molto importanti" da fare. Spiegare tutto senza partire dalla patologia, ma dal bambino: non siamo davanti MAI ad una "sindrome", ma ad "Andrea", o "Marco", o "Maria" (Bellieni 2001). Questo permette di partire dal positivo, cioè dal fatto che il bambino c'è e che merita affetto, anche se vivesse due giorni.

Abbiamo la certezza che nel momento della fatica quello che aiuta è sempre una presenza: una presenza che aiuta ad oggettivare senza farsi prendere dalle fantasie, una presenza che ricorda che il bambino è ben più della malattia, una presenza che insieme alla coppia affronta e studia il problema con decisione, garbo, sincerità. "I più alti livelli di soddisfazione sono stati dimostrati quando le madri sentivano che era stato loro dato abbastanza la possibilità di fare domande e di riparlare con il medico; quando ai genitori era stata date informazioni adeguate, comprensibili e facili a ricordare; quando il medico era stato simpatetico, comunicativo, diretto e avvicinabile"(Sloper) Roy conclude così: "Non possiamo evitare la sofferenza. Volerla attenuare può essere pericoloso. Ma si può ridare sicurezza, sapendo che questa sicurezza non si stabilirà che progressivamente." E dà delle indicazioni valide per tutto il personale, medico e infermieristico:

1. Mantenere la comunicazione tra personale e genitori e tra genitori e il loro ambiente 2. Tener distinti il problema del bambino, la ferita dei genitori, il sentimento di impotenza

dell'équipe. Non essendo colpiti allo stesso livello (della loro identità) possono sostenersi a vicenda.

3. Accompagnare i genitori rispettando le loro difese per affrontare la loro sofferenza, non per fuggirla. Riconoscere la loro capacità di sostenere loro stessi il loro bambino a condizione di essere aiutati

4. Sostenere il bambino, riconoscerlo come un essere umano, come un soggetto, animato da desiderio, soggetto di affettività, portatore di capacità da evidenziare e incoraggiare. 4 - Quanto abbiamo detto mostra la grande impreparazione di fronte a quanto della vita non è previsto, non è neanche consentito pensare, cioè che ciò che è oggetto dell’atto medico, nella società di oggi (nel 2000!!) possa avere un esito negativo, inatteso. Eppure può anche essere così.

Bisogna allora sfatare un mito: nel secolo dell’”ideologia della programmazione”, va sfatato il mito del “figlio perfetto”, cioè di un “tu” (il figlio) ridotto alla misura dei nostri desideri, anzi, delle nostre paure. L’idea del figlio-diritto, del figlio-pupazzo. Già, perché l’idea di figlio perfetto (e l’utopia della clonazione) nascono essenzialmente dalla paura dell’imprevisto, dell’ “altro-da-sé”, del non-programmato. Allora, “la nozione di figlio desiderato è divenuta quella di figlio programmato; il figlio non desiderato diventa il figlio indesiderabile” (Chatel 1993). Questo mito porta conseguenze nefaste: “Il bambino “desiderato” nato nel nuovo quadro concezionale, cioè conforme al desiderio altrui piuttosto che desiderato per lui-stesso, è un essere che s’impone per la scelta che lo pone al di sopra degli altri.” (Bayle 2003). Sono le parole di un famoso psichiatra francese, che riporta poi le conseguenze sui nati da questa ricerca spasmodica della perfezione: la “sindrome del sopravvissuto”: bambini che sommano il senso di colpa per essere sopravvissuti a spese di altri con un senso di invulnerabilità.

Chi non sopporta quest’etica della perfezione, ha una via di uscita: lasciarsi ancora stupire e attrarre dalla misteriosa natura umana che trae la sua forza inaspettatamente, impopolarmente, proprio dall’imprevisto, dalla non-fuga di fronte al nuovo che, sebbene talvolta sia doloroso, non è

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necessariamente l’inizio della fine. Come scriveva Hannah Arendt, filosofa ebrea, “l’uomo non nasce per morire, ma per cominciare”. E un figlio è un figlio: se è un figlio malato, è ancora più figlio. Ma questo tutto congiura a cancellarlo.

BIBLIOGRAFIA

1. Battin J: Empreinte génomique et environmentale précoce dans l'avenir de l'individu. In Progrés en néonatologie N°16, Ed Karger Paris 1996;241-55

2. Bayle B : L’embrion sur le divan. Psychopatologie de la conception humaine. Masson, Paris 2003.

3. Bellieni CV: Bambini e violenza, dal feto all'adolescente. In: Atti congresso Il bambino, suoi diritti, nostri doveri. Siena, 6.9.1999. Eds Cantagalli 1999:36-44

4. Bellieni CV: La "care" del prematuro in terapia intensiva neonatale. Educare Per: Problemi di sessualità e fecondità umana 2001;2:2-10

5. Chatel MM : Malaise dans la procréation. Albin Michel, Paris 1993

6. Druon C: Devenir parent d'un bébé de moins de 1000 g: Le point de vue du psychanalyste. Progrès en Neonatol 1998;18:208-16

7. Roy J, Guilleret M, Visier JP, Molenat F: Médecin et annonce du handicap chez un nouveauné. Arch Fr Pediatr 1989;46:751-7

8. Shlenker M: Lorsque l'enfant parait… anormal. Soins Pediatr Pueric 1998;185:30-2

9. Sloper P, Turner S: Determinants of parental satisfaction with disclosure of disability. Develop Med Child Neurol 1993;35:816-25

10. Titran M: Le prématuré nous perçoit… percevons-nous le prématuré? In: L'aube des Sens. Ed Stock, Paris 2000:393-400

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