Premessa. Una apparente tranquillità (J. J. Rousseau)
Molte volte, quando si affronta un tema di storia del XVIII secolo, si finisce per trovare in una pagina di Rousseau una riflessione – a volte anche un suggerimento di riflessione –, che guida lo studioso a cogliere il senso di costruzioni intellettuali, di processi politici che hanno caratterizzato la storia europea tra Sei e Settecento. Non deve sorprendere, allora, se, impegnato nell’analisi delle leggi di successione, che hanno segnato la storia delle principali monarchie europee tra la metà del Seicento e la metà del secolo successivo, e nello studio dei dibattiti, degli scontri, delle tensioni che ne hanno sempre accompagnato la gestazione e, come si leggerà nel capitolo primo, dell’appropriazione, da parte della cultura politica e del discorso pubblico europeo, dal secondo Settecento in avanti, del termine stesso di dinastia, abbia trovato in un passo del Contrat Social (Du contrat social ou Principes du droit politique, 1762) di Jean Jacques Rousseau una di quelle felici suggestioni intorno alla quale mi è stato facile organizzare la ricerca e poi la stesura di questo volume.
Il più grande inconveniente «del governo d’uno solo” - scriveva Rousseau nel capitolo VI - è la mancanza della successione. «Il re muore, ne occorre un altro; le elezioni lasciamo degli intervalli pericolosi; sono forieri di tempeste” e occasioni certe di corruzione. «Che fare per prevenire questo male? Si è resa la corona ereditaria in alcune famiglie e si è stabilito un ordine di successione che impedisca ogni disputa alla morte del re. Cosicché […] si è preferita una apparente tranquillità ad una amministrazione saggia e si preferisce rischiare di avere per capi dei bambini, dei mostri, degli imbecilli piuttosto che avere da disputare sulla scelta dei buoni re”.
Certo, questa “apparente tranquillità” era il frutto di una storia affatto “tranquilla”, ma l’esito di dibattiti sulla sovranità, sui titolari della sovranità, sul dibattito sulla relazione tra un “popolo” e il suo “sovrano”, che hanno segnato fortemente la cultura politica e giuridica europea dalla fine del Cinquecento in avanti; ed era anche il risultato dei dibattiti e degli scontri che hanno fatto la storia delle monarchie europee: dalle rivoluzioni inglesi del Seicento ai rivolgimenti politici che hanno accompagnato le successioni di Luigi XIV di Francia, di Pietro I di Russia, di Filippo V di Spagna o dell’imperatore Carlo VI. Nelle pagine che seguono, dunque, si parlerà dell’idea di sovranità in Pufendorf, Grozio, Hobbes, Locke; e delle guerre di successione del primo Settecento, della Gloriosa Rivoluzione inglese, della storia della Russia e della Danimarca, per cercare di comprendere il senso delle leggi di successione, varate in quei decenni, nel contesto del dibattito sulla sovranità, sul rapporto tra popoli e sovrani, per poter comprendere il contributo che esse dettero a “costituzionalizzare” il rapporto tra una dinastia, un popolo e un territorio. Le pagine finali sugli inni dinastici, che dalla metà del Settecento hanno tradotto questi processi in canti corali e in forti segni di appartenenza – dall’inno reale inglese a quello napoletano di Paisiello, all’inno imperiale di Haydn –, intendono sottolineare quanto questi processi abbiano agito nel cuore della società europea e la loro capacità di segnare questa società anche nei secoli successivi.
Dedico questo lavoro a Lena Elisabetta, cittadina di repubblica per parte di madre e suddita di Sua Maestà dei Paesi Bassi per parte di padre. Firenze, agosto 2019