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Commento sub artt. 114-duodecies – 114-terdecies d.lgs. n. 385/1993

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1. Gli istituti di pagamento registrano per ciascun cliente in poste del passivo, nel rispetto delle modalità stabilite dalla Banca d’Italia, le somme di denaro della clientela in conti di pagamento utilizzati esclusivamente per la prestazione dei servizi di pagamento.

2. Le somme di denaro sono investite, nel rispetto delle modalità stabilite dalla Banca d’Italia, in attività che costituiscono patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell’istituto di pagamen-to. Su tale patrimonio distinto non sono ammesse azioni dei creditori dell’istituto di pagamento o nell’interesse degli stessi, né quelle dei creditori dell’eventuale soggetto presso il quale le somme sono depositate. Le azioni dei creditori dei singoli clienti degli istituti di pagamento sono ammesse nel limite di quanto registrato ai sensi del comma 1. Se le somme di denaro registrate nei conti di pagamento sono depositate presso terzi non operano le compensazioni legale e giudiziale e non può essere pattuita la compensazione convenzionale rispetto ai crediti vantati dal depositario nei confronti dell’istituto di pagamento.

3. Ai fini dell’applicazione della disciplina della liquidazione coatta amministrativa i titolari dei conti di pagamento sono equiparati ai clienti aventi diritto alla restituzione di strumenti finanziari.

Art. 114-terdecies. Patrimonio destinato

1. Gli istituti di pagamento che svolgano anche attività imprenditoriali diverse dalla prestazione dei servizi di pagamento, autorizzati ai sensi dell’articolo 114-novies, comma 4, devono costituire un patrimonio destinato per la prestazione dei servizi di pagamento e per le relative attività acces-sorie e strumentali. A tal fine essi adottano apposita deliberazione contenente l’esatta descrizione dei beni e dei rapporti giuridici destinati e delle modalità con le quali è possibile disporre, integra-re e sostituiintegra-re elementi del patrimonio destinato. La deliberazione è depositata e iscritta a norma dell’articolo 2436 del codice civile. Si applica il secondo comma dell’articolo 2447-quater del co-dice civile.

2. Decorso il termine di cui al secondo comma dell’articolo 2447-quater del codice civile ov-vero dopo l’iscrizione nel registro delle imprese del provvedimento del tribunale ivi previsto, i beni e i rapporti giuridici individuati sono destinati esclusivamente al soddisfacimento dei diritti degli utenti dei servizi di pagamento e di quanti vantino diritti derivanti dall’esercizio delle attività acces-sorie e strumentali e costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello dell’istituto e da-gli altri eventuali patrimoni destinati. Fino al completo soddisfacimento dei diritti dei soggetti a cui vantaggio la destinazione è effettuata, sul patrimonio destinato e sui frutti e proventi da esso deri-vanti sono ammesse azioni soltanto a tutela dei diritti dei predetti soggetti. Si applica l’articolo 114-duodecies, comma 2.

3. In caso di incapienza del patrimonio destinato l’istituto di pagamento risponde anche con il proprio patrimonio delle obbligazioni nei confronti degli utenti dei servizi di pagamento e di quan-ti vanquan-tino diritquan-ti derivanquan-ti dall’esercizio delle atquan-tività accessorie e strumentali.

4. Con riferimento al patrimonio destinato l’istituto di pagamento tiene separatamente i libri e le scritture contabili prescritti dagli articoli 2214, e seguenti, del codice civile, nel rispetto dei prin-cipi contabili internazionali. Gli amministratori redigono un separato rendiconto per il patrimonio destinato, da allegare al bilancio d’esercizio dell’istituto di pagamento.

5. In caso di sottoposizione a procedura concorsuale del soggetto autorizzato alla prestazione di servizi di pagamento ai sensi dell’articolo 114-novies, comma 4, l’amministrazione del patrimo-nio destinato è attribuita agli organi della procedura, che provvedono con gestione separata alla liquidazione dello stesso secondo le regole ordinarie. Gli ordini di pagamento e le attività

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accesso-rie e strumentali a valere sul patrimonio destinato che siano state avviate prima dell’avvio della procedura continuano ad avere esecuzione e ad esso continuano ad applicarsi le previsioni conte-nute nel presente articolo. A decorrere dalla data di apertura della procedura non possono essere accettati nuovi ordini di pagamento né stipulati nuovi contratti. Gli organi della procedura possono trasferire o affidare in gestione a banche o altri intermediari autorizzati alla prestazione di servizi di pagamento, i beni e i rapporti giuridici ricompresi nel patrimonio destinato e le relative passività. Ai fini della liquidazione del patrimonio destinato si applica l’articolo 91, commi 2 e 3, intenden-dosi equiparati gli utenti dei servizi di pagamento ai clienti aventi diritto alla restituzione di stru-menti finanziari.

6. La Banca d’Italia può nominare un liquidatore per gli adempimenti di cui al comma 5, in luogo degli organi della procedura, ove ciò sia necessario per l’ordinata liquidazione del patrimo-nio destinato.

7. Il tribunale competente per l’avvio della procedura concorsuale del soggetto autorizzato alla prestazione di servizi di pagamento informa la Banca d’Italia della pendenza del procedimento.

7-bis. Ai patrimoni destinati costituiti ai sensi del presente articolo si applicano esclusivamente le disposizioni del codice civile espressamente richiamate.

Commento

Sommario: 1. Il vincolo di destinazione al servizio di pagamento delle somme «detenute» dagli Istituti di Pagamento. – 2. Il regime di segregazione patrimoniale dei fondi dei clienti. – 3. L’istituto dei patrimoni destinati e la garanzia della doppia segregazione a vantaggio degli uten-ti. – 3.1. La liquidazione del patrimonio destinato in caso si sottoposizione a procedura concor-suale dell’Istituto di pagamento.

1. Ai sensi del 1° co. dell’art. 114-duodecies, gli Istituti di Pagamento detengono, nel

ri-spetto delle modalità stabilite dalla Banca d’Italia, le somme di denaro della clientela in con-ti di pagamento ucon-tilizzacon-ti esclusivamente per la prestazione dei servizi di pagamento. Sebbe-ne ricorra ad una formula incerta, il legislatore esclude, pertanto, che gli IP possano racco-gliere depositi fra il pubblico dei risparmiatori.

Onde fugare eventuali dubbi interpretativi in merito, il rinnovato 1° co. dell’art. 114-duodecies prescrive che le somme di denaro dei clienti siano iscritte in poste del passivo dei conti di pagamento utilizzabili dagli Istituti solo per la prestazione dei servizi di pagamento, laddove la formulazione previgente della norma imponeva genericamente, senza alcuna in-dicazione contabile, di costituire appositi conti per l’esercizio dell’attività, in cui far conflui-re le somme dei clienti 1.

1

Con il d.lgs. n. 230 del 2011 è venuta meno la precedente previsione contenuta nell’ultima parte del 1° co., in forza della quale le somme di denaro immesse nei conti di pagamento non costituiscono fondi con obbligo di

rimborso ai sensi dell’art. 11, né moneta elettronica. Tale eliminazione, secondo quanto sostenuto da ALFANO,

Sub art. 114-duodecies, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, cit., 1624, «sem-bra volta a razionalizzare il complessivo sistema delle norme ed evitare duplicazioni, e, quindi, non altera il princi-pio di base, sancito dalla PSD, per cui la ricezione di somme in connessione con i servizi di pagamento non inte-gra raccolta del risparmio tra il pubblico».

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L’inserimento nell’ordinamento interno della figura degli IP ha condotto, in sede di attua-zione, all’introduzione di un nuovo 2°-bis co. nell’art. 11 t.u.l.b. 2, del tenore di quello già pre-visto per gli IMEL, al fine di ribadire il concetto, espresso nella direttiva 2007/64/CE, che «non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico la ricezione di fondi connessa alla presta-zione di servizi di pagamento» 3.

Siffatta limitazione si spiega con il voler salvaguardare la riserva esclusiva di attività a fa-vore delle banche; a prova di ciò depone anche l’uso di una terminologia differente per indi-care che, nel caso degli enti creditizi le somme sono «depositate», mentre nel caso degli IP le stesse sono «consegnate».

Si ribadisce, in tal guisa, una riserva piena a favore delle banche dell’attività di raccolta del risparmio. Tuttavia, rispetto agli IMEL, l’area di operatività degli IP presenta elementi di confusione più accentuati sia perché, ancorché con alcune cautele, possono concedere credito (v. art. 16, § 3, direttiva 2007/64/CE 4

), sia perché – in prima approssimazione – essi sembrano svolgere una funzione monetaria in quanto il loro compito è proprio quello di effettuare la raccolta dei fondi a vista in funzione della gestione dei mezzi di pagamento 5.

Come confermato dall’ultima parte del 1° co. dell’art. 114-duodecies, le somme di denaro immesse nei conti di pagamento non costituiscono fondi con obbligo di rimborso ai sensi dell’art. 11, né moneta elettronica ai sensi dell’art. 1, 2° co., lett. h-ter). Il conto di paga-mento detenuto presso l’IP può infatti essere alimentato da somme provenienti dallo stesso cliente, il quale le consegna a titolo di provvista per le successive operazioni di pagamento 6.

2

Comma inserito dall’art. 35, 4° co., d.lgs. n. 11 del 2010. 3

Sul punto l’art. 16, n. 2, direttiva 2007/64/CE dispone: «i fondi che gli istituti di pagamento ricevono da parte degli utenti di servizi di pagamento in vista della prestazione di servizi di pagamento, non costituiscono de-positi o altri fondi rimborsabili ai sensi dell’art. 5 della direttiva 2006/48/CE, né moneta elettronica ai sensi dell’art. 1, § 3, della direttiva 200/46/CE».

4

Anche l’art. 16, § 4, direttiva 2007/64/CE, non ammette dubbi in proposito: «Gli istituti di pagamento non effettuano l’attività di raccolta di depositi o altri fondi rimborsabili ai sensi dell’articolo 5 della direttiva

2006/48/CE». A conferma di quanto detto nel testo si rinvia a SANTORO, I conti di pagamento degli Istituti di

Pa-gamento, in Giur. comm., 855 ss., secondo il quale l’art. 16, § 3, lett. c), direttiva 2007/64/CE impedisce di consi-derare le somme consegnate all’IP sia quale deposito bancario sia quale deposito irregolare. La disposizione, infat-ti, vieta agli IP di concedere credito utilizzando fondi ricevuti o detenuti ai fini dell’esecuzione di operazioni di pagamento; il divieto presuppone che l’IP non diventi proprietario delle somme né automaticamente come accade nei depositi bancari, né con il consenso del depositante come avviene nel deposito irregolare, visto che in alcuni Paesi europei non esiste uno specifico contratto di deposito bancario ma le banche fanno ricorso al deposito irre-golare cosi come disciplinato dall’art. 1782 c.c.

5

È d’uopo osservare, su questo aspetto, che prima delle modifiche recate dal d.lgs. n. 230 del 2011, l’ultima parte del 1° co. dell’art. 114-duodecies conteneva la precisazione secondo cui «le somme di denaro immesse nei conti di pagamento non costituiscono fondi con obbligo di rimborso ai sensi dell’art. 11, né moneta elettronica ai

sensi dell’art. 1, comma 2, lett. h-ter)». Sul punto si rinvia ancora a SANTORO, I conti di pagamento, cit., 857 s.;

nonché al considerando 11 e all’art. 16 della direttiva 2007/64/CE. 6

La definizione di conto di pagamento ci viene fornita dalla stessa direttiva, che all’art. 4, n. 14 così dispone: «conto di pagamento è un conto detenuto a nome di uno o più utenti di servizi di pagamento, utilizzato per l’esecuzione delle operazioni di pagamento». Una ricostruzione in questi termini del problema è sviluppata da SANTORO, I conti di pagamento, cit., 860 s. L’Autore distingue anche fra conto corrente bancario e conto di pa-gamento affermando che la destinazione esclusiva di quest’ultimo alle sole operazioni di papa-gamento comporta il riferimento ai soli servizi di pagamento coperti dalla direttiva 2007/64/CE e dunque bonifici, addebitamenti di-retti, gestione delle carte di pagamento, con esclusione del mezzo di pagamento più importante e tradizionale e cioè l’assegno bancario, nonché delle operazioni effettuate in contante. Da non trascurare poi che le somme con-segnate agli IP sono destinate a rimanere in cassa quale provvista di successivi pagamenti.

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È stato affermato da alcuni autori che la raccolta dei depositi fra il pubblico dei rispar-miatori da parte degli IP, in altro non si sostanzia se non nella funzionalizzazione assoluta delle somme depositate al servizio di pagamento. Tali somme servono, al pari di quelle de-positate presso una banca, a garantire la funzione di pagamento, ma non possono essere uti-lizzate per la funzione creditizia 7.

Viene in rilievo, a tal proposito, la previsione dell’obbligo per gli IP di corrispondere ai soggetti beneficiari dei pagamenti stessi gli interessi legali sulle somme detenute oltre i ter-mini stabiliti per l’effettuazione delle operazioni, anche laddove i predetti Istituti adducano a loro giustificazione la ricorrenza di motivi di carattere tecnico.

Rileva infatti come tale previsione, che era del resto stata raccomandata anche dalla Ban-ca centrale europea in ocBan-casione della predisposizione della proposta di direttiva, consenti-rebbe di scongiurare il rischio che gli Istituti di Pagamento utilizzino i fondi della clientela durante il periodo di tempo nel quale gli stessi vengono trasferiti dal soggetto che ordina il pagamento a quello che ne beneficia.

Il legislatore comunitario evita di definire la consegna di somme all’IP quale deposito, ed anzi insiste sul fatto che gli IP non possono effettuare l’attività di raccolta di depositi o di altri fondi rimborsabili ai sensi dell’art. 5 della direttiva 2006/48/CE. Si tratta, in fondo, di una precisa scelta di politica legislativa intesa ad abbattere, a favore degli IP, i costi diretti e indiretti inerenti alla regolazione delle banche, al fine di introdurre un grado maggiore di concorrenza nel mercato dei servizi di pagamento 8.

2. A fronte di una forte specializzazione operativa 9 e a parziale temperamento di tale ca-ratteristica, per gli Istituti di Pagamento non è previsto l’obbligo di avere un oggetto sociale limitato alle sole attività finanziarie, regola questa che invece caratterizza tutti gli altri inter-mediari vigilati e regolamentati del t.u.l.b.

Sul piano sistematico, particolare interessante riveste la previsione secondo cui i fondi dei clienti debbano essere tenuti separati dai fondi detenuti dall’Istituto di Pagamento per altre attività commerciali. L’esigenza è legata alla circostanza che gli IP «ibridi» esercitano attività più specializzate e limitate, che generano rischi molto più ristretti e più facili da monitorare e controllare di quelli derivanti dalla più ampia gamma di attività degli enti creditizi. Tutta-via, tali attività, pur fuoriuscendo dal raggio d’azione della vigilanza, possono finire per in-taccare la solidità patrimoniale dell’Istituto di Pagamento impedendogli di svolgere l’attività oggetto di autorizzazione 10. Al pari del legislatore comunitario, anche quello nazionale si è preoccupato, in sede di recepimento della PSD, di garantire che l’«individuazione» delle somme consegnate dal cliente e registrate in apposite poste del passivo fosse attuata con meccanismi di doppia separazione, sia delle somme degli utenti rispetto a quelle dell’IP, sia

7

Mette conto precisare che tra le condizioni (le cautele) poste dalla direttiva vi è anche quella che il credito non sia «concesso utilizzando fondi ricevuti o detenuti ai fini dell’esecuzione di un’operazione di pagamento», art. 16, §. 3, lett. c), direttiva 2007/64/CE.

8

Si possono leggere in tale senso tutti i primi considerando, ma in particolare il n. 10, della direttiva 2007/64/CE.

9

Cfr. commento sub art. 114-octies. 10

Secondo l’art. 21 della direttiva 2007/64/CE «per garantire un capitale sufficiente per i servizi di pagamen-to, soprattutto qualora le attività diverse dai servizi di pagamento danneggino o rischino di danneggiare la solidità finanziaria di quest’ultimo».

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di quelle di ciascun utente rispetto alle somme degli altri (art. 114-duodecies, 2° co.), al fine di assicurare, in relazione al livello di rischiosità della specifica tipologia di Istituto, l’or-dinato ed efficace svolgimento dell’attività. In altri termini, si disponeva che i fondi ricevuti dall’IP ai fini dell’esecuzione di operazioni di pagamento, non solo dovessero essere distinti dai fondi propri dello stesso, ma anche da quelli di altri clienti e finanche da quelli destinati ad altre operazioni di pagamento 11.

La separazione rispetto al patrimonio sottolinea la destinazione esclusiva delle somme al-la prestazione dei servizi di pagamento e, al contempo, attesta che al-la ricezione dei fondi non si traduce in una acquisizione degli stessi.

Il regime di doppia separazione, introdotto dall’art. 33 del d.lgs. n. 11 del 2010, è stato oggetto di un’evoluzione normativa, che non ne ha tuttavia mutato il livello di tutela a favo-re dei clienti dell’IP. La disposizione in oggetto è stata infatti modificata dal 6° co. dell’art. 44 del d.lgs. n. 230 del 2011, che ha, per l’appunto, espunto qualsivoglia riferimento alla separazione operante tra i fondi dei singoli utenti, lasciando operare solo l’onere di tenere distinti i patrimoni degli utenti da quello dell’Istituto.

Con tale modifica il legislatore supera le difficoltà poste dall’adozione di un regime di separazione che permettesse un’effettiva individuazione delle somme ricevute da ciascun utente, dalla qual, per altro, e derivava una tutela per il cliente solo formalmente più elevata rispetto a quella da ultimo apprestata.

In caso di cessazione del rapporto contrattuale, il diritto del cliente alla restituzione dei fondi collocati sul conto di pagamento deve essere fatto valere nei confronti dell’operatore, rimanendone estranei gli altri utenti. A tutela di tale diritto agisce il disposto del 1° co. dell’art. 114-duodecies, che impone ai prestatori di servizi di pagamento la registrazione delle somme versate da ciascun cliente sul conto di pagamento. Il 2° co., anch’esso novellato dal d.lgs. n. 230 del 2011, introduce la possibilità che gli IP investano le somme della clientela (in luogo della mera possibilità di detenzione contemplata dalla previgente formulazione della norma) in attività costituenti patrimonio distinto da quello dell’Istituto, secondo mo-dalità stabilite dalla Banca d’Italia. Restano ferme le previsioni già vigenti in materia di esclusione dell’azione dei creditori dell’Istituto sul patrimonio distinto, di limiti all’azione dei creditori dei singoli clienti e di esclusione delle compensazioni giudiziali e legali in caso di somme registrate nei conti di pagamento depositate presso terzi.

A tal fine l’art. 114-duodecies ammette la possibilità del deposito presso terzi 12, mentre la lett. c) dell’art. 9 della direttiva ammette la costituzione di una copertura assicurativa come misura di tutela alternativa. Nell’una come nell’altra ipotesi, però, una separazione fisica completa la separazione legale e, quindi, sterilizza il rischio collegato all’impossibilità di adempiere l’obbligazione di restituzione a vista di tali somme 13.

11

In questi termini v. SANTORO, Sub art. 114-duodecies, in Testo unico bancario. Commentario, cit., 930;

SCARLINO, Sim insolvente, tutela degli investitori e riforma delle procedure concorsuali, in Giur. comm., 2007, 2, 112

ss.; CARDINALE, La restituzione degli strumenti finanziari e del denaro ai clienti in caso di liquidazione coatta

ammi-nistrativa dell’impresa di investimento, in Giur. comm., 2003, 2, 523; SALAMONE, Gestione e separazione patrimonia-le, Padova, 2001, 178; S. FORTUNATO, Liquidazione coatta della Sim e rapporti pendenti: il «patrimonio separato»

della clientela e i relativi atti di amministrazione, in Dir. banca e merc. finanz., 2000, 1, 573 s.

12

In concreto il meccanismo della segregazione patrimoniale opera nel senso di sottrarre i depositi alla disponibilità diretta degli IP, affinché siano tenuti in conti affidati alle banche ovvero siano investiti in attività sicure, liquide ed a basso rischio. Gli IP possono detenere le disponibilità occorrenti per le esigenze giornaliere, o al più in caso di pagamenti non esattamente prevedibili in anticipo, possono detenere la disponibilità calcolata secondo metodi statistici.

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pa-In concreto, ne deriva il divieto per l’IP di usare i saldi positivi dei conti per operazioni di finanziamento o per coprire i saldi negativi di altri conti e sin’anche di quello dello stesso utente; con l’obbligo aggiuntivo di provvedere a tutte le registrazioni contabili necessarie e di conservarle per un periodo di almeno cinque anni. Quest’ultima imposizione costituisce, invero, un retaggio del precedente onere di doppia separazione che impone agli IP di istitui-re e conservaistitui-re «apposite evidenze contabili» distinte per ogni cliente e pistitui-reordinate a consen-tire la ricostruzione di ogni singola operazione di pagamento a questi riferibile. Poiché ogni operazione di pagamento deve essere considerata nella sua individualità, la tenuta dei conti necessita di essere costantemente aggiornata affinché sia possibile «ricostruire in qualsiasi momento con certezza la posizione di ciascun cliente» 14. Ne consegue, pertanto, la necessità per i soggetti depositari di tenere un conto riferibile a ciascun IP depositante, che dovrà esse-re ripartito in sottoconti intestati ai singoli clienti dell’Istituto di Pagamento.

Come si è già accennato, la ratio della disposizione in esame risiede nella necessità di tu-tela della clientu-tela la quale, al contrario di quella bancaria, non trova protezione nei sistemi di garanzia dei depositi, visto che l’art. 114-undecies esclude esplicitamente l’applicabilità degli artt. 96 ss. t.u.l.b.

Le forme di tutela vengono graduate in relazione al tipo di operatività dell’intermediario. In particolare, come si è poc’anzi illustrato, per gli Istituti di Pagamento «puri», viene adot-tata la sola separazione patrimoniale del denaro ricevuto dalla clientela nei confronti dell’intermediario, e la conseguente sottrazione delle somme segregate alle azioni dei credi-tori diversi da quelli del titolare del conto di pagamento 15.

Si tenga presente, inoltre, che l’art. 16 della PSD prevede che gli IP possano svolgere an-che attività commerciali diverse dalla prestazione di servizi di pagamento, tenuto conto delle disposizioni nazionali e comunitarie applicabili. Sicché, quando l’Istituto esercita anche altre attività, oltre alla separazione patrimoniale viene previsto l’obbligo di costituire un patrimo-nio destinato per la prestazione dei servizi di pagamento, per il quale si prevede la nomina di un responsabile, al quale devono intendersi riferite le disposizioni in tema di requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza (v. art. 114-novies, 4° co.).

Adottando il principio della segregazione patrimoniale, il legislatore italiano ha scelto la prima delle due alternative indicate dalla PSD, optando per una formula di segregazione raf-forzata 16. La natura rafforzata della tutela degli utenti dei servizi di pagamento «e di quanti vantino diritti derivanti dall’esercizio delle attività accessorie e strumentali» da un lato, trova

gamento degli Istituti di pagamento, in Il nuovo quadro normativo comunitario dei servizi di pagamento. Prime rifles-sioni, cit., 38 ss. Ma anche BANCAD’ITALIA, Disposizioni di Vigilanza per gli Istituti di pagamento e gli Istituti di moneta elettronica, cit.

14

Così BANCAD’ITALIA, Disposizioni di Vigilanza per gli Istituti di pagamento e gli Istituti di moneta elettronica,

Cap. IV, sez. II, § 2, 3° co. 15

Nel caso in cui l’IP eserciti anche altre attività, la direttiva dispone che i fondi ricevuti dall’IP per la presta-zione di servizi di pagamento debbano essere distinti da quelli detenuti per altri fini; tali fondi devono essere altre-sì tutelati, alternativamente, in coperture assicurative o altre forme di garanzia degli stessi, oppure mediante tecni-che di segregazione dei fondi depositati dagli utenti del servizio di pagamento, rispetto ai fondi diversi comunque detenuti dall’IP.

16

Così PAPA, Sub art. 114-terdecies, in MANCINI,RISPOLIFARINA, SANTORO,SCIARRONEALIBRANDI,O.

TROIANO (a cura di), La nuova disciplina dei servizi di pagamento, Torino, 2011, 479 s. Infatti, come sostiene l’A., il requisito di tutela degli utenti indicato dalla PSD poteva essere soddisfatto anche con la sola previsione della segregazione patrimoniale di ciascun fondo versato o di ciascun conto di pagamento, fissate dall’art. 114-duodecies t.u.l.b. poiché tale soluzione pare sufficiente a garantire la blindatura delle somme degli utenti rispetto alle vicende della società, a prescindere dalla natura dell’istituto di pagamento, «puro», ovvero «ibrido».

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espressione nella natura cogente della disposizione che sottrae alla scelta strategica della so-cietà la costituzione del patrimonio destinato «per la prestazione dei servizi di pagamento e per le relative attività accessorie e strumentali»; dall’altro lato, attribuisce ai medesimi sog-getti la posizione di destinatari «esclusivi» della garanzia patrimoniale offerta dal patrimonio destinato dell’«ibrido», per effetto della quale in sede di esecuzione non concorrono con al-cuna altra categoria di creditori, siano essi della società o di altri patrimoni destinati da que-sta costituiti.

Si è dell’idea, infatti, che la formula prescelta risponda, meglio di altre, alla ratio sottesa alla fattispecie in esame, sarebbe a dire alla necessità di escludere che il rischio d’impresa de-rivante dall’attività commerciale non riservata possa esondare a discapito di quella soggetta da riserva, specie in caso di crisi, e all’esigenza di tutelare i fondi dei terzi destinati ai paga-menti dalle azioni di eventuali creditori dell’Istituto.

Il legislatore ha dovuto tener conto anche di un’altra esigenza, di non minor rilievo: quella di rendere il patrimonio di vigilanza dell’Istituto di Pagamento chiaramente identifi-cabile rispetto al patrimonio della società commerciale, al fine evitare che lo svolgimento dell’attività come “ibrido” si tramuti, in concreto, in un facile viatico per sottrarsi ai vincoli posti dalla legge e dalla normativa secondaria della Banca d’Italia, in materia di requisiti pa-trimoniali degli Istituti di Pagamento e di vigilanza sugli stessi 17.

Quello che viene perseguito in via diretta con il mezzo della segregazione patrimoniale è dunque l’interesse, già evidenziato, ad assicurare la fiducia del pubblico nel buon fine dei propri pagamenti e, più in generale, nella stabilità del sistema dei pagamenti globalmente considerato.

L’ultimo comma dell’art. 114-duodecies chiarisce come applicare le disposizioni in tema di liquidazione coatta amministrativa ai titolari dei conti di pagamento, sancendone l’equiparazione con i titolari di strumenti finanziari: in questo modo si riconosce loro un diritto alla restituzione delle somme detenute dall’IP in liquidazione anziché un mero «dirit-to di credi«dirit-to».

In virtù del rinvio contenuto nell’art. 114-undecies, 2° co., i commissari liquidatori de-vono, ai sensi dell’art. 91, 1° co. 18, restituire le somme di denaro agli utenti (siano essi pro-prietari, possessori, legittimi detentori) in quanto le stesse siano contabilmente individuate e chiaramente riconoscibili quali di pertinenza di ciascun cliente, tanto più nel caso in cui sia-no pervenute all’utente beneficiario tramite un sistema di pagamento, sicché il dato contabi-le sarà registrato anche nell’archivio di un soggetto terzo 19.

17

Cfr. SANTORO,SCIARRONEALIBRANDI, La nuova disciplina dei servizi di pagamento dopo il recepimento della

Direttiva 2007/64/CE (d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11), in Banca borsa, 2010, I, 347. Secondo PAPA, Sub art.

114-terdecies, cit., 479, «Pertanto, è a tale ultimo fine che il legislatore ha immaginato la soluzione scelta, di imporre all’ibrido la costituzione di un patrimonio dedicato per lo svolgimento dell’attività assoggettata a riserva».

18

Come osserva SANTORO, Sub art. 114-duodecies, cit., 931, nt. 8, «Se si integra l’art. 91 con la nuova

dispo-sizione dell’art. 87-bis l. fall., le somme di denaro, in quanto chiaramente riconoscibili quali di pertinenza del cliente dell’IP, dovrebbero essere restituite, ad istanza della parte interessata, prima ancora di essere incluse nell’inventario».

19

Per ulteriori approfondimenti si rinvia a SCARLINO, Sim insolvente, tutela degli investitori e riforma delle

pro-cedure concorsuali, cit., 121 s.; CARDINALE, La restituzione degli strumenti finanziari e del denaro ai clienti in caso di liquidazione coatta amministrativa dell’impresa di investimento, cit., 526; SANTONI, Separazione patrimoniale e li-quidazione coatta amministrativa della Sim, in Riv. dir. civ., 2001, 2, 75.

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3. L’art. 114-terdecies dà attuazione, unitamente all’art. 114-novies, 4° co., all’art. 16, 1°

co., lett. c) della PSD, il quale dispone che gli ordinamenti nazionali prevedano che gli Istituti nazionali possano esercitare attività commerciali diverse dalla prestazione di servizi di paga-mento «tenuto conto delle disposizioni nazionali e comunitarie applicabili» 20. Il legislatore na-zionale, quindi, trovandosi di fronte all’esigenza di dover distinguere i centri di imputazione di due classi di obbligazioni (quelle derivanti dalla prestazione dei servizi di pagamento e quelle imputabili all’ordinaria attività imprenditoriale svolta) in modo tale che ciascuna abbia la pro-pria, distinta, garanzia patrimoniale e non potendo ricorrere alla creazione di un altro soggetto societario – anche se, come si è visto, tale possibilità viene attribuita ad un atto di imperio dell’organo di vigilanza – ha fatto ricorso ad una figura introdotta dalla riforma societaria del 2003, ossia il patrimonio destinato c.d. «statico» di cui all’art. 2447-bis, 1° co., lett. a), c.c.

A ben vedere, l’art. 114-terdecies introduce una disciplina dei patrimoni destinati che presenta carattere di compiutezza, sia sotto il profilo dell’ordinaria operatività, che sotto quello della disciplina delle crisi, talora riproducendo in maniera pedissequa disposizioni già vigenti nella disciplina di diritto societario 21.

Ne dà chiara conferma il d.lgs. n. 230 del 2011 inserendovi un nuovo 7°-bis co., ai sensi del quale si specifica che il patrimonio destinato è disciplinato, oltre che dalle norme del te-sto unico bancario, dalle disposizioni del codice civile espressamente richiamate. La modifica è volta ad escludere che possano trovare applicazione in materia norme civilistiche incompa-tibili con la natura del patrimonio destinato proprio degli Istituti di Pagamento.

Con riguardo alla fase costitutiva, va anzitutto rilevato che il patrimonio destinato nasce in seguito ad una espressa deliberazione del consiglio di amministrazione (in presenza del sistema monistico) o del consiglio di gestione (nell’ipotesi di amministrazione dualistica) assunta a maggioranza assoluta. È fatta salva la possibilità di prevedere una diversa competenza in ordine alla costituzione o una diversa maggioranza.A tal proposito, il 1° co. dell’art. 114-terdecies pre-vede che con una apposita delibera dell’organo amministrativo – così come deriva dal rinvio all’art. 2447-quater, 2° co., c.c. –, sottoposta al regime di pubblicità previsto dall’art. 2436 c.c. (deposito e iscrizione), si individuino i beni e i rapporti giuridici ricompresi nel patrimonio nonché le modalità con le quali variare la composizione del patrimonio stesso.

Si tratta, invero, di una disposizione che introduce un certo grado di flessibilità in ordine alla composizione del patrimonio che, al contrario, nell’impostazione codicistica risponde ad una indiscussa rigidità in funzione della tutela dei due gruppi di creditori (della società e del patrimonio destinato) 22.

20

Il ricorso all’istituto del patrimonio destinato da parte del legislatore nostrano soddisfa, peraltro, le regole di «non confusione» e di «isolamento» dei fondi degli utenti quali indicate alle lett. a) e b) dell’art. 9, §. 1, direttiva

2007/64/CE. In tal senso cfr. ALFANO, Sub art. 114-terdecies, in Commentario al testo unico delle leggi in materia

bancaria e creditizia, cit., 1633 s.

21

V. Relazione illustrativa dello schema di Decreto legislativo di recepimento della Direttiva 2007/64/CCE sui ser-vizi di pagamento nel mercato interno, sub Art. 33 (Disciplina degli istituti di pagamento). Sulla tesi della natura au-tonoma della nuova figura di patrimonio destinato introdotta dalla norma in commento, rispetto a quella

preesi-stente di diritto societario, si veda PAPA, Sub art. 114-terdecies, cit., 480 s e 482 s. Secondo l’A. «La soluzione che

ricostruisce la disciplina dei patrimoni destinati ai sensi dell’art. 114-terdecies come autonoma ed in sé esaustiva

risulta anche più rispettosa del corretto recepimento della PSD». Contra SANTORO, SCIARRONEALIBRANDI, La

nuova disciplina, cit., 347, che ritengono possibile, al fine di colmare eventuali lacune normative quando la disci-plina degli Istituti di pagamento «ibridi» presenti dei vuoti di regolazione, l’applicazione diretta della discidisci-plina del genus «patrimoni destinati» di diritto societario.

22

Così SANTORO, Sub art. 114-duodecies, cit., 934. L’A., inoltre, ritiene che tale disposizione dia altresì

(9)

del-Ciononostante, non sono mancate delle critiche su vari livelli. Sebbene la dottrina sia con-corde nel ritenere che il patrimonio destinato sia un valido strumento apprestato dall’ordina-mento per soddisfare singoli affari, non mancano rilievi in merito alla complessa articolazione interna (specialità della rendicontazione, tenuta separata dei libri e delle scritture contabili …) della struttura patrimoniale, coacervo di adempimenti e indispensabili sottostrutture che – si teme – finirebbe per incidere negativamente su un’operazione di tal specie.

Basti osservare che, a parte l’arbitrarietà di talune soluzioni, nel modello prescelto non v’è traccia del limite quantitativo previsto per la costituzione dei patrimoni destinati. Ai sen-si infatti, del 2° co. dell’art. 2447-bis, i patrimoni destinati non possono essere costituiti per un valore complessivamente superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società. Invero, la presenza del limite nella disciplina civilistica sembra tradire una tardiva preoccu-pazione del legislatore circa le conseguenze dell’atto ablativo e la volontà di porvi rimedio con un vincolo di ordine quantitativo. Timore che, probabilmente, non è stato avvertito quando si è trattato di ricalibrare la disciplina de qua sugli Istituti di pagamento 23.

Per quanto la ratio del limite sia genericamente riconducibile alla tutela dei creditori «generali» della società, stante il potenziale pregiudizio della separazione sulle loro ragioni, qualche perplessità resta sull’effettiva idoneità della norma a conseguire tale obiettivo 24. Si tenga presente che il limite quantitativo del 10% del patrimonio, previsto nel 2° co. dell’art. 2447-bis, porta ad un’incidenza minima, sull’assetto societario, della destinazione patrimo-niale, limitandosi fortemente la correlata possibilità di dar vita a strutture multidimensionali omogenee e separate.

Dal dato normativo rileva, inoltre, che il valore del 10% va riferito solo al momento del-la costituzione deldel-la separazione patrimoniale, a nuldel-la rilevando eventuali successivi muta-menti di valore dello stesso.

Sotto il profilo funzionale i risultati che si intendono perseguire con l’adozione del-l’istituto del patrimonio destinato sono dati dalla limitazione della responsabilità patrimo-niale e dalla creazione di garanzie specifiche per raggiungere determinate finalità. In questa prospettiva, il 2° co. dell’art. 114-terdecies è volto a disciplinare l’effetto principale della co-stituzione del patrimonio destinato, ossia la segregazione dei beni in esso presenti rispetto alle obbligazioni per le quali il patrimonio stesso è stato destinato.

Nella fattispecie in esame il distacco dal patrimonio societario di un nucleo dello stesso che viene utilizzato per la realizzazione di un affare specifico 25 non attua alcun trasferimento ad un soggetto nuovo o preesistente, ma crea soltanto un vincolo di destinazione sui beni

la determinazione di un patrimonio di vigilanza che dovrà essere specificamente regolato dalla stessa Banca d’Italia in sede di attuazione (art. 114-novies, ult. comma)».

23

In chiave critica cfr. DISABATO, Strumenti di partecipazione a specifici affari con patrimoni separati e

obbliga-zioni sottoscritte dagli investitori finanziari, in Banca borsa, 1, 2004, 15; NAPOLETANO, Sub artt. da 2447-bis a

2447-quinquies e da 2447-octies a 2447-decies, in BONFANTE,CORAPI,MARZIALE,RORDORF,SALAFIA (a cura di), Codice commentato delle nuove società, Milano, 2004, 906; COMPORTI, Sub artt. 2447-bis 2447-decies c.c., in SANDULLI,SANTORO (a cura di), La riforma delle società, Torino, 2003, t. II, 1018.

24

In questi termini, cfr. COLOMBO, La disciplina contabile dei patrimoni destinati: prime considerazioni, in

Banca borsa, 1, 2004, 32.

25

La terminologia utilizzata dal legislatore, ossia «singolo affare», etichettata come atecnica da buona parte della dottrina, va intesa come insieme di operazioni funzionalmente collegate con l’unico limite del doveroso col-legamento con l’oggetto sociale, fatti salvi specifici divieti previsti da leggi speciali. Alla luce della costante inter-pretazione del concetto d’affare previsto dall’art. 2549 c.c., si tende ad escludere che possa farsi coincidere con la complessiva attività della società, ritenendosi preferibile il riferimento alla attività di un ramo della società stessa.

(10)

destinati al singolo affare la cui gestione è affidata alla stessa società, e che comporta la non distraibilità degli stessi dalla destinazione fissata fino a quando l’affare non è compiuto o ri-sulta impossibile 26.

Quando si parla di separazione si intende automaticamente individuare un complesso di beni che formano un nucleo a sé stante nel patrimonio del debitore, destinato solo al soddi-sfacimento di dati creditori. La previsione normativa consente pertanto alla società di «par-cellizzare il proprio patrimonio in comparti, isolando i rapporti giuridici inerenti a ciascun comparto sotto il profilo della responsabilità» il tutto in deroga all’art. 2740 c.c. secondo il quale il debitore deve rispondere delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Una volta estirpata ogni forma di soggettività giuridica dal fenomeno della separazione patrimoniale, e ricondotto quindi lo stesso ad un vincolo reale sui beni destinati all’ese-cuzione di un singolo affare, è evidente che delle obbligazioni contratte per l’eseall’ese-cuzione di quell’affare dovrà rispondere la società, soggetto unico debitore, che però ne risponderà, per effetto della segregazione patrimoniale, soltanto con quella porzione di patrimonio vincolata alla specifica funzione di garanzia delle obbligazioni nate dalla gestione di quell’affare.

Si dispone, quindi, che una volta che siano stati adempiuti gli obblighi pubblicitari, ov-vero sia stata definita con esito favorevole l’eventuale opposizione proposta dai creditori so-ciali (cfr. art. 2447-quater, 2° co., c.c.), sullo stesso patrimonio possano vantare diritti uni-camente coloro che siano creditori dell’Istituto in ragione del servizio di pagamento o dell’attività accessoria prestata, trovando applicazione il disposto dell’art. 114-duodecies, 2° co., t.u.l.b.

Preme sottolineare, come rilevato da un’autorevole dottrina, «che se l’art. 114-terdecies, 3° co., obbliga gli IP a rispondere con tutto il proprio patrimonio sia nei confronti degli utenti sia nei confronti degli altri creditori dell’IP, qualora il patrimonio destinato sia inca-piente, diversamente l’art. 2447-quinquies, 3° co., c.c. dispone che i creditori volontari del patrimonio destinato possano soddisfarsi solo su quest’ultimo, salvo che la delibera di costi-tuzione del patrimonio destinato non abbia disposto diversamente» 27.

Sicché, per effetto del combinato disposto della disciplina in esame e di quanto previsto dall’art. 114-duodecies, è facile constatare che gli utenti del servizio godano di un regime di separazione articolato su due livelli: quello del patrimonio destinato rispetto al patrimonio generale della società e quello dei propri fondi rispetto a quelli del patrimonio destinato.

3.1. Al pari di quanto prevede la disciplina generale applicabile all’istituto dei patrimoni

destinati (art. 2447-novies, 4° co., c.c. e art. 156 legge fall.), il 3° co. dell’art. 114-terdecies

26

In tal modo si è creato un fenomeno definito, da taluna dottrina, quale «scissione endosocietaria». Il patri-monio destinato risulta inoltre privo di una qualsiasi forma, seppure embrionale, di soggettività giuridica. E infatti il legislatore si preoccupa della separazione prevalentemente al fine di regolamentare i rapporti tra i contrapposti interessi dei creditori (sia generici – cioè della società – sia specifici – cioè relativi allo specifico affare). A questo fine sono stati adattati alla fattispecie in esame quegli strumenti che già il nostro legislatore aveva sperimentato in tema di intermediazione finanziaria o di cartolarizzazione, tesi a tenere distinti il nucleo patrimoniale destinato allo specifico affare e il restante patrimonio sociale.

27

Così SANTORO, Sub art. 114-terdecies, in Testo unico bancario. Commentario, a cura di Porzio, Belli,

Lo-sappio, Rispoli Farina, Santoro, Milano, 2010, 935, a detta del quale «si verifica in sostanza una situazione rias-sumibile in una dualità o pluralità di patrimoni e unicità del loro titolare, tanto che la separazione in esame è stata equiparata, (...) alla costituzione di una garanzia reale in favore dei creditori relativi al singolo affare». Per utili

raffronti con la disciplina codicistica cfr. NIUTTA, I patrimoni e finanziamenti destinati, Milano, 2006, in

(11)

ribadisce il principio della sussidiarietà del patrimonio principale rispetto al patrimonio de-stinato allo svolgimento dei servizi di pagamento. Ciò significa che, mentre i creditori del patrimonio principale non possono aggredire – come già osservato – il patrimonio destinato ai servizi di pagamento, i creditori di quest’ultimo, in caso di sua incapienza, possono riva-lersi sul patrimonio principale 28. Si prescrivono, quindi, libri e scritture contabili separate per il patrimonio destinato, in ciò analogamente alla figura codicistica, giusto il rinvio all’art. 2214 ss. c.c. 29.

Si aggiunga che, operando una modifica del 4° co., il legislatore precisa che gli ammini-stratori degli Istituti di Pagamento che svolgono anche attività imprenditoriali (cosiddetti Istituti «ibridi»), debbano redigere rendiconti distinti per i patrimoni separati appositamente destinati all’attività di prestazione di servizi di pagamento 30.

La disciplina in rassegna si differenzia invece da quella di diritto comune per quanto ri-guarda l’ipotesi di insolvenza: l’art. 155 legge fall. sancisce infatti che, in caso di dichiarazio-ne di fallimento della società, qualora il patrimonio separato sia in bonis, il curatore dichiarazio-ne as-sume l’amministrazione provvedendo quindi alla cessione del medesimo a terzi «al fine di conservarne la funzione produttiva» ovvero, in caso di impossibilità della cessione, ne dispo-ne la liquidaziodispo-ne secondo i criteri della liquidaziodispo-ne della società.

Del resto, l’indisponibilità nella fattispecie patrimonio destinato è complementare alla limitazione di responsabilità, perché se fosse possibile disporre liberamente dei beni separati, distraendoli dallo scopo cui sono destinati, ne deriverebbe la loro sottrazione ai creditori in-dividuati in base alla destinazione impressa.

L’art. 155 legge fall. si conclude poi con la previsione a tenor della quale il curatore ac-quisisce alla massa fallimentare il corrispettivo della cessione del patrimonio al netto dei de-biti ovvero il residuo attivo della liquidazione, in entrambi i casi detratto quanto spettante ai terzi che abbiano effettuato apporti.

Il successivo art. 156 legge fall. regola invece la diversa fattispecie del patrimonio destina-to riveladestina-tosi incapiente nel corso della procedura: anche in tale ipotesi si instaura, previa au-torizzazione del giudice delegato, una procedura ordinaria di liquidazione. In tale caso ai creditori del patrimonio che vantino un credito anche nei confronti del patrimonio generale derivante da responsabilità extracontrattuale ovvero per responsabilità sussidiaria della socie-tà, spetterà il diritto di insinuarsi al passivo della società.

Orbene, per quanto riguarda il patrimonio destinato alla prestazione di servizi di paga-mento non si fanno distinzioni con riguardo alla solvibilità del patrimonio stesso,

28

Sul punto cfr. SANTORO, Sub art. 114-terdecies, cit., 935. L’autore solleva, al riguardo, talune perplessità

sull’idea che la necessità di conservare la fiducia degli utenti nel sistema dei pagamenti possa reputarsi di minore importanza rispetto al favor riconosciuto dal legislatore ai depositanti: «L’obbligo di liquidare il patrimonio desti-nato a causa della sottoposizione a procedura concorsuale dell’IP contraddice il modus operandi del legislatore in campo creditizio; ove, infatti, prevale il favore a lasciare sopravvivere i rapporti giuridici anche quando il soggetto giuridico si estingue a seguito di una liquidazione coatta amministrativa (v. art. 90)». Malgrado ciò, deve comun-que ritenersi che tale finalità sia perseguita «altrimenti, vale a dire attraverso la sterilizzazione del sistema medesi-mo rispetto alle vicende dei singoli partecipanti».

29

PAVONELAROSA, L’insolvenza della società per azioni con patrimoni «separati», in Il nuovo diritto delle socie-tà. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa, Portale, Torino, 2006, 925; NIGRO,V AT-TERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2009, 332; nello stesso senso cfr. pure FIMMANÒ, Patrimoni destinati e tutela dei creditori nella società per azioni, Milano, 2008, 302.

30

Si segnala, in tale contesto, che la lett. e) del 3° co. dello stesso art. 1 del d.lgs. n. 230 del 2011 prevede che tali rendiconti debbano essere sempre redatti in conformità ai principi contabili internazionali.

(12)

dosi unicamente che, in caso di assoggettamento a procedura concorsuale dell’impresa, l’amministrazione del patrimonio separato è attribuita agli organi della procedura che si so-stituiranno così ai «responsabili» del patrimonio di cui all’art. 114-novies, 4° co., t.u.l.b.

Anche in questo caso, tuttavia, mentre la massa del patrimonio generale va calcolata se-condo i principi concorsuali, per la formazione del patrimonio separato si deve ricorrere ai criteri ordinari di liquidazione.

Nel 5° co. dell’art. 114-terdecies si detta poi una sorta di disciplina dei rapporti giuridici pendenti individuando la data di apertura della procedura come spartiacque: gli ordini di pagamento e le attività accessorie che siano stati impartiti o abbiano avuto inizio prima di tale data devono essere portati a compimento dagli organi della procedura, che invece devo-no rifiutare eventuali richieste di immissione nel sistema di nuovi ordini di pagamento suc-cessive alla predetta data. Si tratta, in effetti, di due disposizioni volte a «immunizzare» i si-stemi di pagamento rispetto alle vicende sia dei patrimoni destinati sia degli Istituti stessi.

Nel primo caso si vuole assicurare la continuità nel funzionamento dei sistemi di paga-mento, stabilendo che gli ordini immessi dovranno essere «processati» fino ad acquisire de-finitività.

Con la seconda regola si punta all’espulsione ope legis dai sistemi di pagamento del pa-trimonio destinato dell’operatore insolvente (o anche solo a rischio) 31.

Oltre a confermare quanto previsto dal 1° co. dell’art. 156, legge fall., vale a dire che sa-ranno gli stessi organi della procedura (il curatore) a gestire la liquidazione del patrimonio destinato, agli stessi viene poi riconosciuta la facoltà di «trasferire» o affidare in gestione ad altri soggetti autorizzati alla prestazione di servizi di pagamento i beni e i rapporti ricompresi nel patrimonio separato.

Se nessuna questione pone l’affidamento in gestione, che può rispondere all’esigenza di avvalersi di professionalità maggiori di quelle di un organismo concorsuale, qualche perples-sità pone il termine atecnico «trasferimento» a meno che con questo non si voglia dare in-gresso nel settore specifico degli Istituti di Pagamento alla cessione ex art. 58 t.u.l.b. Questo lungo 5° co. si chiude poi con una equiparazione ope legis, nel caso di apertura di una proce-dura e successiva liquidazione di un patrimonio destinato, tra utilizzatori del servizio di pa-gamento e clienti aventi diritto alla restituzione di strumenti finanziari. Anche ai primi si applica, pertanto, il disposto dell’art. 91, 2° e 3° co., t.u.l.b., con conseguente diritto a ve-dersi riconosciuti gli importi in proporzione dei propri diritti in caso risulti rispettata la se-parazione tra patrimonio generale e patrimonio destinato, nonché con il diritto a concorrere con i creditori chirografari del patrimonio generale per la parte rimasta insoddisfatta ovvero per l’intero qualora non sia stata mantenuta la separazione.

L’articolo in rassegna contiene, infine, due disposizioni di carattere procedurale: si attri-buisce infatti alla Banca d’Italia la facoltà di nominare un liquidatore del patrimonio che affianchi gli organi della procedura «generali» (6° co.) e si dispone, per evidenti ragioni di coordinamento, che il Tribunale competente per l’avvio della procedura concorsuale del soggetto autorizzato informi la Banca d’Italia della pendenza del procedimento (7° co.).

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