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La Digital Education Research come sfida metodologica

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Academic year: 2021

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(1)

come sfida metodologica

di A

LBERTO

P

AROLA1

1. Una premessa sul “Digitale”

Digital Education è un concetto che ha cominciato a svilupparsi solo

nei primi anni del nuovo millennio. Le due componenti di cui è costituito sono invece radicate nell’uso quotidiano, da circa trent’anni il primo, da molto tempo, com’è ovvio, il secondo. Per questo motivo l’incontro tra i due aspetti non è avvenuto in modo naturale. Tentare di associare un mondo fatto di bit, nato improvvisamente e cresciuto a dismisura, a una tradizione secolare ha non poco allarmato almeno due generazioni di genitori. educatori e insegnanti. L’educazione per decenni ha criticato l’uso delle tecnologie didattiche (e da almeno dieci anni quelle denominate personal media), mentre il digitale si radica in questo mondo con velocità dirompente, sia al livello dei singoli individui, con comportamenti e atteggiamenti mai visti prima, sia a quello culturale e globale. La summa è un oggetto che merita di essere analizzato raccogliendo informazioni da differenti discipline. La terza sporgenza è la ricerca, ovvero la necessità di osservare a fondo le condotte di miliardi di individui che, rapidissimamente, stanno scegliendo di affrontare, e in parte subendo, la realtà complessa con orientamenti, stili e opportunità differenti. Da un punto di vista

ontologico, crediamo che la maggior parte della comunità scientifica

concordi nel ritenere la realtà un complesso ed eterogeneo sistema di frammenti interconnessi, in parte ancora invisibili. Se il realista critico ammette una sola realtà non perfettamente conoscibile e il

1 Alberto Parola ([email protected]) è docente presso il Dipartimento. di Filosofia e

Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino.

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costruttivista di buon grado accetta di ricomporre un puzzle incompleto, l’osservatore del digitale necessita di coniugare le due visioni aggiungendo un terzo elemento: uno sguardo sistemico che consente un movimento continuo tra il dettaglio e il complesso, adattandosi, con curiosità, all’emergere di nuova informazione imprevedibile, utile per la formulazione di nuove ipotesi. La situazione è intrigante: a) effetti psicologici (interpretazione dei testi, produzioni creative, costruzione di identità multiple, etc.), b) dinamiche tra differenti processi cognitivi (letture e scritture, sottostima della percezione dei rischi2 e del tempo speso in attività

digitali, convivenza di sequenziale e modulare, diversa importanza assegnata a memoria e attenzione e così via) e, infine, c) gestione dei vissuti emotivi (il passaggio da un’emozione intensa inframezzata da periodi di latenza a numerosissimi e frequenti piccoli picchi emotivi sollecitati dagli stimoli provenienti dai numerosi schermi a disposizione, distribuiti in modo seriale) determinano appunto una nuova narrazione psico-antropologica riferita all’attuale gestione delle relazioni interindividuali e della costruzione di sé. Ammaniti (2018) afferma che, in relazione agli adolescenti, «se si scompone il tempo in attimi infinitesimali, si crea una simultaneità che forza il fluire temporale, il quale perde il suo filo storico» (ivi, 171). Su tale aspetto occorre concentrarsi attentamente nel prossimo futuro.

Definiamo la Digital Education Research (da ora in poi DER) un approccio comprensivo di natura scientifica che considera il «digitale» un oggetto-mondo educativo, psicologico, tecnologico, relazionale e sistemico, elemento chiave di potenziale crescita e sviluppo all’interno di micro, intermedi (eso e meso) e macro contesti variamente interconnessi, sulla base di studi che enfatizzano l’interdisciplinarità, la transmedialità e l’orientamento partecipativo dei soggetti implicati (Parola, 2016). Tale definizione nasce dalla necessità di focalizzare la metodologia della ricerca educativa (e mediaeducativa, o se si vuole digieducativa) su aspetti urgenti e più adeguati a questa realtà multi-sfaccettata: si tratta di un approccio

2 A tal proposito si pensi agli effetti della mediazione nell’ambito del cyberbullismo: «Nelle

relazioni aggressive agite tramite internet vediamo come la mediazione tecnologica possa operare un forte distanziamento tra aggressore e vittima, portando a un indebolimento o a una disattivazione del controllo morale interno e della competenza auto-regolatoria, e alla minimizzazione delle responsabilità individuali», aspetto che possiamo tradurre in fenomeno del disimpegno morale (Genta in Genta, et al., 2013, 23), con assenza di negoziazione e, dunque, possibilità di riparazione.

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comprensivo (quindi spostato verso l’integrazione dei metodi) poiché consente di assicurare il movimento dell’osservatore dall’olistico al particolare atomistico, dal profondo al superficiale, dalla semplice alla complessa struttura di strumenti e dati, dalla variabile al soggetto, dall’idiografico al nomotetico, così valendo, per tutti i binomi sopracitate, il movimento contrario.

In questo contributo, suggeriamo alcune idee e avanziamo alcune proposte metodologiche e operative, sia in ambito formativo che di ricerca, facendoci perdonare dal lettore l’approccio talvolta eccessivamente sintetico in relazione ai temi affrontati. In ogni caso, in questo volume, molti aspetti verranno ripresi e affrontati da diversi punti di vista nei successivi contributi.

Prima di imbatterci nella prima questione, quella ontologico-epistemologica, dobbiamo fare i conti con alcune premesse, senza le quali non riusciremmo ad afferrare le sporgenze che ci consentono di procedere nel discorso nella comprensione della realtà biologico-digitale. Partiamo da un presupposto (che chiamiamo passaggio di

stato, come nel rapporto tra acqua e temperatura): il soggetto

biologico, quando attraversa o incontra il campo semiotico del digitale, subisce effetti distorsivi (spesso amplificati o intorpiditi) su tutti i livelli, cognitivo, emotivo e sociale.

Per rendere ragione a questa trasformazione, occorre un cambiamento di punto di vista: di seguito presentiamo alcune urgenti azioni che, a parere nostro, occorre perseguire:

 Equilibri. Armonizzare l’evidente estroflessione cognitiva messa in gioco da miliardi di soggetti iperconnessi (con riferimento alle psico-tecnologie descritte da De Kerckhove, 1993, 2014), con la necessità di costruire del proprio spazio interiore grazie alla risonanza dei rispettivi vissuti.

 Funzionamento della mente. Sfruttare appeno l’evoluzione del concetto di intelligenza e degli approcci ai processi cognitivi, che dal test del Q.I. dei primi decenni del secolo scorso ci hanno condotti alla significativa proposta di Gardner in relazione alle intelligenze multiple, sulla scia di altri noti modelli ancora molto attuali, come quello di Guilford e dell’aggiornamento della tassonomia di Bloom operata da Anderson e Krathwohl.

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 Tipologie di pensiero. Definire e sviluppare il pensiero sistemico-globale (Morin, 2016), a partire dai gradi inferiori della scuola, sviluppando la capacità di saper generare e padroneggiare la dinamica vicino-lontano e distante-presente in relazione a fatti, eventi e comportamenti, sia in ottica cognitiva che emotiva (aspetto quest’ultimo, che possiamo sintetizzare in distanze emotive dall’oggetto).

 Evoluzione dei princìpi. Attualizzare alcune teorie ancora oggi straordinariamente significative, ormai calate in contesti storici che hanno subìto evidenti trasformazioni: si pensi all’ecologia dello sviluppo umano di Bronfenbrenner (1979), ai vari livelli, dal micro al crono sistema, considerati veri e propri ambienti di vita. Il digitale sollecita prepotentemente questa revisione in quanto i confini tra i vari sotto-sistemi si sono erosi con il tempo e alcuni si sono addirittura mescolati, sovrapposti e coagulati.

 Rapporto pensiero/emozione. Coltivare l’approccio neuro-scientifico alla comprensione del “reale biologico” che co-evolve con quello digitale, ad esempio focalizzando i fenomeni di flow (Csikszentmihaly, 1990) quando si opera su uno schermo (si pensi a un video-giocatore), ma anche in riferimento alla recente ricerca di Immordino-Yang (2017), del gruppo di Damasio, in relazione alle neuroscienze affettive, secondo la quale cognizione ed emozione compartecipano all’apprendimento, visto che «[…] gli aspetti della cognizione presi in maggior considerazione in ambito scolastico, inclusi l’apprendimento, l’attenzione, la memoria, i processi decisionali, la motivazione e il funzionamento sociale, sono tutti profondamente influenzati dalle emozioni e, anzi, inglobati all’interno del processo emotivo» (ivi, 36). Ciò in sostanza significa che le emozioni guidano la conoscenza anziché interferire con essa. Le scoperte delle neuroscienze suggeriscono che non possiamo più giustificare teorie dell’apprendimento che dissociano la mente dal corpo e il sé dal contesto sociale. Sempre in tema di neuroscienze, da segnalare il rapporto tra attaccamento e intersoggettività (Ammaniti e Gallese, 2014), che riprendiamo anche nel paragrafo relativo alla psicologia del profondo.

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 Definizione delle competenze. Adattare i modelli di competenza digitale, che dalla complessità (quelli europei) si dirigono verso la semplicità (una volta conosciuti occorre siano calati nei singoli contesti) e devono necessariamente trovare un equilibrio sostenibile all’interno delle scuole.

 Mediazioni. Approfondire la questione del rapporto Mente/Corpo/Mondo (Putnam, 1999) e il contributo di Maturana e Varela (1985) alla comprensione del digitale come meccanismo auto-poietico3 e al tema della cognizione

incarnata. La presenza effettiva del corpo nell’uso degli schermi è determinante: si pensi alla sequenza Me/S/C/Mo4 in

riferimento alla concatenazione Me/C/S/Mo laddove la prima privilegia un’azione al ribasso (solo la Mente partecipa al processo epistemologico e tiene fuori il movimento, come nella maggior parte dei casi), mentre la seconda sceglie di far partecipare il Corpo, assicurando il rapporto della diade Mente/Corpo come garanzia della compartecipazione del soggetto in apprendimento senza mediazioni fittizie.

 Profondità. Coinvolgere la psicologia del profondo nell’interpretazione della realtà biologico-digitale per comprendere i meccanismi inconsci5 (Marzi, 2013) da cui

derivano talune condotte che portano alla dipendenza, sia in fase adolescenziale, sia nel periodo della piena adultità: si pensi ai video-game, alle scommesse on-line e ad alcuni fenomeni non prevedibili fino a qualche anno fa come il Blue

Whale, sul quale non vi è ancora accordo su genesi e reali

effetti. Il soggetto dipendente non subisce la tecnologia, bensì è l’elemento patologico che e ne appropria: in sostanza, ad

3 Si pensi all’auto-rappresentazione del digitale che ricrea e re-interpreta se stesso: il social

come meta-rappresentazione del digitale (il digitale usato e quello creato), le serie televisive, ad esempio Black Mirror, come meta-meta-rappresentazione dello stesso (quella televisiva, quella relativa al tema dentro la serie e quella riflessiva in riferimento al tema indotta dalla narrazione).

4 Sintetizziamo con le sigle: Mente (Me), Schermo (S), Corpo (C), Mondo (Mo).

5 A tal proposito, si faccia riferimento ai concetti di inconscio cognitivo (Legrenzi e Umiltà,

2018), credere di sapere ciò che non sappiamo), inconscio digitale (De Kerckhove, 2014), tutto ciò che gli altri sanno di noi che noi non sappiamo) e sistemi del Sé inconsci (Ginot, 2017), con approccio neuroscientifico (ricordi impliciti di situazioni di attaccamento che costruiscono solchi a livello neuronale), temi fondamentali, ma che purtroppo in questa sede non possiamo approfondire.

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esempio, il video-giocare non va visto come causa di un problema, piuttosto come un terreno su cui il problema, già presente, si annida.

2. Il livello epistemologico

La prima questione da affrontare, assodata quella ontologica, è quella epistemologica. È possibile dunque conoscere, seppur sommariamente, questa nuova realtà? Invero, è possibile mettere in campo metodi e strumenti orientati a uno scopo senza farsi annullare dall’idea emergentista, ovvero affrontando i problemi solo quando affiorano? Tutti i fenomeni emergenti, compresa la mente, sono fenomeni spontanei, di natura processuale, naturalmente generati dall’insieme delle interazioni tra le parti della totalità da cui emergono (spesso non prevedibili). La risposta più adeguata che possiamo suggerire ha a che fare con un cambiamento di prospettiva orientato al conoscere la confusa miscela dei linguaggi e, di conseguenza, le modalità di esprimersi degli individui. Dalle teorie che inducono la presenza contemporanea di posizioni opposte (“Questo, ma anche

quello”), che non fanno altro che fomentare un ragionamento

relativista mai risolutivo, fomentate dalla relazione contrapposta di entusiasti e catastrofisti (a tal proposito si veda l’interessante riassunto di Balbi, 2018), occorre volgere alle teorie per problemi/fenomeni, evitando il riduzionismo causa-effetto, soprattutto inserendo altri elementi che alimentano le connessioni semantiche (il terzo, il quarto, e così via) che, se non immediatamente decisivi, tengono il dibattito acceso e consentono di operare scelte indirizzate: ad esempio, tra il male e il bene si possono operare dei distinguo tra “male a certe condizioni” e “bene ad altre condizioni” sulla base di evidenze empiriche (Hattie, 2012), in relazione a specifici obiettivi e contesti. Questo si configura sostanzialmente come un lavoro di comunità. L’approccio al digitale, pertanto, si sta giocando su alcuni fattori quali: la difficoltà del realista critico di “fotografare” l’oggetto osservato, la necessità del costruttivista di riordinarne i frammenti, l’urgenza del sistemico di prevedere comportamenti, fattori di crescita e regressioni nell’immediato futuro (si pensi ad esempio alla questione dell’Intelligenza Artificiale). Tutto ciò rappresenta al

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contempo una sfida e un’opportunità anche per la ricerca in campo didattico, non solo digieducativo: naturalmente l’uno informa l’altro. 3. Il livello metodologico

La ricaduta a livello metodologico è consequenziale. Ciò vale sia per il ricercatore che per l’educatore. Pertanto occorre quanto segue.

 Teorie. Prendere posizione all’interno dell’attuale scontro ideologico, ad esempio tra Rheingold e Carr, e leggere nella crescita degli approcci apocalittici (tra gli altri Morozov, Fuchs, Linchuan Qi, Han, Spitzer, in Balbi, op.cit.) quali aspetti psicologici e filosofici apportano alle teorie utili alla comprensione del digitale. Se gli esperti di educazione non provano a dirigersi in questa direzione non riusciranno a operare scelte funzionali, pragmatiche e condivise; la paura è bloccante, l’entusiasmo è acritico. Serve dunque attivare un dialogo utile atto a scavalcare l’improduttivo ragionamento manicheo.

 Verbalizzazioni. Comprendere l’ipotetica solitudine del soggetto nei dialoghi e nelle conversazioni (Turkle, 2016) che, apparentemente, sembrano ridursi a situazioni antropologicamente preoccupanti suggerite anche da Le Breton (2016) nella sua opera Fuggire da sé: se così fosse – tuttavia non si può dire che gli adolescenti abbiano perso il desiderio di comunicare, piuttosto lo fanno diversamente – occorre adottare metodi didattici basati sullo scambio verbale in presenza e, interviste narrative e colloqui in profondità che, anche nell’ambito della ricerca (così facendo si integrano i due livelli), possono essere potenziati con la condivisione di artefatti (ad esempio disegni e prodotti digitali).

 Osservazioni e valutazioni. Promuovere e valorizzare la presenza dei serious game e della simulazione (Anolli e Mantovani, 2011) nei luoghi della formazione e della ricerca. Anche in questo caso si tratta di scontro ideologico tra chi demonizza il videogame e altri che ne decantano le caratteristiche: gli autori mettono ordine negli aspetti

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essenziali e, con autorevolezza e il suggerimento delle evidenze, scelgono di spostare i pesi verso il polo positivo; noi concordiamo pienamente con questa impostazione affermando che il gioco (anche digitale) e soprattutto la simulazione (il fattore sotteso) rappresentano oggi un’opportunità di apprendimento piuttosto efficace, così come ci informano ormai molte ricerche in vari contesti. Mente simulativa e mente ludica «consentono in modo congiunto di creare e ricreare situazioni, di inventare scenari, di disegnare prospettive alternative, nonché di anticipare tendenze e cambiamenti in modo lungimirante» (ivi, 134). L’osservazione occorre sia realizzata nell’istante in cui il giocatore è in grado di verbalizzare processi cognitivi ed emotivi, mentre svolge un’attività o, a posteriori, collocando al centro del campo d’osservazione anche le sue capacità meta-cognitive, utili alla comprensione dei suoi comportamenti e atteggiamenti, ma anche delle sue difficoltà a gestire vissuti e sentimenti. La simulazione, oltre ad essere metodo didattico. è oggetto di osservazione e contemporaneamente metodo valutativo

Gli aspetti sopra trattati hanno naturalmente un legame significativo con l’apprendimento e la progettualità di insegnanti ed educatori che si appassionano alla DER, ovvero a una modalità di riflessione e azione, che prevede una didattica “in ricerca” in una realtà competentemente progettata, semplificata e costruita (nel senso del setting) attraverso diverse modalità di pensiero. In tal senso, all’insegnante occorre:

 Automatismi. Conoscere il sistema “algoritmico” imposto dalle multinazionali del web, adottando le soluzioni di impatto psicologico, motorio, di tutela nell’infanzia e nella primaria, propedeutici a quelli politico, economico e culturale nella scuola secondaria, utile allo sviluppo della competenza critica (il soggetto, adulto e minore, riconosce l’algoritmo e lo usa a suo favore).

 Previsioni. Tentare di prevedere, anche per gioco, gli scenari futuribili dettati dalla co-evoluzione uomo-macchina (Khanna & Khanna, 2013), a vantaggio dello sviluppo del pensiero

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sistemico collegato alla capacità di previsione (si pensi alle teorie dei cambiamenti climatici e al ruolo dell’intelligenza artificiale).

 Grammatiche. Ragionare in termini di letture e scritture al plurale (Parola e Denicolai, 2017), consentendo una flessibilità espressiva grazie a continue traduzioni da un linguaggio all’altro e all’individuazione delle strutture sottostanti.

 Narrazioni. Progettare percorsi in modalità transmediale coinvolgendo tutti i linguaggi e costruendo storie dentro e

intorno al progetto didattico (Rose, 2013), a sostegno dello

sviluppo del pensiero narrativo.

 Orientamenti. Preparare bambini e ragazzi a un traguardo di conoscenze della nuova geografia del lavoro (Moretti, 2013), con attività graduali di interconnessione tra il lavoro d’aula, i talenti a disposizione e gli scenari futuribili, anche in questo caso prevedendo, in parte giocando, quali mestieri possano durare nel tempo e quali altri a breve scomparire (Schwab, 2016).

 Evidenze. Formarsi al visible learning, con Hattie (2012) che afferma: «L’insegnamento e l’apprendimento visibili si hanno quando c’è una pratica intenzionale finalizzata al raggiungimento della padronanza dell’obiettivo, quando viene dato e ricercato feedback, quando ci sono persone attive, appassionate e coinvolgenti che partecipano all’atto di apprendere». Secondo l’autore, l’insegnante “ispirato” opera in questo modo, anche per favorire l’individuazione delle differenze tra comprensione superficiale e comprensione profonda.

Da un punto vista strettamente collegato alla ricerca, anche alla luce di quanto affermato nei paragrafi precedenti, occorre percorrere la strada dei mixed methods (l’incontro delle visioni), favorendo un approccio partecipativo, che preveda la convivenza di differenti strategie attraverso un processo di nidificazione (si pensi a una ricerca-azione, che al suo interno inglobi una fase focalizzata di rilevazione di dati utili alle finalità di intervento e cambiamento della ricerca stessa). La medesima strategia richiede ricorsività, grazie a una serie di cicli che consentono di rendere la gittata complessiva una ricerca di tipo

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longitudinale, con eventuali follow up. A parer nostro il “digitale” richiede più attenzione, più profondità, più documentazione per affermare qualcosa di realmente significativo, al di là del mero

opinionismo istintivo e aggressivo. La grande mole di informazioni

ingenue, proveniente soprattutto dalla stampa e dai social, luoghi che non rendono immuni nemmeno le persone più colte, rischia di sporcare l’oggetto di osservazione con una patina di credenze, frutto di osservazioni frettolose e sconsiderate. In tal senso, le indagini con questionari perdono di efficacia se non inglobate in strategie più solida e comprensive, poiché tendono a realizzare “scatti fotografici” di una realtà che appare inevitabilmente sfocata, nella quale l’oggetto di osservazione a malapena si riconosce, a causa della velocità del cambiamento di numerosi processi in corso relativi al nostro tema. L’indagine, dunque, assumerebbe valore solo se innestata all’interno di un flusso evolutivo di osservazioni sistematiche e ricorsive in tempi differenti.

4. Il livello profondo

Il grande assente, per ora, nel campo della DER è il profondo. La concentrazione maggiore degli sforzi è indirizzata spesso a condotte e opinioni (un livello superficiale di analisi), mentre molti degli aspetti emersi dalle osservazioni realizzate con i millennials probabilmente mostrano un legame più prossimo al mondo dell’inconscio, all’inconsapevolezza cognitiva ed emotiva di ciò che accade là fuori e

dentro di loro. Ciò non si configura certo come una mancanza di

rispetto verso metodologie più tradizionali, bensì come esortazione a riequilibrare gli investimenti educativi e formativi offrendo più spazio allo studio di elementi essenziali (spazi, tempi, vissuti) e alla capacità dei singoli individui di costruire e custodire la propria interiorità (ricerca e psicoterapia in dialogo). Ciò può avvenire con comportamenti utili alla riflessione e con tempi più dilatati per la decantazione di sentimenti e la comprensione di accadimenti, talvolta al di sotto del livello di comprensione minima per poterli elaborare e gestire al meglio.

In tal senso ci concentriamo infine su due aspetti determinanti (anche se sarebbe utile attivare fitto dialogo di tipo interdisciplinare):

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 Frammentazione dell’identità. Focalizzare l’impatto delle storie sull’identità, laddove i bambini, soliti a condividere i ricordi con i loro genitori, sono maggiormente più bravi a rievocare le loro esperienze con un maggiore livello di dettaglio, soprattutto se padre e madre li inducono a elaborare riflessioni in merito, denominando i relativi sentimenti. Essi, i bambini, secondo Siegel (2013) potranno così costruire meglio la propria auto-biografia in modo più ricco e strutturato, mostrando una maggiore capacità di conoscenza e gestione delle emozioni. Non c’è consapevolezza su questi aspetti, l’educazione delle famiglie resta al livello dell’intuito e dei buoni propositi. Un ottimo esempio di cambiamento di prospettiva in relazione a specifiche condotte è il desiderio di

estimità (Tisseron, 2016), il fatto di rendere pubblici alcuni

elementi della propria vita intima al fine di valorizzarli grazie ai commenti degli amici social. Solo una quindicina di anni fa, ciò non sarebbe stato immaginabile. Il popolo del web, per natura, si appropria di una nuova funzione per sperimentare comportamenti inediti, prendendo a prestito bisogni e desideri che, tuttavia, nuovi non sono affatto poiché cambiano contesto e così facendo assumono nuove forme e significati (si ricordi l’idea del passaggio di stato).

 Interruzioni dell’intersoggettività. Riconoscere l’importanza del bisogno di risonanza emotiva nei primi anni di vita (Ammaniti e Gallese, 2014) nello sviluppo di pensieri, idee e condotte nella realtà complessa. «Si tratta di una partecipazione alterocentrica, ossia la capacità innata di ognuno di esperire quello che l’altro sta esperendo, in quanto centrato nell’altro (ivi, 19)». Gli autori affermano che «[…] dovremmo abbandonare la visione cartesiana del primato dell’io e adottare una prospettiva che enfatizza il fatto che sé e altro siano originariamente co-costituiti» (42). Un ottimo orientamento di ricerca, in special modo in riferimento al rapporto soggetto/schermo (si pensi alle possibili interruzioni continuative degli sguardi reciproci tra madre e bambino a causa degli smartphone), pertanto, prevede di approfondire quanto attaccamento (sicuro, insicuro/evitante, insicuro/ambivalente, disorganizzato, Bowlby, 1989) e

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intersoggettività siano legati tra loro nel definire le modalità di pensare e agire nei mondi digitali.

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