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Riforma Orlando: le modifiche attinenti al processo penale, fra codificazione della giurisprudenza, riforme attese da tempo e confuse innovazioni

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(1)

Riforma Orlando: le modifiche attinenti al processo penale,

tra codificazione della giurisprudenza,

riforme attese da tempo e confuse innovazioni

*

The ‘Orlando Reform’. Changes in the Italian Criminal Process:

Codification of Case Law, Long-Awaited Reforms and Confused

Innovations

Mitja Gialuz

*

, Andrea Cabiale

**

, Jacopo Della Torre

*** *

Professore associato di Procedura penale presso l’Università di Trieste

**

Assegnista di ricerca presso l’Università di Trieste

***

Dottorando di ricerca presso l’Università di Udine

A

bstrAct

Il contributo fornisce una prima illustrazione delle novità in materia processuale penale contenute nella l. 23 giugno 2017, n. 103, ponendo in rilievo meriti e difetti di una ‘riforma’ che – oltre a contenere innovazioni di fattura non sempre pregevole e alcune lacune – si è spesso limitata a rielaborare orientamenti giurisprudenziali consolidati.

The paper provides a first illustration of the novelties introduced by Law No. 103 of 2017, and highlights merits and flaws of a reform that often contains a mere legislative trasposition of recent case law.

ProcessoPenAle, riformA orlAndo criminAl Process, orlAndo reform

* Pur essendo il lavoro frutto di una riflessione congiunta, Mitja Gialuz ha redatto i § 1, 3-4, 9, 13-14; Andrea Cabiale i § 5-6, 8, 10 e Jacopo Della Torre i § 2, 7, 11-12.

(2)

Premessa.

Dopo due anni e mezzo di complessi lavori parlamentari è arrivata in porto la cd. riforma Orlando, ossia il ddl. 43681. Il disegno di legge nasce dall’accorpamento in un unico testo di

tre progetti di legge già approvati dalla Camera (Atti Camera nn. 2798, 2150 e 1129) e di una pluralità di proposte di legge di iniziativa parlamentare. Esso consta di un unico articolo con ben novantacinque commi, che intervengono sull’intero sistema penale, con norme imme-diatamente efficaci e diverse deleghe2. Quanto alla materia penale sostanziale, vi sono

dispo-sizioni che introducono modifiche dirette al codice penale (commi 1-15), nonché una delega per l’adozione di decreti legislativi per la modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati e delle misure di sicurezza personali e per il riordino di alcuni settori del co-dice penale (commi 17-18) e una delega per l’adozione di un decreto legislativo in materia di casellario giudiziale (commi 18-19). Con riguardo alla materia penitenziaria, vi è un’articolata delega che recepisce in larga parte il lavoro fatto dagli Stati generali dell’esecuzione penale (commi 82, 85 e 86). La parte centrale e più cospicua della manovra (commi 21-84) è dedicata al processo penale. In queste pagine, ci si soffermerà unicamente sulle modifiche apportate al codice di rito e a norme di rilievo processuale.

Gli eterni giudicabili.

Una delle questioni più spinose che il legislatore ha voluto risolvere in via definitiva con la riforma in commento è senza dubbio rappresentata dalla problematica degli “eterni giudi-cabili”. Si tratta di un tema, che, come noto, è stato oggetto di molteplici e alterne pronunce della Corte costituzionale, tra cui spicca la sentenza 45/20153, con cui il giudice delle leggi,

stanco di porre moniti alle forze politiche4, aveva finalmente dichiarato l’illegittimità dell’art.

159 comma 1 c.p. nella parte in cui non esclude la sospensione della prescrizione qualora si accerti che l’incapacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo sia irreversibi-le. È peraltro noto come la soluzione fatta propria dalla Consulta, pur comportando un netto miglioramento rispetto alla situazione precedente, posto che permetteva che la maggior parte degli eternamente incapaci potessero veder concluso il loro procedimento una volta maturata la prescrizione, lasciava però adito ad alcuni nodi problematici5, tra cui spiccava la situazione

degli imputati per un delitto imprescrittibile, i quali, non potendo giovarsi del dictum della

1 Sui lavori preparatori e sulle diverse versioni che si sono succedute, cfr. M. Bargis, I ritocchi alle modifiche in tema di impugnazioni nel testo del D.D.L. N. 2798 approvato dalla Camera dei Deputati, in Dir. pen. cont., 19 ottobre 2015; Ead., Primi rilievi sulle proposte in materia di im-pugnazioni del recente D.D.L. governativo, in questa Rivista, n. 1/2015, p. 4; S. Beltrani, E venne il giorno!, in Il Penalista, 15 giugno 2017; S. Lorusso, La giustizia penale tra riforme annunciate e riforme sperate, in Proc. pen. giust., 2017, n. 1, p. 1; G. Spangher, DDL n. 2067: sulle

proposte di modifica al codice di procedura penale, in Giurisprudenza Penale Web, 2017, n. 3; Id., La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, in questa Rivista, n. 1/2016, p. 88; G. Sambuco, Rafforzamento delle garanzie difensive, durata ragionevole del processo e contrasto alla

corruzione, in Proc. pen. giust., 2015, n. 2, p. 17; S. Zirulia-L. Matarrese, Il Governo presenta alla Camera un articolato pacchetto di riforme del codice penale, del codice di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario, in Dir. pen. cont., 15 gennaio 2015.

2 In palese violazione della circolare a firma congiunta dei Presidenti della Camera e del Senato del 20 aprile 2001, sulle regole e

raccomanda-zioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi, la quale prevede che «un articolo non può contenere più di una disposizione di delega» (punto 2, lettera d): v. Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario - A.C. 4368 - Dossier n° 159 - Elementi

di valutazione sulla qualità del testo, 4 maggio 2017, p. 3.

3 Cfr. Corte cost., 14 gennaio 2015, n. 45, in Dir. pen. cont., 20 aprile 2015, con nota di M. Daniele, Il proscioglimento per prescrizione dei non più “eterni giudicabili”. La sorte degli imputati affetti da incapacità processuale irreversibile dopo la sentenza 45/2015 della Corte costituzionale. 4 Ci si riferisce a Corte cost., 14 febbraio 2013, n. 23, in Dir. pen. cont., 18 febbraio 2013, con nota di G. Leo, Il problema dell'incapace "eterna-mente giudicabile": un severo monito della Corte costituzionale al legislatore.

5 Si veda, a riguardo, diffusamente M. Daniele, Il proscioglimento per prescrizione dei non più “eterni giudicabili”, cit.

1.

2.

1. Premessa. – 2. Gli eterni giudicabili. – 3. I rapporti tra indagato e difensore. – 4. La persona offesa. – 5. Le indagini preliminari. – 6. L’udienza preliminare. – 7. I procedimenti speciali. – 8. La motivazione del-la sentenza. – 9. Le impugnazioni. – 10. Le disposizioni di attuazione. – 11. Normativa intertemporale. – 12. La delega in materia di intercettazioni tradizionali e tramite captatori. – 13. La delega in materia di impugnazioni. – 14. Riflessioni di sintesi.

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Consulta, rimanevano ancora “eterni giudicabili”. Dal canto suo, la novella normativa in esame non si è però limitata a porre rimedio a questa e altre residue criticità, ma ha piuttosto rappre-sentato il tentativo di superare il problema de quo in un modo del tutto innovativo rispetto a quanto fatto fino a oggi, segnando così una svolta per certi versi storica e radicale rispetto al passato.

Le novità introdotte sul tema dalla legge in commento, contenute nei commi da 21 a 23 del ddl Orlando, si sostanziano nella parziale modifica di due disposizioni codicistiche (gli artt. 71 e 345 c.p.p.) e nella introduzione di un nuovo art. 72-bis c.p.p., il quale oggi rappre-senta la previsione principale volta a disciplinare la sorte processuale dei soggetti affetti da incapacità irreversibile.

Più precisamente, l’art. 72-bis c.p.p. dispone: «se, a seguito degli accertamenti previ-sti dall’articolo 70, risulta che lo stato mentale dell’imputato è tale da impedire la cosciente partecipazione al procedimento e che tale stato è irreversibile, il giudice, revocata l’eventuale ordinanza di sospensione del procedimento, pronuncia sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere, salvo che ricorrano i presupposti per l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca». In tal modo, il legislatore ha optato per una delle soluzioni alla problematica de qua suggerite da parte della dottrina6 e fatta propria dalla stessa

Corte costituzionale, la quale, nella sua sentenza monitoria n. 23 del 14 febbraio 2013, aveva indicato alle forze politiche come possibile rimedio alla questione degli “eternamente giudi-cabili” anche la previsione di una sentenza di impromovibilità o improcedibilità dell’azione. A seguito della riforma in esame, quindi, nei casi in cui il giudice accerti che l’imputato non potrà mai partecipare coscientemente al proprio procedimento si è abbandonata la logica della sospensione protratta, per abbracciare una nuova impostazione che individua «nell’incapacità irreversibile l’esistenza di un ostacolo di natura procedimentale che influisce sulla instaura-zione o la proseguibilità del rito»7 e, quindi, in buona sostanza, l’assenza di una condizione di procedibilità. Si tratta di una opzione assai diversa da quella che la Consulta aveva infine adottato con la già citata sentenza 45/2015, posto che il giudice non dovrà più attendere il decorso dei termini prescrizionali per far concludere il procedimento degli irreversibilmente incapaci (nei cui confronti non fossero ravvisabili gli estremi per il proscioglimento), doven-do, invece, immediatamente pronunciare sentenza di non luogo o non doversi procedere. È, quindi, chiaro che, optando per questa scelta, il legislatore ha, da un lato, ovviato al segnalato nodo critico dei delitti imprescrittibili o comunque di lunga prescrizione e, da un altro lato, consentito un generalizzato e notevole risparmio economico, non dovendosi eseguire ogni sei mesi perizie dall’esito quasi scontato. Non va d’altra parte dimenticato come, nel contesto della riforma in commento, superare l’impostazione legata al computo della prescrizione pare fosse una scelta obbligata, tenuto conto, per l’appunto, del marcato allungamento dei termini per di-chiarare tale causa di estinzione del reato operato dalla novella, che avrebbe quindi determina-to in molti casi se non una vera e propria rinascita della figura degli “eternamente giudicabili”, quantomeno un netto peggioramento per la situazione processuale di tali soggetti.

Merita infine segnalare come il legislatore, volendo fugare ogni dubbio circa la possibilità di ri-instaurare un procedimento penale nei casi in cui per un errore diagnostico, oppure per altre cause, dopo la conclusione del procedimento emerga che un soggetto prosciolto ex art. 72-bis c.p.p. risulti in realtà capace di partecipare coscientemente al rito, ha provveduto anche a modificare direttamente la disposizione di cui all’art. 345 c.p.p., la quale regola in via gene-rale le fattispecie in cui sopravvenga una condizione del procedere originariamente mancante. Non accontentandosi di quanto già previsto dal secondo comma di tale disposizione, nel corso dei lavori preparatori della novella in esame si è infatti deciso di chiarire espressamente – in modo forse pleonastico – che quanto stabilito dal primo comma dell’art. 345 c.p.p. si applica anche quando, «dopo che è stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere o di non do-versi procedere a norma dell’articolo 72-bis, lo stato di incapacità dell’imputato viene meno o si accerta che è stato erroneamente dichiarato».

6 Questa tesi era stata sostenuta, tra gli altri, da L. Scomparin, Sospensione del processo per incapacità irreversibile dell'imputato: una normativa

suscettibile di perfezionamenti nuovamente "salvata" dalla Corte costituzionale, in Cass. pen., 2012, pp. 957 ss. Cfr. anche H. Belluta, Il tema degli "eternamente giudicabili" torna davanti alla Corte Costituzionale, in Dir. pen. cont., 13 maggio 2014.

7 Cfr. L. Scomparin, Prescrizione del reato e capacità di partecipare coscientemente al processo: nuovamente sub iudice la disciplina degli “eterni

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I rapporti tra indagato e difensore.

Con riguardo al profilo dei rapporti tra indagato e difensore si registrano due modifiche. La prima riguarda l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio: al fine di garantire maggiore effettività alla difesa tecnica affidata al difensore d’ufficio, si è inserito nell’art. 162 un comma 4-bis in forza del quale l’elezione «non ha effetto se l’autorità che procede non rice-ve, unitamente alla dichiarazione di elezione, l’assenso del difensore domiciliatario» (art. 162). Assai rilevante il secondo intervento in materia di difesa tecnica che riguarda la disposi-zione relativa ai colloqui del difensore con l’imputato in custodia cautelare e, in particolare, l’ambito di operatività del differimento del colloquio contemplato nel terzo comma. Come noto, dopo l’adozione della Direttiva 2013/48/UE, che ha sancito il diritto di avvalersi di un difensore senza indebito ritardo dalla privazione della libertà personale (art. 2) e ha subordi-nato le eccezioni a presupposti molto stringenti (artt. 3 par. 5 e 6, nonché 8, par. 1, lett. c), si è riaperto il dibattito sulla legittimità di una norma come quella del comma 3, che, nell’in-terpretazione giurisprudenziale, consentirebbe di differire il colloquio per cinque giorni in presenza di un pericolo astratto che lo stesso possa pregiudicare le indagini (così vengono lette le «specifiche ed eccezionali ragioni di cautela»). Il legislatore ha ritenuto di intervenire sulla disposizione limitandone l’ambito di applicabilità «ai delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater». Una scelta per certi versi discutibile perché, da un lato, esclude alla radice il potere di differimento per tutti i procedimenti per reati diversi da quelli di criminalità organizzata e terroristica (il che forse è troppo); da un altro lato, li consente per i reati più gravi, ma senza specificare che le esigenze di cautela devono essere non solo eccezionali e specifiche, ma anche concrete (il che potrebbe essere insufficiente a sgombrare il campo da contrasti con la direttiva, a meno che la giurisprudenza non adotti un’interpretazione conforme alla stessa).

La persona offesa.

Nell’ottica di dare piena attuazione alle indicazioni provenienti dalla direttiva 2012/29/ UE e di completare l’attuazione realizzata con il d.lgs. 15 dicembre 2012, n. 212, il legislatore è intervenuto su diversi versanti attinenti i poteri della vittima.

Con riguardo ai diritti informativi, si è anzitutto riconosciuto alla persona offesa il diritto di chiedere all’autorità procedente informazioni relative allo stato del procedimento, senza pregiudizio del segreto investigativo, una volta che siano decorsi sei mesi dalla presentazione della denuncia o della querela (art. 335 comma 3-ter c.p.p.). Coerentemente, si è inserito nella comunicazione sui diritti di cui all’art. 90-bis c.p.p. l’avviso della «facoltà di ricevere comunicazione del procedimento e delle iscrizioni di cui all’articolo 335, commi 1, 2 e 3-ter». Si tratta di una modifica apprezzabile negli intenti ma che lascia più di qualche perplessità a causa della sua formulazione: il richiamo alla necessità di tutelare il segreto investigativo e il riferimento alla mera possibilità di «chiedere di essere informata» sembrano lasciare un’ampia discrezionalità all’autorità procedente.

Ulteriore modifica relativa alle garanzie di conoscenza riguarda l’avviso della richiesta di archiviazione contemplato dall’art. 408 comma 3-bis c.p.p.: inserito nel 2013 con riguardo ai «delitti commessi con violenza alla persona», viene esteso al «reato di cui all’articolo 624-bis del codice penale». L’ennesimo intervento puntuale che estende a un singolo reato – il furto in abitazione e con strappo – un obbligo processuale: al di là della censura della (discutibile an-che se ormai diffusa) tecnica normativa casistica, viene da chiedersi perché il legislatore abbia richiamato solo questo reato.

Per quel che concerne i diritti partecipativi, il legislatore è intervenuto sui termini per proporre l’opposizione: il termine ordinario di dieci giorni è stato portato a venti (art. 408 comma 3 c.p.p.) e quello contemplato dal comma 3-bis è stato aumentato a trenta. Questo aumento, finalizzato a garantire un periodo maggiore di studio e valutazione in ordine all’op-portunità di opporsi alla richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero, va ricol-legato alla nuova ipotesi di nullità – come si vedrà, disciplinata in maniera alquanto maldestra – prevista dal nuovo art. 410-bis c.p.p.

3.

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Le indagini preliminari.

Le modifiche alla disciplina della fase preliminare sembrano muoversi in due direzioni: da un lato, si è tentato di razionalizzare e contingentare i tempi di durata della fase preliminare; dall’altro, è stata introdotta un’articolata disciplina relativa ai vizi del provvedimento archi-viativo e alla sua impugnabilità.

a. Termine per promuovere l’incidente probatorio (art. 360, commi 4-bis e 5, c.p.p.) Sul primo versante, si colloca senz’altro l’aggiunta di nuovo comma 4-bis all’art. 360 c.p.p., in materia di accertamenti tecnici non ripetibili disposti su iniziativa del pubblico ministero: dopo aver proposto riserva di incidente probatorio, la persona sottoposta alle indagini ha l’o-nere di agire concretamente in tempi brevi, rivolgendosi al g.i.p., per l’instaurazione di tale procedura, entro un termine massimo di dieci giorni. In caso contrario, una volta decorso tale lasso temporale, la riserva perde efficacia e l’autorità inquirente è libera di procedere al proprio accertamento.

Il successivo comma 5 stabilisce infatti che, all’inutilizzabilità degli atti compiuti dal pub-blico ministero nonostante la presentazione della riserva di incidente probatorio, faccia ora eccezione – oltre al caso di urgenza – anche l’inefficacia della stessa.

Viene così impedito che una patologica inerzia dell’indagato generi situazioni di stallo, idonee a ostacolare il compimento dell’atto investigativo.

b. Durata della fase investigativa (art. 407, comma 3 bis, c.p.p.)

Il nuovo art. 407, comma 3 bis, c.p.p. sancisce l’obbligo, per il pubblico ministero, di chiede-re l’archiviazione oppuchiede-re esercitachiede-re l’azione penale, in ogni caso, entro «tchiede-re mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e comunque dalla scadenza dei termini di cui all’articolo 415-bis». In prima battuta, si può quindi affermare che lo spazio decisionale del pubblico ministero è stato formalmente ampliato quantomeno di tre mesi rispetto a ciò che era finora previsto.

Ma non è tutto. Nel caso in cui si presenti la situazione di cui al comma 2, lett. b, ossia deb-bano essere vagliate «notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti tra loro collegati ovvero per l’elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese», il rappresentante dell’accusa può rivolgersi al Procuratore generale presso la Corte di appello per ottenere una proroga fino a ulteriori tre mesi. Inoltre, è stato stabilito che, in relazione ai gravi reati di cui al comma 2, lett. a, nn. 1, 2, 3 e 4, sempre dell’art. 407 c.p.p., il tempo lasciato all’autorità inquirente per decidere il da farsi sia addirittu-ra di quindici mesi e non di tre, come ordinariamente previsto8; dal tenore della disposizione

in esame, non si può peraltro escludere che, pure in quest’ultima ipotesi, possa essere concessa una dilazione.

La ratio della novità è piuttosto chiara: il legislatore ha cercato di far fronte a quei casi in cui il pubblico ministero, dopo lo scadere dei termini delle indagini, pur non potendo compiere validamente ulteriori atti investigativi (art. 407, comma 3, c.p.p.), resta inerte, senza prendere alcuna decisione9. La via tentata è quella del compromesso: si è rinunciato a “pretendere” che

il pubblico ministero agisca subito in un senso o nell’altro ed è stata formalizzata una “pausa di riflessione”, trascorsa la quale si auspica che la decisione venga presa. In breve, la riforma ha legittimato la prassi del ritardo, nella speranza di poterne contenere i tempi, e la fase delle indagini preliminari consta ora di due sottofasi: nella prima, il pubblico ministero compie atti investigativi; nella seconda, non li può più compiere e si limita a valutare quanto raccolto.

Certamente, una scelta di tal tipo può destare alcuni dubbi, non solo a fronte della poten-ziale ampiezza di questi periodi di stasi procedimentale in cui materialmente nulla accade10,

ma anche delle modalità prescelte per indurre l’autorità inquirente all’osservanza della nuova disciplina: quest’ultimo, infatti, se nemmeno allo scadere dei nuovi termini stabiliti dal le-gislatore abbia assunto le proprie determinazioni, dovrebbe darne «immediata

comunica-8 Si veda G. Spangher, DDL n. 2067: sulle proposte di modifica al codice di procedura penale, cit., p. 2.

9 Cfr. G. Spangher, Riforma Orlando: servono soluzioni condivise, in Il Penalista, 4 maggio 2017; S. Lorusso, La giustizia penale tra riforme

annunciate e riforme sperate, cit., p. 2.

10 Si vedano, a tal proposito, le riflessioni critiche di G. Spangher, Riforma Orlando: alta velocità … per il doppio binario, in

www.quotidiano-giuridico.it, 10 ottobre 2016.

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zione al procuratore generale presso la corte di appello», affinché eserciti il proprio potere di avocazione ex art. 412 c.p.p. Tale previsione fa indubbiamente il paio con l’art. 127 disp. att. c.p.p., in forza del quale ogni settimana deve essere trasmesso alla Procura generale «un elenco delle notizie di reato contro persone note per le quali non è stata esercitata l’azione penale o richiesta l’archiviazione» in termini; tuttavia, resta opinabile l’effettiva funzionalità di una disposizione che, in maniera così esplicita, obbliga il pubblico ministero ad autodenunciare la propria inefficienza.

c. Avocazione obbligatoria (art. 412 c.p.p.)

L’istituto dell’avocazione obbligatoria è stato semplicemente aggiornato alle novità deri-vanti dall’introduzione dell’art. 407, comma 3 bis, c.p.p.: il Procuratore generale presso la Cor-te di appello, per poCor-ter procedere, oltre all’esaurimento del Cor-termine di durata delle indagini, dovrà infatti attendere anche il decorso del successivo “periodo di riflessione” ora concesso al pubblico ministero.

Resta invece intatto il secondo periodo del comma 1, in cui vengono regolate le tappe successive all’avocazione11; il Procuratore generale, svolte le indagini preliminari

«indispensa-bili», deve formulare «le sue richieste entro trenta giorni».

Desta certamente dubbi la scelta di fare ancora una volta totale affidamento su un istituto che – anche per limiti fisiologici – ha già dato prova di scarsa effettività.

d. Procedimento di archiviazione (artt. 408, 409, 410 bis c.p.p.)

La persona offesa gode di termini più lunghi per presentare opposizione alla richiesta di archiviazione: nell’art. 408, comma 3, c.p.p., il termine attribuitole per «prendere visione degli atti e presentare opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini prelimina-ri» è stato infatti elevato da dieci a venti giorni. Analoghe modifiche ha subito la disciplina speciale, di maggior favore, contenuta nel successivo comma 3 bis: ai «delitti commessi con violenza alla persona», si aggiunge ora quello di «furto in abitazione e furto con strappo», con-templato dall’art. 624 bis c.p., e – simmetricamente a quanto previsto nel comma precedente – il termine per presentare opposizione è passato da venti a trenta giorni.

La vera e propria disciplina del procedimento di archiviazione (art. 409 c.p.p.) è stata mo-dificata essenzialmente al fine di velocizzare la decisione conclusiva del giudice per le indagini preliminari12. Quest’ultimo, se non accoglie la richiesta di archiviazione presentata dal

pub-blico ministero, deve fissare, entro tre mesi, l’udienza camerale di cui al comma 2; inoltre, qualora, al termine di tale udienza, non ritenga necessario il compimento di ulteriori indagini, ha di nuovo tre mesi di tempo per provvedere «sulle richieste», ossia, in breve, per decidere se emettere ordinanza di archiviazione, oppure chiedere al pubblico ministero di formulare l’imputazione. Due sono le possibili notazioni: ci si è preoccupati di stabilire precise scansioni temporali per la fissazione dell’udienza e per le decisioni a essa successive, ma nulla viene detto in relazione al periodo precedente, che va dalla formulazione della richiesta di archiviazione da parte dell’accusa alla prima decisione del giudice sull’accoglibilità della medesima. In secondo luogo, si tratta sempre e comunque di termini ordinatori, che pertanto non ingenerano alcuna conseguenza sulla validità della procedura13.

Scompare il comma 6 dell’art. 409 c.p.p., per far spazio alla neo introdotta disciplina di cui all’art. 410 bis c.p.p. La nuova norma contempla anzitutto espresse ipotesi di nullità del decreto di archiviazione, che – come afferma la Relazione all’originario d.d.l. di riforma14

sono sostanzialmente ricognitive dei casi già elaborati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità15.

La prima riguarda il decreto emesso in mancanza dell’avviso, alla persona offesa, di pre-sentazione della richiesta di archiviazione (art. 408, commi 2 e 3 bis, c.p.p.), oppure dell’omo-logo avviso, dovuto – in materia di particolare tenuità del fatto (art. 411, c. 1 bis, c.p.p.) – sia alla persona sottoposta alle indagini sia alla persona offesa.

11 Cfr. G Spangher, Riforma Orlando: la tempistica relativa ai termini per l’esercizio dell’azione penale, in www.quotidianogiuridico.it, 24 marzo

2017.

12 Cfr., in questo senso, S. Lorusso, La giustizia penale tra riforme annunciate e riforme sperate, cit., p. 2; G. Spangher, Prime considerazioni di

sistema sulla riforma Orlando, in www.quotidianogiuridico.it, 31 marzo 2017.

13 Si veda ancora S. Lorusso, La giustizia penale tra riforme annunciate e riforme sperate, cit., p. 2.

14 Cfr. la Relazione al d.d.l. n. 2798, in Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, XVII Legislatura, Disegni di legge e Relazioni, Documenti, p. 5. 15 Si veda G. Colaiacovo, Riforma Orlando: procedimento di archiviazione, in www.parolaalladifesa.it, 16 giugno 2017.

(7)

Il decreto è poi nullo, se emesso «prima che il termine di cui ai commi 3 e 3-bis del medesi-mo articolo 408 sia scaduto senza che sia stato presentato l’atto di opposizione». L’intento è quello di lasciare alla persona offesa la possibilità di sfruttare tutto il tempo concessole dall’art. 408 c.p.p.; per questo motivo, viene stabilita l’invalidità del provvedimento di archiviazione emesso prima dell’esaurimento di tale periodo (venti o trenta giorni dalla ricezione dell’avviso, a seconda del reato perseguito), salvo naturalmente il caso in cui pure la vittima sia stata piut-tosto celere e abbia presentato opposizione antecedentemente alla decisione.

Infine, scatta la nullità anche qualora il giudice abbia deciso sulla richiesta di archiviazione, omettendo di pronunciarsi sull’ammissibilità dell’opposizione presentata, oppure – si legge nel codice – l’abbia dichiarata «inammissibile, salvi i casi di inosservanza dell’articolo 410, comma 1». Viene dunque ribadita, anche a livello positivo, l’obbligatorietà di una pronuncia sull’ammissibilità dell’opposizione, ma il giudice resta pur sempre libero – almeno sotto il pro-filo delle sanzioni processuali – di ignorarne il merito. La seconda fattispecie – caratterizzata da un testo di difficile lettura – sembra significare che il giudicante può dichiarare l’inammis-sibilità dell’opposizione solo nelle ipotesi ex art. 410, comma 1, c.p.p., vale a dire qualora non siano stati indicati «l’oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova»; non comporta invece l’automatica irricevibilità dell’opposizione il solo spirare del termine di cui all’art. 408 c.p.p., che conferma una natura squisitamente dilatoria, anziché perentoria.

Per quanto riguarda la nullità dell’ordinanza di archiviazione, il legislatore si è limitato a rimodellare l’abrogato art. 409, comma 6, c.p.p., stabilendo, al comma 2 del nuovo art. 410 bis, che «l’ordinanza di archiviazione è nulla solo nei casi previsti dall’articolo 127, comma 5»: si tratterà dunque delle ipotesi di «mancato avviso dell’udienza; mancata indicazione dei destinatari dell’avviso se comparsi; mancato rinvio dell’udienza se l’imputato legittimamente impedito ha chiesto di essere sentito personalmente»16.

Totalmente innovativa è la disciplina da seguire per eccepire le invalidità sopra illustrate (comma 3). Sparisce il ricorso per Cassazione – come emerge dall’abrogazione dell’art. 409, comma 6 – e deve essere presentato, «entro quindici giorni dalla conoscenza del provvedimen-to», un «reclamo innanzi al tribunale in composizione monocratica». La procedura suc-cessiva è molto snella: il tribunale decide «con ordinanza non impugnabile, senza intervento delle parti interessate», le quali avranno soltanto la possibilità di «presentare memorie non oltre il quinto giorno precedente l’udienza». Il soggetto legittimato a impugnare è qualificato dal codice semplicemente come «l’interessato»: si tratta, in sostanza, della persona offesa e, in caso di richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto, anche della persona sottopo-sta alle indagini. Il tribunale ha a disposizione tre diverse decisioni: può anzitutto dichiarare inammissibile il reclamo, ad esempio perché presentato fuori termini; se invece la doglianza è fondata, procede all’annullamento, ordinando poi la restituzione degli atti al giudice, mentre, in caso contrario, si limita a confermare il provvedimento.

I riformatori hanno quindi opportunamente sgravato la Corte di cassazione di uno dei suoi precedenti compiti17, tramite la creazione di un rimedio – a prima vista di natura

impu-gnatoria –, finora inedito per il codice di procedura penale. Resta comunque ancora preclusa la possibilità di censurare il merito del provvedimento archiviativo, quale che sia la forma da esso assunta; a ben vedere, tale assetto poteva forse essere almeno parzialmente rimeditato, proprio alla luce del passaggio di consegne fra la Corte di legittimità e il tribunale in compo-sizione monocratica.

Nel comma 1 dell’art. 411 c.p.p. è stato semplicemente aggiunto un rinvio alla disciplina del nuovo art. 410 bis.

Infine, per effetto del nuovo comma 2 bis dell’art. 415 c.p.p. – in materia di archiviazione nei procedimenti contro ignoti – è stato stabilito che, in caso di cosiddetta “iscrizione coatta” del nome dell’indagato nel registro delle notizie il reato, il pubblico ministero goda sempre e comunque del termine ordinario – e prorogabile – di sei mesi per il compimento delle indagini (art. 405, comma 2, c.p.p.), che comincia a decorrere «dal provvedimento del giudice».

16 Così, testualmente, G. Spangher, La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, cit., p. 92.

17 Cfr. la Relazione al d.d.l. n. 2798, cit., p. 5, in cui si afferma che il ricorso per Cassazione rappresentava «un mezzo eccessivo rispetto alla

funzione connessa all’esame di vizi che attengono alla mera violazione del contraddittorio camerale in sede di procedimento di archiviazione». Cfr. anche M. Bargis, Primi rilievi sulle proposte in materia di impugnazioni nel recente D.D.L. governativo, cit., p. 6; G. Spangher, DDL n.

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e. Disposizioni extracodicistiche

Restano da segnalare due modifiche di disposizioni non contenute nel codice, ma che co-munque assumono una certa rilevanza per quanto riguarda la fase investigativa.

La relazione annuale del Governo alle Camere sull’uso delle misure cautelari personali (art. 15, comma 1, l. 16 aprile 2015, n. 47) dovrà ora contenere anche i «dati relativi alle sen-tenze di riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione» e quelli dei «pro-cedimenti disciplinari iniziati nei riguardi dei magistrati per le accertate ingiuste detenzioni».

Inoltre, con la modifica degli artt. 1, comma 2, e 6, comma 1, del d.l. 20 febbraio 2006, n. 106, si è voluto assegnare, rispettivamente, al Procuratore della Repubblica e al Procuratore generale presso la Corte d’appello, il compito di verificare, fra l’altro, anche «l’osservanza delle disposizioni relative all’iscrizione delle notizie di reato». In pratica, il legislatore della riforma sembra aver preso atto – e sostanzialmente ratificato – l’indirizzo espresso a suo tem-po dalle Sezioni Unite della cassazione, secondo cui il giudice per le indagini non ha il tem-potere di sindacare la tempestività dell’iscrizione del nome dell’indagato nel registro delle notizie di reato18. A tal proposito, non si può non ricordare come la “Commissione Canzio”19 avesse

invece suggerito di introdurre nell’art. 407 c.p.p. un nuovo comma 3, secondo cui «il giudice verifica la tempestività degli adempimenti di cui all’art. 335, eventualmente determinando la data nella quale si sarebbe dovuto provvedere»20.

L’udienza preliminare.

Per quanto riguarda l’udienza preliminare, alla fine, la riforma si è sostanziata nella sola novellazione dell’art. 428 c.p.p.: ricompare l’appello avverso la sentenza di non luogo a pro-cedere, già previsto prima della cosiddetta “Legge Pecorella” (l. 20 febbraio 2006, n. 46)21. La

disposizione in esame torna quindi a essere piuttosto simile alla sua versione originaria. La decisione deve essere presa in camera di consiglio secondo la procedura ex art. 127 c.p.p. Viene poi precisato che, se l’impugnante è il pubblico ministero e non viene confermata la decisione del giudice dell’udienza preliminare, la Corte d’appello può alternativamente pro-nunciare una sentenza di non luogo a procedere con formula meno favorevole all’imputato, oppure emettere il decreto che dispone il giudizio, formando conseguentemente anche il fasci-colo per il dibattimento. In caso di impugnazione del solo imputato, scatta invece il divieto di reformatio in peius: qualora la sentenza di non luogo a procedere non venga confermata, la Corte non potrà fare altro che pronunciarne una maggiormente favorevole.

Nella Relazione all’originario d.d.l. di riforma22, il ritorno al passato viene giustificato con

la considerazione che «la verifica della sussistenza delle condizioni per il rinvio a giudizio dell’imputato attiene essenzialmente alla ricostruzione del fatto ed al merito dell’accusa, sicché essa appare estranea all’ambito del sindacato proprio della Corte di cassazione». Quest’ulti-ma, però, non è uscita del tutto di scena: sempre in analogia con quanto previsto prima del 2006, infatti, il nuovo comma 3 bis afferma che «contro la sentenza di non luogo a procedere pronunciata in grado di appello possono ricorrere per cassazione l’imputato e il procuratore generale»; tuttavia, il ricorso – a differenza che in passato23 – potrà riguardare «solo i motivi di

cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’articolo 606».

La persona offesa ha ora la possibilità di proporre appello – e non più ricorso per cassa-zione – in caso di violacassa-zione del contraddittorio e viene meno il diritto di impugnare, «ai sensi

18 Ci si riferisce a Cass., sez. un., 24 settembre 2009, Lattanzi, in Cass. pen., 2010, p. 503. Cfr. G. Spangher, La riforma Orlando della giustizia

penale: prime riflessioni, cit., p. 92, secondo cui l’inserimento di questa disposizione è dipesa dall’«impossibilità – a più riprese evidenziata, ad

esempio, nel corso dei lavori della Commissione Canzio – di affrontare il tema della tempistica dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato con adeguato corredo sanzionatorio».

19 Cfr. Verso una mini-riforma del processo penale: le proposte della Commissione Canzio, in Dir. pen. cont., 27 ottobre 2014.

20 Del mancato inserimento di tale disposizione nel d.d.l. di riforma si era già peraltro a suo tempo rammaricata anche l’Unione delle Camere

penali: cfr. il Documento dell’Unione delle Camere penali italiane per la Commissione Giustizia del Senato, reperibile in www.senato.it, in cui si legge che «la vexata quaestio della ritardata iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p. non può, infatti, essere regolata solo sul piano disciplinare, senza la previsione di un’effettiva sanzione processuale che decreti l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti successivamente allo spirare del termine, così come correttamente rideterminato a seguito del controllo del giudice».

21 Cfr. M. Bargis, Primi rilievi sulle proposte in materia di impugnazioni nel recente D.D.L. governativo, cit., p. 6; G. Spangher, La riforma

Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, cit., p. 93

22 Cfr. la Relazione al d.d.l. n. 2798, cit., p. 6.

23 Cfr. ancora M. Bargis, Primi rilievi sulle proposte in materia di impugnazioni nel recente D.D.L. governativo, cit., p. 6, la quale ricorda che, in

tal caso, ci si trova infatti davanti a un caso di «doppia conforme di non luogo a procedere».

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dell’articolo 606», in capo alla «persona offesa costituita parte civile»; dall’emanazione della sentenza di non luogo a procedere – si è infatti ritenuto – il danneggiato dal reato non soffri-rebbe «alcun pregiudizio dei propri interessi, come reso evidente dalla previsione dell’articolo 652 del codice di procedura penale»24.

La Corte di legittimità è stata quindi sollevata – almeno in prima battuta – da un altro compito, in linea con l’intento di decongestionarne il carico di lavoro complessivo25.

Mag-giormente opinabile appare la scelta di estromettere del tutto la parte civile dal novero degli impugnanti: vero è che la sentenza di non luogo a procedere non fa stato nei giudizi civi-li o amministrativi di danno; tuttavia, si priva tale parte dell’opportunità di opporsi allo sbarramento della via prescelta per coltivare la propria pretesa risarcitoria. Sembra infatti da escludere la possibilità che questa possa appellare: l’art. 576 c.p.p. le consente infatti di pro-porre impugnazione, «ai soli effetti della responsabilità civile», soltanto «contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio».

I procedimenti speciali.

Le modifiche introdotte dalla riforma Orlando in materia di riti speciali sono alquanto si-gnificative e rappresentano, in buona parte, l’ennesimo recepimento da parte del legislatore di orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati. In alcuni casi, però, la novella ha optato per delle scelte innovative, le quali paiono orientate in un’ottica repressiva. Anche in questo caso la tecnica normativa utilizzata dal legislatore non può certamente dirsi piana, posto che, come si vedrà, le nuove disposizioni sollevano problematiche esegetiche piuttosto intricate, che sembrano essere il frutto più di mere dimenticanze che di scelte oculate.

a. Giudizio abbreviato

Il giudizio abbreviato rappresenta, senza dubbio, il procedimento speciale su cui i riforma-tori hanno riversato maggiori attenzioni26. La disciplina dello stesso è stata, infatti, oggetto di ben otto interpolazioni (commi da 41 a 48), con cui si è intervenuti su diverse questioni di primaria importanza.

Una delle modifiche senz’altro più rilevanti, anche da un punto di vista sistematico, è costituita dalla regolazione espressa del rapporto tra indagini difensive “a sorpresa” e giudizio abbreviato. È del resto a tutti noto come la tematica di quali diritti avesse il pubblico ministero nel caso in cui il difensore dell’imputato producesse in udienza preliminare ex art. 391-octies c.p.p. il proprio fascicolo delle indagini difensive e, contestualmente, o in stretta successione temporale, formulasse richiesta di giudizio abbreviato secco sia stata, per lunghi anni, una delle più dibattute tra quelle inerenti al rito de quo27. A tale riguardo, il ddl 4378 ha dato una

risposta netta: intervenendo sul comma 4 dell’art. 438 c.p.p., il legislatore ha statuito infatti che, «quando l’imputato chiede il giudizio abbreviato immediatamente dopo il deposito dei risultati delle indagini difensive, il giudice provvede solo dopo che sia decorso il termine non superiore a sessanta giorni, eventualmente richiesto dal pubblico ministero, per lo svolgi-mento di indagini suppletive limitatamente ai temi introdotti della difesa», e che, «in tal caso, l’imputato ha facoltà di revocare la richiesta». Così facendo, quindi, si è voluta rafforzare la posizione della pubblica accusa, attribuendole un ulteriore spazio di indagine nel caso in cui la difesa chieda di adire il rito subito dopo aver depositato i risultati delle proprie indagini. Se è vero che, in tal modo, il legislatore sembra aver recepito e ampliato quanto già affermato in tema di contraddittorio sulle prove addotte a sorpresa dalla Consulta nell’ordinanza n. 245 del 200528, pare possibile rilevare come il termine stabilito dal nuovo art. 438 c.p.p. risulti

piuttosto ampio, essendo quindi stata attribuita all’accusa una chance investigativa assai

impor-24 Si veda ancora la Relazione al d.d.l. n. 2798, cit., p. 6.

25 Cfr. M. Ceresa Gastaldo, La riforma dell’appello, tra malinteso garantismo e spinte deflative. A proposito dell’imminente varo del d.d.l. C 4368 (e dei recenti interventi delle Sezioni Unite), in Dir. pen. cont., 18 maggio 2017, p. 13; G. Spangher, DDL n. 2067: sulle proposte di modifica al

codice di procedura penale, cit., p. 5.

26 Per un ampio commento cfr. F. Galluzzo, Approvate alla Camera le modifiche al giudizio abbreviato: prime riflessioni, in www.ilpenalista.it;

Id., Il giudizio abbreviato, in Aa.Vv., Verso un processo penale accelerato. Riflessioni intorno alla l. 67/2014 al d.lgs. 28/2015 e al d.l. 2798/2014, a cura di A. Marandola-K. La Regina-R. Aprati, Napoli, 2015, pp. 91 ss.; Id., Riforma Orlando: giudizio abbreviato, in www.parolaalladifesa.it.

27 Per una panoramica sul punto, cfr. A. Ziroldi, Giudizio abbreviato e indagini difensive: il contraddittorio imperfetto, in Proc. pen. giust, 2013,

n. 1, pp. 78 ss.

28 Ci si riferisce a Corte cost., 20 giugno 2005, n. 245.

7.

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tante, a discapito della posizione processuale dell’accusato. Quest’ultimo, infatti, pur avendo la possibilità di revocare la richiesta di giudizio abbreviato “secco”, ha visto incrementare di mol-to le possibilità che, a seguimol-to dello svolgimenmol-to delle indagini suppletive da parte del pubblico ministero, la scelta di optare per il rito in questione non risulti più conveniente, almeno da un punto di vista della piattaforma probatoria disponibile. Anche alla luce di ciò, parte della dot-trina ha apertamente criticato la soluzione oggi fatta propria dal legislatore, essendo la stessa rappresentata come «un ritorno al passato» e un revirement rispetto ai più recenti arresti della Consulta in materia (Corte cost., 22 giugno 2009, n. 184; Corte cost., 4 aprile 2011, n. 117)29.

Pare, infine, utile segnalare come il legislatore, avendo utilizzato nel nuovo comma 4 dell’art. 438 c.p.p. l’espressione «immediatamente dopo», sembri aver lasciato ancora priva di regola-mentazione, quantomeno da un punto di vista testuale, l’ipotesi in cui la richiesta di giudizio abbreviato sia presentata “contestualmente” al deposito delle indagini difensive.

Una seconda novità di rilievo riguarda, invece, la possibilità per l’imputato di presentare richieste di giudizio abbreviato e persino di patteggiamento subordinate, per i casi in cui una domanda (principale) di giudizio abbreviato condizionato non sia accolta. In buona sostanza, seguendo quanto già era stato suggerito dalla Commissione Canzio, il legislatore ha introdot-to un nuovo comma 5-bis all’interno dell’art. 438 c.p.p., in cui si è stabiliintrodot-to apertamente che «con la richiesta presentata ai sensi del comma 5 può essere proposta, subordinatamente al suo rigetto, la richiesta di cui al comma 1, oppure quella di applicazione della pena ai sen-si dell’articolo 444». Come chiarito espressamente dallo stesso modello di riferimento, tale disposizione si è resa necessaria in quanto non risultava «unanime l’avallo giurisprudenziale a tali prassi»30.

All’articolo 438 c.p.p. è stato, infine, aggiunto un nuovo comma 6-bis, in cui si è stabilito che «la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare determina la sana-toria delle nullità, sempre che non siano assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio. Essa preclude altresì ogni que-stione sulla competenza per territorio del giudice». Anche in tal caso, il legislatore è stato ispirato da quanto proposto in sede di Commissione Canzio, ove, però, non si era considerato opportuno «estendere la preclusione sulle nullità anche alle inutilizzabilità non patologiche, ritenendo che questa […], in linea con quanto affermato dalle Sezioni Unite Tammaro, […] [fosse] già nel sistema» e che fosse rischioso introdurre una «disposizione generale classifica-toria delle inutilizzabilità»31. Dal canto suo la riforma Orlando ha deciso di seguire una strada

diversa, ritenendo necessario codificare la giurisprudenza in tema di limiti della sanatoria derivante dalla richiesta di giudizio abbreviato non solo per quanto concerne le nullità32, ma

anche, per l’appunto, con riguardo alla categoria dell’inutilizzabilità33.

Maggiormente innovativa pare, invece, la modifica in tema di impossibilità di rilevare nel giudizio abbreviato tipico l’incompetenza territoriale, a sua volta frutto di alcune suggestioni derivanti dalla Commissione Canzio. Come noto, infatti, le Sezioni Unite, accogliendo un orientamento minoritario, avevano concluso per l’ammissibilità dell’incidente di competenza territoriale nel giudizio abbreviato tipico, nei casi in cui la relativa eccezione fosse stata già proposta e rigettata in udienza preliminare34. Dalla formulazione della nuova norma, ove, per

l’appunto, si stabilisce che «la richiesta del rito in esame preclude ogni questione sulla com-petenza per territorio del giudice» parrebbe, invece, potersi derivare la volontà di superare il predetto arresto, facendo quindi rivivere la precedente esegesi più rigorosa35. Se così fosse

le facoltà difensive dell’imputato all’interno del giudizio speciale in questione subirebbero, a seguito della novella, un’ulteriore diminuzione, essendo egli obbligato, per ottenere uno sconto di pena, ad accettare anche la rinuncia a sindacare la competenza dell’organo giudicante. Senza che ci si possa in questa sede soffermare sul punto, va però segnalato come in dottrina vi sia chi, dopo aver compiuto un paragone con la ancora più netta norma sul punto proposta dalla Commissione Canzio, ha sostenuto che la riforma Orlando, a ben vedere, non avrebbe segnato un completo superamento di quanto stabilito dalle Sezioni unite Forcelli, lasciando invece

29 Questa è l’opinione di F. Galluzzo, Riforma Orlando: giudizio abbreviato, cit.

30 Cfr., a riguardo, Verso una mini-riforma del processo penale: le proposte della Commissione Canzio, cit. 31 Cfr., nuovamente, Verso una mini-riforma del processo penale: le proposte della Commissione Canzio, cit. 32 Ci si riferisce a Cass., Sez. un., 26 settembre 2006, n. 39298, in Ced. Cass., n. 234835.

33 Cfr. Cass., Sez. un., 21 giugno 2000, Tammaro, in Ced. Cass., n. 216246.

34 Cfr. Cass., Sez. un., 29 marzo 2012, Forcelli, in Dir. pen. cont., 16 luglio 2012, con nota di G. Leo, Le Sezioni unite sull'eccezione di incompe-tenza per territorio nel giudizio abbreviato.

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ancora la «possibilità di sollevare la questione di incompetenza territoriale anche dinanzi al giudice dell’abbreviato, fino a quando questi non abbia dichiarato instaurato il rito»36.

Il legislatore ha inoltre parzialmente modificato il regime di premialità del procedimen-to in questione, stabilendo al primo periodo del comma 2 dell’art. 442 c.p.p., che la pena nei casi in cui l’accusato opti per il giudizio abbreviato «è diminuita della metà se si procede per una contravvenzione e di un terzo se si provvede per un delitto». Anche su questo punto la Commissione Canzio aveva operato una scelta più netta, prevedendo la maggiore riduzione di pena anche con riguardo ad alcuni delitti ritenuti di minore allarme sociale. È chiaro che l’opzione più cauta fatta propria dalla novella in esame presenti la controindicazione di aver depotenziato la riforma da un punto di vista dell’effettivo smaltimento del carico giudiziario.

Tenuto conto degli importanti cambiamenti introdotti dal ddl. 4378 con riguardo alla fattispecie base di giudizio abbreviato, non stupirà che il legislatore abbia inserito alcune di-sposizioni di raccordo volte ad aggiornare alla nuova disciplina anche le ipotesi in cui il pro-cedimento speciale in questione, al posto di instaurarsi in seno a un’udienza preliminare, trovi sede nel contesto del rito direttissimo, del giudizio immediato o del procedimento per decreto. Così, ad esempio, nel contesto della novella in esame si è interpolato nell’art. 452, comma 2, c.p.p. un riferimento al fatto che, anche nel giudizio abbreviato disposto a seguito della tra-sformazione di un rito direttissimo, si applicano le disposizioni di cui al nuovo art. 438, com-ma 6-bis, c.p.p., riguardanti, come visto, l’impossibilità di rilevare in tale contesto alcune specie di invalidità e l’incompetenza per territorio. Si tratta di una scelta apprezzabile, che però in-spiegabilmente non è stata seguita anche con riguardo al nuovo comma 4 dell’art. 438 c.p.p., in materia di investigazioni difensive a sorpresa, il quale per l’appunto non è stato richiamato in modo espresso nell’art. 452 c.p.p. Di modo che, in sostanza, non è dato comprendere se il legislatore abbia scelto deliberatamente di far operare la nuova disposizione sulle indagi-ni difensive “a sorpresa” solamente nel giudizio abbreviato instaurato all’interno dell’udienza preliminare, oppure se il mancato riferimento, nell’art. 452 c.p.p., al nuovo comma 4 dell’art. 438 c.p.p., rappresenti, invece, una mera dimenticanza. Si tratta di una lacuna, forse spiegabile in ragione del fatto che l’originario comma 4 dell’art. 438 c.p.p. non conteneva una disciplina effettivamente utile anche per il procedimento abbreviato disposto a seguito di trasformazione di un direttissimo, che sembra poter dare luogo in futuro a problematiche interpretative. La mancanza del suddetto rinvio, infatti, si presta a possibili interpretazioni contrastanti, potendo persino paradossalmente ritenersi che nel caso dell’abbreviato di cui all’art. 452 c.p.p. il pub-blico ministero non abbia diritto al termine per effettuare le investigazioni suppletive.

Come anticipato, il legislatore ha dettato alcune regole anche con riguardo al procedimen-to abbreviaprocedimen-to “atipico”, richiesprocedimen-to nel contesprocedimen-to di un giudizio immediaprocedimen-to. La prima è stata inserita all’interno dell’art. 458, comma 1, c.p.p., in cui si è stabilito, da un lato, che nel giu-dizio abbreviato, celebrato dopo l’emissione di un decreto di rito immediato, «si applicano le disposizioni dell’articolo 438, comma 6-bis» e, da un altro lato, che «con la richiesta l’imputato può eccepire l’incompetenza per territorio del giudice». Si tratta, quindi, di una significativa differenza rispetto a quanto disposto in merito al giudizio abbreviato domandato in udienza preliminare, che sembra trovare la sua giustificazione nel fatto che, nel contesto del giudizio immediato, l’imputato non ha avuto alcuna previa possibilità, prima dell’instaurazione del rito abbreviato, per contestare “ufficialmente” la competenza del giudice, vista l’assenza proprio dell’udienza preliminare o, comunque, di una qualsivoglia udienza dopo l’esercizio dell’azione penale37. Non sfuggirà, quindi, che così facendo il legislatore ha, in buona sostanza, conferma-to sul punconferma-to quanconferma-to già avevano stabiliconferma-to le citate Sezioni unite Forcelli, operando, quindi, una scelta nettamente diversa rispetto a quanto si è visto fare con riguardo al procedimento abbreviato tipico, in merito al quale il citato arresto giurisprudenziale pare essere stato scon-fessato.

Il legislatore ha poi riscritto interamente il secondo comma dell’art. 458 c.p.p., il quale ora stabilisce che «il giudice fissa con decreto l’udienza in camera di consiglio dandone avviso almeno cinque giorni prima al pubblico ministero, all’imputato, al difensore a alla persona offesa. Qualora riconosca la propria incompetenza, il giudice la dichiara con sentenza e or-dina la trasmissione degli atti al pubblico ministero competente. Nel giudizio si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni degli articoli 438, commi 3 e 5, 441, 441-bis, 442 e 443

36 Cfr. F. Galluzzo, Riforma Orlando: giudizio abbreviato, cit. 37 Cfr. Cass., Sez. un., 29 marzo 2012, Forcelli, cit.

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[…]». Senza che sia possibile dilungarsi su questa disposizione, pare opportuno rilevare come la stessa, rispetto al previgente comma 2 dell’art. 458 c.p.p., non contenga più l’inciso «se la richiesta è ammissibile» e ciò evidentemente nell’ottica di garantire un contraddittorio anche sull’ammissibilità della richiesta di abbreviato. La citata precisazione riguardante l’incompe-tenza territoriale pare, invece, essere in realtà superflua, posto che la stessa non fa altro che ri-badire quanto è già ricavabile dalla disposizione generale dell’art. 22, comma 3, c.p.p. Non sarà, infine, sfuggito come neppure in questo caso il legislatore abbia richiamato in modo espresso il nuovo comma 4 dell’art. 458 c.p.p., di modo che si ripropongono anche qui i medesimi dubbi sopra segnalati con riferimento all’abbreviato disposto a seguito di trasformazione di un rito direttissimo.

La riforma Orlando si è infine occupata anche dell’ultima ipotesi di giudizio abbreviato atipico, ovvero quella in cui tale procedimento si incardina dopo l’emissione di un decreto penale di condanna. A tale riguardo, il legislatore ha solamente inserito all’interno dell’art. 464, comma 1, c.p.p. un richiamo all’intera disciplina del nuovo art. 438, comma 6-bis, c.p.p. dal quale sembrerebbe desumersi come all’interno di tale forma di abbreviato atipico l’impu-tato non avrebbe la possibilità di eccepire l’incompetenza per territorio. Si tratta di una scelta alquanto discutibile, specie alla luce di quanto fatto in merito al giudizio immediato, in cui il legislatore ha, invece, ammesso la possibilità per il prevenuto di presentare tale eccezione. Non bisogna, infatti, dimenticare che, esattamente come nell’ipotesi dell’immediato, anche nel procedimento per decreto l’accusato non ha modo di contestare la competenza territoriale del giudice in alcuna udienza tenutasi prima di una sua eventuale richiesta di giudizio abbreviato. Ciò è stato d’altra parte affermato a chiare lettere dalle più volte citate Sezioni unite Forcelli, le quali hanno compiuto a riguardo un preciso parallelo tra abbreviato atipico, disposto nel contesto di un rito immediato, e quello, invece, instaurato dopo un decreto penale di condan-na. Gli imputati sottoposti a procedimento per decreto, quindi, sembrano trovarsi a subire una palese discriminazione – non giustificata da alcun fondamento solido – rispetto a quelli per cui si è preceduto con giudizio immediato, di modo che pare determinarsi sul punto una fri-zione della nuova disciplina con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. Senza con-tare che la soluzione adottata dal legislatore sembra porsi in contrasto anche con il principio del giudice naturale, posto che dalla nuova normativa potrebbe ricavarsi che, nel contesto del procedimento per decreto, gli imputati siano messi davanti all’alternativa secca tra optare per il giudizio abbreviato o poter eccepire l’incompetenza per territorio. Alla luce di questi palesi difetti, pare persino passare in secondo piano l’ennesimo mancato richiamo al nuovo comma 4 dell’art. 438 c.p.p., con tutto ciò che ne consegue sul piano dell’effettiva possibilità per l’accusa di poter effettuare in tale contesto le citate investigazioni suppletive.

b. Applicazione della pena su richiesta delle parti

La riforma Orlando ha apportato anche alcune novità in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti. A tale riguardo, va però, segnalato quanto le modifiche in ma-teria che si è riusciti effettivamente ad approvare siano assolutamente meno significative di quelle che il legislatore si era in prima battuta proposto di portare a compimento. Nell’origi-nario ddl. 2798 si voleva, infatti, tra le altre cose, per un verso, eliminare il patteggiamento allargato, diminuendo la soglia massima di accesso al rito de quo a tre anni e, per un altro verso, introdurre un nuovo istituto, la cosiddetta condanna emessa su richiesta dell’imputato, per il caso di volontaria confessione. Nel corso dei lavori preparatori, però, non si è riusciti a rag-giungere un accordo politico su modifiche tanto ambiziose, di modo che questi propositi sono stati man mano abbandonati.

Ciò che, invece, si è riusciti a fare è – in un’ottica, anche in questo caso, di generale codifi-cazione della giurisprudenza – prevedere una «più agile procedura di correzione degli errori materiali per rimediare ad alcuni vizi, non essenziali, della sentenza di patteggiamento»38

e limitare «la proponibilità del ricorso per cassazione (consentendola nei soli casi in cui l’accordo non si sia formato legittimamente o non si sia tradotto fedelmente nella sentenza, ovvero il suo contenuto presenti profili di illegalità per la qualificazione giuridica del fatto, per la pena o per la misura di sicurezza, applicata od omessa), al fine di scoraggiare ricorsi meramente defatigatori»39.

38 Cfr. Relazione al d.d.l. n. 2798, cit., p. 27. 39 Cfr. Relazione al d.d.l. n. 2798, cit., p. 27.

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Più precisamente, quindi, come si è affermato, «ispirandosi alla logica per la quale l’inter-venuto accordo tra le parti dovrebbe, se non escludere, certo ridimensionare il contenzioso sulla sentenza patteggiata»40, il legislatore ha anzitutto previsto, inserendo un nuovo comma

1-bis all’interno dell’art. 130 c.p.p., che «quando nella sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti si devono rettificare solo la specie e la quantità della pena per errore di de-nominazione o di computo, la correzione è disposta, anche d’ufficio, dal giudice che ha emesso il provvedimento» e che, quando la sentenza sia impugnata, «alla rettificazione provvede la Corte di cassazione a norma dell’articolo 619, comma 2».

Una seconda e più importante modifica è stata, invece, introdotta dal comma 50 del ddl. 4368, il quale ha novellato il comma 2 dell’art. 448 c.p.p., prevedendo che il pubblico ministero e l’imputato possano proporre ricorso per cassazione avverso una sentenza di patteggiamen-to non più per tutte le ragioni di cui all’art. 606 c.p.p., ma unicamente «per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sen-tenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza». Nonostante il fatto che ci si trovi di fronte all’ennesimo tentativo del legislatore di avallare quanto stabilito già in via pretoria dal formante giurisprudenziale41, pare utile

segnalare come si tratti di una modifica di particolare importanza sistematica, posto che, per suo tramite, si rafforza indirettamente il potere e la responsabilizzazione delle parti all’interno di tale istituto di giustizia negoziata. Diminuendosi, infatti, le possibilità di controllo dei giu-dici superiori sul patto concluso tra le parti, i partecipanti all’accordo sembrano acquisire un ruolo ancora maggiore all’interno dell’istituto in questione, posto che la loro volontà non potrà successivamente essere ribaltata da una decisione di un giudice superiore. Insomma, essendosi limitati i poteri di impugnazione nei confronti delle sentenze di patteggiamento, pare che il si-stema italiano si sia distaccato in modo ancora maggiore rispetto ad altri ordinamenti europei, come quello tedesco, in cui posto che il principio di ricerca della verità materiale non cessa di applicarsi neppure negli istituti negoziati, non si sono volute codificare limitazioni normative alla possibilità di impugnare decisioni frutto di trattative e accordi tra le parti. Pare, infine, utile segnalare che se non hanno destato perplessità – stante la struttura contratta del pat-teggiamento italiano – «i limiti alla deducibilità dei vizi di motivazione della decisione […], nonché quelli relativi a limiti probatori», sono, invece, stati sollevati dei fondati dubbi «riguar-do all’indeducibilità delle nullità assolute e delle inutilizzabilità patologiche»42, determinata

dal mancato riferimento a tali categorie all’interno del nuovo comma 2-bis dell’art. 448 c.p.p. c. Procedimento per decreto

Anche il procedimento per decreto ha subito una – pur molto più marginale – modifica a seguito dell’approvazione del ddl. Orlando. Al fine di diminuire il numero delle opposizioni al decreto penale di condanna, «motivate soprattutto dalla gravosità della pena pecuniaria ap-plicata in sostituzione della pena detentiva»43, il legislatore ha inserito un nuovo comma 1-bis nell’art. 459 c.p.p. Tale nuova disposizione stabilisce, tra l’altro, che il giudice, nel caso di irro-gazione di una pena pecuniaria in sostituzione di una detentiva, tenga conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare, avendo anche la possibilità di consentire il pagamento rateale ex art. 133 ter c.p.

La motivazione della sentenza.

Tramite la sostituzione dell’intera lett. e) dell’art. 546 c.p.p., è stata rimodellata la disci-plina relativa alla struttura normativa della motivazione: quest’ultima deve infatti anzitutto essere suddivisa in quattro parti, rispettivamente concernenti l’accertamento dei fatti di cui all’imputazione e la loro qualificazione giuridica, la punibilità e le sanzioni applicate (pene e misure di sicurezza), la responsabilità civile derivante dal reato, nonché, da ultimo, l’accerta-mento di ogni altro fatto da cui dipende l’applicazione di norme processuali44.

In relazione a ciascuno di tali temi, il giudice è poi richiesto di esporre concisamente «i

40 Cfr. G. Spangher, La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, cit., p 93. 41 G. Spangher, La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, cit., p. 93. 42 G. Spangher, La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, cit., p. 93. 43 G. Spangher, La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, cit., pp. 93-94.

44 Cfr. M. Bargis, Primi rilievi sulle proposte in materia di impugnazioni nel recente D.D.L. governativo, cit., p. 7.

8.

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motivi di fatto e di diritto» posti a base delle determinazioni assunte, con particolare riguardo ai «risultati acquisiti», ai «criteri di valutazione della prova adottati» e alle «ragioni» per cui non sono state ritenute «attendibili le prove contrarie».

Le novità sono quindi sostanzialmente due: è stata predisposta una precisa scansione degli argomenti da affrontare nella parte motiva ed è venuto meno il riferimento «all’indi-cazione delle prove poste a base della decisione», sostituito con una sorta di trasposizione dell’art. 192 c.p.p.45

Come si evince dalla Relazione all’originario d.d.l. di riforma – che ha fedelmente recepito i lavori della “Commissione Canzio” – l’obiettivo era quello di costruire «un modello legale della motivazione ‘in fatto’» idoneo a esplicitare il «ragionamento probatorio» del giudicante e «costituire l’effettivo paradigma devolutivo sul quale commisurare la facoltà di impugna-zione delle parti e i poteri di cogniimpugna-zione del giudice dell’impugnaimpugna-zione, con specifico riferi-mento alle parti della decisione alle quali si riferisce l’impugnazione nonché alle prove di cui si deduce l’omessa assunzione ovvero l’omessa o erronea valutazione»46. In altre parole, rendendo

più chiara e schematica la struttura della motivazione, si auspicava di aumentare l’intellegi-bilità del suo contenuto e facilitare così, fra l’altro, l’esercizio del diritto di impugnazione e il successivo lavoro del giudice di grado superiore47.

L’intento era di sicuro molto ambizioso, ma forse ciò che è stato fatto non è ancora suffi-ciente per concretizzarlo del tutto: il richiamo all’art. 192 c.p.p. sembra infatti aggiungere ben poco rispetto alla precedente versione del testo; per di più, i quattro macro contenitori in cui dovrebbe essere ripartita la motivazione appaiono ancora troppo ampi per fungere da valido spartiacque fra le argomentazioni del giudicante. Si poteva forse pensare a una suddivisione ancor più analitica, che riprendesse uno per uno i singoli “punti” della decisione48. C’è poi

da dubitare che l’inosservanza di queste nuove regole possa avere reali ricadute sulla validità del provvedimento49 e l’impressione è che molto dipenderà dalla buona volontà del singolo

giudicante.

Le impugnazioni.

Uno dei settori di intervento più ambiziosi e articolati della riforma è rappresentato dal tema delle impugnazioni sul quale il legislatore è intervenuto con finalità semplificatrici e deflative50.

a. Disposizioni generali

Le prime due norme (commi 54 e 55) intervengono sul titolo I del libro IX.

Anzitutto, viene modificato l’art. 571 c.p.p. anteponendo alla disposizione previgente una “clausola di salvezza”, che si spiega alla luce della scelta – attesa da tempo e assai apprezzabile – di eliminare la possibilità per l’imputato di presentare ricorso per cassazione personalmen-te, dovuta alla soppressione dell’inciso iniziale dell’art. 613, comma 1, c.p.p.51. Tale modifica,

segnata da marcate finalità deflative, non nasce dal nulla, ma è stata ripresa, tra l’altro, dall’ar-ticolato della Commissione Canzio, nonché, per certi versi, anche dal punto 1.1. della Carta di Napoli, la quale già auspicava l’abolizione del ricorso personale dell’imputato, affermando che «anche nei casi in cui l’impugnazione è proposta dal difensore non iscritto all’Albo dei cassazionisti, la qualità del ricorso firmato dall’imputato trascina la Corte ad un lavoro logo-rante e privo di concreta efficacia per l’incapacità del ricorrente di individuare con chiarezza i vizi di illegittimità». Insomma, in tal modo, si è voluto ovviare non solo alla prassi dei ricorsi,

45 Si veda A. Marandola, A proposito della specificità dei motivi d’appello, in Parola alla difesa, 2016, n. 1, p. 18. 46 Cfr. la Relazione al d.d.l. n. 2798, cit., p. 8.

47 Cfr. G. Spangher, DDL n. 2067: sulle proposte di modifica al codice di procedura penale, cit., p. 4.

48 A tal fine poteva forse essere utile l’elenco esemplificativo a suo tempo redatto dalle Sezioni unite della Cassazione, il quale ricomprende

«l’accertamento del fatto, l’attribuzione di esso all’imputato, la qualificazione giuridica, l’inesistenza di cause di giustificazione, la colpevolezza, e – nel caso di condanna – l’accertamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti e la relativa comparazione, la determinazione della pena, la sospensione condizionale di essa, e le altre eventuali questioni dedotte dalle parti o rilevabili di ufficio». Ci si riferisce a Cass., Sez. un., 19 gennaio 2000, n. 1, in Cass. pen., 2000, p. 2967.

49 Pone in rilievo questo aspetto G. Spangher, La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, cit., p. 94.

50 V. M. Bargis, Primi rilievi sulle proposte di modifica in materia di impugnazioni nel recente d.d.l. governativo, cit., p. 7; G. Spangher, La riforma

Orlando della giustizia penale, cit., p. 94 ss.

51 Cfr. M. Bargis, Primi rilievi sulle proposte di modifica in materia di impugnazioni nel recente d.d.l. governativo, cit., p. 7.

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