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Progetto di un sistema di monitoraggio per la determinazione della nucleazione di cricche superficiali in prove di fatica a flessione su quattro punti

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Academic year: 2021

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_________________________________________________________________

Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Meccanica

TESI DI LAUREA

Progetto di un sistema di monitoraggio per la

determinazione della nucleazione di cricche superficiali in

prove di fatica a flessione su quattro punti

Candidato: Relatori:

Nico Grippa Prof. Marco Beghini

Ing. Bernardo Disma Monelli

__________________________________________________________________ Anno accademico 2016/2017

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Sommario

Il presente elaborato riguarda l’individuazione di una tecnica sperimentale per la rilevazione di cricche superficiali di fatica in prove di flessione su quattro punti. L’obiettivo della tesi è stato quello di mettere a punto una procedura sperimentale per caratterizzare la fase di nucleazione delle cricche di fatica e distinguerla dalla fase di rottura catastrofica utilizzando una delle tecniche di controllo non distruttivo attualmente disponibili.

Dallo studio sullo stato dell’arte delle tecniche di controllo non distruttivo è emerso che la tecnica di ispezione con liquidi penetranti risulta la soluzione più semplice ed economica per raggiungere tale obiettivo. La procedura sperimentale ha richiesto l’aggiornamento del set up di prova di fatica a flessione su quattro punti ed è destinata ad essere impiegata su macchine di trazione servoidrauliche con controllo in anello chiuso e fondoscala di 50 kN.

In particolare, le performance di tale attrezzatura sperimentale riguardano:

 rilevazione di surface-cracks su barrette di acciaio a sezione rettangolare mediante l’applicazione della tecnica di controllo non distruttivo dei liquidi penetranti a intervalli di cicli predefiniti

 esame visivo remoto delle indicazioni prodotte dai liquidi penetranti tramite video-boroscopio al fine di identificare la lunghezza caratteristica delle micro-cricche di fatica e il relativo numero di cicli

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Abstract

The present work deals with an experimental technique for the detection of surface fatigue cracks in four point bending tests.

The aim of the thesis was to define an experimental procedure to characterize the phase of nucleation of fatigue cracks and distinguish it from the catastrophic breakdown phase using one of the currently non-destructive control techniques available.

It was found out from the study of the state of the art of non-destructive techniques that the liquid penetrant testing technique is the simplest and most cost-effective solution to achieve this goal.

The experimental procedure required the upgrading of the four-point flexural fatigue set up and is intended to be used on closed-loop servo-hydraulic traction machines with 50 kN closed loop control.

In particular, the performance of such experimental equipment relates to:

• surface-cracks detection on rectangular section steel bars by applying the non-destructive control technique of penetrating liquids at predefined cycle ranges • remote visual inspection of the indications produced by penetrating liquids by a video-borescope in order to identify the characteristic length of fatigue microcracks and the relative number of cycles

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Indice

Introduzione: definizione del problema e obiettivi ... 10

1. Analisi dello stato dell’arte: le tecniche per la rilevazione di cricche superficiali di fatica... 13

1.1 Potential Drop ... 14

1.2 Magnetoscopia... 16

1.3 Estensimetria ... 19

1.4 Analisi dell’immagine: tecniche ottiche ... 21

1.5 Liquidi penetranti (LPI) ... 24

1.6 La tecnica più idonea per la prova di flessione su 4 punti ... 28

2. La tecnica dei liquidi penetranti ... 29

2.1 Generalità ... 29

2.2 Overview sulle classi di liquidi penetranti ... 30

2.3 Le tecniche di ispezione con i liquidi penetranti ... 33

2.3.1 Preparazione della superficie ... 34

2.3.2 Applicazione del liquido penetrante ... 34

2.3.3 Tempo di penetrazione (dwell time) ... 35

2.3.4. Rimozione del penetrante in eccesso ... 37

2.3.5 Applicazione del rivelatore (fase di sviluppo) ... 38

2.3.6 Pulizia finale del provino ... 39

2.3.7 Norme di sicurezza per gli operatori ... 40

2.4 Fattori che influiscono sulla sensibilità del metodo ... 41

3. Specifica tecnica ... 42

3.1 Generalità ... 42

3.2 Prestazioni ... 42

3.2.1 Generalità ... 42

3.2.2 Dimensioni del minimo difetto rilevabile ... 43

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3.3 Condizioni da soddisfare ... 44

3.3.1 Geometria del provino ... 44

3.3.2 Macchina di prova ... 45

3.3.3 Set up di prova ... 47

3.3.4 Procedura di prova ... 48

3.3.5 Ispezione ottica al Video-Boroscopio ... 49

3.3.6 Condizioni ambientali ... 50

4. Progettazione sistema di monitoraggio ... 51

4.1 Liquidi penetranti scelti ... 51

4.2 Procedura prova preliminare ... 51

4.3 Resoconto di prova ... 55

4.4 Prove meccaniche preliminari ... 56

4.5 Progettazione del tooling necessario ... 58

5. Conclusioni e sviluppi futuri ... 62

Bibliografia ... 64

Appendice A ... 66

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Indice delle figure

Fig. 1 Curva di Wöehler in scala bi-logaritmica ... 10

Fig. 1.1 Attrezzatura e principio di funzionamento del Potential Drop ... 15

Fig. 1.2 Magnetizzazione mediante passaggio di corrente elettrica nel provino ... 17

Fig. 1.3 Magnetizzazione col sistema magnetico ... 18

Fig. 1.4 Posizione degli strain-gauges per provino pre-intagliato in prove di fatica a flessione su quattro punti ... 19

Fig. 1.5 Curva di calibrazione deformazione-lunghezza della cricca ... 20

Fig. 1.6 Schema a blocchi dell’attrezzatura di acquisizione ... 21

Fig. 1.7 Probabilità di rivelazione in funzione della lunghezza della cricca per leghe di alluminio ... 26

Fig. 2.1 Step da seguire per l’applicazione dei liquidi penetranti ... 33

Fig. 2.2 Test panel di tipo 2 ... 40

Fig. 3.1 Geometria del provino da testare ... 43

Fig. 3.2 Schema costruttivo macchina servoidraulica e macchina di prova universale MTS 50 kN disponibile presso l’officina del Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale (DICI) ... 45

Fig. 3.3 Schema di un afferraggio con inserti cuneiformi per provini piatti ... 46

Fig. 3.4 Configurazione di prova raccomandata per la prova di flessione su quattro punti ... 47

Fig. 3.5 Distanze tra gli appoggi raccomandate dalla norma... 48

Fig. 4.1 Flow chart procedura ... 53

Fig 4.2 Schema Staircase ... 56

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Fig. 4.4 Schema statico prova di flessione su 4 punti ... 59

Fig. 4.5 Dettaglio costruttivo della configurazione di carico ... 60

Fig. 4.6 Dettaglio costruttivo sistema di afferraggio ... 60

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Indice delle tabelle

Tab 2.1 Tempo di penetrazione suggerito dalle norme per vari difetti ... 36 Tab 2.2 Minimo tempo di penetrazione per difetti in titanio ... 36 Tab 5.1 Resoconto della procedura preliminare ... 55

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Introduzione: definizione del problema e obiettivi

Generalmente il dimensionamento a fatica di un componente meccanico viene realizzato utilizzando l’approccio classico basato sulla curva di Wöehler. La curva di Wöehler rappresenta la tensione alternata 𝜎 agente sul componente/provino in funzione del numero di cicli a rottura per un dato rapporto di carico R, uno spettro di carico e una determinata configurazione di carico. Il concetto di rottura di un materiale è fondamentale e necessita di essere definito preliminarmente in modo univoco. Nella stragrande maggioranza dei casi la rottura del componente/provino viene fatta coincidere con la condizione in cui il materiale non è più in grado di sopportare il carico applicato e risulta separato in due o più parti. In questo caso il parametro significativo è quindi rappresentato dal numero di cicli a rottura del materiale (𝑁 ) e la curva di Wöehler è plottata in funzione di 𝑁 .

Fig. 1 Curva di Wöehler in scala bi-logaritmica [1]

In altri casi la condizione di rottura del componente/provino può essere identificata come la condizione in cui ha inizio il processo di danneggiamento all’interno del materiale e la nucleazione dei primi difetti innescata dalle sollecitazioni cicliche. Uno dei parametri più importanti che definiscono questa condizione è rappresentato dal numero di cicli spesi dal componente/provino per la nucleazione di cricche di fatica.

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11 Il numero di cicli a rottura 𝑁 del componente/provino può essere teoricamente suddiviso in due fasi principali:

𝑁 = 𝑁 + 𝑁 dove:

𝑁 è la frazione della vita del componente/provino spesa per la nucleazione di cricche di fatica, espressa in numero di cicli

𝑁 è il numero di cicli impiegati da una cricca nucleata per propagare fino al collasso catastrofico del componente/provino

La durata delle due fasi varia con la storia di carico/deformazione ciclica a cui è sottoposto il materiale e la distinzione tra le due fasi può essere verificata sulla base di analisi di dati sperimentali. È possibile quindi costruire la curva di Wöehler plottando la tensione alternata in funzione del numero di cicli totale (curve 𝑆 − 𝑁 ) o del numero di cicli per la fase di nucleazione (curve 𝑆 − 𝑁 ). La rilevazione e la misura di una cricca, in particolare nelle prime fasi di vita di un componente/provino, sono operazioni complesse, dal momento che non è noto quando e dove la cricca nuclea e se la cricca rilevata sarà la cricca che propagherà fino alla rottura finale o sarà messa in ombra da un’altra cricca.

Il presente progetto si propone di determinare una procedura sperimentale di prova di fatica per caratterizzare la fase di nucleazione di cricche di fatica. Una possibile configurazione di prova per discriminare la soglia di nucleazione di cricche di fatica in termini di numero di cicli può essere rappresentata dalla prova di flessione a fatica su quattro punti. Questo particolare set-up di prova permette di applicare un momento flettente uniforme in un tratto del provino e confinare le sollecitazioni più gravose in una zona circoscritta alla superficie delle fibre tese.

L’obiettivo di tale studio si concentra sulla messa a punto di una tecnica sperimentale per rilevare cricche superficiali in una prova di flessione a fatica su quattro punti. Secondo lo standard ASTM E647 -15 “Standard Test Method for Measurement of Fatigue Crack Growth Rates” [2] esiste una classificazione che definisce una nomenclatura specifica per le cricche in base alle loro dimensioni. La norma

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definisce in genere small crack, una cricca le cui dimensioni fisiche (tipicamente la lunghezza e la profondità) sono piccole su scala microstrutturale, sulla scala della meccanica dei continui, o in relazione a una dimensione fisica di riferimento. In particolare, si definisce short crack una cricca che presenta una sola dimensione fisica è piccola rispetto a una scala specifica. Storicamente la distinzione tra short crack e small crack non esisteva e i due termini sono stati usati indistintamente nella letteratura tecnico-scientifica. L’ordine di grandezza delle cricche rilevabili con la tecnica dei liquidi penetranti, descritta nel capitolo successivo, rientra nel range delle phisically small crack. La norma ASTM fa riferimento a prove di propagazione di small crack su provini unificati e già precriccati. L’obiettivo che ci si propone riguarda la progettazione di un sistema per caratterizzare la fase di nucleazione di cricche di fatica su provini as machined. Non esistono, tuttora, delle norme standard che regolamentano le prove di fatica per la determinazione dei cicli di nucleazione di provini non precriccati a causa della natura molto dispersa e complessa del fenomeno, pertanto, non esistono dei provini unificati per realizzare questo tipo di prove. Nella presente tesi si fa riferimento a provini non precriccati costituiti da barrette a sezione rettangolare. La prova di flessione a fatica su 3 o 4 punti è la prova consigliata dalla normativa per confinare la massima tensione delle fibre esterne in una piccola regione.

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1. Analisi dello stato dell’arte: le tecniche per la rilevazione di

cricche superficiali di fatica

La presenza di cricche e difetti sulla superficie dei materiali metallici può condizionare in maniera rilevante le prestazioni di componenti e strutture, tanto da rendere la loro individuazione una parte essenziale del controllo di qualità in tutti i settori dell’ingegneria. Ai fini di questo lavoro, l’analisi delle principali tecniche utilizzate per la rilevazione delle cricche superficiali mira a individuare la tecnica che maggiormente soddisfa i requisiti della prova di fatica a flessione su quattro punti. La rilevazione interesserà le cosiddette short cracks, cioè cricche la cui lunghezza caratteristica è minore di 1 mm.

In generale tutte le tecniche e le procedure volte a individuare e valutare i difetti di materiali o manufatti rientrano in quelli che sono definiti “Controlli non Distruttivi” o “Non-destructive Testing” (NDT) o “Non-destructive Evaluation” (NDE). Le applicazioni NDT, tuttavia, spesso non si limitano alla localizzazione e alla rilevazione dei difetti, ma si estendono a tutti gli aspetti delle caratterizzazioni dei solidi, all’analisi della morfologia e della microstruttura, delle proprietà fisico-chimiche o ai metodi di preparazione.

Pertanto, rientrano tra le tecniche NDT i metodi radiografici, ultrasonici, l’ispezione con liquidi penetranti, il metodo delle particelle magnetiche (magnetoscopia), la termografia, le tecniche basate sull’impiego di campi elettrici e magnetici e i metodi di analisi dell’immagine. [3]

Le tecniche NDT possono essere applicate a materiali metallici e non metallici così come ad oggetti di differenti dimensioni sia statici sia in movimento, in quanto la caratteristica principale di queste tecniche è di non influire in alcun modo sulle caratteristiche fisico-meccaniche del componente testato. A differenza di molti test, comunemente utilizzati per caratterizzare i materiali, in cui è prevista la parziale o totale distruzione del provino (per es. le prove a trazione), i controlli non distruttivi consentono di rimettere in esercizio il pezzo subito dopo l’esecuzione della prova (quando non sia possibile testarlo “in situ”), dato che non ne alterano la funzionalità. D’altro canto, però, attraverso i test NDT non sempre potrebbe essere possibile raccogliere informazioni esaustive riguardo ai manufatti o ai materiali che s’intende controllare, in quanto, spesso i risultati sono frutto di una mediazione tra le capacità

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dell’operatore, la sensibilità dei controlli, il rispetto delle norme di sicurezza e la riduzione dei costi.

Inoltre, l’esistenza di una notevole varietà di metodi NDT è legata, in parte, al fatto che nessuna delle tecniche risulta di per sè completa. Questo comporta che, a seconda delle circostanze, delle finalità e dello scopo dell’analisi, si utilizzi la tecnica che si dimostra più adatta, oppure (come capita spesso) che si utilizzino, per il controllo di uno stesso manufatto, più tecniche in maniera complementare, così da poter garantire l’individuazione del maggior numero possibile di potenziali difetti. Le tecniche N.D.T più diffuse per la rilevazione di difetti superficiali sono la tecnica del Potential Drop, il metodo delle particelle magnetiche e la tecnica di ispezione con i liquidi penetranti. Altre tecniche possibili sono quella ottica, basata sulla analisi dell’immagine [4], e quella estensimetrica basata sullo sfasamento di segnali in tensione misurati dagli strain gage. [5] [6][7]

Nei paragrafi successivi si analizzano nel dettaglio il principio fisico, il funzionamento e i relativi limiti/vantaggi connessi all’impiego di ciascuna tecnica.

1.1 Potential Drop

Il metodo del potential drop si basa sulla caduta di potenziale in un circuito elettrico, che comprende il provino nell’intorno dell’intaglio/cricca.

Le due proprietà fisiche fondamentali del metodo sono la conduttività elettrica e la permeabilità magnetica. Lo schema di funzionamento del metodo è illustrato in figura 1.1.

Il controllo si basa sull’induzione di piccole correnti elettriche all’interno di un materiale conduttore e nell’osservazione delle interazioni che si creano tra il materiale e le correnti stesse. L’induzione magnetica genera un campo elettrico sul pezzo e le correnti elettriche generate (“eddy currents”) si muovono in un circuito chiuso, generalmente circolare. Un certo numero di fattori all’interno del materiale influenzerà il flusso delle correnti indotte (dette anche di Focault o parassite). Il risultato del controllo è dato proprio dalla relazione tra il comportamento di queste correnti e i fattori costitutivi del materiale.

Le sonde PD misurano la risposta dei materiali a campi elettromagnetici in uno specifico range di frequenza, tipicamente tra qualche kHz ed alcuni MHz per i

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15 tradizionali CND. Dalla risposta, possiamo avere informazioni su diversi aspetti del materiale, quali durezza, spessori, presenza di corrosione o difetti quali porosità e cricche. Per maggiori dettagli sulla tecnica si consulti [3]

Fig. 1.1 Attrezzatura e principio di funzionamento del Potential Drop [8]

Le correnti parassite possono essere applicate a scambiatori di calore, cilindri, tubi, lamiere e rivestimenti e forniscono un mezzo per misurare la conducibilità, la permeabilità, rilevare discontinuità e determinare lo spessore di rivestimenti e placcature.

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Questo metodo è particolarmente adatto nel caso in cui sia necessario misurare bassi accrescimenti a basse frequenze per tempi lunghi e per monitorare transitori in risposta a cambiamenti meccanici, microstrutturali e chimici.

Il potential drop presenta, però, dei limiti, in quanto, può essere eseguito solo su materiali conduttori, per monitoraggi in ambiente non umidi e produce un elevato rumore elettrico. Inoltre, questa tecnica potrebbe produrre risultati falsati o errori generati a seguito di plasticizzazioni, spostamenti delle sonde e cambiamenti termici, che necessitano di correzioni successive alla prova.

Un’ulteriore peculiarità del potential drop è che può localizzare in maniera precisa l’inizio della fessurazione solo su provini preintagliati e richiede una calibrazione tra tensione e lunghezza di fessura. Questa tecnica è, perciò, principalmente utilizzata per la misurazione delle long-cracks e nel caso in cui ci sia la propagazione di una fessura.

1.2 Magnetoscopia

La tecnica magnetoscopica prevede un esame con particelle magnetiche, allo scopo di individuare variazioni del campo magnetico generate da difetti superficiali e subsuperficiali in materiali ferromagnetici o magnetizzabili (ferro, nickel, cobalto, acciai al carbonio, acciai basso legati a struttura ferritica in applicazioni di saldature, fucinati, estrusi e stampati).

La tecnica si basa sull’osservazione del comportamento delle linee di flusso del campo magnetico generato, le quali, in caso di discontinuità, subiscono una deviazione determinata proprio dalla disposizione in senso trasversale al campo magnetico delle discontinuità stesse.

Le tecniche di magnetizzazione possono essere di due tipi: la magnetizzazione mediante sistema elettrico e la magnetizzazione col sistema magnetico. Per il primo tipo di magnetizzazione è necessario che nel manufatto da testare sia inviata della corrente elettrica (vedi Fig.1.2). In assenza di difetti le linee di campo si disporranno tutte in modo parallelo ed equidistante, mentre in presenza di difetti, sia superficiali che sub superficiali, le linee del campo magnetico vengono deviate anche al di fuori del contorno geometrico del componente/provino, perciò, si potrà rilevare la

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17 discontinuità in quanto intorno ad essa si andrà generando un campo magnetico disperso.

Fig. 1.2 Magnetizzazione mediante passaggio di corrente elettrica nel provino [9]

Per la magnetizzazione con sistema magnetico è necessario che il manufatto sia immerso in un campo magnetico (vedi Fig.1.3). In questo caso per evidenziare il difetto sarà necessario applicare sulle superfici delle particelle magnetiche a secco o mediante una sospensione in opportuno agente liquido colorante o fluorescente, per risultare visibili in luce bianca o in luce di Wood. Le particelle si concentreranno lungo le linee di flusso del campo magnetico, che s’interromperanno in corrispondenza della discontinuità, indicandone, perciò, la posizione, la dimensione, la forma e l’estensione.

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Fig. 1.3 Magnetizzazione col sistema magnetico [9]

La magnetizzazione tramite sistema elettrico è impiegata più di rado e in particolare nei casi in cui l’analisi delle discontinuità deve essere eseguita su un manufatto la cui forma geometrica si adatta a rivelare il campo magnetico disperso. La tecnica più utilizzata è quella delle particelle magnetiche, anche se l’esame magnetoscopico per essere corretto richiede l’esecuzione di diverse fasi, tra cui: la preparazione dei pezzi, attraverso la pulizia della superficie da depositi o tracce di grassi, oli e sostanze contaminanti in genere; la magnetizzazione, la delicata operazione sulla quale si basa la riuscita dell’esame e che consiste nel magnetizzare il pezzo nella direzione possibilmente perpendicolare alla direzione presunta dei difetti; l’irrorazione del rivelatore, che può avvenire secondo il metodo continuo, sfruttando il campo magnetico imposto dall’esterno o il metodo residuo, sfruttando il magnetismo residuo del pezzo; e infine la smagnetizzazione, necessaria per eliminare l’eventuale magnetismo residuo dai pezzi, attraverso un tunnel di smagnetizzazione.

Nel complesso la tecnica magnetoscopica, anche se efficace, è una tecnica applicabile solo per la ricerca di difetti superficiali o subsuperficiali su materiali ferromagnetici. Inoltre, richiede una preparazione laboriosa della superficie e in alcuni casi la smagnetizzazione finale del provino. Inoltre, è poco adatta per l’esame di pezzi con superfici troppo scabrose, rugose, filettate e di geometria complessa, in quanto, in questi casi la presenza di un operatore esperto e particolarmente attento. Infine è un processo che richiede necessariamente l’intervento di un operatore perché difficilmente automatizzabile, se non attraverso soluzioni costose e non sempre praticabili (es. l’impiego di rivelatori a sonda).

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1.3 Estensimetria

Il metodo sperimentale più diffuso per caratterizzare il comportamento meccanico di un materiale si basa sull’utilizzo di estensimetri (strain-gauges) che monitorano in continuo la deformazione locale in una zona specifica della superficie del provino. L’estensimetro elettrico a resistenza è costituito da una griglia di sottilissimo filo metallico rigidamente applicata su un supporto di materiale plastico e viene incollato sulla superficie di cui si vogliono misurare le deformazioni utilizzando dei collanti. Il filo dell’estensimetro segue le deformazioni della superficie a cui è incollato allungandosi ed accorciandosi insieme ad essa; queste variazioni dimensionali causano una variazione della resistenza elettrica del filo.

Misurando tramite un ponte di Wheatstone o un opportuno circuito elettrico tali variazioni si può risalire all’entità delle deformazioni che le ha causate.

La prova di fatica a flessione su quattro punti può essere svolta eseguendo dei cicli di carico a tensioni alternate via via decrescenti. Il monitoraggio continuo del segnale di deformazione locale della superficie del provino in funzione del numero di cicli di fatica può essere eseguita mediante un oscilloscopio e un certo numero di strain gauges disposti opportunamente sulla superficie (fig 1.4).

Fig. 1.4 Posizione degli strain-gauges per provino pre-intagliato in prove di fatica a flessione su quattro punti [10]

Ogni estensimetro presenta una certa risposta in termini di strain amplitude in funzione della sua posizione relativa rispetto alla cricca/intaglio. Se il segnale in uscita è monitorato in continua la forma d’onda che si osserva per uno strain gauge

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non danneggiato sarà simile a una sinusoide. Quando parte la cricca l’onda sinusoidale risulterà distorta durante il processo di caricamento. In particolare, gli estensimetri più lontani dal difetto presenteranno un andamento della deformazione che sarà meno influenzato dall’estensione della cricca, rispetto agli estensimetri che si trovano in prossimità della stessa. Durante la propagazione della cricca si rileva una diminuzione sensibile di strain amplitude.

L’operatore che riscontra un segnale di deformazione molto intensa rispetto a una soglia pre-fisssata durante il caricamento ciclico dovrebbe verificare la forma d’onda del segnale per eventuali indicazioni sulla sensibilità dello strain gauge.

Tramite analisi della superficie del provino post mortem è possibile misurare la lunghezza della cricca e correlarla alla deformazione misurata su ogni estensimetro. Infine, si determina una curva di calibrazione plottando per punti la deformazione ciclica di ogni estensimetro in funzione della lunghezza della cricca.

Fig. 1.5 Curva di calibrazione deformazione-lunghezza della cricca [10]

L’applicazione della tecnica estensimetrica è automatizzabile ed è caratterizzata rispetto alle tecniche NDT da una migliore accuratezza dei risultati in quanto meno

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21 soggetta a interpretazioni da parte dell’operatore, ma presenta indubbiamente molti svantaggi:

 La posizione degli estensimetri si basa su alcune assunzioni di partenza basate su modelli FEM che simulano il comportamento degli estensimetri in funzione della distanza di ipotetiche cricche di dimensioni arbitrarie;

 Errori di misura dovuti a micro-cricche che interessano l’estensimetro durante la prova di fatica e rumore dovuto a fenomeni di interferenza elettromagnetica  Presenza di interfacce con il Digital Acquisition System, setup più complesso

e acquisizione dati più elaborata

 Il collante per l’applicazione dell’estensimetro può alterare in modo significativo la finitura superficiale del provino

1.4 Analisi dell’immagine: tecniche ottiche

Le tecniche ottiche applicate alla rilevazione delle cricche, consistono nell’acquisizione periodica di immagini delle zone del provino/componente che contengono le potenziali cricche o nel monitoraggio in real time della lunghezza di una cricca in una zona specifica. Questo tipo di tecniche sono di ultima generazione e la loro diffusione è legata allo sviluppo delle tecnologie video, all’aumento della qualità delle immagini, all’evoluzione dei sistemi di acquisizione video, alla diffusione della digitalizzazione e alla diminuzione dei costi di immagazzinaggio e storaggio.

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Nello specifico, la tecnica dell’acquisizione periodica delle immagini, si basa sull’ottenere un’immagine digitalizzata, attraverso il campionamento del segnale proveniente da una telecamera, tramite un’apposita scheda di conversione che misura il valore medio dell’intensità luminosa in ciascuno degli elementi di una griglia (pixel), idealmente sovrapposta all’immagine reale. La gamma di valori che ogni singolo pixel può assumere è chiamata profondità del pixel (pixel depth) o profondità dell’immagine e dipende dal numero di tipo di convertitore utilizzato: a seconda del numero di bit del convertitore si ha il numero di valori che può assumere ogni pixel. Quanto maggiore è il numero dei bit che assegniamo ad ogni punto, più numerosi sono i toni di grigio in cui l’immagine si può tradurre, cioè maggiore è la profondità del pixel. Generalmente una greyscale image usa fino a 8 bit (e cioè 1 byte) per ogni punto, questo significa fino a 256 possibili livelli di grigio associati all’immagine, cioè una profondità del pixel che può arrivare a 256. Ovviamente, la risoluzione dell’immagine risulta tanto maggiore quanto più elevato è il numero di pixel e tanto maggiori sono i livelli di grigio che è possibile gestire. [4]

L’elaborazione dell’immagine digitalizzata avviene tramite la manipolazione della matrice dei valori dei pixel. Le immagini vengono, quindi, digitalizzate tramite la scheda di acquisizione e quindi memorizzate su disco. Le immagini acquisite sono successivamente analizzate per trovare la posizione dell’apice della cricca dopo la possibile nucleazione.

Un’altra possibile tecnica ottica disponibile è la Digital Image Correlation [11] il cui principio si basa sulla determinazione del campo di spostamento mediante algoritmi basati sull’interpolazione dei livelli di grigio dei pixel a partire da una serie di immagini scattate prima e dopo la deformazione usando una videocamera digitale. Questa tecnica risulta facilmente implementabile su oggetti che si deformano nel piano, per i quali è disponibile anche un software open source che si interfaccia con Matlab per l’elaborazione delle immagini.[12]

L’utilizzo della tecnica di analisi dell’immagine per la rilevazione di cricche ha indubbiamente dei vantaggi rispetto alle tecniche precedentemente esposte. In primo luogo, può essere completamente automatizzata, attraverso l’impiego di apparecchiature a ciclo continuo per 24 ore al giorno e potendo fare a meno della presenza dell’operatore umano. Questa tecnica, inoltre, può essere utilizzata su qualsiasi tipo di materiale e anche in ambienti umidi (a differenza della tecnica del

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23 potential drop), non richiede una calibrazione dell’apparecchiatura, è poco sensibile alle plasticizzazioni, spostamenti delle sonde e non richiede particolari geometrie delle forme dei provini (a differenza delle tecniche magnetoscopiche).

Tra gli svantaggi, però, vi è il costo elevato per l’attrezzatura (P.C., A/D converter, scheda di acquisizione video, sistema d’illuminazione a fibra ottica, videocamera in bianco e nero e supporto motorizzato a tre assi con motore passo). Inoltre, affinché l’utilizzo di questa tecnica sia efficace, è necessario che la qualità finale dell’immagine acquisita sia ottima, e questo aspetto richiede il soddisfacimento di alcuni particolari requisiti, come l’adeguata finitura della superficie da riprendere; un sistema di illuminazione stabile senza variazioni di intensità luminosa, del sistema di acquisizione (telecamera-scheda video) che nel complesso garantisca una messa a fuoco ottimale. Infine vi è un problema strettamente legato alle caratteristiche del provino. Il task relativo alla scansione della superficie del provino è facilmente realizzabile se lo sfondo dell’immagine è uniformemente nero. Questo richiede che la superficie del provino sia perfettamente liscia (mirror finished), una condizione che, oltre ad essere difficile e costosa da ottenere, soprattutto se il provino è di geometria complessa e di grandi dimensioni, potrebbe comportare delle rilevazioni falsamente. Infatti, se si pulisce la superficie del provino con carta abrasiva, per renderlo perfettamente liscio, si generano errori e disturbi nella rilevazione, in quanto, appaiono sullo sfondo oggetti indesiderati che possono essere rilevati erroneamente come cricche.

La tecnica appena descritta è stata realizzata e testata al Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale dell’Università di Pisa e ha permesso di ottenere buoni risultati su provini preintagliati o precriccati in prove push-pull.

In una prova di fatica a flessione su quattro punti l’applicazione di questa tecnica si articola nell’interruzione del loading dopo un prescritto numero di cicli o un prescritto incremento di carico e nello scan delle zone potenzialmente critiche del provino. In particolare, si realizza una scansione ottica, tramite una videocamera motorizzata su supporto a 3 assi e si cercano le immagini aventi una luminosità superiore a una predefinita soglia ∆𝐾𝑡ℎ.

La problematica principale nell’utilizzo di questa tecnica è che il valore di ∆𝐾 non è costante nel caso delle short cracks, ma diminuisce con la dimensione delle cricche che risentono delle barriere microstrutturali. Questo perché i meccanismi di

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crack-closure sono meno pronunciati nel caso delle microcricche. Come conseguenza nel campo delle short cracks il parametro ∆𝐾 non è più sufficiente a descrivere in maniera univoca la nucleazione delle cricche superficiali, ma occorrono altre informazioni, come ad esempio il livello di tensione del materiale.[8]

Inoltre, nel caso della prova di fatica a flessione su quattro punti, è necessario disporre di attrezzature più performanti e che assicurino una maggiore risoluzione, in quanto la rilevazione delle cricche nucleate o che hanno propagato fino a un certo livello richiede la scansione di un’area relativamente grande.

All’aumentare delle dimensioni della superficie da riprendere è necessario avere una risoluzione maggiore e attrezzature più performanti.

1.5 Liquidi penetranti (LPI)

Le ispezioni con la tecnica dei liquidi penetranti (LP) è da oltre 50 anni il metodo più semplice e meno costoso per rilevare discontinuità e cricche di vario genere.

Questo metodo consiste nell’applicare sulla superficie del provino da testare, uno speciale mezzo liquido (di solito oleoso e di colore variabile e/o fluorescente), dotato di bassa tensione superficiale, buona bagnabilità e particolari proprietà fisiche che ne consentono la penetrazione per capillarità all’interno delle discontinuità. Successivamente, attraverso l’utilizzo di uno speciale materiale assorbente, detto rilevatore, si riporta in superficie il liquido introdottosi nella discontinuità in modo da lasciare un segnale di dimensioni maggiori del difetto che lo ha generato.

La Norma di riferimento per la tecnica di Controllo non Distruttivo con liquidi penetranti è la UNI EN 3452 [13] e prevede che la procedura di controllo venga effettuata eseguendo sette fasi:

 preparazione della superficie da testare;  applicazione del liquido penetrante;

 rimozione del penetrante, ricorrendo, se necessario, all’applicazione di un emulsificatore;

 asciugatura della superficie;  applicazione del rivelatore;  ispezione;

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25 La preparazione della superficie è una delle fasi più critiche, in quanto, si devono eliminare completamente qualsiasi traccia di acqua, oli, grassi o altre sostanze che possono impedire o limitare l’accesso del liquido penetrante all’interno dei difetti. La Norma impone anche diversi accorgimenti da adottare nelle diverse fasi di controllo, come ad esempio, la raccomandazione che il tempo di penetrazione deve essere compreso tra 5 e 60 minuti, in dipendenza della caratteristica specifica del prodotto impiegato ed è variabile in funzione del tipo di applicazione che si effettua.

L’ispezione con liquidi penetranti è una delle tecniche non distruttive più utilizzate soprattutto in ambito industriale, in quanto, risulta flessibile e facilmente impiegabile. Non vi sono particolari vincoli sul tipo di materiale e l’ispezione può essere effettuata su qualsiasi superficie non porosa (vetro, gomma, plastica, ceramica, acciaio, alluminio, titanio.).

Rispetto all’ispezione con tecniche ottiche, questo metodo rende più agevole per l’operatore la valutazione dei difetti, in quanto, le indicazioni fornite delle rilevazioni sono di dimensioni significativamente maggiori di quelle del difetto e questo rende possibile l’individuazione di cricche anche di dimensioni al di sotto della soglia di rilevazione dell’occhio umano (7/100 di mm).

Questa tecnica si rivela vantaggiosa, soprattutto, per l’alta sensibilità alle piccole discontinuità superficiali. Il concetto di sensibilità del controllo LPI fa riferimento alla capacità del metodo di rilevare difetti più piccoli possibile garantendo un alto livello di affidabilità. Ai fini dell’efficacia della tecnica, perciò, la natura del difetto ha un notevole effetto. Generalmente, per definire il formato del difetto si rapporta la sua lunghezza a quella della superficie del pezzo in esame e, se si prende in esame la curva della probabilità di rilevazione per un controllo coi liquidi penetranti, si può osservare come le dimensioni del difetto siano influenti sulla sensibilità.

Tuttavia, la dimensioni di una cricca, non determinano a priori il suo livello di visibilità, in quanto, affinché si produca un’indicazione chiaramente visibile, è necessario che il volume del difetto sia tale da contenere una quantità di penetrante sufficiente ad evidenziare il difetto.

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Fig. 1.7 Probabilità di rivelazione in funzione della lunghezza della cricca per leghe di alluminio [9]

Alcune prove sperimentali hanno messo in evidenza come questo tipo di rilevazione con liquidi penetranti si rivela più efficace su alcune tipologie di difetti rispetto ad altri, perché più facilmente individuabili.

I difetti piccoli e rotondi sono più facilmente rilevabili rispetto a quelli piccoli e lineari, in quanto, i difetti rotondi possono intrappolare una maggiore quantità di penetrante, e si riempiono più velocemente, ad esempio è stato verificato che un difetto ellittico con un rapporto tra lunghezza e larghezza pari a 100, impiega, per riempirsi, fino a 10 volte di più di un difetto cilindrico dello stesso volume.

La tecnica rileva meglio i difetti più profondi rispetto a quelli poco profondi, sempre perché le deformazioni più profonde intrappolano una maggiore quantità di penetrante e sono meno soggette ai fenomeni di svuotamento durante la fase di lavaggio dell’eccesso di penetrante, così come succede per i difetti con un’apertura stretta rispetto a quelli molto aperti.

Attraverso l’utilizzo dei LP sono più facilmente individuabili i difetti su superfici regolari rispetto a quelli su superfici rugose, in quanto, la rugosità della superficie influisce sulla stabilità del penetrante. Le superfici rugose, infatti, trattengono più

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27 penetrante nelle loro sporgenze superficiali e questo residuo potrebbe generare delle fluorescenze che, riducendo il contrasto, potrebbero ostacolare l’osservazione. Infine, sono più facilmente identificabili i difetti su pezzi scarichi o sottoposti a trazione rispetto ai difetti su pezzi sottoposti a compressione, perché in caso di elevati valori del carico di compressione, il difetto potrebbe risultare completamente chiuso, impedendo al penetrante il riempimento. Questo problema non si verifica su pezzi scarichi, dove il difetto non muta le proprie condizioni, o nel caso in cui la sollecitazione sia di trazione, perché in questo caso, si potrebbe addirittura verificare che il difetto si apra ulteriormente.

Rispetto a quanto esposto finora, l’ispezione con i liquidi penetranti (LPI) risulta vantaggiosa, perché è un metodo altamente sensibile alla presenza di piccole discontinuità superficiali, ed esistono poche limitazioni pratiche al suo impiego, in quanto può essere impiegato per testare materiali metallici e non metallici, magnetici e amagnetici, conduttivi e non conduttivi. Si possono eseguire rapidamente e a costi contenuti ispezioni di grandi aree, di grandi volumi e di manufatti anche dalle geometrie complesse.

Questa tecnica, inoltre, utilizza delle indicazioni relative ai difetti, prodotte direttamente sulla superficie, che costituiscono una traccia visibile dell’entità del difetto, rendendo facile l’esecuzione, l’osservazione e l’interpretazione da parte dell’operatore. Infine, la disponibilità dei liquidi penetranti in formato spray rende il metodo facilmente portabile e dai costi contenuti, considerato che i materiali di consumo (penetranti e rivelatori) e tutto l’equipaggiamento hanno un basso costo. Per contro questa tecnica è in grado di rilevare solo difetti superficiali e solo su superfici di materiali relativamente non porose. Inoltre, la rilevazione richiede una preparazione accurata della superficie da testare, attraverso un’accurata pulizia pre-trattamento e la rimozione di tutti i residui delle lavorazioni meccaniche, per limitare l’interferenza dei contaminanti, che potrebbero nascondere la presenza di difetti. Inoltre, la sensibilità di questo tipo di test può essere influenzata significativamente dalla finitura superficiale e dalla rugosità del materiale.

Infine, questa tecnica richiede l’esecuzione e il controllo di numerose operazioni, che influisce sulla durata dei tempi di realizzazione e fa dipendere, in parte, la qualità della prova dall’esperienza dell’operatore.

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1.6 La tecnica più idonea per la prova di flessione su 4 punti

La tecnica di controllo non distruttivo più semplice e idonea per la prova a fatica di flessione su quattro punti è quella basata sull’applicazione dei liquidi penetranti (L.P.I) affiancata da un controllo visivo remoto tramite video-boroscopio.

Il motivo fondamentale per cui questa tecnica si combina bene con la prova di fatica a flessione su quattro punti è legata alla possibilità di rilevare le potenziali cricche nucleate su tutta la superficie delle fibre tese del provino e, quindi, si concilia bene col carattere multicracking delle short cracks. Questo requisito esclude la tecnica del Potential Drop e quella estensimetrica dalla lista dei possibili candidati. In particolare, la tecnica ottica, pur risultando la più potente ed accurata, richiede la messa a fuoco, tramite un opportuno sensore ottico, di un’area abbastanza estesa che si deforma fuori dal piano contenente cricche di dimensioni molto piccole e richiede un apparato hardware e software più spinto.

In sintesi la scelta della tecnica basata sul controllo ottico delle indicazioni prodotte dai liquidi penetranti è motivata dalle seguenti considerazioni:

 metodo altamente sensibile alla presenza di piccole discontinuità superficiali e al carattere multicracking delle short-cracks

 realizzabilità del sistema nel breve periodo

 disponibilità immediata della strumentazione in commercio  possibilità di testare subito in laboratorio l’attrezzatura progettata

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2. La tecnica dei liquidi penetranti

2.1 Generalità

Il controllo con liquidi penetranti (L.P.I) è una delle tecniche di controllo non distruttivo più semplice ed efficace per la rilevazione di cricche superficiali, difetti e discontinuità del materiale. Il principio su cui si basa è l’esaltazione della loro visibilità in termini di espansione dimensionale e contrasto cromatico/fluorescenza. In particolare, rispetto alla semplice analisi visiva, la L.P.I rende più agevole la visualizzazione dei difetti da parte dell’operatore essenzialmente per due fattori:

 produce indicazioni le cui dimensioni sono significativamente maggiori di quelle dei difetti visibili ad occhio nudo. La soglia di acuità visiva dell’occhio umano al di sotto della quale gli oggetti non possono essere risolti è variabile da persona a persona e in soggetti aventi la massima capacità visiva (visus di 10/10) la minima dimensione di difetto rilevabile è di circa 7/100 di mm.

 per controlli effettuati in luce ordinaria. la rilevazione del difetto avviene direttamente sulla superficie del pezzo in esame per mezzo di elevato contrasto cromatico tra una sostanza penetrante color rosso brillante e una sostanza di sviluppo di colore bianco. Nel caso di liquidi penetranti fluorescenti1 l’ispezione

è condotta in una camera oscurata irradiando la superficie del pezzo con una luce ultravioletta in modo da produrre delle indicazioni luminose aventi lunghezza d’onda facilmente percepibile dall’occhio umano in condizioni di buio. La normativa EN-ISO 3452-1 Non destructive testing-Penetrant testing [13] definisce come penetranti di tipo I i liquidi penetranti fluorescenti e come penetranti di tipo II i liquidi penetranti a contrasto di colore. Nel presente studio si fa riferimento esclusivamente ai liquidi penetranti di tipo II dal momento che l’officina meccanica del Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale di Pisa non dispone di una camera oscura necessaria per l’applicazione dei liquidi penetranti fluorescenti.

1 “Una sostanza si definisce fluorescente se produce luce quando è sottoposta ad energia radiante

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Il principio fisico su cui si basa la tecnica è legata alla capacità di un liquido di essere assorbito da una fessurazione presente sulla superficie del corpo a seguito di fenomeni di capillarità; il liquido rimasto intrappolato nella discontinuità è soggetto a richiamo in superficie da parte di una sostanza detta “sviluppatore” che funge da sfondo per le indicazioni e da sede di ulteriori interstizi nei quali il penetrante risale. Il penetrante si espande formando l’indicazione finale che identifica la presenza del difetto superficiale. Attualmente questa tecnica utilizza prodotti sempre più performanti, versatili ed economici in relazione al tipo di applicazione specifica. Le applicazioni spaziano da quelli più generici dell’automotive a quelli più sofisticati del settore aerospaziale. Occorre puntualizzare che essa si limita a fornire esclusivamente informazioni su discontinuità e cricche aperte sulla superficie del manufatto da testare. In caso contrario, infatti, il liquido non potrebbe penetrare nel materiale e sarebbe impossibile la rilevazione di qualunque difetto.

Per quanto riguarda le specifiche industriali e governative negli U.S.A, si utilizza la AMS2 2644 e lo standard storico di riferimento è stato il Military Standard 25135.

Vi sono anche normative più settoriali come la ASTM3 1417 che però, sono molto

simili agli standard precedentemente citati. A livello europeo si applica la normativa EN ISO 3452 già citata. [13][14][15][16][17]

2.2 Overview sulle classi di liquidi penetranti

La scelta della classe di liquido penetrante deve essere effettuata solo dopo una oculata valutazione di una serie di fattori che riguardano la sensibilità richiesta, la tipologia del materiale da testare, il numero dei componenti/provini, l’estensione della superficie ispezionabile e la portabilità della tecnica, dal momento che esiste una grande varietà di penetranti e sviluppatori indicati per le specifiche applicazioni. La composizione chimica di un L.P. lavabile con acqua è caratterizzata dalla presenza di una sostanza colorante, agenti tensioattivi che realizzano l’emulsificazione in acqua e un 70/80% di petrolio come diluente. Un liquido

2 Aerospace Material Specification 3 American Standard for testing Materials

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31 penetrante a base acquosa (water based) utilizza come diluente l’acqua al posto del petrolio. I vantaggi di utilizzare come mezzo economico diluente l’acqua, non inquinante e facilmente reperibile, al posto del petrolio, sono ovvi, tanto che oggi le vernici all’acqua, i detergenti base acqua hanno sostituito i prodotti a base di solventi petroliferi.

Nel presente studio ci si concentra sulle applicazioni dei penetranti visibili, la cui sostanza base viene additivata con una certa quantità di pigmento rosso per garantire una colorazione sufficientemente intensa anche quando la quantità di penetrante coinvolta nella formazione dell’indicazione è ridotta in quanto si vogliono rilevare cricche particolarmente strette e poco profonde.

Il parametro fondamentale per un buon esito del test è la sensibilità4 e il primo step

consiste nel valutare la classe di liquido penetrante da utilizzare, tenendo presente che se la superficie è porosa o molto rugosa si ottiene un risultato estremamente “rumoroso”.

Da alcuni studi è risultato che per indicazioni scure di diametro superiore a 0,076 millimetri il livello di contrasto non è significativo, ma se l’indicazione è caratterizzata da un diametro inferiore a tale valore essa non è rilevabile anche se si ha uno sfondo chiaro ed un elevato contrasto, mentre risulterà apprezzabile se l’indicazione è chiara su sfondo scuro.[9]

È chiaro, quindi, che un liquido penetrante più sensibile è più performante di uno visibile se si vogliono individuare difetti di dimensioni ridotte. Se si vogliono rilevare difetti relativamente grandi non è necessaria un’elevata sensibilità che darebbe luogo a molte indicazioni irrilevanti. Se la rugosità della superficie da testare è elevata o i difetti sono situati in zone particolari quali i giunti saldati, i penetranti meno sensibili si dimostrano certamente più indicati.

I liquidi penetranti si classificano in base alla classe di sensibilità che discrimina la capacità di rilevare cricche piccole e sottili difficili da individuare a causa della capacità del liquido di penetrare e della modesta quantità di sostanza che va a formare l’indicazione. La capacità di penetrazione, infatti, diminuisce quanto più la

4 La sensibilità di rivelazione è caratterizzata da un valore soglia che definisce le dimensioni minime

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composizione del penetrante si allontana dalle condizioni “naturali”, rappresentate dalla base derivata dal petrolio. Dunque, l’aggiunta di additivi come pigmenti colorati ed agenti emulsificanti, rende il prodotto più “carico”, e quindi di più difficoltosa introduzione in cricche sottili.

Di conseguenza i penetranti fluorescenti sono generalmente più performanti di quelli colorati in quanto meno “carichi” rispetto alla base idrocarburica, quindi richiedono una minore quantità di sostanza fluorescente rispetto a quella colorata che permette loro di inserirsi più facilmente nelle cricche superficiali più sottili.

Un’altra classificazione dei L.P. viene fatta in base al metodo di rimozione del penetrante in eccesso.

In generale i penetranti rimovibili con solvente e quelli post-emulsificabili sono avvantaggiati rispetto a quelli autolavanti. In assoluto, i penetranti migliori sono quelli rimovibili con solvente poiché mantengono le loro caratteristiche invariate sia nella fase di penetrazione che in quella di assorbimento.

La penetrazione nelle discontinuità superficiali del materiale può risultare meno efficace per i penetranti post-emulsificabili, i quali non contengono l’agente emulsificante nella fase di penetrazione, ma solo nella fase di assorbimento.

In sintesi, la sensibilità di rilevazione di cricche sottili e poco profonde, cresce passando dai penetranti colorati a quelli fluorescenti e da quelli water based a quelli rimovibili con solvente.

La scala di sensibilità messa a punto dalla US Air Force Materials Laboratory definisce 5 livelli di sensibilità:

 Livello 1/2 – Sensibilità ultra-bassa;  Livello 1 – Sensibilità bassa;

 Livello 2 – Sensibilità media;  Livello 3 – Sensibilità alta;  Livello 4 – Sensibilità ultra-alta.

La procedura utilizzata per definire questa scala fa uso di provini in titanio ed Inconel la cui superficie è caratterizzata dalla presenza di cricche superficiali prodotte a seguito di azioni di fatica a basso numero di cicli.

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2.3 Le tecniche di ispezione con i liquidi penetranti

La procedura di controllo standard con i liquidi penetranti è regolata dalla normativa EN-ISO 3452-1 Non destructive testing-Penetrant testing.[13] L’appendice A della normativa descrive i 6 step fondamentali per l’applicazione dei liquidi penetranti sulla superficie da testare:

 Pulizia e preparazione della superficie da ispezionare

 Applicazione del liquido penetrante e attesa del tempo di penetrazione  Rimozione del penetrante in eccesso

 Applicazione dello sviluppatore

 Osservazione della superficie ed esame delle indicazioni  Pulizia per riportare la superficie alle condizioni iniziali

Di seguito verrà descritta nel dettaglio la procedura operativa standard nel caso generale con particolare riferimento alle varie tecniche impiegate e le variabili controllabili dall’operatore.

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2.3.1 Preparazione della superficie

Una delle operazioni più critiche nell’ispezione non distruttiva con liquidi penetranti è la preparazione preliminare della superficie da testare.

È necessario rimuovere accuratamente tutti gli elementi estranei al componente/provino da testare quali vernici, sporcizia, residui di fusione o precedenti lavorazioni per asportazione di truciolo (ricalcature di metallo), oppure placcature, grassi, ossidi e residui di eventuali precedenti controlli con i L.P. in modo che le eventuali cricche presenti trovino sbocco sulla superficie. Infatti, i rivestimenti superficiali come le vernici, sono molto più elastici del metallo e non si fratturano anche se sotto di essi vi è un difetto di grandi dimensioni. In tal caso lo strato di metallo deve essere rimosso prima del controllo. Tutti queste sostanze estranee, se non preventivamente rimosse, possono pregiudicare l’esito positivo del test.

La pulizia può essere effettuata con metodi meccanici (spazzolatura, smerigliatura, sabbiatura), chimici (solventi o prodotti analoghi) o con una combinazione di entrambi. Al termine dell’operazione di pulizia preliminare, la superficie da testare deve risultare asciutta e pulita, in modo tale da fornire un substrato ottimale alla successiva fase di applicazione del liquido.

2.3.2 Applicazione del liquido penetrante

In generale, tutti i L.P. devono essere caratterizzati da alcuni requisiti. In particolare, devono poter essere facilmente applicati sulla superficie da testare in modo tale da realizzare uno strato uniforme ed essere assorbiti dalle cricche per azione della capillarità. Un liquido penetrante usato correttamente deve penetrare nei difetti che si vogliono rilevare per poi essere rimosso facilmente dal resto della superficie. Nel caso si utilizzi uno sviluppatore per richiamare il liquido in superficie è necessario che il prodotto utilizzato rimanga fluido per tutta la durata della prova.

In termini operativi, l’applicazione del penetrante sulla superficie da testare può essere realizzata mediante spruzzatura, spennellatura o immersione. Il sistema più semplice è la spruzzatura con bombolette spray che permettono una facile stoccaggio dei prodotti.

Per geometrie del pezzo particolarmente complesse si potrebbero avere delle difficoltà a raggiungere col getto alcune regioni di interesse e l’immersione è l’unico

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35 sistema che assicura la massima uniformità di applicazione. La particolare tecnica di applicazione scelta non ha un impatto significativo sulla sensibilità del controllo.

2.3.3 Tempo di penetrazione (dwell time)

Una volta applicato il liquido penetrante sulla superficie oggetto del test occorre garantire l’assorbimento per capillarità da parte del difetto per un certo intervallo di tempo detto tempo di penetrazione (dwel time). Il tempo di penetrazione è funzione di molti parametri tra cui le proprietà fisiche del liquido penetrante (tensione superficiale, viscosità, densità e proprietà microstrutturali).

L’efficacia della LPI dipende in modo significativo da questo parametro che generalmente è suggerito dai produttori, ma può essere anche determinato sperimentalmente tramite opportune prove. In linea di massima il dwell time rientra sempre in un range di 5÷60 min.

Se il penetrante rimane troppo tempo a contatto con l’atmosfera fa evaporare i componenti volatili, e di conseguenza aumenta la concentrazione di pigmenti nei difetti che risultano potenzialmente più visibili.

Se invece il tempo di penetrazione è maggiore di quello raccomandato vi è il rischio di essiccamento che potrebbe rendere difficoltosa la fuoriuscita del penetrante nella fase di assorbimento ad opera del rivelatore.

Nella tabella 2.1 sono riportati, a titolo di esempio, i requisiti ed il tempo di penetrazione di differenti penetranti, per provini in acciaio.

Due ricercatori americani hanno effettuato alcuni studi per determinare il dwell time ottimale richiesto per rilevare una serie di difetti in provini di titanio.[19] I penetranti utilizzati erano due liquidi fluorescenti della Magnaflux di cui uno post-emulsificabile e l’altro auto-lavante. Lo studio è stato condotto utilizzando come variabile il tipo di sviluppatore; in particolare nello studio è stato trovato il minimo dwell time applicando sviluppatori non acquosi, sviluppatori acquosi e sviluppatori in polvere. Sono stati testati anche provini senza alcuno sviluppatore.

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Tab 2.1 Tempo di penetrazione suggerito dalle norme per vari difetti [9]

NR: Tempo non suggerito per tale metodo di esame

I provini utilizzati presentavano difetti di origine diversa: cricche da stress corrosion cracking, cricche di fatica e porosità. I risultati hanno confermato che il dwell time ottimale varia con la tipologia di difetto da rilevare e il tipo di sviluppatore usato.

Tab 2.2 Minimo tempo di penetrazione per difetti in titanio [19]

Al termine del tempo di penetrazione, si deve procedere alla rimozione di tutto il penetrante che non sia quello intrappolato nelle discontinuità.

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2.3.4. Rimozione del penetrante in eccesso

L’operazione più critica del controllo non distruttivo con i liquidi penetranti risulta la rimozione dell’eccesso di penetrante dal resto della superficie. Occorre prestare molta attenzione in questa fase perché il liquido deve essere rimosso dalla superficie da testare, ma allo stesso tempo è necessario non eliminare porzioni di liquido rimaste nei difetti.

I metodi di rimozione prevedono l’utilizzo di un solvente in grado di sciogliere il penetrante o l’emulsificazione del liquido tramite l’aggiunta di agenti emulsificanti che lo rendano asportabile tramite lavaggio con acqua.

La normativa EN ISO 3452-1, già citata, classifica i penetranti in base al metodo di rimozione in:

 Metodo A – Lavabile con acqua

 Metodo B – Post emulsificabile, lipofilo  Metodo C – Rimovibile con solvente  Metodo D – Post emulsificabile, idrofilo

Se il liquido penetrante non contiene l’agente emulsificante non può essere rimosso con acqua e pertanto deve essere sciolto con un solvente o mediante l’aggiunta di tale agente. L’applicazione dell’emulsificante, può essere compiuta dopo l’applicazione del penetrante sulla superficie e prima dell’applicazione del rivelatore. Un penetrante che necessita dell’aggiunta, da parte dell’operatore, dell’emulsificante, è detto post-emulsificabile.

Nel caso in cui l’agente emulsificante è già presente nel penetrante, il penetrante si definisce autolavante (metodo A).

In questo caso il penetrante è autoemulsificante e può essere rimosso con della semplice acqua corrente. I metodi B e D interessano i penetranti appartenenti alla categoria dei post-emulsificabili e possono essere lipofili od idrofili a seconda che la sostanza sia solubile nell’olio o solubile nell’acqua.

I prodotti post-emulsificabili lipofili (sia penetranti che emulsificanti), sono costituiti da sostanze a base oleosa e vengono forniti pronti all’uso, mentre quelli idrofili, che utilizzano come emulsionante un detersivo solubile in acqua, sono commercializzati sotto forma di concentrato da diluire in acqua prima dell’uso.

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Tempi di emulsificazione troppo brevi non permettono la rimozione di una adeguata quantità di penetrante in eccesso, mentre al contrario tempi troppo lunghi possono portare all’emulsificazione anche del penetrante contenuto nei difetti ed al loro conseguente svuotamento. Quando si ritiene che il tempo trascorso sia tale da aver garantito la corretta emulsificazione del penetrante superficiale, la rimozione può essere effettuata con un getto d’acqua.

Il metodo di rimozione D prevede l’utilizzo di un solvente e la fase di rimozione del penetrante in eccesso è piuttosto critica poiché lavaggi incompleti sono causa della formazione di indicazioni non rilevanti che si formano nelle zone poco pulite. Da ciò può derivare la difficoltà a percepire le indicazioni provenienti da discontinuità molto piccole e, in generale, una ridotta efficacia dell’esame.

2.3.5 Applicazione del rivelatore (fase di sviluppo)

La funzione del rivelatore (o sviluppatore) è quello di attirare in superficie il penetrante rimasto intrappolato nelle cricche e di espanderlo in modo tale da renderlo facilmente visibile all’operatore.

Per la definizione della procedura sperimentale non si prevede di utilizzare lo sviluppatore in quanto la fuoriuscita del liquido penetrante dalle cricche può essere innescata dalla sollecitazione flessionale ciclica del provino. Inoltre date le dimensioni estremamente ridotte delle micro-cricche da rilevare, le particelle di sviluppatore potrebbe mettere in risalto le irregolarità superficiali del materiale e dar luogo a un elevato numero di falsi positivi.

In secondo luogo l’utilizzo dello sviluppatore richiederebbe durante la prova di flessione a 4 punti una procedura più lunga in termini di tempo e maggiori precauzioni per la sicurezza dell’operatore. Si ricordi che l’obiettivo dello studio è determinare il numero di cicli necessari alla nucleazione di cricche superficiali in prove di fatica a flessione su 4 punti, le quali sono già onerose in termini di durata.

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2.3.6 Pulizia finale del provino

Dopo l’ispezione al boroscopio è necessario eseguire la pulizia della superficie superiore del provino per rimuovere i residui di penetrante rimasti nelle discontinuità che potrebbero interferire con le successive prove. Generalmente si utilizzano dei solventi specifici in forma di spray che sono consigliati dal produttore in base al tipo di liquido penetrante utilizzato. Il metodo di pulizia in genere consigliato consiste nello strofinare con un panno liscio impregnato di solvente la superficie testata. In alcuni casi il lavaggio con acqua fredda è sufficiente a eliminare completamente la presenza dei consumabili e di possibili aloni.

La norma EN UNI 3452-3:2013-Non destructive testing- Penetrant testing-Part 3: Reference test blocks [15] impone ai produttori di liquidi penetranti dei controlli di system performance per testare il livello di sensibilità dei liquidi penetranti e la ripetibilità del metodo. Per testare la ripetibilità del test con i liquidi penetranti si eseguono delle prove di lavabilità con dei Test Panel, pezzi campione con difetti noti da utilizzare per la stesura di una procedura di controllo con liquidi penetranti sia a temperature standard (da +10°C a +50°C), sia per qualificare procedure con penetranti per alte o basse temperature. Vengono inoltre utilizzati per valutare comparativamente prodotti di marche diverse, ottenendo utili elementi su sensibilità e lavabilità.

Il Test Panel di tipo 2 a norma EN ISO 3452-3 è costituito su un lato da un rivestimento di cromo con 5 punti di criccature ottenuti con penetratori a carichi crescenti. Sull’altro lato l’acciaio è sabbiato con 4 diverse rugosità (Ra = 2,5 μm, Ra=5μm, Ra =10μm, Ra =15μm) in modo da permettere la verifica contemporanea della sensibilità e della lavabilità.

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Fig. 2.2 Test panel di tipo 2 [15]

2.3.7 Norme di sicurezza per gli operatori

A seconda del contesto in cui si opera si farà riferimento a delle specifiche norme di sicurezza, tuttavia è possibile individuare delle best practice, comuni per tutti i tipi di test con liquidi penetranti, legate alla sicurezza da sostanze chimiche e dalla luce ultravioletta. Infatti, è buona norma, ogni volta che si utilizzano dei prodotti chimici, operare adottando le opportune per preservare la sicurezza e la salute sia degli operatori sia di chi opera in prossimità di essi.

Molti dei materiali utilizzati nelle rilevazioni con liquidi penetranti sono infiammabili e, pertanto, dovrebbero essere usati e stoccati in piccole quantità. Si dovrebbe poi lavorare in ambienti ben arieggiati ed evitare il contatto con scintille o altre possibili fonti d’incendio.

Gli operatori dovrebbero, inoltre, indossare sempre un apposito vestiario, che riduca al minimo le possibilità di contatto coi vari prodotti, gli appositi occhiali protettivi, per evitare il contatto dei prodotti con gli occhi, ed infine i guanti.

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2.4 Fattori che influiscono sulla sensibilità del metodo

È necessario prestare particolare attenzione sui fattori che influiscono sulla penetrazione del L.P. all’interno delle cricche superficiali in modo tale da scegliere opportunatamente i liquidi penetranti da utilizzare e mettere a punto una procedura operativa di controllo da applicare alla prova di flessione a fatica su 4 punti.

La penetrazione del L.P. all’interno delle cricche superficiali potrebbe non avvenire nei seguenti casi:

 le facce delle cricche sono in contatto o vi sono contaminanti derivanti da precedenti lavorazioni che impediscono la corretta penetrazione del L.P. all’interno dei difetti

 alcune dimensioni delle cricche non raggiungono la soglia di bagnabilità del materiale

 l’aria intrappolata nella cricca impedisce la penetrazione del liquido  la superficie non è correttamente bagnata dal liquido

 il dwell time scelto è insufficiente a garantire una corretta penetrazione

La finitura superficiale e la rugosità del materiale possono quindi influenzare significativamente la sensibilità del test. Generalmente le superfici più rugose trattengono più penetrante nelle loro asperità superficiali rispetto alle superfici smooth e questo può mascherare l’indicazione della cricca nella misura in cui riduce il contrasto tra l’indicazione del difetto (rosso) e lo sfondo costituito dal materiale base o dall’eventuale sviluppatore (bianco) impiegato. Per minimizzare questo problema si impiegano penetranti meno sensibili quindi con angoli di contatto più alti in modo da poter essere rimossi più facilmente durante il lavaggio e ridurre il rischio di false indicazioni. D’altro canto, i L.P. meno sensibili penetrano più difficilmente nelle cricche sottili quindi la sensibilità dell’ispezione è più bassa. La soluzione ottimale consiste nel trovare un trade-off tra il livello di contrasto e il livello di sensibilità quando si effettua la scelta del liquido penetrante. Per esami particolarmente sensibili si usano liquidi senza emulsionante (post-emulsionabili o asportabili con solvente), che hanno anche il vantaggio di permanere nelle cavità larghe e poco profonde, ma il solvente si può usare solo su superfici limitate ed il post-emulsionabile è una tecnica assai complessa, limitata al campo aerospaziale.

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3. Specifica tecnica

3.1 Generalità

Il presente capitolo definisce le specifiche tecniche di un sistema di misura di short cracks in prove sperimentali di fatica a flessione su quattro punti. L’attrezzatura di misura è destinata ad essere installata su macchine di prova di trazione servoidrauliche con controllo in anello chiuso e fondoscala di 50 kN.

Da un’analisi dello stato dell’arte delle tecniche disponibili per la rilevazione di cricche superficiali risulta che la tecnica più idonea e compatibile con le attrezzature sperimentali in possesso dal Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università di Pisa, è quella basata sull’ispezione con i liquidi penetranti. La metodologia di prova prevede l’utilizzo di classi di liquidi penetranti a contrasto di colore conformi allo standard EN ISO 3452 “Non destructive testing- Penetrant testing”. L’ispezione visiva delle indicazioni di cricche superficiali prodotte dai liquidi penetranti sulla superficie da testare dovrà essere effettuata mediante l’ausilio di un Video-Boroscopio.

Le esigenze che hanno condotto alla realizzazione dell’attrezzatura di misura riguardano la possibilità di distinguere la fase di nucleazione di cricche superficiali dalla fase di crack-propagation al fine di scartare preliminarmente i provini con un certo grado di difettosità insita nella loro produzione e disporre di dati più significativi per la caratterizzazione sperimentale del limite di fatica del materiale testato.

3.2 Prestazioni

3.2.1 Generalità

L’obiettivo del sistema di misura è caratterizzare la fase di nucleazione di short cracks in termini di numero di cicli.

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