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Gli incentivi non monetari nei rapporti di lavoro subordinato

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Academic year: 2021

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I

NDICE

INDICE ... 1 INTRODUZIONE ... 3 CAPITOLO I: LAVORATORI SODDISFATTI ... 5 1. Il metodo Great Place to Work® ... 7 2. Contrattualizzabilità degli incentivi non monetari ... 10 3. Il costo latente del compenso ... 18 CAPITOLO II: ALCUNI INCENTIVI NON MONETARI ... 26 1. Benefit ... 27 2. Il rispetto ... 30 Riconoscimenti simbolici ... 37 Attenzione ... 40 Fiducia ... 42 3. Riconoscimenti online ... 44 4. Il potere del modello identitario ... 48 5. Le problematiche delle punizioni ... 53 CAPITOLO III: ALCUNI MODELLI ... 55 1. Il modello Principale-Agente ... 55 2. Il free riding e gli incentivi di gruppo ... 66 3. Il modello Principale-Agente modificato da Ellingsen and Johannesson ... 68 4. Il modello Principale-Agente con la variabile identità ... 74 CAPITOLO IV: CONCLUSIONI ... 77 REFERENZE ... 80 Bibliografia ... 80 Sitografia ... 84 RINGRAZIAMENTI ... 85

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Introduzione

Nel corso dei secoli si sono susseguite numerose teorie economiche, la maggior parte delle quali si basa su ipotesi e generalizzazioni che permettevano di ragionare sul modello di un mondo razionale, popolato da Homini oeconomici.

Esiste però una branca dell’economia relativamente nuova, ma non meno proficua e riconosciuta in ambito accademico – ne sono testimonianza i numerosi Premi Nobel assegnati tra gli studiosi in questo campo – che si occupa di analizzare una società in cui sono presenti delle imperfezioni, che non permettono di raggiungere i risultati ottimi (first best), bensì tendono verso i migliori equilibri possibili (second best). Si tratta di caratteristiche che a livello sociale e antropologico permettono di dipingere un homo più vicino a quello che conosciamo nel nostro quotidiano, che non ha conoscenza assoluta delle cose ed è dunque caratterizzato da una razionalità limitata e da contesti di asimmetrie informative. Sono stati quindi elaborati modelli che si basano sulle azioni nascoste (hidden action) e le informazioni nascoste (hidden information) che affliggono le transazioni a cui siamo interessati e a causa delle quali i contratti non risultano completi.

L’attenzione di chi scrive è stata attratta principalmente dagli incentivi non monetari e da come essi possano essere utilizzati dalle imprese per creare dei contratti self-enforcing e per permettere di suddividere i potenziali lavoratori in categorie, studiando dunque i meccanismi che maggiormente potrebbero risultare premianti per l’impresa nel facilitare dinamiche che non siano puramente guidate dal compenso monetario.

Nel primo capitolo viene presentata la materia in oggetto, facendo riferimento all’importanza derivante dal coinvolgere e motivare i propri collaboratori, nell’ottica di un miglioramento produttivo e della creazione di un clima aziendale che contribuisca al raggiungimento del benessere dei dipendenti. Attualmente, le imprese

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non ottengono solo un vantaggio interno da queste strategie ma hanno anche la possibilità di essere riconosciute come enti virtuosi da un’associazione terza, chiamata Great Place to Work® di cui viene presentata la filosofia.

L’utilizzo di incentivi non monetari in alcuni casi rappresenta una voce in busta paga a tutti gli effetti, soprattutto per ciò che riguarda i benefit che hanno un valore monetario quantificabile. Per la loro natura, però, essi possono essere fortemente collegati agli incentivi monetari, per questo nei capitoli successivi ci si concentrerà maggiormente su quelle forme di gratificazione che dipendono maggiormente da aspetti simbolici, con l’obiettivo di appagare bisogni superiori a quelli materiali. Tale interesse nasce soprattutto da alcuni studi di Frey, che hanno teorizzato l’effetto crowding-out, a causa del quale diventa importante valutare le performance dei lavoratori anche in relazione alla loro motivazione, individuando il metodo migliore per spronarli a continuare ad impegnarsi quotidianamente. Infatti è stato dimostrato che non sempre un incentivo monetario rappresenta una leva per il miglioramento delle performance.

Nel secondo capitolo viene proposta una panoramica degli incentivi maggiormente noti, per poi concentrarsi su quanto riscontrabile in ambito accademico, presentando le teorie di studiosi come Ellingsen e Johannesson, Dickson, Akerlof e Kranton. Si presenta anche l’ipotesi di un sistema di riconoscimenti che utilizzi come veicolo la rete internet per un sistema di riconoscimenti peer-to-peer, considerando i vantaggi e gli svantaggi derivanti dalla natura stesso dello strumento che può rappresentare una minaccia in termini di retention. Infine, si apre una breve digressione sui risultati dell’utilizzo dei provvedimenti disciplinari.

Nel terzo capitolo si propongono il modello principale-agente, le problematiche connesse agli incentivi di gruppo e le modifiche applicabili in contesti dove gli incentivi non monetari assumono un ruolo chiave.

L’elaborato si conclude con alcune considerazioni personali dell’autrice per rispondere a una serie di quesiti tra cui: “perché una tesi di marketing riguardo la

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Capitolo I: Lavoratori soddisfatti

Quando parliamo di un agente economico non possiamo né escludere né dimenticare che si tratta di un essere umano inserito in un contesto sociale.

Questi due elementi portano a farci riconoscere che esistono una serie di variabili da cui non si può prescindere nel cercare di descrivere i comportamenti ottimali da attuare. Il primo di essi è dato dal fatto che le scelte degli agenti derivano dalla risposta a degli stimoli esterni [Frey, 1997].

Si devono quindi suddividere le motivazioni intrinseche dalle motivazioni estrinseche. Le prime rappresentano tutto quel moto interiore che risulta difficile da generalizzare e che dunque richiederebbe una frammentazione eccessiva della casistica per poter essere inserito in un modello, per cui esso viene preso come una variabile con un’incidenza marginale rispetto alle motivazioni estrinseche e spesso trascurata in economia, contrariamente a quanto avviene in psicologia, dove rappresenta il fulcro delle dissertazioni. Per la nostra ricerca possiamo inizialmente considerare le motivazioni intrinseche secondo la definizione fornita da Deci [1971, p.105]: una persona agisce mossa da una motivazione intrinseca solo nel momento in cui non ha altro beneficio, se non la soddisfazione dello svolgere il gesto di per sé, non riceve dunque un compenso esterno. Questa definizione risulta difficile da comprendere in pieno, perché spesso le persone provano soddisfazione e stima di sé grazie all’approvazione di chi li circonda e di coloro per cui provano considerazione. Questo concetto verrà introdotto successivamente attraverso il senso di rispetto che un datore di lavoro o un superiore può rivolgere verso un proprio sottoposto. [Frey, 1997, Brennan e Pettit, 2004 Ellingsen e Johannesson, 2007]

Le motivazioni estrinseche, invece, sono ritenute fondamentali per poter spiegare proprio le decisioni degli individui, poiché esse provengono dall’esterno e possono rappresentare quindi dei fattori di scelta per poter indirizzare il comportamento altrui, oppure per permettere di attuare meccanismi di segnalazione o di screening.

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In economia i soggetti sono portati a ricercare la soluzione ottimale e che quindi arreca loro maggiore utilità, normalmente essa coincide con un beneficio economico – possiamo ricollegarci semplicemente alla teoria dell’effetto prezzo (relativo) per cui, ceteris paribus, si rivolge il proprio impegno all’attività che permette di ottenere un compenso superiore a quello delle alternative - e per questa motivazione i soldi sono considerati la miglior forma di remunerazione per un dipendente, che deve essere disposto a svolgere dei compiti richiestigli da un proprio superiore.

Oltre al modello dell’homo oeconomicus ne è stato elaborato uno definito dall’acronimo HOM che significa Homo Oeconomicus Maturus. La caratteristica che distingue questo soggetto è la sua collocazione in una sfera motivazionale complessa, in cui si considerano elementi come l’altruismo (Becker, 1981) e le norme sociali (Akerlof, 2003). L’Hom prende l’effetto prezzo come dato, ma la sua relazione positiva tra prezzo e quantità nell’offerta non è più universalmente valida a causa di relazioni che si basano su valutazioni emotive, che nascono da osservazioni empiriche. Alcuni tratti distintivi riguardano ad esempio l’incapacità del uomo a valutare la ricchezza in termini assoluti, poiché si necessita sempre di un termine di paragone. Inoltre non si fa distinzione tra i costi ormai sopportati e quelli che andranno ancora affrontati, ogni decisione viene vista all’interno di un contesto in cui il modo di presentare le

informazioni modifica il risultato finale.1 Nonostante ciò tutte le anomalie proposte

non violano l’effetto prezzo, ma permettono di analizzare il comportamento umano con le sue sfaccettature emotive. Il limite di un modello di uomo psicologico- economico riguarda l’impossibilità di isolare ed analizzare singoli effetti, correndo 1 In questo contesto sono stati presentati solo gli effetti di interesse per la z rassegna completa si vedano: Dawes R. M. (1988), Rational Choice in an Uncertain World, Harcourt, Brace, Yovanovich, San Diego – New York Frey B.S. e Eichenberger R. (1989), Anomalies and Institutions Journal of Institutional and Theoretical Economics, 145, pp. 423-437 Thaler R. H. (1987), The Psychology of Choice and the Assumption of Economics, in Alvin E. Roth (a cura di), Laboratory Experimentation in Economics, Cambridge University Press, Cambridge pp. 99-130 Thaler R.H. (1992), The Winners Course. Paradoxes and Anomalies of Economic Life, Free Press, New York.

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anche il rischio di privare le caratteristiche psicologiche della loro vera natura affrontandole in maniera semplicistica. In questo senso si muovono una serie di organizzazioni come Great Place To Workâ2 , che presuppongono il fatto che non siano solo i soldi a rendere i lavoratori soddisfatti, ma che ci siano anche altre aree di interesse per i soggetti, che possano rappresentare delle remunerazioni a cui ciascuno fornisce un valore differente, ma che secondo studi accreditati permettono di fidelizzare il lavoratore, portandolo in un’ottica di cooperazione e coinvolgimento superiore rispetto a quella che sarebbe fornita da una mera retribuzione economica. 1. Il metodo Great Place to Work

®

"Un ambiente di lavoro eccellente è quello in cui ti fidi delle persone per cui lavori, sei orgoglioso di ciò che fai e hai un buon rapporto con i colleghi.” Robert Levering Co-Fondatore Great Place to Work®. Fin da un primo approccio verso questa istituzione si comprende come tutto venga fatto ruotare intorno al concetto di fiducia, che in ambito accademico ha ricevuto svariate definizioni. In questa trattazione ci concentreremo soprattutto su una definizione fornita da R. Kreitner e A. Kinicki (1998), secondo cui la fiducia sia costituita da una relazione tra gli individui basata sulla fede reciproca nelle intenzioni e nei comportamenti delle persone che ci circondano all’interno di un’organizzazione. 2 Great Place To Workâ è un’organizzazione che si occupa di stilare classifiche in tutto il mondo per riconoscere e certificare i migliori ambienti di lavoro. La sua missione è “costruire una società migliore aiutando le aziende a trasformare il loro ambiente di lavoro”.

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Questa definizione si colloca in oggetto introducendo una prima domanda aperta: la cultura aziendale può essere definita come una delle variabili che costituiscono gli

incentivi non

monetari? Great Place to Workâ presenta questo concetto come

due diverse

facce di una stessa medaglia: dal punto di vista dei collaboratori e da quello dei manager.

Come si

evince dalla

figura 1, la fiducia unisce delle componenti che sembrano ad un primo ragionamento riconducibili alle motivazioni intrinseche, ma in un’ottica di analisi economica e non psicologica – nonostante la natura stessa dell’argomento non permetta una totale separazione delle due discipline – sembra opportuno menzionare un altro filone di pensiero, secondo il quale ogni motivazione intrinseca, in realtà abbia anche una componente estrinseca, che si confà ai ragionamenti economici per cui ogni azione e ogni decisione viene effettuata per poter conseguire la massima utilità possibile. I desideri di credibilità, rispetto, equità non permettono solo di provare piacere di per sé, bensì diventano completamente realizzati nel momento in cui queste caratteristiche ci vengono riconosciuti dall’esterno. Cameratismo e orgoglio, invece, rappresentano piuttosto dei mezzi per poter raggiungere il valore centrale ricercato.

Figura 1: il concetto di fiducia nella visione del collaboratore (fonte: http://www.greatplacetowork.it/)

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D’altro lato abbiamo la visione del manager, da cui si prende spunto per poter portare i concetti prima visti su un piano maggiormente pratico, riconoscendo dunque un iniziale ventaglio di possibili incentivi per i dipendenti, che permettano di rendere il collaboratore non solo maggiormente motivato verso il raggiungimento degli obiettivi aziendali, ma anche più coinvolto, soddisfatto e fedele.

A fronte delle constatazioni appena effettuate, può un aumento di stipendio (un incentivo cioè puramente monetario) sopperire alla mancanza di ascolto, comunicazione e confronto? Great Place to Workâ attraverso due indici (TRUST INDEXÓ e CULTURE AUDITÓ) ha individuato 11 aree di analisi per riconoscere l’efficacia di un sistema organizzativo: 1. Leadership 2. Comunicazione 3. Diversità ed equità 4. Wellbeing ed equilibrio vita – lavoro 5. Impatto sull’ambiente e sulla società 6. Orgoglio nel ruolo e nell’organizzazione 7. Formazione e sviluppo Figura 2: il concetto di fiducia nella visione del manager (fonte: http://www.greatplacetowork.it/

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8. Empowerment e riconoscimento 9. Cameratismo e ambiente sociale 10. Team working 11. Stipendi, benefici e risorse La dissertazione in oggetto si incentra su questo ultimo punto, ma lo scopo è quello di giungere ad un riconoscimento formale anche degli altri elementi introdotti, con l’obiettivo di suddividere ciò che rappresenta la pura cultura aziendale dagli incentivi non monetari o benefit e il loro impatto per i vari livelli di inquadramento all’interno dell’organizzazione aziendale. 2. Contrattualizzabilità degli incentivi non monetari Ogni contratto di lavoro, per sua natura, prevede una remunerazione, che può essere composita, ma che deve avere delle caratteristiche minime, in rispetto del

primo comma dell’art 36 della Costituzione Italiana3. Anche nel Codice Civile troviamo

dei riferimenti ben precisi riguardo alla remunerazione della prestazione lavorativa nell’articolo 2099 C.C.

Ci soffermiamo sul 3o comma:

Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o ai prodotti [2102], con provvigione o con prestazioni in natura [1639, 2121]. Viene così introdotta la possibilità di fornire al lavoratore dei compensi che siano stabiliti a tempo o a cottimo e non solo di natura monetaria, anche se la maggior parte delle voci che normalmente si trovano in busta paga lo è. Secondo la teoria principale-agente una delle leve per calcolare la retribuzione ottimale è la qualità del lavoro [Hart e Holmström, 1987; Stiglitz, 1987; 1991], che 3 “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.”

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viene presa come assunto insieme al fatto che nessuno lavorerebbe se non ricevesse un compenso monetario [Lane, 1991].

In un trattato di Ballestrero e De Simone, le forme della retribuzione vengono

suddivise come segue:

- retribuzione a tempo, composta dalla retribuzione base, a cui si aggiungono una serie di indennità createsi nel corso del tempo come conseguenza della contrattazione collettiva, premi, gratifiche e superminimi.

- retribuzione a cottimo

- partecipazione ad utili e provvigioni, in meccanismi come quello degli stock option

- retribuzione in natura, che varia dalla messa a disposizione di vitto e/o alloggio, includendo accordi sui servizi mensa che possono anche prevedere l’utilizzo dei buoni pasto, oppure dei benefit Secondo l’approccio del modello Total Reward, possiamo individuare 4 aree di interesse per il lavoratore, che costituiscono parte della sua retribuzione direttamente o indirettamente. RETRIBUZIONE FISSA: Ha una base ben delineata dalla contrattazione collettiva di primo o secondo livello e comprende: - minimo contrattuale - scatti di anzianità - contingenze - superminimo

In questa voce rientrano i primi due punti individuati da Ballestrero e De Simone.

In generale, la retribuzione fissa ha una base comune per tutti i dipendenti di pari livello, che permette di garantire quel principio di equità, che altrimenti non

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sarebbe soddisfatto e risulterebbe difficile giustificare eventuali disparità garantendo un clima aziendale in armonia tra i collaboratori.

RETRIBUZIONE VARIABILE:

Rappresenta una voce più complicata da esplicitare e per cui è possibile formalizzare differenti scenari. Comprende i piani di incentivo personali e di gruppo, basati sul raggiungimento di obiettivi. Vengono fatti rientrare in questa categoria: - straordinari - bonus saltuari - incentivi di breve periodo - incentivi di lungo periodo

Il minimo comune denominatore di questa categoria è rappresentato dalla variabilità degli incentivi e dalla aleatorietà degli stessi, che possono essere raggiunti oppure no e avere un carattere puramente sporadico. Gli incentivi di lungo periodo sono quelli su cui si potrebbe approfondire maggiormente in un’ottica di incentivazione non monetaria dei collaboratori, non per la loro natura, bensì per la ricerca e la formalizzazione su cui essi devono essere basati, secondo un percorso che permetta al collaboratore di crescere e di affrontare una serie di step, raggiungendo dei risultati che appaghino più per il percorso svolto, che per il beneficio monetario ottenuto. BENEFIT:

Rappresentano gli incentivi non monetari maggiormente diffusi e anche in questo caso possono essere concessi con contrattazioni differenti.

Il loro impiego può essere per motivi aziendali e quindi utilizzabili solo nel contesto lavorativo, oppure ad uso promiscuo, ovvero dei benefit che siano esclusivamente pensati per il privato del collaboratore.

Una breve panoramica dei benefit maggiormente diffusi include: - Alloggio, carta di credito

- Autovettura, telefono cellulare, pc portatile

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- Buoni pasto, vitto o istituzione di un servizio mensa - Asilo aziendale, borse di studio per i figli dei dipendenti

In generale, ogni benefit può essere utilizzato con uno scopo differente: dallo stimolare il collaboratore riconoscendogli uno status superiore rispetto ai suoi sottoposti, ma pari ai suoi colleghi di pari livello – benefit fino alla fidelizzazione dei soggetti con forte potere decisionale, permettendo di uniformare gli obiettivi di management e proprietà, come nel caso degli stock option.

AMBIENTE DI LAVORO:

Questa ultima area è la più poliedrica e anche la più complessa da schematizzare. Abbiamo visto la sua importanza nella digressione riguardante Great Place To Workâ e i due indici su cui la loro classifica si basa, ma nel modello del Total Reward essa rappresenta una chiave di svolta. Infatti si segue la seguente formula: TOTAL REWARD = TOTAL COMPENSATION + CULTURE ENTERPRISE Dove la cultura aziendale corrisponde all’ambiente di lavoro che racchiude in sé tutti i concetti di crescita del soggetto e quegli aspetti in cui possiamo riconoscere la presenza della motivazione intrinseca: - opportunità di apprendimento, formazione, coaching/mentoring - carriera, riconoscimenti formali, natura dell’impiego, ergonomia del lavoro - stabilità contrattuale - stile della leadership Uno studio svolto da OD&M Consulting4 per UNINDUSTRIA BOLOGNA affronta questo tema con una sorta di guida pratica, che parte dal modello del Total Reward, appena citato. Secondo gli studi condotti da questa società, tra il 2009 e il 2010 abbiamo assistito alla crescita di alcuni sistemi incentivanti, come evidenziato dalla seguente tabella. 4 OD&M Consulting è una società di consulenza direzionale per la valorizzazione delle risorse umane.

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Tabella 1: Elaborazione personale di dati ottenuti dal Rapporto 2010 "Domanda di Lavoro e retribuzioni", OD&M e UnionCamere. Intensità di presidio secondo la variazione annua 2009-2010 POLITICHE RETRIBUTIVE E GESTIONE DELLE RICOMPENSE 2009 2010 Δ% Incentivi individuali collegati ad un sistema formalizzato di valutazione della prestazione o delle competenze 2,6 3 16,60% Distribuzione di utili aziendali (in base al possesso di azioni o quote societarie) 1,8 2,1 14,50% Incentivi individuali collegati ad obiettivi di team/gruppo di lavoro 2,5 2,8 12,60% Miglioramento dell'ambiente e della qualità del lavoro 2,5 2,8 11,90% Incentivi collegati a obiettivi individuali (MBO) 3 3,3 9,60% Premio in natura 1,8 2 9,30% Incentivi individuali collegati ad obiettivi aziendali 2,9 3,1 8,20% Piano di stock option 2 2 2,80% Utilizzo di benefit (automobile, cellulare, servizi) 2,5 2,5 2,80% Aumenti individuali 2,6 2,7 2,30% Utilizzo degli straordinari 2,3 2,2 -3,80% Rinnovo dei contratti integrativi aziendali 2,9 2,7 -5,30% In alcuni di questi casi si tratta di piani di incentivi disegnati sui singoli soggetti o sui team, non solo basandosi sul raggiungimento degli obiettivi aziendali, ma anche su quello della crescita dei singoli soggetti. Notiamo come gli incentivi fino a poco tempo fa maggiormente utilizzati, ormai subiscano un incremento minimo nell’uso degli stessi e in alcuni casi addirittura una decrescita.

Risulta molto interessante analizzare non solo l’incremento avvenuto tra il 2009 e il 2010, ma anche l’incidenza di ogni singolo strumento, infatti nella tabella 2, ordinando i dati, secondo la diffusione di tali politiche nel 2010 si è evidenziato come tutti gli incentivi collegati direttamente a delle performance, quindi fortemente variabili, siano preferiti dalle aziende, rispetto a incentivi legati all’organizzazione aziendale, oppure a una contrattazione della retribuzione che sia maggiormente

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stringente e di minore flessibilità. In questo caso, si possono leggere i dati anche come una cannibalizzazione di alcuni incentivi, a favore di altri. Tabella 2: Elaborazione personale di dati ottenuti dal Rapporto 2010 "Domanda di Lavoro e retribuzioni", OD&M e UnionCamere. Intensità di presidio nell’anno 2010. POLITICHE RETRIBUTIVE E GESTIONE DELLE RICOMPENSE 2010 Incentivi collegati a obiettivi individuali (MBO) 3,3 Incentivi individuali collegati ad obiettivi aziendali 3,1 Incentivi individuali collegati ad un sistema formalizzato di valutazione della prestazione o delle competenze 3 Incentivi individuali collegati ad obiettivi di team/gruppo di lavoro 2,8 Miglioramento dell'ambiente e della qualità del lavoro 2,8 Aumenti individuali 2,7 Rinnovo dei contratti integrativi aziendali 2,7 Utilizzo di benefit (automobile, cellulare, servizi) 2,5 Utilizzo degli straordinari 2,2 Distribuzione di utili aziendali (in base al possesso di azioni o quote societarie) 2,1 Premio in natura 2 Piano di stock option 2

Si fornisce un esempio ai fini esplicativi: gli straordinari non sono più un incentivo per premiare i lavoratori più meritevoli, ma spesso le aziende preferiscono avere un organico che si limiti a sopperire al fabbisogno di ore medio, richiedendo dunque straordinario al proprio personale e effettuando questa richiesta in modo indistinto, per poter avere disponibilità da tutti nei momenti di maggior bisogno, ma annullando così il potere incentivante che permetteva allo strumento di essere percepito come un premio per la qualità del lavoro svolto. Allo stesso modo, i benefit, se non hanno scopo promiscuo (come prima accennato), diventano strumenti che l’impresa è costretta a mettere a disposizione per via delle richieste che avanza al lavoratore, come l’auto aziendale nel caso di trasferte numerose, che altrimenti si ripercuoterebbero in un rimborso spese.

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Gli aumenti individuali risultano ora poco compatibili con le teorie di equità, se essi non rientrano in un quadro organizzativo più ampio, come i contratti integrativi, che spesso fanno parte di una contrattazione che non coinvolge direttamente il lavoratore e ne fa perdere l’impatto reale.

Così i dipendenti si sono abituati a quelli che un tempo erano degli incentivi, perché ora rappresentano soluzioni alle problematiche aziendali e anche delle richieste avanzate dai sindacati e quindi ormai percepite dai lavoratori come dei diritti.

Le quattro componenti del Total Reward possono essere categorizzate secondo l’impatto verso il dipendente e quello verso l’azienda.

Tabella 3: Leve retributive del Total Reward, OD&M Consulting per Unindustria Bologna, in collaborazione con Manager Ricerche Direzionali di Bologna, “Sistemi premianti. Guida alla progettazione”.

COMPONENTE PROGETTAZIONE IMPATTO

INDIVIDUO IMPATTO ORGANIZZAZIONE RETRIBUZIONE FISSA Definizione del valore di mercato di una posizione tramite analisi esterna e collocazione rispetto al sistema interno Sicurezza finanziaria ATTRARRE e TRATTENERE RETRIBUZIONE VARIABILE Con obiettivi individuali / organizzativi Allineare l’indirizzo e i comportamenti MOTIVARE

BENEFIT Su base gerarchica Rispondere a

bisogni non monetari ATTRARRE e TRATTENERE AMBIENTE DI LAVORO In base a piani di sviluppo e carriera Bisogni superiori e di autorealizzazione TRATTENERE e MOTIVARE

Nella ricerca e coinvolgimento del personale vediamo 3 fasi (attrarre, trattenere e motivare). Secondo la tabella appena presentata, i due primi obiettivi possono essere effettuati con diversi strumenti, mentre per la motivazione si ricorre principalmente alla retribuzione variabile e all’ambiente di lavoro.

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Per quanto riguarda l’impatto dei benefit, il punto di vista di chi ha redatto il documento proposto come fonte risulta diverso da quello dell’autore, che ritiene i benefit possano rispondere sia a bisogni non monetari, sia a necessità che hanno una forte implicazione economica, se non vengono presentati e veicolati nella maniera migliore, come verrà successivamente spiegato. Sulla base dei commenti precedentemente proposti e data la focalizzazione della trattazione, la soluzione per incentivare di maggiore interesse è data dal salto di qualità che si può ottenere grazie all’ambiente di lavoro e dalla cultura aziendale in cui il dipendente viene inserito, proprio perché l’impatto riconosciuto rappresenta la realizzazione di bisogni che possiamo collocare ad un livello più elevato.5

Analizzando il ruolo degli incentivi dal punto di vista dei dipendenti è interessante menzionare la teoria delle aspettative, inizialmente formulata da Atkinson e poi resa famosa da Vroom (1964). Infatti, si considera che la motivazione dipenda sulle aspettative degli individui, basandosi sui compiti da svolgere e le performance ottenibili e sui riconoscimenti desiderati per le stesse. Il rapporto tra lo sforzo e le performance include l’impegno posto nello svolgere compiti che possono far riconoscere una remunerazione, ma che dipendono dalle abilità, dalle esperienze e dagli strumenti necessari. Nel caso in cui esse vengano raggiunte, è necessario che esista un riconoscimento all’altezza. Ciò dipenderebbe comunque dall’individuo, in quanto si tratta di percezioni soggettive che servono a identificare le necessità o le ricompense per ogni individuo, in base alle proprie inclinazioni e a quello che si desidera per la propria vita.

Un elemento chiave per la riuscita di quanto postulato da questa teoria riguarda la capacità dei manager di comprendere i desideri latenti dei propri collaboratori e quindi creare e istituire delle ricompense che siano stimolanti per i singoli individui. 5 Si rimanda per tali teorie alla piramide di Maslow, che si legge dalla base verso l’alto, costituendo una sorta di scala che il soggetto sale nel momento in cui appaga il bisogno che sta vivendo in quel momento, per dirigersi verso il raggiungimento del successivo, secondo l’ordine: bisogni fisiologici (retribuzione fissa), di sicurezza (retribuzione fissa, nei termini di un contratto a tempo indeterminato, ad esempio), di appartenenza (retribuzione variabile, che ha lo scopo di allineare gli intenti), di stima (benefit), di autorealizzazione (ambiente di lavoro).

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3. Il costo latente del compenso

Per costo latente del compenso si intende un effetto negativo derivante dall’utilizzo di un compenso monetario, che in realtà riduce la motivazione intrinseca. Come visto in precedenza, la motivazione intrinseca nasce da una sensazione di piacere che deriva direttamente dal gesto che viene messo in atto e che quindi non può essere influenzata da agenti esterni, se non in senso negativo, come talvolta avviene nel caso dei compensi monetari. Titmuss (1970) portò un esempio concreto riguardante il caso delle donazioni di sangue, che nel momento in cui provò a stimolare il meccanismo tramite pagamento, ottenne il risultato contrario. Questo non fu ritenuto un esempio degno di validità empirica, a causa della strutturazione dello stesso, ma permise di aprire un dialogo maggiore riguardo al tema. Frey (2005) individua tre processi psicologici legati al costo latente:

- limitazione dell’autodeterminazione: nel momento in cui si verifica un intervento dall’esterno (come un incentivo monetario nel nostro caso), si mette in atto anche un processo che sposta la responsabilità dall’interno verso l’esterno, sostituendo alla motivazione intrinseca il controllo attuato dal datore di lavoro

- limitazione dell’autostima: il coinvolgimento del collaboratore non viene apprezzato e riconosciuto, è come se l’incentivo monetario aumentasse l’autorevolezza dall’esterno riducendo dunque la percezione della propria capacità decisionale, che nascerebbe se fosse la motivazione intrinseca a guidare la persona

- limitazione della possibilità di esprimersi: anche in questo caso si riduce la motivazione a intervenire con un apporto personale

Le ipotesi sopracitate sembrano motivate da una relazione denaro – potere, infatti è come se il principale attuasse un’azione di “acquisto dell’obbedienza” del lavoratore, per cui un aumento salariale rappresenterebbe un incentivo ad accettare le decisioni provenienti dall’alto, senza contrapporvi eventuali considerazioni

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personali. A questa prima valutazione è possibile affiancare il meccanismo di delega – controllo, che talvolta può essere esteso a delega – controllo – provvedimento. Questo strumento è stato analizzato da Ellingsen e Johannesson, in quanto rappresenta una delle forme organizzative maggiormente utilizzate. È di interesse comprendere come i provvedimenti possano cambiare la concezione del meccanismo. Quando si riscontrano situazioni in cui le direttive non vengono eseguite si può procedere con un richiamo, ma le modalità con cui lo stesso viene effettuato hanno un impatto differente. Il mero rimprovero rappresenta motivo di sfiducia nei confronti della persona e dell’organizzazione, mentre un confronto volto a comprendere la mancanza compiuta permette la crescita all’interno dell’ambiente lavorativo, richiedendo capacità di autocritica e autoanalisi. Al contrario, quando il riscontro è positivo, si può monitorare il percorso e la crescita del singolo, fornendo elementi validi per l’impostazione di un contesto meritocratico. A seguito di tali conclusioni, sorge dunque spontaneo chiedersi quanto un incentivo monetario isolato possa rappresentare un’alternativa valida alla struttura di pensiero e organizzativa appena citata per la legittimazione del processo di delega – controllo – provvedimento. Un impatto alternativo può essere ottenuto se si attuano interventi esterni che vengono percepiti come sostegno agli sforzi effettuati, invece che come un atto di controllo. In questo caso, ad esempio, un benefit rappresenta sia uno strumento per svolgere al meglio il proprio lavoro, sia un bene che migliora la qualità di vita. A livello economico potrebbe apparire uguale ricevere il valore monetario dell’oggetto stesso, ma il fatto che tale somma di denaro non sarebbe legata a un uso specifico, non porterebbe un beneficio tale da far percepire l’emolumento come un apprezzamento e uno strumento per il migliorare l’attività lavorativa del dipendente. Questo meccanismo è stato definito in letteratura crowding-in, che significa che degli interventi operati dall’esterno possono accrescere la motivazione intrinseca del soggetto considerato.

Il concetto del controllo è di estrema rilevanza perché può essere percepito dal lavoratore come invasivo, oppure come uno strumento di sostegno allo stesso. Ciò dipende da alcuni fattori economici. Infatti, se i lavoratori vengono pagati solo se raggiungono un obiettivo e portano a termine un compito assegnato loro dal

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principale, la motivazione intrinseca viene ridotta fortemente, poiché più il compenso è legato alla realizzazione di uno specifico compito, più si rende oggettivo il raggiungimento o meno dell’obiettivo e quindi anche il controllo assume un maggiore potere e oggettività, che fa spostare la motivazione da intrinseca a estrinseca. Si vedrà come in un contesto principale-agente di tipo perfetto, il compenso dipenda esclusivamente dalla produttività al margine del lavoratore.

Inoltre, la differente percezione del controllo dipende anche da come il principale si relaziona con l’agente, cioè se attua un processo di riconoscimento della motivazione intrinseca, oppure se non effettua differenziazioni tra chi svolge un lavoro con questa caratteristica e chi no. Da questo punto di vista, i lavoratori che hanno una motivazione sopra la media e che non ricevono un trattamento che riconosca il loro impegno, si vedono propensi a riadattare lo stesso per poter ottenere il medesimo trattamento con uno sforzo minore. Nel corso delle varie epoche storiche, si sono delineate diverse correnti, per cui negli scritti di autori illuministi come Montesquieu (1749), hanno riconosciuto negli incentivi monetari la presenza del suddetto fenomeno di crowding-in, mentre neoclassici come Smith [vedi Hirschman, 1993] hanno teorizzato una completa indipendenza della motivazione intrinseca dagli incentivi. L’effetto opposto, o crowding-out, derivante da incentivi monetari è stato supportato soprattutto da Hirsch (1991), che ha associato al sistema dei prezzi un’influenza negativa sulla morale umana. In Frey (2005) vengono individuati alcuni contesti in cui l’effetto crowding-out risulta maggiore, per cui l’utilizzo di un incentivo monetario potrebbe causare una diminuzione della motivazione intrinseca. Da dove nasce la motivazione intrinseca al lavoro? Sono stati riconosciuti 3 principali casi in cui la stessa tende a manifestarsi: - Svolgimento di un compito ritenuto interessante. Si è riscontrato che questa sia la ragione alla base della motivazione delle persone che svolgono una libera professione, che si pongono obiettivi elevati e abbiano una libertà intellettuale (artisti, scienziati) legata a standard anche di autonomia e

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orientamento al conseguimento di un risultato degno di nota e invece non abbia effetto per coloro che svolgono un compito manuale, che sono motivati, invece dalla necessità di percepire un reddito, che è una motivazione valida fino a quando essi non si spostano al di sopra del livello di sussistenza minimo.

- Esistenza di relazioni personali tra principale e agente, che in un contesto di concorrenza perfetta non risulterebbero significative per via della componente prezzo, che agisce sovrana su ogni altra variabile, ma appena si esce da questo contesto, le relazioni diventano un aspetto molto importante, che verrà poi trattato sotto differenti punti di vista come il rispetto, l’ascolto e la reciprocità.

- Possibilità di prendere parte alle decisioni del principale, condizione che nell’ultimo periodo è stata fortemente accolta da tutte quelle imprese che hanno deciso di portare il valore della condivisione ad un livello che vada al di là della gerarchia e che responsabilizzi sugli obiettivi i differenti addetti. Un esempio di particolare interesse ci è dato dal concetto di uniformità che sotto il nome di equità è presentato come uno dei punti cardine per la creazione di fiducia all’interno di un’impresa secondo Great Place To Workâ. Infatti, nel caso in cui non vi

siano differenze nel riconoscere l’impegno dei singoli, coloro che si prodigano maggiormente ridurranno i propri sforzi, fino al livello dei loro colleghi. In un caso come questo, possiamo ipotizzare che l’applicazione di una forma di incentivo combinata potrebbe risolvere il problema.

Immaginiamo di fornire gli stessi benefit a tutti i dipendenti di pari livello, ma di assegnare responsabilità differenti in base alle proprie inclinazioni, permettendo una specializzazione del collaboratore e creando le basi per una futura promozione, che premi nello specifico l’impegno e i risultati complessivi raggiunti dal singolo. Questa visione meritocratica permette di considerare il meccanismo della promozione come un incentivo misto, infatti a esso corrisponde non solo un aumento della retribuzione (incentivo monetario), ma anche un miglioramento del proprio status sociale nel contesto lavorativo (incentivo non monetario). Appare sottile la differenza tra motivazione intrinseca e quella estrinseca, anche se è possibile suddividere il

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processo in due diversi momenti: il raggiungimento di un risultato personale porta un senso di appagamento al soggetto (motivazione intrinseca), che è strettamente correlato al riconoscimento effettuato antecedentemente da un secondo soggetto (il principale), successivamente esso viene rafforzato grazie al riconoscimento del nuovo status da parte del mondo esterno (motivazione estrinseca).

L’effetto crowding-out nasce da alcune condizioni psicologiche per cui gli interventi esterni vengono percepiti come vincoli al comportamento del soggetto, riducendo autodeterminazione, autostima e possibilità di dare voce alle proprie motivazioni intrinseche. Dato che siamo nell’ambito della psicologia soggettiva, in taluni casi, lo stesso intervento può causare un effetto di crowding-in o crowding-out sulla base delle percezioni del soggetto. In questa ottica l’attenzione dei propri superiori può essere vista come un fatto positivo, oppure come un eccesso di controllo. Inoltre, fino ad ora, si sono trattati allo stesso modo tutti i contesti, ma in realtà esistono situazioni che influenzano particolarmente, come ad esempio il fatto di lavorare in un ambiente che ha delle finalità umanitarie e per cui ci si sente parte di un disegno maggiore, oppure per cui si ritiene che all’esterno si stia avendo un impatto forte e si voglia soprattutto che persone terze pensino che si stiano concentrando tutti gli sforzi verso un risultato collettivo, piuttosto che verso dei vantaggi personali, come ad esempio uno stipendio più elevato.

Inoltre, una relazione non basata su un rapporto monetario può essere danneggiata nel momento in cui diventa di tipo economico o lo stile di management attuato si basa su concezioni di modelli economici, dove motivazione intrinseca e relazioni interpersonali passano in secondo piano, facendo perdere valore al rapporto. In campo psicologico Deci e alcuni suoi colleghi hanno svolto una serie cospicua di esperimenti sia in un contesto reale, principalmente tra soggetti giovani, sia in laboratorio. Dopo aver monitorato il comportamento di 128 soggetti hanno riconosciuto delle relazioni stabili:

- i riconoscimenti tangibili (per lo più monetari) hanno un effetto negativo nel caso di compiti da svolgere stimolanti di per sé

- i riconoscimenti verbali, invece, in generale hanno un effetto positivo sulla motivazione intrinseca

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- i riconoscimenti tangibili hanno un effetto positivo quando sono inaspettati - la principale conseguenza negativa degli incentivi è che i collaboratori sono

meno predisposti a motivarsi in modo autonomo

Per comprendere al meglio la natura della motivazione intrinseca sono stati analizzati alcuni contesti in cui essa ricopre un ruolo fondamentale. Ad esempio, Frey e Götte (1999) sono partiti da una base di dati riguardante l’associazione di volontariato in Svizzera, poiché questa realtà nei paesi maggiormente sviluppati rappresenta un settore fondamentale anche per l’economia. Offrendo degli incentivi monetari in questo contesto le persone sono portate a ridurre il loro impegno, mentre lo stesso meccanismo non si verifica quando si va a modificare l’entità del riconoscimento in base all’impegno profuso. Risulta dunque che per un livello di ricompensa medio l’effetto negativo sulla motivazione ha un impatto maggiore rispetto all’effetto prezzo, spiegando come la motivazione intrinseca spesso non abbia una relazione direttamente dipendente dai compensi monetari.

Per le imprese, che devono avere la possibilità di mantenere all’interno il controllo della stessa, senza rischiare che il potere contrattuale dei lavoratori prenda il sopravvento, è vantaggioso avere dipendenti che hanno una motivazione intrinseca, oppure sarebbe meglio vivere in un mondo di informazione perfetta, dove vigono le regole del modello principale-agente? Da un punto di vista teorico, la seconda soluzione è l’unica che possa portare ad una definizione di situazioni di first best, ma in realtà anche nel contesto di incertezza che caratterizza il mondo in cui ci collochiamo, non sempre le motivazioni intrinseche rappresentano un vantaggio. Frey analizza il tema in modo dettagliato, evidenziando le ragioni per cui la motivazione intrinseca sia appetibile per il principale e quelle per cui invece essa rappresenti una minaccia. Vantaggi del lavoro motivato da una motivazione intrinseca:

- viene associato a uno stato di benessere fisico e mentale, a un senso di soddisfazione

- l’apprendimento risulta più semplice e meno faticoso, poiché veicolato dalla curiosità e dalla creatività. Viene supportato da incentivi estrinseci, infatti, è

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basato sul sostenere prove e commettere errori, oltre che strettamente legato al contesto in cui si è inseriti e alla mansione per cui si è retribuiti

- si è maggiormente predisposti nell’affrontare compiti complessi, poiché risolvere le problematiche proposte comporta il superamento di ostacoli e l’entusiasmo facilita anche nel momento in cui essi non vengano rimossi dal cammino al primo tentativo. Li si percepisce come sfide, mentre chi è mosso da una motivazione estrinseca li vede come disturbi verso il conseguimento della propria fonte di remunerazione

- i costi del monitoraggio si riducono, infatti compiti più complessi spesso prevedono costi di monitoraggio minori, richiedendo di dover analizzare più aspetti, che spesso non sono strettamente legati alla mansione svolta in maniera esclusiva dal soggetto. Al contrario, nel caso di motivazione puramente estrinseca si vede instaurarsi il meccanismo del multitasking, per cui il soggetto è portato a entrare in profondità solo per quegli aspetti che lo tangono direttamente, limitando la visione dell’addetto e quindi possono portare ad una certa asimmetria tra il punto di vista del principale e dell’agente

Svantaggi del lavoro motivato da motivazione intrinseca:

- i dipendenti con forte motivazione intrinseca sono più difficili da gestire, poiché sono caratterizzati da un desiderio di autonomia e possibilità di essere posti al centro delle situazioni. Inoltre l’interazione da parte dei manager con i collaboratori è complicata dal fatto che un normale confronto potrebbe creare delle insoddisfazioni e problematiche dettate da un utilizzo di vocaboli sbagliati o in un contesto ambiguo, che possono andare a minare la motivazione del singolo, che si vede punto nel vivo. Infine, di solito, rappresentano delle personalità forti nel contesto lavorativo, che possono indirizzare anche le persone che hanno al loro fianco e quindi trovarsi a gestire un lavoratore, che in precedenza era fortemente motivato e poi, dopo un apparente scontro, risulta demotivato, può portare ad avere un intero team in una posizione di disaccordo rispetto al manager, soprattutto perché spesso siamo di fronte a una situazione di asimmetria informativa, data dal fatto che il manager non ha una dimestichezza con gli strumenti dei lavoratori tale da

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poter contrastare i collaboratori con sicurezza e anche per il fatto che il tempo trascorso insieme e le relazioni instaurate sono minori rispetto a quelle create da chi effettivamente vive a stretto contatto con gli addetti del lavoro condividendo le stesse mansioni. In questo contesto il manager può solo cercare di rimediare a un problema che non si sarebbe mai verificato se non fosse stata presente la motivazione intrinseca, in quanto tutti i lavoratori avrebbero recepito qualunque decisione esclusivamente come un diverso paletto per poter raggiungere il proprio risultato e ottenere il salario.

- Talvolta i lavoratori mossi da motivazioni intrinseche sono ispirati da ideologie e sentono un particolare senso del dovere che li porta ad agire in modalità non condivise dall’impresa. Casi di questo tipo si hanno con la conseguenza di azioni anche criminose che hanno risvolti sia per il singolo sia per la società titolare del rapporto di lavoro.

- Il principio di equità può portare a delle problematiche legate a una distribuzione del reddito che non rispecchia la motivazione e si crea dunque una problematica di giustizia retributiva di non facile soluzione.

- L’appagamento derivante da una motivazione intrinseca investe solo il singolo e il costo della transazione per poterlo condividere con le persone che circondano il soggetto spesso non è sostenibile e non porta dunque un beneficio per l’intera società.

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CAPITOLO II: Alcuni incentivi non

monetari

Prima di addentrarci in una suddivisione degli incentivi, si vuole fare un piccolo accenno alle teorie di Robbins (2005), con cui voleva identificare delle linee guida per i manager nel difficile compito di incentivare i propri dipendenti. Tabella 4: Strumenti per la motivazione dei dipendenti, libera rielaborazione da “Employee Motivation: “Just Ask Your Employees” di Dongho. TIPOLOGIA DI RICONOSCIMENTO PROGRAMMI ESEMPI MOTIVAZIONI INTRINSECHE Riconoscimento Certificati di apprezzamento Coinvolgimento Piani di stock option Continuo cambiamento Job rotation MOTIVAZIONI ESTRINSECHE Retribuzione variabile Bonus e premi Paga basata sulle competenze Competenze e conoscenze Benefit flessibili Piani di spesa flessibili Queste tipologie sono riprese da svariate teorie, che possono essere applicate in modo congiunto, ma nella maggior parte dei casi si evidenzia la distinzione tra motivazioni di tipo intrinseco per cui si ricerca una crescita del dipendente e motivazioni invece maggiormente connesse a soggetti terzi. Nei paragrafi successivi verranno affrontate brevemente le relative teorie.

Riprendiamo i 4 strumenti individuati da Frey come fattori chiave per la percezione del controllo, che possono influenzare il risultato dell’organizzazione aziendale e la percezione degli stessi da parte del dipendente, per analizzarli in relazione agli incentivi che meglio si adattano al supporto degli stessi.

- Relazioni personali: i manager possono decidere di instaurare relazioni personali, contribuendo alla creazione della motivazione intrinseca, ma rendendo molto rischioso l’utilizzo di incentivi monetari, spesso poi percepiti

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come volontà di controllo, che può essere evitato introducendo incentivi che non siano legati esclusivamente alle performance.

- Promozioni legate ai risultati: la distinzione risulta molto sottile, infatti esse non devono essere legate al raggiungimento di uno specifico obiettivo, altrimenti la motivazione intrinseca viene danneggiata, ma vanno riferite alla globalità della prestazione, per cui si continuerà ad essere motivati. È bene precisare che, in generale, non si è riscontrata la perdita della motivazione, ma nel caso sopracitato, si è assistito a un cambiamento della natura della motivazione, che passa da essere una motivazione intrinseca alla motivazione estrinseca data dalla promozione per il raggiungimento del singolo obiettivo. - Titoli e riconoscimenti simbolici: presentano la stessa problematica delle

promozioni, infatti essi vanno assegnati con la consapevolezza che debbano rappresentare un riconoscimento della dedizione al lavoro e quindi un riconoscimento a 360° nella vita lavorativa del soggetto. - Compensi in denaro: rafforzano la relazione tra la quantità di denaro ricevuto e il livello della performance, per questo possono essere preferiti regali di tipo non monetario che significano che non si desidera misurare la performance del lavoratore, ma vogliono essere simboli di rispetto conferiti per aumentare l’autostima del lavoratore e di conseguenza la motivazione intrinseca. 1. Benefit Il termine benefit è stato incontrato in precedenza nella trattazione in oggetto e ne sono già stati forniti alcuni esempi, ma sembra ora opportuno approfondire l’argomento, considerando tale vocabolo secondo il suo significato più esteso e non solo in ambito strettamente italiano, ma maggiormente internazionale. Ad esempio nel rapporto del 2012 “Taxable Fringe Benefit Guide” stilato dall’IRS6, viene fornita una panoramica più ampia di quegli strumenti soggetti a una tassazione differente e che rappresentano un incremento della remunerazione del soggetto, senza diventare parte della retribuzione in busta paga. 6 L’IRS – Internal Revenue Service – è un’agenzia governativa degli Stati Uniti d’America che si occupa del sistema della tassazione del Paese.

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- FRINGE BENEFIT: sono le contribuzioni che un datore di lavoro versa ad una terza parte per il lavoratore, come ad esempio un’integrazione pensionaria, un’assicurazione sulla persona o una copertura sanitaria estesa, di solito hanno una forte correlazione con il livello del lavoratore.

- EMPLOYEE BENEFIT: sono le concessioni che il datore di lavoro accorda in casi precisi, ma che non sempre si verificano e per cui serve che si attui una precisa condizione per poterne usufruire, come ad esempio periodi sabbatici, piani di supporto e assistenza per l’educazione dei figli, come borse di studio, intervento dell’azienda in casi di tragedie precoci. Inoltre, si tratta di benefit che possono essere erogati per l’assistenza legale in caso di cause riguardanti il dipendente, supporto nel momento in cui si richiede lo spostamento del collaboratore in un nuovo luogo o in una nuova unità lavorativa, sconti su prodotti dell’azienda o ammissione a parchi a tema e resort per far apprezzare e coadiuvare l’inserimento in una nuova località. La suddivisione può apparire poco importante a livello del contesto in cui operiamo, ma in realtà differenti, dove i costi dei servizi non inclusi nel sistema di welfare statale sono molto alti, tali incentivi possono avere un impatto veramente rilevante sulla condizione del lavoratore, oltre a creare quel meccanismo per cui un biglietto del teatro ha un valore diverso rispetto alla stessa cifra del prezzo a cui è stato acquistato, infatti porta il collaboratore a usufruire di un’esperienza che magari con gli stessi soldi non avrebbe deciso di effettuare, riducendo la propria interazione con il contesto locale, oppure senza appagare la sua necessità di svago.

- BENEFIT NON TRADIZIONALI: possono essere parcheggi riservati, permessi per svolgere attività di volontariato, minori costrizioni a livello di abbigliamento nella sede di lavoro o anche orari flessibili e personalizzabili sulle proprie esigenze, fino ad interventi maggiormente strutturati e che richiedono ingenti investimenti, come la messa a disposizione di palestre, asili, bar, servizi di lavanderia.

- BENEFIT STRUMENTALI AL PROPRIO LAVORO: sono una categoria di rilevanza nel sistema americano, perché se non forniti dal datore di lavoro,

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a essi si può richiedere personalmente l’applicazione di un diverso regime di trattazione. Sono ad esempio l’automobile, riviste di settore, viaggi di lavoro, partecipazione a seminari ed eventi formativi. - MINIMAL BENEFIT: vengono divisi dagli altri perché si considera che tenere traccia degli stessi da un punto di vista contabile sia più oneroso del reale costo del benefit, ma guardando a essi da un punto di vista cumulativo di tutti i dipendenti di una grande azienda, ad esempio, rappresentano un costo da contabilizzabile a tutti gli effetti. In pratica, si tratta di pranzi aziendali, uso di beni aziendali, come la fotocopiatrice e la stampante, offerta ai dipendenti di biglietti per eventi sportivi (spesso ottenuti grazie a sponsorizzazioni effettuate dal dipartimento marketing e che quindi non richiedono un ulteriore esborso da parte dell’impresa). La linea di distinzione rimane difficile da definire, ad esempio l’utilizzo per motivi personali del telefono aziendale può non costituire un ulteriore costo e quindi rientra in questa categoria, mentre l’utilizzo dell’auto aziendale con fini personali può rappresentare dei costi maggiori relativi all’impiego congiunto del Telepass e della carta carburante. Tutte queste categorie non rappresentano incentivi monetari, perché il soggetto riceve un oggetto, uno strumento o un’esperienza, invece che del contante da utilizzare nel modo che ritiene maggiormente opportuno e senza vincoli. Però essi sono riconducibili a incentivi monetari, perché permettono un risparmio dal punto di vista della spesa mensile e quindi vanno a modificare la composizione del paniere dei beni acquistabili grazie alla remunerazione monetaria stabile del lavoratore. Un esempio molto chiaro ci è dato dai buoni pasto, che rappresentano una liquidità vincolata all’utilizzo per una necessità primaria come il nutrimento, ma che attualmente sono accettati anche da molti supermercati e quindi non implicano la modifica della propria condizione abituale di consumo portando il soggetto a pranzare in un bar o ristorante, ma possono rappresentare dei diretti sostituti del contante.

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2. Il rispetto In inglese troviamo la locuzione “Paying respect”, che tradotta letteralmente sarebbe “pagare rispetto”. È molto interessante come venga affiancato un verbo della sfera monetaria a qualcosa che non ha caratteristica tale, come il rispetto. In realtà, però, per il concetto di fiducia precedentemente introdotto, a livello di appagamento derivante dall’ambiente lavorativo, il rispetto rappresenta un vero e proprio metodo di pagamento, o meglio un incentivo non monetario, che principalmente fa sentire il dipendente parte di una realtà in cui si sente valorizzato. Il rispetto è strettamente collegato a quanto gli altri pensano di noi e quindi ad una motivazione estrinseca, perché derivante da un soggetto terzo, ma che permette di rispondere ai bisogni di stima e autorealizzazione. Ellingsen e Johannesson (2007) hanno individuato quattro modalità attraverso cui si mostra il rispetto: - dare la propria attenzione per i risultati raggiunti

- essere dei validi ascoltatori, che presentano le stesse caratteristiche del dipendente coinvolto o condividono con esso le stesse pratiche e valori - rendere ben conosciute e chiare le motivazioni per cui si ottiene rispetto,

dando dunque importanza e tangibilità a questo concetto

- gestione delle comunicazioni verso l’esterno, fornendo anche ai soggetti terzi la possibilità di formarsi una valida idea del collaboratore e dei meriti dello stesso

A seguito di alcuni studi di casi pratici, hanno riconosciuto che i collaboratori, in alcune situazioni, rispondono maggiormente a incentivi come l’essere ascoltati ottenendo l’attenzione dei superiori, la fiducia e riconoscimenti non monetari, ma simbolici. Ma come fanno i manager a far percepire il rispetto come un incentivo? Qual è la reale considerazione dei dipendenti per questo concetto? Fino a che punto si tratta di una retribuzione complementare che possa essere valutata come valore di scambio sul mercato del lavoro?

Per rispondere a queste domande partiamo da una serie di sondaggi che sono stati effettuati dal secondo dopo guerra e sono stati oggetto di studi successivi di vari

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accademici, come Ellingsen e Johannesson (2007), Kovach (2001), Dongho (2006), Gupta e Tayal (2013). Il primo sondaggio di cui ci occupiamo è quello di Wiley (1997), che individua i 10 motivi di appagamento per cui si è maggiormente portati a scegliere un lavoro e come essi sono variati nel corso dei decenni. Per giungere a questi risultati, Wiley ha proposto un questionario simile agli operai di alcune industrie nel 1946, 1981, 1986 e ha integrato la propria ricerca nel 1992. Tabella 5: libera elaborazione dai dati del Wiley C. (1997), What Motivates Employees According to over 40 Years of Motivation Surveys. 1946 1981 1986 1) Apprezzamento per il

lavoro svolto 1) Lavoro interessante 1) Lavoro interessante

2) Sentirsi parte del contesto 2) Apprezzamento per il lavoro svolto 2) Apprezzamento per il lavoro svolto 3) Empatia nei confronti dei problemi del singolo 3) Sentirsi parte del contesto 3) Sentirsi parte del contesto 4) Certezza del posto di lavoro 5) Buoni stipendi 4) Certezza del posto di lavoro 5) Buoni stipendi 6) Promozioni e crescita all’interno dell’organizzazione 4) Certezza del posto di lavoro 5) Buoni stipendi 6) Promozioni e crescita all’interno dell’organizzazione 6) Lavoro interessante 7) Promozioni e crescita all’interno dell’organizzazione 7) Fedeltà al datore di lavoro 7) Buone condizioni lavorative 8) Fedeltà al datore di lavoro 8) Buone condizioni lavorative 8) Fedeltà al datore di lavoro 9) Buone condizioni lavorative 9) Empatia nei confronti dei problemi del singolo 9) Una disciplina sensata 10) Una disciplina sensata 10) Una disciplina sensata 10) Empatia nei confronti dei problemi del singolo

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Le classifiche proposte denotano come lo standard della vita sia cambiato nel corso dei decenni, portando a un cambiamento dei desideri dei lavoratori, che dopo la II Guerra Mondiale sentivano la necessità di rispondere a quei bisogni fisiologici e di sicurezza, che nei periodi floridi vengono dati per scontati e quindi ci si concentra su bisogni più elevati sulla piramide di Maslow, che secondo Herzberg (teoria dell’igiene) possono essere appagati tramite fattori esterni o interni, attraverso una suddivisione molto vicina a quella effettuabile per le motivazioni intrinseche ed estrinseche. La centralità di questa teoria è che i fattori estrinseci se non presenti creano insoddisfazione, ma non è detto che nel momento in cui esistono garantiscano un aumento della soddisfazione del dipendente, principalmente hanno lo scopo di prevenire l’insoddisfazione. Al contrario, i fattori intrinseci sono le vere motivazioni che permettono di trarre soddisfazione dall’esperienza lavorativa.

Nei sondaggi appena citati i fattori estrinseci rappresentano una fascia centrale e stabile nel corso degli anni. Grafico 1: Andamento del livello di apprezzamento delle motivazioni per i lavoratori dal 1946 al 1986. Libera rielaborazione dai sondaggi di Wiley. 0 2 4 6 8 10 12 1946 1981 1986 apprezzamento per il lavoro svolto sentirsi parte del contesto empatia nei confronti dei problemi del singolo certezza del posto di lavoro buoni stipendi lavoro interessante promozioni e crescita all’interno dell’organizzazione fedeltà al datore di lavoro buone condizioni lavorative una disciplina sensata

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Una delle vie individuate per mostrare rispetto è che si abbia di fronte una persona, o meglio un superiore, che condivide gli stessi valori del lavoratore, ma le rilevazioni empiriche fino al 1986 sembrano portare al presupposto che non sia quasi mai così: un tratto distintivo dei manager è il desiderio di raggiungere risultati tangibili, che spesso vengono misurati con i soldi (un esempio molto diffuso in questo senso sono i bonus o premi per il raggiungimento di un obiettivo). Questo viene infatti rispecchiato dalle classifiche stilate dai manager, che nel corso di 40 anni non sono variate: 1) Buoni stipendi 2) Certezza del posto di lavoro 3) Promozioni e crescita all’interno dell’organizzazione 4) Buone condizioni lavorative 5) Lavoro interessante 6) Fedeltà al datore di lavoro 7) Una disciplina sensata 8) Apprezzamento per il lavoro svolto 9) Empatia nei confronti dei problemi del singolo 10) Sentirsi parte del contesto

Per chiarire la relazione tra le due classifiche, si presenta un grafico riportante l’importanza per le due categorie, che denota un completo disallineamento, dove i manager sembrano maggiormente concentrati proprio su quella fascia di valori che per i lavoratori si mantiene stabile, ma non utile ad aumentare il livello di soddisfazione e motivazione.

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Grafico 2: Comparazione tra la visione dei dipendenti e quella dei manager nel 1986. Libera rielaborazione dai sondaggi di Wiley.

Nell’ultimo decennio del 1900 però, sembra che la situazione sia variata in modo consistente, portando a una variazione della tendenza delle motivazioni e anche a un avvicinamento del punto di vista dei dipendenti a quello dei manager. Proprio quei valori che prima rappresentavano la mediocrità ora salgono nelle preferenze dei dipendenti, ma nonostante ciò l’appagamento proveniente dall’esterno rimane il secondo aspetto per importanza e continua a non essere riconosciuto come tale dai manager. Inoltre sembra che si porti ad allontanare ed escludere sempre più la sfera emotiva e della famiglia, che non è più un bene da tutelare, ma diventa un ambito esterno al mondo del lavoro. Anche questo dato, risulta in piena concordanza con il cambiamento della società, dove la famiglia non è più un’istituzione sacra e intoccabile, bensì si manifestano i movimenti verso il divorzio e l’aborto, ad esempio. Infine, l’avvento delle nuove tecnologie, della globalizzazione e dell’insicurezza contrattuale, sembra aver portato nuovamente alla ribalta i valori che permettono di garantire i bisogni minimi dell’uomo. 0 2 4 6 8 10 12 1986 Manager

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Grafico 3: Andamento del livello di apprezzamento delle motivazioni per i lavoratori dal 1946 al 1992. Libera rielaborazione dai sondaggi di Wiley. Grafico 4: Comparazione tra la visione dei dipendenti e quella dei manager nel 1992. Libera rielaborazione dai sondaggi di Wiley. 0 2 4 6 8 10 12 1946 1981 1986 1992 apprezzamento per il lavoro svolto sentirsi parte del contesto empatia nei confronti dei problemi del singolo certezza del posto di lavoro buoni stipendi lavoro interessante promozioni e crescita all’interno dell’organizzazione 0 2 4 6 8 10 12 1992 Manager

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Un altro studio di rilevanza ci è fornito da Elsdon (2002), grazie a cui è stato riconosciuto che la causa per cui gli individui si allontanano da un’impresa è strettamente legata in primo luogo alla mancanza di opportunità di carriera e sviluppo personale e secondariamente di apprezzamento per il lavoro svolto; solo al quarto posto si trovano motivazioni puramente finanziarie. Sembra adeguato domandarsi se queste risposte siano fornite in modo universale, oppure se sia possibile creare una distinzione riguardante ad esempio il reddito dei dipendenti o il ruolo svolto, oltre al sesso e l’età. Riprendendo lo studio di Wiley, nel sondaggio del 1986 veniva introdotta una parte di domande che riguardava i dati anagrafici dei soggetti e che permette di evidenziare qualche dato comportamentale in più.

Si riscontra dunque che:

- le donne pongono maggiore attenzione alla comunicazione e al senso di appagamento che può essere fornito loro da un apprezzamento di un soggetto terzo

- i soggetti più giovani sono maggiormente interessati a sopperire alle proprie necessità basilari, quindi assegnano importanza ai fattori estrinseci

- i soggetti con stipendi minori si interessano allo stipendio, alla stabilità e alla possibilità, come i soggetti con redditi maggiori ritengono fondamentale mantenere la propria posizione

- le differenze di valutazione tra operai semplici, operai specializzati, impiegati semplici e impiegati specializzati sono date principalmente dalle connotazioni derivanti dal loro lavoro, sia a livello di contesto in cui operano, sia di mansioni svolte, per cui gli operai specializzati non sentono la necessità di ricevere un apprezzamento per il loro lavoro, mentre così risulta essere per gli impiegati specializzati allo stesso modo per gli operai semplici. Inoltre la sicurezza del posto di lavoro risulta maggiormente stimata tra gli operai che non tra gli impiegati, mentre la crescita è un valore comune tra gli impiegati e meno tra gli operai.

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Dai sondaggi appena presentati riscontriamo come l’apprezzamento per il lavoro svolto possa essere una leva utile ed efficace per la motivazione dei collaboratori, che permette anche di dimostrare rispetto nei loro confronti. Riconoscimenti simbolici Questo tipo di incentivi si basa sulle motivazioni intrinseche e viene sostenuto da correnti che si basano sulla Reinforcement Theory, incentrata sul principio di azione e reazione, cioè sul modificare un comportamento che viene attuato in sede di lavoro, attraverso l’uso di un riconoscimento o di una punizione, proprio secondo lo schema di delega – controllo – provvedimento, ma nella logica di incentivo all’utilizzo di un comportamento adeguato piuttosto che di una punizione o un disincentivo. La teoria in oggetto, prevede 4 possibili comportamenti da attuare (rinforzo positivo, rinforzo negativo, punizione e incentivo monetario), il primo dei quali porta il soggetto a riconoscere il comportamento attuato come positivo, poiché premiato. Si tratta di ringraziamenti per gesti semplici e quasi quotidiani, che però possono avere un impatto notevole, come ad esempio arrivare sempre in orario. Senza un riconoscimento i comportamenti positivi potrebbero ridursi. (Daft & Marcic, 2004)

A sostegno di questa teoria si possono portare esempi di studi condotti per riscontrare come la produttività industriale possa essere aumentata, nel momento in cui si riescono a incentivare i dipendenti. Markham, Scott e McKee (2002) hanno studiato 1100 operai di un’industria di sartoria, presentando un programma che prevedeva tre forme di riconoscimento e tre forme di controllo, suddivise in diversi momenti dell’anno, il parametro da valutare era la presenza dei dipendenti al lavoro. Si è notato che nei casi in cui sono state assegnate stelle d’oro e altri riconoscimenti simbolici pubblici, l’assenteismo si è ridotto del 40%, mentre nei casi in cui sono state applicate le forme di controllo si sono create pochissime modifiche sul risultato cumulato dell’anno. Questi incentivi possono essere messi in atto anche insieme a emolumenti monetari, spesso con l’obiettivo di dare un indirizzo alla cultura della società. I riconoscimenti indirizzano verso i valori e le aspettative condivise dai manager, che tendono ad essere autosoddisfatte. In base a come si trattano i dipendenti, questi assumono un preciso comportamento: se si considerano affidabili,

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