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Riconoscimenti online Tutti i meccanismi fino ad ora descritti riguardano la relazione diretta tra il

Grafico 3: Andamento del livello di apprezzamento delle motivazioni per i lavoratori dal 1946 al 1992. Libera rielaborazione dai sondaggi di Wiley.

3. Riconoscimenti online Tutti i meccanismi fino ad ora descritti riguardano la relazione diretta tra il

dipendente e l’impresa per cui lavora, ma ci sono situazioni in cui bisogna avere la lungimiranza di guardare oltre al singolo rapporto di lavoro e incentrarsi piuttosto sul difficile concetto di reputazione. Questo argomento è ambivalente, infatti ricopre la stessa importanza per entrambe le parti, che a fronte del dilagare dei nuovi metodi di comunicazione in un mondo sempre più connesso, sono portate a dare grande rilevanza al personal branding e al brand reputation. Le imprese sono attente a questo meccanismo da tempo, infatti viene presentato nelle situazioni di contratti incompleti come la credibilità del principale, che ad oggi si costruisce non solo sul passa parola, ma anche su ciò che viene presentato ai consumatori e sui dibattiti in rete o su altri mass media. Il principale, dunque, viene coinvolto in un meccanismo per cui non può sottrarsi alle promesse fatte, altrimenti potrebbe avere un danno nel futuro di dimensioni maggiori rispetto al costo che deve sostenere nel momento attuale (meccanismo di enforcing). Per il dipendente, invece, poter curare la propria reputazione online e offline, è fondamentale, perché la precarietà del lavoro e il tasso di disoccupazione richiedono che si sia sempre il più possibile appetibili per il mercato. Inoltre meccanismi come le lettere di raccomandazione sono la prova di quanto sia importante poter supportare la propria presentazione anche con l’appoggio dell’opinione di un’altra persona. Lo scenario che si delinea con l’avvento di internet non risulta di semplice gestione per le imprese, il cui obiettivo è essere appetibili per attrarre nuovi talenti, ma anche mantenere in azienda quelli presenti. Ciò risulta più semplice perché le informazioni raggiungono le persone in modo più veloce e diretto, ma lo stesso vantaggio può essere sfruttato anche dalle altre imprese per “rubare” talenti con proposte maggiormente allettanti.

Per analizzare questo argomento possiamo suddividerlo in 3 aspetti.

1. Le imprese per attrarre nuovi talenti si presentano sui propri siti ufficiali delineando chiaramente la loro vision, mission e i percorsi che offrono al proprio interno, con i relativi vantaggi. Questa dichiarazione permette di parlare in modo diretto ai propri consumatori e potenziali nuovi collaboratori,

ma allo stesso tempo offre una serie di informazioni ai competitor che possono dunque rendere la propria offerta maggiormente appetibile.

2. I potenziali nuovi collaboratori possono informarsi sulla reputazione dell’impresa anche grazie alle opinioni condivise da soggetti che non conoscono in prima persona, ma che hanno un passato presso l’impresa di interesse. Su questo aspetto le aziende sono molto vulnerabili perché è molto più diffusa la presenza di persone che desiderano esprimere il proprio disappunto piuttosto che di quelle che spendono parole di approvazione e quindi svolgono gli interessi del proprio datore di lavoro. Inoltre, internet fornisce un anonimato tale da rappresentare spesso una fonte di informazioni non completamente affidabile. Senza sottovalutare una problematica ben conosciuta in svariati ambienti, che in Silicon Valley è stata superata attraverso incentivi offerti per i collaboratori che permettono di far entrare in azienda altre persone valide, i quali non si sentono minacciati dagli stessi, ma vivono in un’ottica di virtuosismo per la quale si lavora verso una crescita globale e i colleghi sono delle risorse. Questo meccanismo in ambito manageriale è stato descritto secondo uno schema: le persone di livello C (prendendo come scala la graduazione anglosassone dei voti scolastici) tendono ad assumere altre persone di livello C, coloro che si collocano a un livello B cercheranno anch’essi persone di livello C, ma chi vale A si circonderà con tutte le proprie forze di persone A star, proprio a significare che per chi sa di valere non è un problema confrontarsi con chi vale ancor di più e poter ottenere un beneficio da una potenziale collaborazione, mentre chi è insicuro sceglierà sempre di non competere. Tutto ciò si rispecchia nel meccanismo di diffusione delle informazioni tramite internet, che spesso tende a essere svantaggioso per le imprese.

3. Riconoscimenti simbolici possono essere resi pubblici grazie alla comunicazione tramite internet, che può rappresentare un incentivo maggiore per la visibilità offerta ai lavoratori. Infatti, per il senso di appagamento dato dall’approvazione di terzi, questo meccanismo potrebbe avere una funzione di amplificazione riducendo i costi necessari per organizzare un evento di gruppo oppure condividere una rivista con tutti i collaboratori. L’ultimo meccanismo

menzionato risulta di semplice applicazione nel caso di realtà piccole o medie oppure in compagnie dotate di una rete intranet. Il riconoscimento pubblico online potrebbe essere visto dal collaboratore in modo estremamente positivo grazie alla sua spendibilità anche al di fuori dell’impresa di appartenenza. Infatti, nel momento in cui si verificasse il desiderio di cambiare impiego potrebbe rappresentare una sorta di certificazione delle qualità del soggetto. Per l’impresa questa scelta, però, comporta alcuni risvolti negativi, legati al fatto che realtà concorrenti potrebbero interessarsi ai soggetti ritenuti maggiormente validi e avanzare delle proposte per attrarli, sottraendoli all’attuale datore di lavoro. Dal quadro appena descritto si comprende perché siano pochi gli esempi di utilizzo di questo sistema di riconoscimento che coinvolge anche il mondo esterno e richiede un’attenta valutazione dei benefici e delle problematiche che potrebbero emergere. Un esempio di applicazione si riscontra sul sito di ELPE, un’impresa attiva nel campo della logistica e risorse umane, la quale designa ogni mese il team migliore nel proprio ambito, menzionandolo sul proprio sito web. Quanto fin a ora esposto solleva un problema all’origine degli studi in oggetto: la retention dei collaboratori. Infatti, la sostituzione di un dipendente ha sempre alti costi di turn – over, per cui la possibilità di investire nell’incentivare i lavoratori non porta solo a un vantaggio produttivo ma anche a uno organizzativo, permettendo di consolidare schemi in cui i ruoli assegnati vengano ricoperti dalle persone maggiormente adatte, senza doverne formare in continuazione altre. Il giornale economico Forbes, ha spesso portato la propria attenzione su questi temi e John Bersin, manager in Deloitte, a seguito dello studio “Turning Thank You into Performance” ha elencato 5 chiavi per il successo dei sistemi incentivanti, derivanti da alcune ricerche focalizzate su quanto attualmente in essere. 1) Fornire riconoscimenti sulla base di risultati specifici 2) Creare riconoscimenti peer-based e non top-down 3) Condividere le storie di successo 4) Rendere le occasioni di ringraziamento diffuse e semplici 5) Legare i riconoscimenti ai valori della compagnia

Queste strategie sono tutte di semplice applicazione se viene sfruttata la rete, come strumento per tagliare i costi e rendere maggiormente diffusa ed efficace la comunicazione.

Immaginiamo di voler implementare un sistema di riconoscimenti online in un’impresa che si occupa di servizi. L’azienda potrebbe decidere di percorrere diverse strade: utilizzare strumenti già esistenti, oppure rivolgersi a professionisti HR e internet che permettano di studiare un sistema ad hoc, ma dovendo sostenere costi maggiori. Per la nostra dissertazione scegliamo la prima alternativa, per cui si possano utilizzare i social network (tramite le pagine aziendali) e applicazioni già esistenti, come ad esempio Achievers e Globoforce.

In questo contesto, si potrebbe rispondere alle esigenze sopradescritte grazie ad alcuni accorgimenti:

1) Implementare una serie di post condivisi sulla pagina aziendale, articoli dedicati alle persone scelte da premiare e in qualche modo presentate con piccoli cenni biografici, ma soprattutto con richiamo alle motivazioni per cui essi hanno rappresentato motivo di orgoglio e si sono meritati di essere riconosciuti pubblicamente. Strumenti: Facebook, Instagram, Twitter, sito internet aziendale o una pagina della rete intranet, newsletter che possa giungere a tutti i collaboratori.

2) Le applicazioni sopra menzionate forniscono un sistema pe la gestione della votazione, che non sono indispensabili, ma rendono maggiormente strutturato un eventuale contest. In ogni caso si potrebbe creare un concorso di genere pubblico oppure interno, coinvolgendo i vari dipendenti che possano votare impiegati del proprio team o di altri team, ma che per loro rappresentano motivo di orgoglio (tramite l’assegnazione di punti su una piattaforma online, oppure semplicemente su un tabellone nel caso di aziende di dimensioni minori, in cui si possa assegnare un riconoscimento per azioni particolari svolte). Infatti è stato dimostrato che il senso di appagamento derivante dalla ricezione di un riconoscimento da parte di una persona che si conosce approfonditamente, oppure con cui si condividono affinità di tipo operativo, possa essere maggior motivo di stimolo, anche grazie alla stima reciproca che

sia basata su relazioni più profonde rispetto a quella con un superiore che viene visto come un’entità distante e con funzione di controllo.

3) Per questo punto si rimanda alla stessa strategia del punto 1.

4) Il costo per la pubblicazione di un post è irrisorio, per cui si potrebbe realmente rendere l’attività più frequente, ma senza esagerare e perdere dunque la ritualità della stessa.

5) Presentare delle persone che incarnano gli ideali su cui si basa l’azienda permettendo di far conoscere tali valori e renderli vivi grazie ad esempi concreti che fungano da stimolo reale per gli altri collaboratori. Per quanto riguarda le votazioni si può ipotizzare un sistema che premi gli addetti a diretto contatto con il pubblico, dando proprio ai clienti la possibilità di votare gli stessi e far ottenere loro un riconoscimento, che non abbia un reale peso all’interno dell’impresa, ma che rappresenti motivo di orgoglio, proprio con una funzione simile a quella svolta per i dipendenti dalle recensioni su piattaforme come Tripadvisor, che non solo servono ad attrarre nuova clientela e costruire la sopracitata brand- reputation ma anche ad avere un costante controllo sulla percezione dei clienti nei confronti del servizio che viene erogato.

L’articolo da cui partono questi spunti riporta anche un’interessante best practice che permette di creare una cultura aziendale maggiormente diffusa, valorizzando il singolo collaboratore direttamente attraverso l’invito a una conference call (nuovamente a costo ridotto) durante la quale venga coinvolto in un confronto aziendale strutturato e allo stesso tempo si stimoli la leadership presentando i risultati del collaboratore invitato, valorizzandolo e condividendo delle storie di successo, oltre a tenere in considerazione suoi eventuali suggerimenti di miglioramento. 4. Il potere del modello identitario Lipsky (2003) ha studiato per quattro anni un modello di educazione legato al mondo militare, presso l’accademica di West Point, che si basa sulla cancellazione delle preferenze dei singoli, per costruire in loro dei valori che sono perfettamente

condivisi dalla comunità in cui si inseriscono. Si tratta di un processo che può richiamare alla mente una serie di situazioni assimilabili a regimi dittatoriali, per cui risulta difficile immaginare l’applicazione diretta di essi in ambito lavorativo.

Guardando all’esempio appena citato, il vantaggio principale che si ottiene è la sostituzione della motivazione economica con lo spirito di appartenenza, che sembra essere il miglior modo per motivare nei casi in cui lo sforzo fatto sia difficile da osservare o da remunerare.

Akerlof e Kranton hanno costruito un modello principale – agente che include il concetto identitario, sia da un punto di vista di motivazioni condivise sia applicando dei cambiamenti alle preferenze dei dipendenti anche nel contesto lavorativo, sottolineando quanto gli incentivi non monetari vadano coordinati con quelli monetari, al contrario di quanto sostenuto dalle teorie del crowding – out.

Studi empirici hanno permesso di validare che gli incentivi monetari rappresentano un chiave fondamentale nella motivazione dei collaboratori, infatti, sono quei fattori da cui non si può prescindere perché il dipendente non sia insoddisfatto e quindi rimanga legato all’impresa. In questo senso di presuppone che i collaboratori svolgano i compiti per cui sono stati assunti ma non siano stimolati a fornire un valore aggiunto, che invece deriva dai fattori motivanti. La valutazione degli incentivi monetari presenta però due problematiche: spesso sono basati su variabili che non colgono la performance complessiva e, in caso di situazioni di multi tasking, si crea un diverso stimolo nello svolgere i propri compiti, che non sono selezionati per importanza per l’impresa, ma per remunerazione per il dipendente, quindi può capitare che le imprese, pur pagando quanto pattuito, non ottengano il risultato sperato ma un output che per i loro modelli corrisponde a quello inizialmente posto, benché i contenuti siano differenti. Abbiamo già accennato all’importanza della condivisione degli stessi valori da parte di superiori e sottoposti, che può essere ricondotta al concetto di identità. In accordo con la visione neoclassica esistono delle norme secondo cui gli individui si comportano o si dovrebbero comportare, che dipendono fortemente dalle situazioni.

Non solo l’economia, ma anche la sociologia e la psicologia hanno affrontato l’argomento riconoscendo l’esistenza di categorie sociali che non possono essere banalizzate attraverso semplici distinzioni di genere o colore della pelle, perché si basano sulla visione che il singolo in un determinato contesto ha di sé.

In un modello di utilità, l’identità di una persona descrive il raggiungimento e le perdite derivanti da un comportamento conforme oppure no alla categoria sociale di appartenenza in quella particolare situazione. Si tratta di una frattura rispetto alle teorie precedenti, dove le funzioni sono fisse e i comportamenti non possono essere appropriati o meno in base allo spazio e al tempo. Le norme nascono dagli insegnamenti impartitici dalla società e dalle persone a noi vicine e per questo vengono internalizzati dai soggetti e fatte proprie come guide di comportamento. I sociologi vedono nelle norme la possibilità di “tipizzare”, individuando un soggetto ideale per ogni categoria. Riprendendo il modello militare, assistiamo alla creazione di un ideale comune rappresentato da “servire gli altri prima di sé”, che è perfettamente in linea con le richieste di obbedienza dell’esercito, rimarcando la differenza tra civili e militari. Il modello identitario può essere pensato anche per i civili, creando una struttura che divide tra interni ed esterni all’impresa. Questa distinzione risulta fondamentale per far percepire i dipendenti come parte di un gruppo diverso da coloro che non vi appartengono. Il passo successivo è quello di rivedere lo schema di delega – controllo, infatti è possibile assegnare semplici lavori che necessitano solo di essere monitorati attraverso i risultati, ma per tutti coloro che svolgono ruoli in cui la motivazione sia importante potrebbe essere utile coinvolgere gli stessi in un processo di scelta dei propri obiettivi, facendo percepire una maggiore identità tra i singoli e l’impresa e permettendo di decidere per cosa essere orgogliosi del proprio lavoro. In questo modo, quando i collaboratori raggiungono un obiettivo, si sentono gratificati e aumenta la loro fedeltà all’azienda. Esistono anche situazioni opposte, in cui un collaboratore si sente un estraneo rispetto all’azienda e quindi non riesce ad identificarsi con i valori da essa veicolata. I sondaggi GSS (General Social Survey) condotti dalla University of Chicago hanno confermato l’ipotesi che i lavoratori selezionino il datore di lavoro anche sulla base dei valori condivisi, in modo che essi nei momenti di maggior sforzo rappresentino un’attenuante e non un’aggravante.

Nel modello che vedremo in seguito si delinea una situazione in cui esistono lavoratori che si identificano con i valori dell’azienda e altri che non li condividono. È interessante notare che nei casi in cui i costi non superino il vantaggio monetario che si potrebbe successivamente creare, è corretto attuare dei programmi per far comprendere la cultura aziendale e renderla condivisa con i propri dipendenti.

Tramite gli esperimenti di Burawoy (1979) e Roy (1953) attuati presso un’officina a Chicago, è stato riscontrato che nei casi in cui i lavoratori creano un gruppo fedele all’azienda, la pratica della supervisione potrebbe non avere un ruolo ideale. Infatti, è stato verificato che in una situazione dove il salario ha natura composita i collaboratori sono automaticamente portati ad applicare il livello di effort ideale. In questo contesto i dipendenti ricevevano un salario fisso su base oraria e un incentivo derivante dal numero di pezzi prodotti. Si era dunque creata una situazione in cui il controllo risultava controproducente, poiché la disutilità dei lavoratori derivante dalla presenza dei controllori era maggiore rispetto alla perdita monetaria derivante dall’allontanarsi dal più conveniente livello di impegno. La capacità del management non doveva più essere rivolta a introdurre stimoli utili, ma impostare dei livelli produttivi adatti non solo alla realtà organizzativa, ma anche al contesto economico del momento, evitando situazioni in cui fosse troppo semplice raggiungere il target oppure impossibile. Le osservazioni derivanti da questo esperimento sono state supportate da vari studi sociologici riguardanti i gruppi di produzione.

Mayo, Roethlisberger e Dickson hanno osservato una situazione analoga in cui era stata chiaramente esplicitata una regola produttiva e con l’inserimento di un controllore esterno hanno verificato come l’equilibrio produttivo si alterasse, portando alla necessità di rimuovere lo stesso. Questo studio è stato svolto nel 1931 presso la Western Electric Company di Chicago e fa parte degli esperimenti che hanno

portato alla teorizzazione dell’effetto di Hawthorne11.

Un altro esempio ci è dato dalle analisi condotte da Seashore presso la Lincoln Electric, dove la cultura manageriale aveva un impatto fondamentale, legato alla

capacità di non osservare solo il singolo risultato produttivo, ma anche il comportamento complessivo del singolo all’interno del gruppo. In questo contesto, la presenza di un controllore era percepita in modo positivo, poiché si era stati in grado di creare anche un rapporto identitario tra le unità produttive e il management. Infatti, gli operai della Lincoln si sentivano parte di un'unica realtà in cui ricevevano attenzioni oltre ad essere sottoposti al controllo, imparando ad accettare le figure dei supervisori non solo come dei rigidi controllori, ma anche come dei superiori in grado di comprendere la situazione del singolo individuo. Akerlof e Kranton hanno sfruttato gli studi sopracitati anche per un’analisi di un incentivo monetario molto diffuso: lo stock option. La problematica fondamentale alla base di questo sistema riguarda proprio la mancanza di identità tra gli obiettivi del management e quelli della proprietà di un’impresa. I manager punteranno soprattutto sul far aumentare il valore delle proprie azioni, a discapito di altre attività ugualmente importanti ma meno remunerative, proprio come avviene nei modelli che prevedono il multitasking. La capacità di introdurre un meccanismo identitario può ridurre la distanza tra il comportamento del manager e quello auspicato dalla proprietà. Inoltre permette di rivedere la relazione tra management e unità produttive, veicolando il concetto che il controllo non sia attuato in modo freddo e distaccato, bensì per raggiungere più semplicemente gli obiettivi comuni. Nei casi di fusione di azienda i valori identitari possono giocare un ruolo molto importante sia nella riuscita sia nel fallimento delle trattative. Infine, abbiamo visto come la possibilità di rispecchiarsi nei propri superiori migliori i rapporti all’interno di una compagnia. Barkema (1995) ha analizzato le relazioni che intercorrono tra i manager e i loro principali, riconoscendo che esse siano fortemente dipendenti dal tipo di controllo che si applica. L’analisi è stata condotta su 116 manager di imprese olandesi di medie e grandi dimensioni con riferimento al 1985. Riconosciamo tre casi: - Il manager rende conto alla compagnia controllante, senza creare dei rapporti interpersonali che possano influenzare la motivazione intrinseca, infatti, dipende direttamente da un ente e non da una persona. Il monitoraggio delle performance può avere un effetto positivo.

- Il manager viene valutato dal presidente della società, in questo caso si tratta di una relazione che coinvolge le preferenze di un soggetto esterno che risulta

mettere in discussione le competenze del manager creando dunque una riduzione della motivazione intrinseca,

- Il manager è controllato dall’intero consiglio d’amministrazione; in questa situazione permane la presenza dell’effetto crowding-out, ma in misura minore rispetto al caso precedente.

Queste conclusioni sono avvalorate anche da dati statisticamente rilevanti in tutti i

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