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Malattia celiaca: ruolo dell'enzima transglutaminasi

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Academic year: 2021

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Alla mia famiglia

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“Grave è il dolore del ventricolo, e spesso puntorio: la persona si rende gracile ed emaciata, è pallida e pigra, e nelle consuete faccende svogliatissima. Se la malattia va innanzi e s'aggrava, tira di contro sul ventricolo da tutto il corpo le materie; inversiona quasi della virtù distributiva. Allora avviene la colliquazione dell'organismo, le fauci inaridiscono, squallida è la cute, nulla la traspirazione. Il ventricolo ora si sente come bruciato da carboni ardenti, ora agghiacciato come dal contatto della neve. La malattia è lunghissima, e di arduo trattamento. E se talora sembra dileguarsi senza manifesta cagione, si vede poi ritornare per il più leggero errore commesso. Il rimettere di cotesto malore avviene per periodi. E familiare ai vecchi, e più alle donne che agli uomini. Ai fanciulli è consueto e vero il flusso di ventre, ma non per debolezza del ventricolo, invece per la quotidiana intemperanza nel nutrimento. Fra le stagioni dell'anno la state più spesso reca questa malsania, poi l'autunno, quindi il freddissimo inverno, se subito dopo sia seguito da caldo. Le superiori intestina sino al ceco, tenui sono e biliose, e diconsi pertanto dai Greci Cholades: le interiori, cioè dal ceco sino all'origine dell'intestino retto, sono crasse e carnose.”

(Capitolo IX; p. 56-57)

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Indice

CAPITOLO 1: Introduzione alla malattia celiaca……….... 5

1.1 Quadro clinico...6

1.2 Caratteristiche gastrointestinali ed extraintestinali………..………... 7

1.3 Carenze nutrizionali……….... 8

1.4 Microbiota intestinale………... 9

1.5 Celiachia non responder (NRCD)………. 11

1.6 La malattia celiaca refrattaria (RCD)……… 12

1.7 Diagnosi ……… 13

1.7.1 Istologia………. 15

1.7.2 Sierologia………... 22

1.7.3 Biopsia e capsula endoscopica………... 23

1.8 Trattamento……… 24

1.9 Monitoraggio………. 25

1.10 Eziologia………... 28

1.10.1 Il contributo della genetica………... 28

1.10.2 Fattori ambientali ed altri studi in fase di sperimentazione………... 36

1.10.3 Disregolazione immunitaria: risposta immunitaria adattativa ed innata... 37

CAPITOLO 2: L’enzima Transglutaminasi 2………. 41

2.1 Famiglia di appartenenza e caratteristiche generali………. 41

2.2 Funzioni della tTG………... 43

2.3 La sua importanza come autoantigene nella malattia celiaca……….. 46

2.4 Risposta immunitaria contro la transglutaminasi tissutale………... 50

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CAPITOLO 3: Principali patologie correlate alla celiachia………... 55

3.1 Diabete di tipo 1……… 55

3.1.1 Possibili fattori eziopatogenetici……… 55

3.1.2 Sintomi segni e diagnosi………. 56

3.1.3 Screening……… 57 3.1.4 Familiarità e dieta………... 58 3.2 Dermatite erpetiforme………. 58 3.2.1 Definizione e sintomatologia……….. 58 3.2.2 Test sierologici………....… 59 3.2.3 Test genetici………... 60 3.2.4 Terapia……….... 61 3.3 Donna e celiachia……….. 62 3.3.1 Incidenza………. 62 3.3.2 Ostetricia e ginecologia………... 62

CAPITOLO 4: Sensitività al glutine non celiaca (NCGS)……….. 63

4.1 Premessa……… 63

4.2 Manifestazioni cliniche………... 65

4.3 NCGS e Sindrome dell’intestino irritabile (IBS)………... 66

4.4 NCGS e sindromi neuropsichiatriche ………... 69 4.4.1 Autismo……… 69 4.4.2 Schizofrenia………. 70 4.5 Valutazioni di laboratorio………... 71 4.6 Diagnosi………... 72 4.7 Patogenesi………... 73 4.8 Epidemiologia………...… 74

4.9 Tendenze attuali e future……… 76

CONCLUSIONI……….... 77

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5 CAPITOLO 1 Introduzione alla malattia celiaca

Il fattore “ambientale” scatenante la celiachia è rappresentato dal glutine, complesso proteico contenuto in alcuni cereali (frumento, orzo, segale) [1]. La celiachia è un disturbo autoimmune indotto dal glutine nella dieta in soggetti geneticamente predisposti. La celiachia, che è in crescita sia come prevalenza nel mondo, sia come maggior quota di pazienti diagnosticati, sta vivendo una fase di rapida espansione e si stanno ampliando le conoscenze su numerosi aspetti. Ha una prevalenza di ~ 1% in molte popolazioni di tutto il mondo e la vastità delle presentazioni cliniche accertate continua ad aumentare, rendendo il disturbo di grande rilevanza in ambito medico [2, 3]. Le prime trattazioni a tal proposito si possono far risalire al medico greco Aretaeus nel 1° e 2° secolo d.C. [4]. Aretaeus di Cappadocia definiva la malattia celiaca “diatesi celiaca” ossia “alterazione intestinale” chiamando “koiliakos“ (κοιλιακός = da κοιλία , koilia “intestino”) coloro che ne soffrivano (“coloro che soffrono negli intestini”). Il glutine fu poi identificato come il responsabile della malattia celiaca da parte di medici olandesi, i quali osservarono che nel periodo di carestia del 1944-1945, quando i quantitativi di grano e segale scarseggiavano, i bambini celiaci ebbero un rilevante miglioramento sintomatico [5]. Studi successivi hanno analizzato innumerevoli aspetti della malattia celiaca, e, sebbene patogenesi e fisiopatologia rimangano sconosciute, si presuppone che la malattia sia strettamente connessa ad interazioni genetiche, fattori ambientali ed immunologici (Figura 1).

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Figura 1. Fattori genetici coinvolti nella fisiopatologia della malattia celiaca.

1.1 Quadro clinico

La malattia celiaca ha diverse manifestazioni e associazioni, di cui la forma classica, detta anche tipica, si manifesta con segni e sintomi di malassorbimento, tra cui la diarrea, la steatorrea, la perdita di peso, od il rallentamento della crescita. La forma atipica di norma non prevede diarrea, ma si hanno forti dolori addominali e la copresenza di manifestazioni extraintestinali. Nella forma silente di celiachia non si hanno manifestazioni particolari e proprio per questo è difficilmente diagnosticabile. La forma latente caratterizza invece quei soggetti che pur avendo una predisposizione alla celiachia (positività degli anticorpi anti-gliadina AGA e degli anticorpi anti-endomisio EMA) al momento hanno una mucosa intestinale normale, che non presenta atrofia dei villi ma a distanza di tempo l’atrofia comparirà e dunque è necessario effettuare monitoraggi periodici. Con una maggiore consapevolezza della malattia un numero crescente di pazienti viene diagnosticato e pertanto, come per molti altri disturbi autoimmuni, la reale incidenza nella popolazione sembra esser aumentata (in uno studio dallo 0,2% di cinquanta anni fà allo 0,9% attuale) [6]. La (tabella 1) presenta informazioni riguardanti i sintomi ed i segni della malattia in individui che pertanto possono essere ad aumentato rischio e per i quali la soglia del test è, di conseguenza, inferiore.

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Tabella 1

1.2 Caratteristiche gastrointestinali ed extraintestinali

La presentazione classica della malattia celiaca è più comune nei bambini piccoli, ed è caratterizzata principalmente da sintomi gastrointestinali con malassorbimento (diarrea cronica, dolori addominali, distensione, e difetto della crescita o perdita di peso). Alcuni pazienti presentano anche costipazione. Negli adolescenti e negli adulti, la presentazione della malattia celiaca è spesso più lieve e può essere scambiata con la sindrome dell'intestino irritabile; alcuni pazienti non hanno sintomi gastrointestinali evidenti e si possano presentare anche casi asintomatici [7]. La malattia celiaca ha molte manifestazioni extra-intestinali, tra cui la pubertà ritardata e la bassa statura ed anche la fatica e l'anemia da carenza di ferro rientrano nelle manifestazioni comuni. Si può verificare la dermatite erpetiforme, caratterizzata frequentemente da vesciche pruriginose, ulcere orali aftose e ipoplasia dello smalto dei denti, così come una bassa densità minerale ossea ed osteoporosi. L’epatite si sviluppa in circa il 9% dei pazienti valutati per elevati valori di transaminasi criptogenetica, e può richiedere 6-12 mesi per esser risolta quando i pazienti sono sottoposti a GFD (Gluten-free diet); quest’epatite, di solito, segue un decorso benigno. I pazienti possono segnalare

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fibromialgia o artralgia, che potrebbe non rispondere sempre ad un trattamento con GFD [8]. I giovani adulti con malattia celiaca possono anche avere un aumentato rischio di aterosclerosi precoce [9]. Inoltre, complicanze microvascolari possono esser maggiormente presenti in pazienti che hanno anche il diabete di tipo 1 [10]. Ci sono state segnalazioni di cardiomiopatia e cardite in pazienti con malattia celiaca, ma le prove di questa associazione sono deboli. Infertilità ed aborti sono stati segnalati come complicanze dovute a casi di malattia celiaca non trattata. Tuttavia, un altro lavoro ha riportato che le donne con la malattia celiaca non hanno un rischio complessivamente più elevato di problemi di fertilità rispetto al resto della popolazione [11]. In generale, i casi di neuropatia periferica, di disturbi convulsivi, di atassia e di compromissione delle funzioni cognitive sono stati spesso descritti con un'incidenza inferiore negli adulti, rispetto ai bambini [12]. La neuropatia periferica può precedere la diagnosi della malattia celiaca e ciò è stato riportato nel 39% dei pazienti sulla base di risposte date ad alcuni questionari [13]. Nei bambini con malattia celiaca sono stati frequentemente osservate altri sintomi quali cefalea, disturbi dell’apprendimento, ritardo nello sviluppo, ipotonia, e disturbo da deficit di attenzione [14]. Fino ad un terzo dei pazienti adulti hanno presentato disturbi psichiatrici come depressione o cambiamenti di personalità, e meno comunemente psicosi [15]. Poco si sa circa i meccanismi attraverso i quali la celiachia può portare a disturbi neurologici. Cambiamenti neurologici cronici non sembrano scomparire con una dieta priva di glutine(GFD). Tuttavia, la risposta di un paziente ad una dieta priva di glutine potrebbe essere più consistente se la malattia viene diagnosticata nei primi anni, soprattutto nei pazienti con atassia da glutine od in coloro che risultano positivi per anticorpi anti-gliadina con sintomi neurologici od in quelli che hanno presentato anomalie a livello cerebrale [16]. È importante notare che molti di questi pazienti con sintomi neurologici non hanno soddisfatto i criteri diagnostici per la malattia celiaca.

1.3 Carenze nutrizionali

I pazienti con malattia celiaca hanno spesso carenze nutrizionali; le più comuni carenze riguardano il ferro, la vitamina D, i folati, la vitamina B12, la vitamina B6 e lo zinco [17]. La carenza di ferro è stata riportata in circa la metà degli adulti con nuova diagnosi e di per sé è un'indicazione per lo screening [18]. La GFD di solito porta al recupero dell’anemia da carenza di ferro entro 6-12 mesi, mentre la carenza di zinco migliora entro poche settimane

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[19, 20]. Alcuni pazienti con deficit di folati e di vitamina B12 sviluppano l'anemia macrocitica, che è difficile da rilevare nei pazienti che hanno in aggiunta la carenza di ferro. Disturbi neurologici sono stati riportati in associazione con il malassorbimento di vitamina B12, di acido folico, di rame e di vitamina D [21].

1.4 Microbiota intestinale

Negli ultimi anni i metodi d’analisi basati sulla biologia molecolare hanno permesso agli studiosi di compiere grandi progressi nella ricerca sul microbiota [22]. Si è accertato, infatti, che risulta coinvolto nei vari processi metabolici e ha la facoltà di modulare la funzionalità della barriera intestinale. È risaputo che allorché il glutine, a causa di una carenza di peptidasi nell’intestino umano, viene digerito solo in parte, i peptidi del glutine penetrano nella mucosa dell’intestino tenue. Inoltre vi sono indizi sempre più numerosi a riprova di quanto una mutata permeabilità intestinale causata da una perdita di coesione tra le giunzioni occludenti rappresenti un importante fattore nell’insorgenza della celiachia. Penetrando più facilmente nella lamina propria, gli oligopeptidi possono scatenare i processi infiammatori tipici della celiachia. In quest’ambito, la zonulina è una proteina di rilievo poiché aumenta la permeabilità dell’intestino, favorendo l’assorbimento delle macromolecole attraverso le giunzioni occludenti.

Molti indizi portano a supporre che le alterazioni del microbiota intestinale possano comportare un aumento nella permeabilità dell’intestino e di conseguenza una possibile insorgenza della celiachia e di patologie allergiche [23]. Va detto che ad oggi il numero degli studi dedicati al ruolo del microbiota nella patofisiologia della celiachia è piuttosto limitato. Si ipotizza che in pazienti che abbiano una predisposizione genetica, i batteri gram-negativi siano coinvolti nell’insorgenza di una intolleranza al glutine. Studi comparativi tra bambini affetti da celiachia e gruppi di controllo composti da soggetti sani sono riusciti a dimostrare una carenza di lactobacilli e bifidobatteri nei soggetti malati. Resta comunque il dubbio se il microbiota alterato nei pazienti affetti da celiachia sia la causa o la conseguenza della malattia. L’analisi di alcuni campioni bioptici del duodeno di bambini celiaci non trattati ha riscontrato la presenza di un maggior numero di ceppi batterici gram-negativi rispetto ai soggetti sani dei gruppi di controllo, il che porterebbe a supporre che l’alterazione del microbiota sia piuttosto una conseguenza della malattia. L'intestino ospita un vasto numero di microrganismi

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commensali che sono complessi e dinamici. Negli ultimi 5 anni, ci sono stati importanti sviluppi tecnologici in “high-throughput sequencing” che hanno consentito ai ricercatori di caratterizzare il microbioma umano con un metodo noto come metagenomica. Il microbioma è influenzato dalla dieta [24] e l'interazione tra dieta e microbioma influisce sulla funzione metabolica [25]. Ci sono importanti interazioni tra il microbioma intestinale, la dieta e il sistema immunitario; quest’interazioni sembrano esser strettamente collegate all’obesità, alla malattia infiammatoria intestinale ed alla celiachia [26]. Gli studi sul microbioma intestinale nella malattia celiaca sono ancora in fase iniziale e hanno dato risultati contrastanti probabilmente a causa di diversi approcci sperimentali sulle feci o su campioni bioptici da varie popolazioni di pazienti provenienti da diversi paesi. Tutti questi fattori possono falsare i risultati del microbioma. Nel 2004, uno studio ha identificato batteri a forma di bastoncello in biopsie intestinali di pazienti celiaci e ciò ha suggerito un ruolo di rilievo del microbioma nella celiachia [27]. Ulteriori studi hanno analizzato campioni per la lettura metabolica del microbioma intestinale in pazienti celiaci, nonchè in parenti di primo grado di pazienti celiaci [28, 29] e sono emerse differenze significative. Ulteriori studi hanno trovato differenze nella composizione fecale e/o della mucosa associate principalmente a bacteroides, clostridium, bifidobatteri, lactobacillus, escherichia coli e staphylococcus tra i pazienti celiaci (sia non trattati che trattati) ed i controlli sani [30]. Le differenze nella composizione microbica sono state trovate anche tra adulti e bambini [31]. Tuttavia, altri studi non sono riusciti a far emergere differenze nel microbioma tra soggetti malati e controlli [32]. Un recente studio ipotizza che il microbioma intestinale nel suo complesso determini il passaggio dalla tolleranza alla risposta immunitaria in bambini geneticamente suscettibili. Infatti è stata trovata una mancanza di bacteroidetes ed una maggiore abbondanza di firmicutes in questo studio longitudinale di bambini a rischio, seguiti dalla nascita fino ai 24 mesi di età [33]. Sono necessari ulteriori studi che utilizzino approcci genomici combinati per chiarire il ruolo del microbioma nella celiachia. Coerentemente con il ruolo della dieta nella modulazione del microbioma intestinale, la dieta senza glutine da sola, in individui sani, ha portato alla diminuzione di bifidobacterium e lactobacillus [34]. Inoltre, studi sia su animali che sull'uomo suggeriscono possibili interazioni tra batteri commensali e risposte immunitarie [35, 36]. Gli studi sugli animali hanno suggerito che il microbioma nella malattia celiaca potrebbe alterare la permeabilità intestinale contribuendo in tal modo alla patogenesi della malattia. Ad oggi, gli studi probiotici nella malattia celiaca hanno esaminato l’attività proteolitica di VSL # 3 o

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lievito naturale di lactobacilli [37], ma nessuno ha studiato il ruolo nella modulazione della flora commensale, e non ci sono dati di efficacia terapeutica dei probiotici nella sindrome del colon irritabile [38]. Nonostante i progressi tecnologici nello studio del microbioma intestinale umano, molte questioni restano irrisolte circa il ruolo dei batteri commensali in malattie immunomediate gastrointestinali come la malattia celiaca o le malattie infiammatorie croniche intestinali [39]. In primo luogo, e forse il più importante aspetto, riguarda la microflora intestinale, ovvero se sia una causa o una conseguenza di infiammazione intestinale. Ci sono prove a sostegno di entrambe le possibilità ed ulteriori studi sono necessari per chiarire cause ed effetti. Inoltre, è interessante segnalare come le alterazioni microbiche potrebbero esser utilizzate per interventi terapeutici. Ci sono domande su come la dieta impatti ed alteri il microbiota intestinale nonché l'effetto di diversi microbi sulla funzione immunitaria. Infine, il ruolo di funghi commensali e dei virus nella celiachia non è ancora stato studiato.

1.5 Celiachia non responder (NRCD)

I casi di celiachia non responder comprendono quei pazienti con sintomi persistenti o ricorrenti, segni o dati di laboratorio compatibili con la malattia celiaca attiva, nonostante almeno 12 mesi di trattamento con la GFD [40]. Una parte sostanziale dei pazienti con malattia celiaca sviluppa NRCD (dal 7% al 30% in diversi studi). NRCD ha molteplici e diverse eziologie; dunque una valutazione approfondita e sistematica è necessaria per determinare la corretta diagnosi e il piano di gestione per ciascun paziente. Il primo passo essenziale è quello di esaminare attentamente la diagnosi iniziale di malattia celiaca, perché i pazienti con altre patologie non rispondono alle GFD. Può essere richiesta la tipizzazione HLA, in particolare per i pazienti con test sierologici costantemente negativi per la malattia celiaca. Le cause più frequenti di NRCD sono legate alla dieta, le più comuni prevedono un’ingestione di glutine continuata od intermittente, propositiva od involontaria. Aumenti persistenti dei livelli sierici di IgA-tTG, o di altri marcatori, sono spesso indicatori dell'esposizione al glutine. Viceversa, risultati normali dei test sierologici non escludono una continua esposizione al glutine, perché i test non sono sufficientemente sensibili per rilevare bassi livelli di ingestione di glutine. Altri fattori dietetici possono ulteriormente contribuire a NRCD, come le frazioni non proteiche di natura glucidica, i cosiddetti FODMAPs (Fermentable Oligo, Di, Monosaccharides And Polyols). La proliferazione batterica nell’intestino tenue può complicare la malattia celiaca e

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dovrebbe essere considerata, in particolare per i pazienti con gonfiore, gas in eccesso, o diarrea. Una volta che sono state escluse cause alimentari di NRCD, deve essere eseguita una biopsia dell’intestino tenue. Per i pazienti con diarrea, dovrebbero essere valutate biopsie del colon per la colite microscopica, che si sviluppa nel 4% dei pazienti con malattia celiaca [41]. Miglioramenti nelle caratteristiche istologiche rispetto alle linee di base indicano che i sintomi e segni persistenti dei pazienti potrebbero avere cause diverse. Nei pazienti con risultati istologici normali (Marsh 0) o quasi normali (Marsh I) le possibili cause dei disturbi persistenti includono la sindrome del colon irritabile, la colite microscopica, la piccola proliferazione batterica intestinale, l’insufficienza pancreatica esocrina, le allergie o l’intolleranze alimentari. Con il persistere dell’atrofia duodenale dei villi e di altre caratteristiche istologiche della malattia celiaca attiva, aumenta la possibilità di malattia celiaca refrattaria. Tuttavia, prima che venga fatta questa diagnosi, è importante prendere in considerazione di nuovo altre cause per l’atrofia dei villi del piccolo intestino, soprattutto se i pazienti hanno avuto risultati negativi dei test sierologici per la malattia celiaca. La possibilità di una continua ingestione di glutine dovrebbe essere rivista e raccomandato un periodo di rigorosa privazione di glutine [42].

1.6 La malattia celiaca refrattaria (RCD)

RCD può essere definita come piccola atrofia dei villi intestinali persistente o ricorrente con sintomi di malassorbimento, nonostante una rigorosa GFD ≥12 mesi, in assenza di un linfoma palese o di un'altra condizione che causi l’atrofia dei villi. RCD costituisce un piccolo sottoinsieme (circa 10%) di NRCD e si verifica nel 1%-2% dei pazienti con malattia celiaca [43]. La diarrea grave e la perdita di peso nei pazienti con NRCD aumentano il rischio di RCD. Quest’ultima è caratterizzata dall'assenza (tipo I) o presenza (tipo II) di un’aberrante popolazione di linfociti intra-epiteliali (IELs), che non hanno una differenziazione di lignaggio dei marcatori di superficie (ad esempio, CD4, CD8 od il recettore per l'interleuchina-2), ma sono positivi per CD3 citoplasmatico, indicando un fenotipo cellulare T [44, 45]. Questa popolazione anormale di cellule T può essere identificata mediante immunoistochimica, citometria a flusso, o l'analisi del recettore delle cellule T nelle biopsie dell’intestino tenue. L’RCD di tipo I è più comunemente diagnosticato negli Stati Uniti, mentre l'RCD di tipo II predomina in Europa. La prognosi per i pazienti con RCD I e II

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differisce marcatamente [46]. L’RCD I è associato con sintomi gravi e malassorbimento, ma l'aspettativa di vita non è molto ridotta; la malattia spesso risponde al trattamento con steroidi topici e la budesonide [47]. Meno comunemente, si attua il trattamento con uno steroide sistemico (prednisone), od un immunosoppressore (azatioprina) od un un agente biologico (inflixamab). Una dieta rigorosa priva di glutine dovrebbe essere costantemente seguita e quando necessaria dovrebbe esser somministrata una supplementazione nutrizionale. Al contrario, la mortalità nell’arco di cinque anni per i pazienti con RCD II è circa del 50% [48]. La malattia è spesso aggravata dalla transizione verso il linfoma a cellule T associato a enteropatia, digiuno-ileite ulcerativa, e grave malassorbimento con insufficienza intestinale che richiede una nutrizione parenterale totale. Gli approcci terapeutici iniziali sono gli stessi come per RCD I, ma un minor numero di pazienti con RCD II risponde al trattamento, spesso le risposte sono di breve durata ed esiste un alto tasso di mortalità. Si ritiene che l’RCD II debba esser trattata con un agente chemioterapico citotossico come la cladribina (2-clorodeossiadenosina) [49].

1.7 Diagnosi

Il tasso di diagnosi di celiachia è in aumento in tutto il mondo a causa, in parte, di un maggiore apprezzamento della variabilità nella presentazione clinica. Fino al 1950, la celiachia è stata diagnosticata sulla base di osservazioni cliniche focalizzate su caratteristiche di malassorbimento. Lo sviluppo della biopsia intestinale per via orale (1955-1956) ha prodotto un cambiamento sostanziale nel paradigma diagnostico. Da quel momento, l’enteropatia dipendente dal glutine, sulla base della valutazione istologica della mucosa intestinale, è stata lo standard per la diagnosi. Negli anni ottanta, sono stati sviluppati test sierologici sensibili e specifici per la celiachia. Questi sono ora utilizzati come il primo passo quando si ha un sospetto di malattia celiaca, per identificare i pazienti che dovranno sottoporsi alla biopsia intestinale (Figura 2).

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Figure 2: Approccio alla diagnosi della malattia celiaca. La sierologia è di solito il primo passo per la diagnosi

o l'esclusione della malattia nei pazienti sintomatici o per lo screening. La biopsia è importante per la diagnosi definitiva. Il test HLA è prezioso in pazienti selezionati.

Note: I marcatori sierologici della malattia celiaca: IgA contro tTG, anticorpi Endomysial (IgA), IgG contro

DGD, IgA contro peptide deamidato della gliadina, IgG contro tTG. Un piccolo numero di pazienti con malattia celiaca ha dato risultati negativi ai test sierologici. Le biopsie dovrebbero quindi essere eseguite se si ha un elevato sospetto clinico per la malattia celiaca, a prescindere da questi risultati. I test per HLA DQ2 e DQ8 possono essere eseguiti. Risultati negativi indicano che la malattia celiaca può essere esclusa in modo permanente. Tuttavia, molte persone senza la malattia celiaca sono portatori di questi alleli, in particolare quelli con una storia familiare di malattia celiaca o malattia autoimmune correlata. Per i pazienti asintomatici, soprattutto i bambini, che pressentano lievi aumenti nei marcatori sierologici della malattia, l’analisi bioptica può essere ritardata ed i risultati di test sierologici effettuati ad intervalli di 3-6 mesi.

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15 1.7.1 Istologia

Visto che in seguito all’ingestione di glutine la mucosa intestinale va incontro ad alterazioni istologiche, la principale metodica di diagnosi prevede l’analisi di biopsie intestinali derivanti dalla seconda e terza porzione duodenale. La mucosa intestinale normale è costituita da un sottile strato di tessuto muscolare (muscolaris mucosae) ricoperto dalla lamina basale; verso la parte luminale sono presenti i villi intestinali, mentre verso la parte basale rimangono delle cripte o avvallamenti. In condizioni normali il rapporto villi-cripte è maggiore o uguale a 3:1, mentre in seguito alla comparsa della CD si osserva un progressivo appiattimento della mucosa fino ad arrivare alla completa atrofia dei villi associata a ipertrofia delle cripte, con infiltrazione di cellule infiammatorie (plasmacellule, linfociti, eosinofili e mastcellule) a livello della lamina propria e aumento della presenza di immunoglobuline (IgA, IgG ed IgM) [50]. La cromoendoscopia utilizzando indigo carminio o blu di metilene e acqua di immersione ha dimostrato di migliorare i marcatori endoscopici, consentendo la visualizzazione di villi e l'identificazione di aree atrofizzate. Le biopsie intestinali devono essere eseguite in pazienti che consumano glutine. La lesioni della mucosa è generalmente più pronunciata a livello intestinale prossimale e lieve o assente a livello distale. E 'importante notare che la posizione, il numero e la qualità (dimensione e orientamento) di biopsie possono influenzare la resa diagnostica. Al microscopio ottico, i risultati istologici più caratteristici sono: atrofia villi, iperplasia delle cripte, un aumento del numero di linfociti intra-epiteliali (IELS), infiltrazione della lamina propria da parte delle cellule mononucleari, e anomalie strutturali nelle cellule epiteliali. Dal 2000, gli studi provenienti da Europa e Nord e Sud America hanno riferito che il 13% -46% dei casi sono mal diagnosticati mediante analisi istologica (sovra e sotto-diagnosi). Per questo motivo, nei casi dubbi, soprattutto quando vi è una discrepanza tra istologia e risultati sierologici, è raccomandata una rivalutazione da un patologo gastrointestinale con esperienza nella malattia celiaca. Alterazioni istologiche, tra cui aumento del numero di IELS e atrofia dei villi non sono specifici per la malattia celiaca. Essi sono anche associati a disturbi come giardiasi, immunodeficienza variabile comune, la malattia di Crohn, e l'infezione da Helicobacter pylori. I pazienti con incrementi solo di IELS ed i risultati positivi dei test sierologici sono considerati come potenziali candidati per la malattia celiaca. Tuttavia, la maggior parte dei pazienti che hanno solo i linfociti intraepiteliali aumentati non presentano celiachia [51].

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16 Mucosa intestinale normale

Villi: aspetto digitiforme con rapporto tra l’altezza dei villi e quella delle cripte sempre a favore del villo (3/1 o più).

Enterociti: altezza normale 29-34 micron. Normale Brush-border

Infiltrato linfocitario intraepiteliale: si considera normale il rapporto di 25 linfociti per 100 cellule epiteliali. È da ritenersi superato e non più valido il rapporto 40 linfociti per 100 cellule epiteliali.

Cripte ghiandolari: le cripte hanno fondamentalmente il compito di svolgere una funzione rigenerativa per cui è possibile riscontrarvi delle mitosi; in genere il range normale è di 1 mitosi per cripta. Accanto alle cellule epiteliali vi sono cellule endocrine, Globet-cells e cellule di Paneth, che però non hanno alcun valore per quanto attiene la diagnostica della malattia celiaca.

Lamina propria: normalmente si riscontrano plasmacellule, eosinofili, istiociti, mastcellule e linfociti. I neutrofili sono generalmente assenti, fatta eccezione per i casi di duodenite attiva con eventuale metaplasia gastrica strettamente correlata all’infezione da HP. Le plasmacellule sono la componente cellulare più numerosa, così come i linfociti, talora presenti sotto forma di aggregati linfoidi e gli eosinofili il cui valore non deve mai essere superiore a 60 per 10 campi di visione esaminati a 40 x: (Figura 3 Ematossilina-Eosina x 10).

Figura 3

L’identificazione dello spettro dei cambiamenti istologici nella malattia celiaca è stato classificato nel 1992 da Marsh come:

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Lesione di tipo 1 o infliltrativa: normale architettura dei villi con aumento dei linfociti intraepiteliali, più di 40 linfociit per 100 entrociti; non è specifica di malattia celiaca.

1) Villi architetturalmente nei limiti morfologici della norma (normale rapporto villo/cripta =3/1) (Figura 4 A Ematossilina- Eosina x20)

2) Incremento del numero dei linfociti intraepiteliali (superiore a 25 ogni 100 cellule epiteliali) (Figura 4 B colorazione immunoistochimica x CD3 x40)

Figura 4 A

Figura 4 B

Lesione di tipo 2 o iperplastica: normale architettura dei villi con aumento dei llinfociti intraepiteliali, iperplasia delle cripte.

1) Villi architetturalmente nei limiti morfologici della norma (come tipo1).

2) Incremento del numero dei linfociti intra- epiteliali (superiore a 25 ogni 100 cellule epiteliali)

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3) Iperplasia degli elementi ghiandolari. (aspetto rigenerativo degli elementi ghiandolari evidenziata da riduzione dell’attività mucipara e da aumento del numero delle mitosi) (Figura 5 A Ematossilina-Eosina x 20 B x 40)

Figura 5 A

Lesione di tipo 3 o distruttiva: atrofia dei villi associata ad iperplasia delle cripte ghiandolari, enterociti di superficie di altezza ridotta, con brush-border irregolari e vacuoli citoplasmatici, aumento del numero di linfociti intraepiteliali.

1) Atrofia dei villi di grado variabile associata ad iperplasia delle cripte ghiandolari;

2) Enterociti di superficie di altezza ridotta, con brush-border irregolare e talora vacuoli citoplasmatici;

3) Incremento del numero dei linfociti intraepiteliali (come lesione tipo I e II).

L’insieme dei tre fattori sopra descritti è coerente con celiachia o enteropatia glutine sensibile in senso stretto o attiva.

Questi 3 quadri per quanto schematici rappresentano le lesioni istologiche visibili in corso di celiachia ed è importante considerarli dinamici, progressivi tra loro in un senso o nell’altro e non statici in quanto funzione dell’esposizione quantitativa e temporale al glutine.

Questa esposta è la classificazione universalmente riconosciuta per la diagnosi di celiachia, ampiamente valida, l’unico punto debole, se così vogliamo dire, è rappresentato dal fatto che i casi con atrofia lieve, moderata o severa o totale che dir si voglia, vengono raggruppati tutti in una unica categoria ossia la lesione di tipo 3.

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È stata proposta una modifica a tale schema e la lesione tipo 3 di Marsh è stata divisa in tre sottogruppi:

3a) Villi con lieve atrofia ed incremento patologico dei linfociti intraepiteliali. (Figura 6 Ematossilina –Eosina x 20)

3b) Atrofia dei villi di grado moderato ed incremento patologico dei linfociti intraepiteliali. (Figura 7 Ematossilina - Eosina x 20)

3c) Atrofia totale dei villi ed incremento patologico dei linfociti intraepiteliali. (Figura 8 Ematossilina -Eosina x 20)

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Figura 7

Figura 8

Quest’ultima classificazione, fermo restando tutti gli altri criteri morfologici descritti, permette di poter meglio descrivere lo spettro di lesioni con cui può manifestarsi la celiachia sia nei pazienti a dieta libera che nei pazienti a dieta priva di glutine. Sempre su questa linea e nel tentativo di semplificare e di uniformare il lavoro degli anatomopatologi e facilitare il rapporto tra patologi e clinici è stata proposta recentemente una nuova versione della classificazione istologica da parte del prof. Corazza e del dott.Villanacci [52], in particolare le lesioni che caratterizzano la malattia celiaca sono state divise in due categorie:

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Non-atrofica (grado A) e Atrofica (grado B) e quest’ultima è stata ulteriormente suddivisa in

 Grado B1 in cui il rapporto villo/cripta è meno di 3/1, con villi ancora individuabili, e

 Grado B2 in cui i villi non sono più individuabili.

La lesione Grado A è caratterizzata dall’incremento patologico del numero dei linfociti intraepiteliali meglio riconosciuto dall’impiego di tecniche immunoistochimiche [53].

1.7.2 Sierologia

L’impiego dei test sierologici ha segnato una svolta decisiva nella diagnostica della malattia celiaca, consentendo di identificare i gruppi di pazienti a rischio e di incrementare il numero delle diagnosi. Il ruolo degli anticorpi non è quello di sostituirsi alla biopsia intestinale, ma di identificare i soggetti con sospetta celiachia da confermare con l’indagine istologica. I marker sierici di celiachia comprendono un ampio spettro di anticorpi. Il riconoscimento del glutine da parte degli HLA DQ2/DQ8 comporta l’attivazione della risposta immunitaria contro il glutine stesso, con conseguente comparsa a livello sierico di anticorpi specifici, principalmente di tipo IgA, diretti contro l’endomisio (EMA), la gliadina (AGA) e la tTG. La rilevazione, mediante test immuno-enzimatici, di questi anticorpi rappresenta un’indispensabile strumento di screening per la diagnosi della patologia in individui asintomatici a rischio, come i parenti di primo grado. Nonostante l’elevata sensibilità di questi test, esistono casi di celiachia caratterizzati da siero-negatività, probabilmente in relazione ad una secrezione ridotta (sotto la soglia rilevabile) in presenza di alterazioni contenute della mucosa. Negli anni ottanta, una nuova era nella ricerca sulla celiachia ha avuto inizio con l'individuazione di anticorpi specifici che circolano nel plasma dei pazienti non trattati.

Anticorpi anti-gliadina (AGA)

Gli anticorpi anti-gliadina di classe IgA e IgG sono stati il primo marcatore sierologico utilizzato nella diagnosi della celiachia. La sensibilità e la specificità di questi anticorpi è molto bassa e per questo sono ritenuti obsoleti. In seguito è stato sviluppato un saggio immunoenzimatico per l’identificazione di IgA e IgG che riconoscono proprio peptidi di gliadina deamidati (DGP), che ha sensibilità e specificità molto superiori rispetto agli AGA.

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23 Anticorpi anti-endomisio (EMA)

Successivamente gli EMA che sono auto-anticorpi, principalmente di classe IgA, diretti contro antigeni presenti nella matrice del collagene e vengono evidenziati mediante immunofluorescenza indiretta su sezioni d’esofago di scimmia, sono risultati essere un marcatore altamente sensibile e specifico per la celiachia. Anche se un test per l'anti-EmA rileva la celiachia con livelli più bassi di sensibilità rispetto ad altri test sierologici moderni, l'anticorpo è un marcatore estremamente specifico di danno alla mucosa in pazienti non trattati.

Autoanticorpi antitransglutaminasi (tTGA)

Il dosaggio degli anticorpi anti-transglutaminasi tissutale (tTG IgA) ha superato in parte l’uso dei predetti anticorpi nella pratica diagnostica. Recentemente sono stati introdotti i test sul sito per anti-tTG, usando campioni di sangue prelevati da un dito. Queste prove sembrano essere ragionevolmente affidabili e ben accettate dai pazienti. Tuttavia, i risultati non evitano la necessità di successive sperimentazioni per la sierologia convenzionale e la biopsia duodenale. Così, un certo numero di rilevanti marcatori sierologici sono ora disponibili, e utilizzati di routine per la diagnosi e il monitoraggio. Tuttavia, è importante notare che il 2% -3% dei celiaci hanno risultati negativi nei test sierologici, hanno titoli anticorpali bassi, o titoli che oscillano tra i livelli positivi e negativi con il tempo. Un recente studio multinazionale ha valutato la performance diagnostica del test IgA tTG in 150 campioni di siero, valutati alla cieca in 15 diversi laboratori clinici, e ha trovato una serie deludente di sensibilità (dal 62% al 92%). Nonostante queste limitazioni, la determinazione simultanea o consecutiva di IgA-tTG e / o IgG-DGP può essere utilizzata come forte collegamento alla malattia celiaca nella maggior parte delle impostazioni [54].

1.7.3 Biopsia e capsula endoscopica

Generalmente se gli esami sierologici hanno dato esito positivo oppure se ci sono i riscontri clinici anche in assenza di sierologia positiva, è necessario effettuare la gastroscopia a livello duodeno-digiunale con biopsia intestinale, per confermare la diagnosi e per accertare il grado

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d'infiammazione della mucosa intestinale. La capsula endoscopica è un metodo alternativo per la valutazione della malattia celiaca e l’identificazione di complicanze. E’ un esame diagnostico incruento che permette di esplorare il tratto dell'intestino tenue. I marcatori di celiachia sembrano essere più accuratamente identificati dalla capsula rispetto all’endoscopia tradizionale. La capsula è anche in grado di riconoscere la distribuzione a chiazze del danno e l'estensione longitudinale della mucosa compromessa. Attualmente, l'uso della capsula endoscopica per la diagnosi della malattia celiaca è limitata ai pazienti che rifiutano l’endoscopia superiore, ai casi dubbi, e per valutare i pazienti con forme severe e poco responsive alla terapia medica (per indagare complicazioni come jejunitis ulcerosa o neoplasie) [55].

1.8 Trattamento

Una rigorosa e permanente dieta senza glutine è, ad oggi, l’unico trattamento disponibile per la malattia celiaca. Infatti solo l’esclusione totale e per tutta la vita del glutine dalla dieta permette di solito la remissione dei sintomi e segni associati alla malattia celiaca, la normalizzazione dei livelli plasmatici di auto-anticorpi e delle lesioni della mucosa duodenale glutine-dipendenti. Alcuni studi hanno riportato però un basso grado di soddisfazione dei pazienti, costi elevati, sintomi continui e segni istologici di danno intestinale, che indicano come la dieta priva di glutine non sempre sia ottimale. Tuttavia, il concetto che la GLUTEN FREE DIET (GFD) sia una terapia ideale ha portato alla mancanza di efficaci trattamenti alternativi e ausiliari. Affinchè GFD sia efficace, devono essere assolutamente evitati grano (glutine), segale (secalina), e prodotti come orzo. Non più di 50 mg di glutine, una quantità presente in poche briciole di pane o un piccolo pezzo di pasta, può aumentare l’enteropatia [56]. Oltre alle ovvie fonti di glutine, come pane e pasta, molti prodotti sono contaminati dal glutine durante la raccolta, lavorazione e confezionamento. Un buon esempio è l'avena, che non contiene glutine, ma è spesso pesantemente contaminata da frumento o orzo. L’avena che viene certificata senza glutine è ben tollerata dalla maggior parte delle persone affette da celiachia e ora è accettata della GFD [57]. Grazie a contaminazioni accidentali ed intenzionali, risulta difficile per la maggior parte delle persone rimanere completamente non esposti al glutine; la soluzione migliore è quella di limitare altamente il glutine nella dieta. La guarigione della mucosa si verifica di routine in pazienti pediatrici, è molto meno comune negli adulti

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con la malattia celiaca, per ragioni sconosciute. La maggior parte delle persone hanno ancora i sintomi intermittenti legati alla intermittente o continua esposizione al glutine. Gli effetti sociali negativi di una dieta limitata, la vigilanza costante necessaria per evitare il glutine, e l'alta frequenza di esposizione accidentale sono i principali fattori determinanti la bassa soddisfazione del paziente. Oltre ai costi aggiuntivi e le difficoltà della GFD, si possono anche avere carenze nutrizionali che causano sintomi nuovi o continuati [58]. Il più comune di questi è la costipazione, a causa della mancanza di fibre in molti alimenti senza glutine. Al momento della diagnosi, i pazienti devono ricevere consulenza dietetica, idealmente da un nutrizionista con esperienza nel settore della celiachia; possono migliorare in modo significativo la qualità nutrizionale del GFD di un paziente, e guidare il loro uso di cereali integrali senza glutine. La terapia non-alimentare, con corticosteroidi sistemici o locali o immunomodulatori, è in gran parte limitata al trattamento della malattia celiaca refrattaria. Le strategie includono lo sviluppo di reagenti che degradino o modifichino il glutine nella dieta, evitino che i peptidi del glutine attraversino la barriera epiteliale, venga inibito il potenziamento tTG-indotto dai peptidi della gliadina, o il blocco del legame con HLA DQ2 gliadina. Strategie immunitarie di base cercano di impedire l'attivazione delle cellule T o risposte immunitarie innate e adattative (ad esempio, inducendo la tolleranza al glutine). Arriva dall’Università di Tampere, in Finlandia, una nuova terapia non alimentare in grado di curare la celiachia. E’ stato testato un nuovo trattamento non alimentare con uno specifico enzima che sarebbe in grado di ridurre i problemi e le lesioni causate da un’esposizione al glutine, l’enzima testato si chiama “ALV003. Altre sperimentazioni vengono condotte sulla molecola di Larazotide acetato, un peptide per via orale che modula ed impedisce l'apertura delle giunzioni intestinali e riduce l'assorbimento del glutine, inibendo l’aumento della permeabilità intestinale e l'infiammazione indotta in vivo dal glutine e dalle citochine. Ulteriori studi sono in corso per determinare se questi agenti sono sicuri ed efficaci per i pazienti con sintomi persistenti e lesioni della mucosa, nonostante una continua dieta priva di glutine [59].

1.9 Monitoraggio

La celiachia è una malattia infiammatoria che nel corso della vita può colpire più sistemi d'organo, per cui i pazienti devono esser seguiti regolarmente. Non ci sono differenze nelle raccomandazioni per il monitoraggio in pazienti sintomatici o asintomatici. Sulla base del

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consenso degli esperti, al momento della diagnosi, i pazienti devono essere valutati per coesistenti condizioni autoimmuni comuni, come la tiroide e malattie del fegato, così come carenze di ferro, vitamina D e vitamina B12. E 'anche importante considerare zinco, acido folico, e altre carenze basate sulle tendenze a livello regionale e sintomi del paziente. Ci dovrebbe essere una soglia bassa per testare i pazienti in caso di altre malattie autoimmuni sulla base dei loro sintomi o segni. Vi è un accordo generale tra le linee guida, i pazienti devono essere esaminati almeno due volte nel primo anno dopo la diagnosi per monitorare i sintomi, l'aderenza dietetica, nutrizione, indice di massa corporea, e caratteristiche sierologiche [60]. Anche se ci vuole parecchio tempo per normalizzare le funzionalità sierologiche della malattia celiaca, una significativa diminuzione rispetto al primo anno è un segno di aderenza GFD; i pazienti le cui caratteristiche sierologiche non migliorano dovrebbero essere rivalutati per l'esposizione continuata al glutine. La bassa densità minerale ossea è una delle manifestazioni più comuni extra-intestinali della malattia celiaca, così la valutazione della Dual-energy x-ray absorptiometry (DXA) è generalmente raccomandata nel primo anno dopo la diagnosi. Uno degli aspetti più controversi nel monitoraggio della celiachia è il ruolo e la tempistica delle analisi di biopsia endoscopica ripetute. Ripetendo l'analisi di biopsia da 6 mesi a 2 anni dopo la diagnosi permette ai medici di valutare la risposta del paziente alla terapia, e aderenza GFD per i pazienti con ridotta guarigione della mucosa. Tuttavia, la guarigione intestinale è spesso lenta, incompleta, e dipende dall’età. Inoltre, l’enteropatia persistente non sempre prevede un esito a lungo termine, e le anomalie istologiche possono avere altre cause [61]. Non vi è alcun dubbio pertanto che la biopsia intestinale sia una componente importante nella valutazione dei pazienti con sintomi persistenti (Figura 9).

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Figure 9. Valutazione della NRCD. Note: Confermare la diagnosi di malattia celiaca, rivedendo i risultati di

test sierologici (test per gli anticorpi anti-gliadina non) e piccoli reperti istologici intestinali. Se i pazienti sono risultati negativi per gli anticorpi tTG e EMA, eseguire HLA DQ2 DQ8 tipizzazione. Indagare altre eziologie possibili per la presentazione clinica e / o reperti istologici anormali. L'aumento dei livelli sierici di IgA contro tTG indicate continuavano ingestione di glutine come causa. Non- celiaci atrofia dei villi può essere causata da infezioni intestinali (ad esempio, la giardiasi, piccolo proliferazione batterica intestinale, e enteriti virali, tra cui enteropatia HIV), enteropatia autoimmune, ipogammaglobulinemia, così come combinato immunodeficienza variabile, sprue tropicale, la malattia di Crohn, duodenite peptica, o sprue collageno.

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28 1.10 Eziologia

1.10.1 Il contributo della genetica

La celiachia ha una forte componente ereditaria. Esistono dei fattori genetici predisponenti alla celiachia, che aumentano cioè il rischio di svilupparla rispetto alla popolazione generale. Studi epidemiologici indicano che fino al 20% dei parenti di primo grado sono colpiti dalla malattia con tassi di concordanza del 75-80% nei gemelli monozigoti e del 10% nei gemelli dizigoti [62]. La suscettibilità alla celiachia è determinata in gran parte da molecole di classe II del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC), in particolare dagli antigeni HLA-DQ2 e HLA-DQ8 [63]. I geni HLA sono geni polimorfici situati in un cluster genico chiamato per l’appunto complesso maggiore di istocompatibilità localizzato sul cromosoma 6. Questa regione contiene centinaia di geni con funzioni immunologiche ed è responsabile dei più forti segnali di associazione per la maggior parte delle malattie immunomediate. Anche se HLA-DQ2 e HLA-DQ8 costituiscono di gran lunga il più alto rischio genetico per la celiachia, queste molecole da sole non sono sufficienti per lo sviluppo della malattia. È noto che circa il 40% degli individui è in possesso di questi aplotipi, mentre solo l’1% della popolazione sviluppa la malattia nel corso della vita. Almeno 57 varianti non-HLA sono state associate alla celiachia sebbene il loro preciso ruolo nell’insorgenza della malattia rimanga da chiarire. Le molecole HLA-DQ sono glicoproteine della membrana cellulare composte da un eterodimero αβ e codificate dai geni HLA-DQA1 (catena α) e HLA-DQB1 (catena β). I geni del sistema HLA sono divisi in due classi, I e II (Figura 10).

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Figure 10: HLA-DQ classe II. I geni che codificano per HLA si ritrovano nel complesso maggiore di

istocompatibilità (MHC) sul cromosoma 6. Le molecole HLA implicate nella malattia celiaca sono codificate in una regione conosciuta come classe II; dai geni conosciuti come -DQ (altri geni di classe II includono -DR e –DP). I geni di classe II HLA-DQ codificano per catene α- e β che sono associate come eterodimeri sulla superficie delle cellule presentanti l’antigene e formano una fenditura che lega gli antigeni. I geni HLA-DQA1 codificano per due α-catene (α1 ed α2) ed i geni HLA-DQB1 codificano per due β-catene (β1 e β2).

HLA-DQ di classe II è responsabile per la presentazione di antigeni esterni da parte delle cellule che presentano l’antigene (cellule dendritiche, linfociti B e macrofagi). Al contrario le molecole di classe I che sono presenti su quasi tutte le cellule nucleate hanno un ruolo importante nel riconosciemento degli antigeni “endogeni”. L’eterodimero αβ è un recettore sulla superficie cellulare situato sulla APC.

La genetica della celiachia è complessa perché il numero, il tipo e la configurazione degli alleli DQA1 e DQB1 determinano il rischio della malattia. Approssimativamente, il 25-30% degli individui di origine europea ha la suscettibilità alla celiachia per la presenza dell’allele HLA-DQ2, ma solo circa il 4% di questi individui svilupperà la malattia celiaca nella loro vita. La (Figura 11) evidenzia le configurazioni HLA associate con la malattia celiaca.

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A) HLA-DQ2 omozigoti, eterozigoti e half-heterodimers. B) HLA-DQ8 omozigoti, eterozigoti e DQ8/DQ2.

I riquadri rossi denotano il gene DQA1 che codifica per la catena  mentre i riquadri arancioni indicano il gene DQB1 codificante per la catena  (vedi figura 2). Indicati nei riquadri sono gli alleli specifici per ognuno. Correntemente in nomenclatura si usa mettere un asterisco seguito dal gruppo dell’allele (e.g., 05), due punti e poi il gruppo della proteina (e.g., 01). Una casella vuota si riferisce ad altri alleli HLA non associati con la malattia celiaca. Indicati sotto i geni ci sono le isoforme: cis acting (i.e. sullo stesso cromosoma); trans acting (i.e. su cromosomi opposti); il rischio di malattia celiaca per DQ2 metà eterodimero è più basso rispetto alla popolazione generale specialmente per gli individui che trasportano solo DQA1*05.

Il rischio è più alto per i soggetti che hanno DQB1*02 su entrambi i cromosomi (cioè omozigoti); questo è noto come gene dosaggio-effetto [64]. DQB1*02 omozigote ha una prevalenza del 2% nella popolazione, ma rappresenta il 25% di tutti i pazienti celiaci a causa di un aumento del rischio stimato di ben cinque volte della malattia celiaca rispetto agli eterozigoti. Alcuni studi hanno dimostrato che la risposta delle cellule T helper CD4+ di individui omozigoti DQB1*02 è maggiore della risposta delle cellule provenienti da individui eterozigoti [65]. Inoltre, può essere associata con l’esordio in giovane età ed è più complicato il decorso incluso l’aspetto refrattarietà [66]. Gli eterozigoti DQ2.5 (DQB1*02/DQA1*05) sono le configurazioni più comuni del sistema HLA, rappresentano fino al 50% dei tipi di HLA trovati nei pazienti celiaci. Mentre DQ2.2 (DQB1*02/DQA1*02) è altamente omologo a DQ2.5, comportando un rischio inferiore per la celiachia a causa della diminuzione della stabilità dei peptidi legati [67]. Una piccola minoranza di pazienti celiaci porta solo uno degli alleli di rischio HLA-DQ2 eterodimerico: HLA-DQA1*05 (05:01 o 05:05) o HLA-DQB1*02 (02:01 o 02:02). Questo è chiamato "half-heterodimer". La studi genetici in Europa su più di 1000 pazienti celiaci hanno evidenziato che il 6% di questi pazienti non è portatore nè di HLA-DQ2 né di -DQ8. Di questi pazienti, il 93% portava la HLA-DQ2.5 “half-heterodimer” con quasi tre quarti portatori solo dell’allele DQB1*02. La prevalenza di individui che portano una sola copia di DQB1*02 è aumentata nei pazienti celiaci rispetto ai controlli, mentre quelli che portano solo una copia di DQA1*05 è maggiore nei controlli rispetto ai pazienti, indicano un’associazione negativa per DQA1*05 half-heterodimer. DQ8 è un eterodimero composto da catene  codificate da DQA*03:01 e catene  codificate da DQB1*03:02. Quando vengono ereditate sullo stesso cromosoma, si trovano su un aplotipo con DRB1*04, contrassegnate come DR4-DQ8. La prevalenza di HLA-DQ8 nella popolazione generale varia geograficamente con tassi più elevati in individui provenienti dal Medio Oriente e dal Sud America [68]. Complessivamente nella malattia celiaca, HLA-DQ8 si trova nel 5-10% dei

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pazienti. Come con DQ2, il rischio di malattia con HLA-DQ8 segue un gradiente. Il più alto rischio sembra esser in individui che ereditano DQ8 e DQ2; però, la prevalenza complessiva di portatori sia di DQ8 che di DQ2 è ridotta al 2,5%. In soggetti con HLA-DQ8 e DQ2.2 o DQ2.5, il rischio è stimato a 1:24, mentre in soggetti con HLA-DQ8, ma non DQ2.2 o DQ2.5, il rischio è stimato a 1: 89. Lo sviluppo della malattia celiaca nei soggetti che sono HLA-DQ2 e -DQ8 negativo è estremamente raro. In un ampio studio collaborativo europeo, solo 4 su 1008 pazienti (0,4%) soddisfacevano i criteri per la celiachia, ma non portavano DQ2 (incluso half-heterodimer), né DQ8. Nessun’altra associazione di classe I o II è stata identificata in questo piccolo gruppo. A sostegno di questi risultati, due ulteriori studi negli Stati Uniti ed in Italia hanno riscontrato che la prevalenza di negatività DQ2/DQ8 nella malattia celiaca varia tra lo 0,16 e lo 0,9% [69]. Così, in un piccolo gruppo di pazienti, se il sospetto clinico è elevato con il supporto di risultati sierologici ed istologici, la celiachia può essere diagnosticata in assenza di HLA-DQ2 o -DQ8. Tuttavia, il rischio generale di celiachia in soggetti che non portano DQ2 o DQ8 è molto bassa. Questi risultati supportano l'uso di test HLA per il loro alto valore predittivo negativo(Figura 12).

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I test HLA dovrebbero esser considerati per lo screening, l'esclusione della malattia o per sostenere una diagnosi. Il test è influenzato da una dieta priva di glutine. Dovrebbe essere garantito che sia la catene  che la catena  di DQ2 siano testate. Se un paziente è portatore di HLA-DQ2 o -DQ8 ha un fattore di rischio per la malattia celiaca e dovrebbe essere considerato un ulteriore work-up variabile. Gli individui che trasportano half

heterodimers HLA-DQ2 sono a rischio per la malattia celiaca (anche se sostanzialmente inferiore rispetto ad

altri pazienti -DQ8 e HLA-DQ2 positivi). Se HLA-DQ2 e -DQ8 non sono presenti, il rischio di malattia celiaca è altamente improbabile e lo screening anticorpale non è necessario.

HLA-DQ2 e -DQ8 svolgono un ruolo chiave nella malattia celiaca a causa delle loro proprietà fisiochimiche e per il legame con peptidi specifici deamidati dalla transglutaminasi 2 tissutale (tTG2). Sia HLA-DQ2 che -DQ8 contengono tasche cariche positivamente con una preferenza per il legame con particelle caricate negativamente. In particolare in DQ2, la lisina in posizione β71 ha una preferenza per il legame di residui caricati negativamente (Figura 13) [70].

Figure 13: MHC di classe II-gluten peptide complessi.

MHC molecole di classe II HLA-DQ2 e–DQ8 preferenzialmente legano un residuo di glutammato del peptide glutine rispettivamente nella posizione 6 e nelle posizionei 1/9.

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Il polimorfismo DQ8 β57 crea un ambiente basico con una preferenza per il legame del residuo caricato negativamente in corrispondenza di P9. Nella malattia celiaca, queste molecole del sistema HLA su APCs presentano peptidi del glutine alle cellule T CD4+ portando così all’attivazione di esse [71]. La dimensione del frammento peptidico definisce l’attività stimolante, con frammenti più grandi che mostrano una maggiore stimolazione delle cellule T CD4+ rispetto a frammenti più piccoli [72]. Mentre la deamidazione favorisce il legame con HLA-DQ2 o -DQ8, alcuni studi hanno suggerito che non è assolutamente necessaria per la stimolazione delle cellule T CD4+ in particolare nel caso di HLA-DQ8 [73]. Il sistema HLA è il principale fattore di suscettibilità genetica nella malattia celiaca, ma non tiene conto di tutti gli aspetti connessi con l’ereditarietà della malattia, suggerendo che ulteriori fattori genetici giochino un ruolo chiave. A tal proposito la GWAS “Genome-wide association study” ha identificato un certo numero di fattori genetici di suscettibilità coinvolti nella malattia celiaca. I risultati del GWAS mettono in luce nuovi geni e percorsi genetici coinvolti nella patogenesi della malattia. La sfida immediata è quella di identificare varianti di queste regioni funzionalmente importanti per chiarire il loro ruolo nella patogenesi della malattia celiaca. Fino ad oggi, sono stati associati con la malattia celiaca mediante GWAS loci genici non HLA che ospitano 115 geni [74]. Di questi geni, 28 sono immuno-correlati e possono essere sostanzialmente raggruppati in varie categorie. Un’analisi aggiuntiva indica come questi geni siano ampiamente coinvolti nella risposta immunitaria adattativa evidenziando anche vie coinvolte nella risposta immunitaria innata (Figura 14).

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Figure 14: Analisi di arricchimento dei geni non HLA associati con la malattia celiaca.

Abbiamo usato GeneTrail di prova per l'arricchimento di annotazioni funzionali tra i geni non HLA associati a malattia celiaca da studi di associazione sull'intero genoma pubblicati nel 2012. In questo grafico viene mostrato l’incremento relativo (asse x) e le significativamente arricchite funzioni biologiche (asse y). Le aspettative di fondo sono basate su tutti i geni umani. I p values sono stati calcolati utilizzando una distribuzione ipergeometrica utilizzando l'approccio di Benjamini & Hochberg per controllare il tasso di scoperte false. I p-values per gli incrementi qui riportati variavano da 4,8 × 10-2 a 3,2 × 10-11.

Studi post-GWAS dovranno concentrarsi sul chiarire la base funzionale di queste varianti genetiche. Un risultato interessante che emerge dal GWAS è la sovrapposizione di varianti identificate in un numero di malattie, incluse diverse malattie immuno-correlate. Loci comuni sono stati identificati con il diabete di tipo 1, l'artrite reumatoide e la malattia di Crohn suggerendo sfondi genetici comuni per queste malattie immuno-correlate. Tuttavia, i loci non HLA vengono considerati per valutare una piccola porzione del rischio genetico complessivo. La ragione dell’"ereditabilità mancante" è ancora oggetto di indagine e potrebbe essere spiegata dal contributo delle varianti genetiche altamente penetranti con frequenze alleliche inferiori rispetto a quelle studiate in GWAS. Queste varianti rare possono avere un impatto

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maggiore sulla predisposizione alla malattia rispetto a varianti comuni scoperte fino ad oggi e, quando gli studi di sequenziamento su larga scala saranno completati, sarà chiaro quale ruolo svolgono nella malattia celiaca. Inoltre, l’importanza delle interazioni gene e gene-ambiente nella malattia celiaca dev’esser approfondita ulteriormente.

1.10.2 Fattori ambientali ed altri studi in fase di sperimentazione

Finora, l'unico fattore ambientale accertato e correlato alla celiachia è il glutine presente nella dieta e derivato dal frumento, dalla segale e dall’orzo, che attiva una risposta immunitaria dannosa nella mucosa intestinale. Il ruolo di altre cause ambientali nello sviluppo del disturbo è ancora oscuro. Da decenni sono state esaminate le abitudini alimentari nel bambino per rilevare un ipotetico fattore di rischio per la malattia celiaca. È emerso che il glutine introdotto nella dieta in bambini tra i 4 ed i 6 mesi di età e l’allattamento al seno prolungato o durante l'introduzione di glutine nella dieta, siano associabili ad un ridotto rischio della malattia. Secondo recenti evidenze però non possono esser emesse specifiche raccomandazioni generali riguardo l’introduzione del glutine o l’allattamento al fine di ridurre il rischio. Arriva dall’Università di Chicago in collaborazione con la University of Pittsburgh School of

Medicine [75] uno studio che potrebbe modificare profondamente il modo di approcciarsi alla

celiachia. A quanto emerso da alcuni test, l’intolleranza al glutine non sarebbe solo una conseguenza della genetica. Al contrario, esisterebbe un virus detto reovirus– molto comune e asintomatico – che sembra avere un ruolo importante nell'origine della celiachia poiché in alcuni casi ridurrebbe la tolleranza del corpo a quella specifica molecola. Gli esperti hanno testato due ceppi di reovirus su topi vedendo che solo uno dei due è in grado di ridurre la tolleranza al glutine e quindi scatenare lo sviluppo della celiachia. L’infezione con questo virus induce una reazione infiammatoria intestinale e la perdita della tolleranza al glutine nella bocca. Tale scoperta dunque in prospettiva futura potrebbe portare a un vaccino che riduca notevolmente i casi di celiachia e dar adito a nuovi orizzonti nell’ambito della ricerca.

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1.10.3 Disregolazione immunitaria: risposta immunitaria adattativa ed innata

Mentre la malattia celiaca richiede la predisposizione genetica (principalmente HLADQ2 o -DQ8) così come l’esposizioni ambientali (in primo luogo l’ingestione di glutine), questi da soli non sono sufficienti a scatenare la malattia e non motivano l’infiammazione intestinale. La disregolazione immunitaria, quindi, è una caratteristica fondamentale della malattia celiaca ed è stata oggetto di intensa ricerca nel corso degli ultimi decenni. E’ stato chiarito il ruolo della tTG nella deamidazione di specifici epitopi tossici così come nell’iniziazione della riposta immunitaria adattativa di cellule T specifiche per il glutine. Inoltre, il ruolo delle risposte immunitarie innate nella patogenesi della malattia è stato recentemente correlato, in particolare nel danno epiteliale dell’intestino tenue, ai linfociti intraepitelial CD8+ e CD4+. Una volta che i frammenti peptidici del frumento, della segale e dell’orzo non sono digeriti, vengono trasportati alla lamina propria, essi sono soggetti alla deamidazione da parte della tTG2 che converte la glutammina a glutammato introducendo così cariche negative che hanno forte affinità di legame per HLA-DQ2 e –HLA-DQ8 su APC. tTG2 appartiene ad una famiglia di enzimi “transamidating” calcio-dipendenti che catalizzano il cross-linking covalente e irreversibile di proteine espresse in tutti i tipi cellulari. Nella forma inattiva, la tTG2 si trova nelle cellule ed è enzimaticamente inattiva [76]. Per ragioni che non sono completamente comprese, la tTG2 viene trasportata nello spazio extracellulare, dove, in presenza di calcio, la tTG2 è in una forma ridotta aperta ed è enzimaticamente attiva. In condizioni fisiologiche normali, la tTG2 è rapidamente inattivata tramite ossidazione. Mentre in un ambiente riducente come nel corso dell'infiammazione, la tTG2 rimane attiva nello spazio extracellulare e questo facilita una permanete attività dell’enzima (Figura 15) [77].

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Figure 15. Stati attivi e inattivi delle tTG2

La tTG2 è attiva in una conformazione aperta in uno stato ridotto. In presenza di GTP e in assenza di Ca2+ (i.e.

ambiente intracellulare), la tTG2 è in uno stato ridotto, chiuso, e l’enzima è inattivo. Al momento del rilascio nell'ambiente extracellulare con basse concentrazioni di GTP ed alte concentazioni di Ca2+, la tTG2 assume una

conformazione aperta e attiva. Condizioni in genere ossidanti nell’ambiente extracellulare rendono la tTG2 inattiva nella sua conformazione aperta dalla formazione di un legame disolfuro tra due residui di cisteina nell'enzima. Al momento della creazione di condizioni riducenti (l'infiammazione), il legame disolfuro è ridotto e l'enzima può ancora una volta prendere una conformazione aperta, attiva.

Alcuni residui di glutammina, i cosiddetti epitopi tossici, hanno una maggiore specificità per la deamidazione da parte della tTG2 nell’intestino tenue. I peptidi derivati dal grano, dalla segale e dall’orzo sono popolazioni eterogenee. I peptidi della gliadina sono suddivisi in α-, γ- ed -gliadine, mentre le glutenine sono caratterizzate da un alto o basso peso molecolare. Nella malattia celiaca a seconda del sitema HLA, epitopi tossici composti da un nucleo di nove sequenze amminoacidiche della gliadina, della glutenina, dell’ordeina e dei peptidi di secalina (così come alcuni peptidi di avenina derivati dall’avena), suscitano risposte delle cellule T specifiche per il glutine.

Una caratteristica della celiachia è la presenza di anticorpi anti-tTG2 che può essere rilevata nel siero con saggi ELISA. Gli anticorpi anti-tTG2 (soprattutto IgA) sono altamente sensibili e specifici per la malattia [78]. Tuttavia, il meccanismo di auto-formazione degli anticorpi rimane completamente sconosciuto. Inoltre, vi è una controversia sul ruolo degli anticorpi anti-tTG2 nella patogenesi della malattia. Uno studio [79] ha fornito prove a favore di un modello di malattia per la formazione di anticorpi dipendente dalle cellule T suggerendo che le cellule B tTG-specifiche agiscono come APC per la risposta immunitaria delle cellule T

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specifiche. Ulteriori studi suggeriscono che gli auto-anticorpi potrebbero modulare la biologia dell’intestino tenue facilitando il passaggio dei peptidi di gliadina, inibendo l’angiogenesi, oppure alterando l'attività della tTG2. Tuttavia ci sono dati contrastanti sul fatto che l'attività della tTG2 sia inibita o attivata. Il supporto per un ruolo degli auto-anticorpi nella patogenesi della malattia è fornito da manifestazioni extra-intestinali della malattia celiaca, in particolare per quanto riguarda la dermatite erpetiforme. In questa condizione dermatologica associata alla malattia celiaca, gli anticorpi anti-tTG3 sono espressi nelle papille dermiche e si pensa che medino la formazione di lesioni [80]. In conclusione, la celiachia risulta esser strettamente connessa ad un’azione combinata che coinvolge l’ambito dell’immunità: sia adattativa che innata (Figura 16).

Figura 16: La patogenesi della malattia celiaca comporta componenti sia di immunità adattativa che innata. La

TG2 è in grado di compiere la deamidazione dei peptidi derivati di gliadina, aumenta la loro affinità per le molecole del sistema HLA, DQ2 e DQ8 espresse su vari tipi di cellule presentanti l'antigene (APC). Nel contesto delle molecole HLA, le APC presentano i peptidi alle cellule T speciche per il glutine CD4+ che riconoscono

preferenzialmente i peptidi deamidati della gliadina (DGPS) mediante il loro recettore di superficie (TCR). Al momento dell'attivazione, le cellule CD4+ diventano proinfiammatorie e iniziano la produzione di citochine come

l'interferone y (IFN-y) e interleuchina (IL) 21. Le cellule T specifiche per il glutine CD4+ aiutano le cellule B specifiche per i petidi deamidati a differenziarsi in plasmacellule che producono anticorpi anti gliadina diamidata. La risposta degli autoanticorpi anti-TG2 si ritiene derivi da un meccanismo che coinvolge l’attività della TG2. I complessi risultanti TG2-glutine si pensa che siano interiorizzati dalle cellule B reattive alla TG2, dopodiché i peptidi deamidati di gliadina possono essere rilasciati e presentati alle cellule T legati a DQ2 o DQ8. Così, le

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