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Valutazione dell'attivita farmacologica anti-tumorale di nuovi H2S-donors, coniugati con una funzione glicosidica, allo scopo di facilitarne l'ingresso in cellule di adenocarcinoma pancreatico umano (AsPC-1).

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche

Tesi di Laurea

VALUTAZIONE DELL’ATTIVITÀ FARMACOLOGICA

ANTI-TUMORALE DI NUOVI H₂S-DONORS, CONIUGATI

CON UNA FUNZIONE GLICOSIDICA, ALLO SCOPO DI

FACILITARNE L’INGRESSO IN CELLULE DI

ADENOCARCINOMA PANCREATICO UMANO (AsPC-1).

Anno Accademico 2016/2017

Relatori:

Prof. Vincenzo Calderone

Dott.ssa Alma Martelli

Candidato:

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Indice

Capitolo 1

Introduzione

...1

1.1 Il tumore del pancreas...1

1.1.1 Adenocarcinoma duttale pancreatico(PDAC)…..……….…2

1.1.2 Diagnosi e progressione del tumore.………..9

1.1.3 Trattamento del tumore…...………15

1.1.3.1 Terapie farmacologiche disponibili……….16

1.1.3.2 Trattamento chirurgico del tumore………23

1.2 Solfuro di idrogeno………..………26

1.2.1 Comportamento ormetico di H

2

S……….………..34

1.2.2 H

2

S e cancro..………..……….………40

1.2.2.1 L’effetto pro-cancerogeno di H

2

S.……….……..…………..41

1.2.2.2 L’effetto anti-cancerogeno di H

2

S………..……….46

1.2.3 H

2

S donors………..………50

1.2.3.1 Gli Isotiocianati……….52

1.2.3.2 I Ditioltioni………57

1.3 La famiglia dei recettori GLUT...………..……….….61

1.3.1 Recettore GLUT-1 e cancro……….65

Capitolo 2

Scopo della ricerca

....………..………69

(3)

Capitolo 3

Materiali e metodi

...………71

3.1 Materiale utilizzato per la sperimentazione in vivo...……….………71

3.1.1 Colture cellulari…..……….…71

3.1.2 Mezzo di coltura………..………...72

3.1.3 Sostanze e soluzioni tampone………..……….72

3.1.4 Soluzioni delle sostanze utilizzate………74

3.2 Protocollo sperimentale………..74

3.2.1 Scongelamento……….75

3.2.2 Piastratura………75

3.2.3 Esperimenti……….77

3.2.3.1 Vitalità cellulare: effetto antiproliferativo……….77

3.2.3.2 Analisi del ciclo in seguito a trattamento……….…….78

3.2.3.3 Rilevazione del rilascio di H2S in substrati biologici mediante

sonda fluorescente (WSP-1)………79

3.2.4 WST-1………..………….0

3.2.5 WSP-1………..81

3.2.6 Analisi dei dati………82

Capitolo 4

Risultati e discussione

....……….………83

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1

Capitolo 1

Introduzione

1.1 Il tumore del pancreas

Il cancro al pancreas rappresenta la settima più comune causa di mortalità da neoplasia in tutto il mondo contando circa Il 4% delle morti correlate a cancro sia nell’uomo che nella donna, presentando un onere globale che si prevede aumentare notevolmente nei prossimi 15 anni in tutte le regioni geografiche del mondo [Are C et al. 2016]. Nei paesi occidentali la portata del problema è anche maggiore: basandosi sulle proiezioni correnti, il tumore del pancreas dovrebbe superare quello del colon-retto entro il prossimo decennio e si prospetta, nel 2020, essere secondo solo al carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) [Rahib L et al. 2014]. Nel 2017 si stima che ci saranno ben 53.670 nuovi casi di carcinoma pancreatico e ben 43.090 decessi [American Cancer Society 2017]; di questi, l'85% si presenterà come malattia non resecabile, con una sopravvivenza nei successivi 5 anni del 3% nei pazienti che sono metastatici alla diagnosi [Hernandez BYet al. 2010]. Dal punto di vista istologico quasi il 95% dei tumori del pancreas è rappresentato da adenocarcinomi duttali pancreatici (PDAC) [Gold EB e Goldin SB. 1998].

I tumori neuroendocrini pancreatici (PNET) sono neoplasie infrequenti che rappresentano circa l'1-2% di tutti i tumori pancreatici [Halfdanarson TR et al. 2008]. L’ incidenza stimata per PNET è meno di 1/100.000 all'anno, sebbene la loro infida natura potrebbe portare ad una sottostima di questi numeri [Halfdanarson TR et al. 2008; Frilling A et al. 2012]. Il tasso di sopravvivenza a cinque anni per PNET è circa il 42%, dato in accordo con la maggior parte delle diagnosi di tumori di grado basso-intermedio [Fesinmeyer MD et al. 2005].

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L'età avanzata costituisce uno dei principali fattori di rischio nello sviluppo di PDAC: l’età media dell'insorgenza è di 71 anni [National Cancer Institute. 2017], mentre l'età media di morte è di 73 anni [Howlader N et al. 2014]. Il cancro al pancreas è leggermente più comune negli uomini rispetto alle donne, ma questo divario si è notevolmente attenuato negli ultimi anni. I fattori di rischio per il cancro al pancreas sono identificabili in circa il 40% dei casi e includono (ma non sono i soli): razza/etnia (nera, discendenza Ashkenazi-ebrea) [Yeo TP. 2015]; l’abuso di alcol [Lucenteforte E et al. 2012]; la pancreatite cronica [Andersen DK et al. 2013]; fattori dietetici; obesità; esposizione ad agenti vari; il diabete mellito di tipo 2 (DM2) [Bosetti C et al. 2014]. Il tabacco è il maggiore fattore di rischio tossico riconosciuto e comporta un raddoppiamento della probabilità di contrarre la malattia [Iodice S et al. 2008]. Oltre a questi fattori, anche la storia familiare può influenzare la probabilità di sviluppo di PDAC [Hemminki K e Li X. 2003]. Diversi studi, che hanno valutato l'incidenza del cancro al pancreas tra familiari, hanno riscontrato che i parenti di primo grado hanno quasi un rischio due volte maggiore di sviluppare PDAC. Inoltre il rischio sembra essere proporzionale al numero di parenti di primo grado presentanti PDAC [Klein AP et al. 2004; Permuth-Wey J e Egan KM. 2009]. Si stima che una componente ereditaria possa essere implicata quasi nel 10% di tutti i casi di PDAC [Klein AP et al. 2002; Petersen GM. 2015], ma attualmente, solo in meno del 20% di questi, può essere identificata una determinata predisposizione per la sindrome del carcinoma ereditario con un maggiore rischio di sviluppo di PDAC. In PNET, al contrario, non ci sono fattori di rischio ben riconosciuti [Halfdanarson TR et al. 2014]. La maggior parte di essi è costituito da tumori sporadici e una sindrome ereditaria da cancro può essere riconosciuta in circa il 20% dei casi [Crona J e Skogseid B. 2016].

1.1.1 Adenocarcinoma Duttale Pancreatico (PDAC)

Istologicamente, il PDAC è caratterizzato da uno stroma desmoplastico/fibroso denso ed esteso in cui vengono incorporate le cellule tumorali (Figura 1). Ad oggi è stato inequivocabilmente dimostrato che le principali cellule efficaci responsabili della produzione di questo stroma sono le cellule stellate pancreatiche (PSC) [Apte et al. 2004]. Nel corso degli ultimi anni si sono accumulate ulteriori evidenze ad indicare che questo abbondante stroma non può più essere considerato come un astante nella patobiologia

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del cancro pancreatico, ma deve essere riconosciuto come un fattore critico nella progressione del tumore stesso.

FIGURA 1| Istologia del cancro del pancreas: la sezione colorata di ematossilina ed eosina

di una sezione tumorale del tumore pancreatico umano che mostra gli elementi tumorali (frecce sottili) incorporate in un abbondante stroma collageno (frecce spesse). [Wilson JS et al. 2014]

Mentre il ruolo delle PSC nel cancro al pancreas avanzato è ormai ben determinato, si stanno anche accumulando evidenze che suggeriscono come le PSC possano essere attivate nelle prime fasi della carcinogenesi pancreatica. Le PSC esprimono desmina, la proteina fibrillare acida della glia (GFAP), vimentina e nestina (proteine filamentose intermedie) nonché marcatori neuroectodermici come il fattore di crescita del nervo (NGF) e la molecola di adesione cellulare neurale; l'espressione di questi marcatori selettivi differenzia le PSC dai fibroblasti (Figura 2). Il livello ultrastrutturale presenta un raro reticolo endoplasmatico, fibrille di collagene e goccioline lipidiche che circondano un nucleo centrale. Data la loro capacità di produrre proteine ECM (extracellular matrix), così come gli enzimi che degradano le proteine ECM [matrici metallo proteinasi (MMPS)] e gli inibitori di MMP [inibitori tissutali delle metallo-proteinasi (TIMPS)], si pensa che le PSC abbiano un ruolo primario nella manutenzione della normale architettura pancreatica.

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FIGURA 2| Cellule stellate pancreatiche umane (PSC) in coltura. Analisi

immunocitochimica delle colture primarie di PSC umane che presentano desmina e macchie di proteina di acido fibrillare gliale (GFAP). Inserti: controllo negativo. [Wilson JS, et al. 2014]

Tuttavia, quando si attivano, durante le lesioni del pancreas, le cellule perdono le gocce lipidiche, esprimono l'actina muscolare liscia (α-SMA), proliferano, migrano e producono quantità eccessive di proteine ECM, con conseguente perdita di equilibrio tra la produzione e degradazione di ECME e conseguente fibrosi [Wilson JS et al. 2014]. Durante un episodio acuto di lesioni del pancreas, le PSC vengono attivate in anticipo e secernono proteine ECM in eccesso, le quali producono un reticolo per rigenerare le cellule epiteliali. Quando la lesione si risolve, le PSC attivate vengo perse molto probabilmente per apoptosi [Tahara J et al. 2008; Vonlaufen A et al. 2011]. Le MMP secrete dalle restanti PSC degradano l'eccesso di fibrosi, con conseguente restituzione della normale istologia pancreatica. Tuttavia, con lesioni ripetute o sostenute, le PSC possono raggiungere uno stato attivato perpetuo, in quanto le cellule possono secernere proprie citochine e fattori di crescita, che a loro volta possono attivare PSC tramite recettori selezionati sulla superficie cellulare [Mews P et al 2002; Masamune A et al. 2009]. Quindi, anche in assenza di trigger iniziali, le PSC possono rimanere nel loro stato attivato ed eventualmente dare il via allo sviluppo di fibrosi patologica, spesso irreversibile. Mentre, in un primo tempo, la maggior parte dell'attenzione della ricerca era diretta a spiegare i meccanismi responsabili della fibrosi pancreatica mediata dalla PSC, sta diventando sempre più chiaro

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che le PSC possono avere diverse funzioni aggiuntive sia nello stato di salute che in quello di malattia. (Figura 3)

FIGURA 3| Diagramma schematico che illustra le interazioni tra cellule stellate

pancreatiche attivate e cellule tumorali del pancreas, nonché cellule stellate pancreatiche e altre cellule stromali (cellule endoteliali, cellule immunitarie e cellule neuronali), che possono promuovere la progressione del cancro pancreatico. La freccia tratteggiata tra PSC e cellule neuronali indica che, sebbene un'interazione tra questi due tipi di cellule possa essere ragionevolmente postulata, non sono ancora state riportate prove dirette sperimentali a sostegno di questo concetto. [Wilson JS et al. 2014]

L’esordio dello sviluppo tumorale si ha quando le cellule del pancreas iniziano a proliferare senza controllo e formare una massa [Lu L e Zeng J. 2017]. Il profilo del genoma dell'adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC) è noto per quattro geni spesso mutati: KRAS, TP53, p16/CDKN2A, DPC4/SMAD4. Finora, non esiste una terapia efficace che ha come bersaglio molecolare questi quattro geni mutati [Eser S et al. 2014]. Le alterazioni genetiche di KRAS e p53 sono considerate la chiave della progressione del cancro al pancreas [Shin SH et al. 2013]: è noto che oltre il 90% dei PDAC porta una mutazione del gene KRAS. KRAS oncogenico attivo mutazionale innesca il percorso PI3K-PDK1-AKT per guidare l’iniziazione, la progressione e il sostentamento del tumore [Eser S et al. 2014]. Il

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proto-oncogene KRAS codifica per una piccola proteina di 21 kDa (p21ras). Questa proteina possiede attività GTPasica, consentendo l'inattivazione della cellula tumorale [Ines C et al. 2014]. Inoltre, i segnali KRAS sono attivati attraverso il percorso MAPK via RAF-MEK1/2-ERK1/2. Tuttavia, tutti i tentativi di utilizzare KRAS come bersaglio ad oggi hanno fallito nella pratica clinica e KRAS è ancora ampiamente considerato una mèta irraggiungibile [Eser S et al. 2014].

Il recettore per il fattore di crescita epidermico (EGFR) si trova a monte di KRAS [Raponi M et al. 2008]. È stato visto che i farmaci che mirano ad EGFR perdono efficacia se KRAS è attivato [Allegra CJ et al. 2009; De Roock W et al. 2010], per esempio Erlotinib, un inibitore tirosin chinasico di EGFR approvato dalla FDA (Food and Drug Administration), in combinazione con gemcitabina per il trattamento della prima linea di PDAC avanzato, offre vantaggi clinici minimi [Philip PA et al. 2010], probabilmente a causa dell'alta prevalenza della mutazione KRAS. Per la stessa ragione non è sorprendente vedere risultati negativi nello studio di fase III del test della combinazione tra gemcitabina e anticorpi anti-EGFR [Zeng Y et al. 2017].

È noto che le delezioni genetiche o le mutazioni del gene oncosoppressore p53 contribuiscano all'adenocarcinoma pancreatico (40-87% dei casi). L’attivazione del gene p53 provoca l'arresto del ciclo cellulare codificando una fosfoproteina nucleare che si lega direttamente al DNA [Conlin A et al. 2005].

Numerose ricerche pubblicate recentemente hanno fallito nel provare l’associazione fra i cambiamenti molecolari di KRAS e p53 e la prognosi dei pazienti [Kawesha A et al. 2000]: è stato scoperto che la sola mutazione di KRAS non è correlata alla sopravvivenza, però, a seconda del tipo di mutazione di KRAS, esistono differenze significative sul tipo di sopravvivenza. Per contro, un altro studio assicura, invece, che la sola mutazione di KRAS è connessa alla sopravvivenza dei pazienti [Shin SH et al. 2013]. Questi risultati suggeriscono anche che la mutazione di KRAS ha un valore differenziale di prognosi dell'adenocarcinoma pancreatico nelle diverse posizioni e popolazioni geografiche [Lu L e Zeng J. 2017]. Inoltre, la maggior parte dei recenti studi pubblicati non hanno riportato alcuna associazione tra alterazioni di p53 e la sopravvivenza del paziente [Salek C et al. 2009; Dong M et al. 2003], mentre altri studi hanno dimostrato che le mutazioni del gene p53 potrebbero ridurre la sopravvivenza postoperatoria [Yeo CJ e Cameron JL. 1998; Nakamori S et al. 1995].

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Il signalling di KRAS oncogenico è la principale forza trainante del PDAC. Le reti di segnalazione attivate da KRAS oncogenico sono molto complesse e caratterizzate dall'attivazione di più vie effettrici. Queste sono interconnesse a vari livelli da cross-signalling e feedback loops (Figura 4). Le reti di segnalazione guidate da KRAS differiscono tra le differenti tipologie tumorali come PDAC, NSCLC e cancro del colon, e molto probabilmente anche tra i sottotipi di ciascuna entità. L’analisi e la comprensione approfondita di queste diverse vie di segnalazione sono essenziali per lo sviluppo di strategie mirate specifiche [Eser S et al. 2014].

La prognosi estremamente infausta del PDAC mette in evidenza l'urgente necessità di comprendere e mirare alle disfunzioni molecolari che guidano questa malattia. Nel 2011 sono stati classificati alcuni campioni di adenocarcinoma pancreatico microdissezionato mediante analisi di espressione genica. La classificazione prevedeva tre sottotipi [Collisson EA et al. 2011]:

(I) Sottotipo classico: questo sottotipo è caratterizzato da un'elevata espressione di geni epiteliali e associati all’adesione.

(II) Sottotipo Quasi-mesenchimale (QM): questo sottotipo è caratterizzato da un'alta espressione di geni associati al mesenchima.

(III) Sottotipo esocrino-simile: come suggerisce il nome, questo sottotipo presenta un’espressione relativamente alta di cellule tumorali derivate da geni che codificano per enzimi digestivi.

In uno studio più elaborato si è poi eseguita un'analisi che includeva il sequenziamento dell’intero genoma, la variazione del numero di copie, l'analisi dell'espressione genica e la correlazione istopatologica e clinica su 456 campioni di PDAC. In questo studio sono stati identificati 32 geni mutati che andavano ad interferire su varie vie molecolari. Tra queste le vie maggiormente colpite erano:

• Attivazione della mutazione di KRAS nel 92%;

• Disattivazione del meccanismo di checkpoint G1/S nel 78%; • Signalling di TGF-β (fattore di crescita trasformante beta) nel 47%

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FIGURA 4|Una panoramica delle reti di signalling di KRAS oncogenico nel PDAC:

RAF/MEK/ERK e PI3K/PDK1/AKT. La mutazione dell’oncogene KRAS innesta la via PI3K/PDK1/AKT che porta all'iniziazione, alla progressione e al mantenimento del cancro. In più, KRAS scatena la via delle MAP-chinasi (Mitogen Activated Protein Kinases), attraverso la via RAF-MEK1/2-ERK1/2. L'attività di KRAS viene potenziata dall’attivazione a feedback positivo dell’EGFR (recettore del fattore di crescita epidermico) e da altri recettori tirosin-chinasici (RTK) che vengono attivati da stimoli autocrini e paracrini. Ovviamente ai vari livelli esistono, insieme ai segnali attivatori, anche segnali a feedback negativo. Le frecce in verde rappresentano la via pro-tumorigenesi; le linee in rosso la via inibitoria tumorigenesi; le frecce in rosso rappresentano la via stimolatoria anti-tumorigenesi. L'asterisco (KRAS*) rappresenta l'attivazione mutazionale di KRAS. [Eser S et al. 2014]

Dato che l'analisi genomica del PDAC è spesso ostacolata dalle cellule tumorali sparse e dalla presenza di abbondante stroma combinato con normali cellule endocrine e esocrine, per superare questi ostacoli, è stata successivamente eseguita la microdissezione virtuale di campioni di PDAC: 145 di PDAC primario e 61 di PDAC metastatico. Sull’analisi genetica di cellule duttali, sono stati così individuati due sottotipi del tumore: “classico” e “basale-simile”. I pazienti che presentano il sottotipo “basale-simile” hanno una bassa aspettativa

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di vita. Nonostante ciò questi pazienti mostrano una forte tendenza di risposta alla terapia.

Studiando le cellule stromali il PDAC è stato poi classificato in altri due sottotipi stromali: “normale” e “attivato”. I pazienti che presentano il sottotipo stromale attivato avranno la prognosi peggiore.

Entrambi i tipi tumorali “basale-simile” e “classico” si possono trovare sia nel sottotio stromale che in quello attivato. Come previsto i tumori di sottotipo classico con sottotipo stromale normale avranno la prognosi migliore, mentre quelli con sottotipo basale-simile e sottotipo stromale attivato presenteranno la prognosi più infausta [Moffit RA et al. 2015].

1.1.2 Diagnosi e progressione del tumore

Il PDAC è un tumore epiteliale che nasce dalle cellule del canale pancreatico o dei dotti, dai quali prende il nome. In stato di salute, i dotti pancreatici servono come condotto attraverso cui gli enzimi digestivi e gli ioni bicarbonato, prodotti dalle cellule acinose, raggiungono l'intestino tenue. Le cellule duttali e le cellule acinose rappresentano insieme il pancreas "esocrino", da cui si sviluppa la stragrande maggioranza delle neoplasie pancreatiche. È opinione ormai accreditata che lo sviluppo del PDAC richieda un lungo periodo di tempo e che probabilmente segua una progressione graduale simile ad altri carcinomi (in particolare il carcinoma colorettale). Questa progressione è caratterizzata dalla transizione di un normale dotto pancreatico in una lesione pre-invasiva nota come neoplasia intraepiteliale pancreatica (PanIN), che in ultima analisi può tramutarsi in un PDAC invasivo [Hruban RH et al. 2000]. Lo sviluppo di PDAC è stimolato dall'accumulo graduale di mutazioni genetiche (Figura 5). Le lesioni PanIN avanzate sviluppano una crescente variabilità genetica, proliferano e, infine, acquisiscono i mezzi per invadere e metastatizzare [Howlader N NA et al. 2014].

I sintomi più comuni di PDAC sono il dolore e la perdita di peso e il segno clinico più comune è l'itterizia. Uno studio ha riportato, più specificamente, la seguente frequenza di segni e sintomi nei pazienti con PDAC [Porta M et al. 2005]: debolezza/fatica (astenia) 86%; perdita di appetito (anoressia) 85%; perdita di peso 85%; dolore addominale 79%;

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urina scura 59%; ittero 56%; nausea 51%; dolore alla schiena 49%; diarrea 44%; vomito 33%. È importante capire che i sintomi sono spesso legati alla localizzazione del tumore.

Grossolanamente il pancreas è diviso nelle seguenti regioni anatomiche: il processo uncinato, la testa, il corpo e la coda. Nel contesto del PDAC l'anatomia può essere semplificata in due gruppi: la testa del pancreas (compreso il processo uncinato) e il corpo/la coda. Circa il 60-70% del PDAC proviene dalla testa del pancreas, mentre il 20-25% proviene dal corpo/coda [Modolell I et al. 1999].

Figura 5| "Modello di Progressione" per il Cancro Pancreatico. La progressione è divisa in

fasi morfologiche che sono solitamente associate alla mutazione nei geni mostrati sotto. [Hruban RH et al. 2000]

In generale, la conoscenza clinica dei i tumori provenienti dalla testa del pancreas avviene molto prima rispetto ai tumori derivanti dal corpo e dalla coda, questo perché la testa del pancreas contiene il canale biliare comune. Infatti, un tumore che ostruisce il condotto biliare comune porta al fenomeno noto come "ittero indolore", in quanto i componenti della bile si accumulano nel sangue. Questo porta solitamente a suggerire uno studio di imaging che rivelerà il tumore sottostante. Al contrario i tumori del corpo e della coda non producono l'ittero e quindi vengono all'attenzione clinica più tardi, cioè una volta che la perdita di peso e/o il dolore diventano evidenti. PDAC può occasionalmente essere causato dalla pancreatite acuta (causata da ostruzione del canale pancreatico) e quindi

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venire all’attenzione clinica per tale motivo. L’ insorgenza di diabete in un paziente adulto può essere un’indicazione non comune della presenza di PDAC e solitamente porta ad una prognosi infausta. Infine PDAC può essere identificato incidentalmente tramite imaging addominale per un problema non correlato, ma questo caso è estremamente raro [Stark A e Eibl G. 2015].

I sintomi e i segni descritti sopra non sono però specifici per la diagnosi di PDAC e quindi una vera e propria prognosi può essere effettuata solo dopo ulteriori indagini. Le indagini di laboratorio, in particolare le prove di funzionalità epatica, dovrebbero essere eseguite in tutti i pazienti che sono sospettati di malignità pancreatica, soprattutto se ci sono segni di ittero nell'esame fisico. Il marker del tumore, l’antigene del carboidrato 19-9 (CA 19-9), può aumentare anche del 75-85% nei pazienti con PDAC. Questo però non è un marker né perfettamente sensibile, né specifico, infatti può essere elevato sia in malattie benigne biliari, che in quelle pancreatiche. Pertanto, anche se un livello elevato di CA 19-9 in un paziente con una massa pancreatica è altamente sospetto per PDAC, non è un elemento sufficiente per stabilire una diagnosi. Piuttosto il ruolo di CA 19-9 è di primaria importanza nel valutare la ricorrenza del tumore dopo l'intervento chirurgico [Winter JM et al. 2013].

Poiché i test di laboratorio non sono specifici per PDAC, sono preferibili i più specifici studi di imaging. La tomografia computazionale addominale (CT) è la metodica iniziale più comune per identificare una massa pancreatica (Figura 6), ma altri studi di imaging comprendono la RMR (abdominal magnetic resonance imaging) con o senza colangiopancreatografia (MRCP), ultrasonografia addominale (US) e ultrasuoni endoscopici (EUS) con o senza colangiopancreatografia endoscopica (ERCP). Fra tutti questi test, l'EUS e l'ERCP sono i più invasivi, ma sono gli unici che consentono una biopsia che possa fornire la diagnosi esatta. A meno che non ci siano specifiche controindicazioni o circostanze cliniche che favoriscano l'esecuzione di un metodo alternativo, la CT addominale è l’analisi iniziale raccomandata. La CT è ampiamente disponibile, ha un elevato grado di precisione nell'identificazione della maggior parte dei tumori e può determinare che un tumore sia resecabile nel 90% dei casi [Tempero MA et al. 2010].

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FIGURA 6| Aspetto tipico di PDAC. (A) Una scansione CT assiale che dimostra una massa

(freccia gialla) nella testa del pancreas in prossimità della vena mesenterica superiore. (B) Una scansione CT coronale della stessa massa (freccia gialla) nella testa del pancreas. Si può notare una dilatazione anormale del canale pancreatico (freccia rossa), questo perchè la massa sta ostruendo il deflusso del pancreas. [Stark A e Eibl G. 2015]

A differenza di molte altre malattie solide, rimane opinabile il tentare direttamente una biopsia in caso di sospetto PDAC, ad eccezione di due situazioni particolari in cui essa risulta sicuramente necessaria. La maggior parte dei chirurghi raccomanda di procedere direttamente con la chirurgia quando una massa sospettata di essere PDAC, sta causando ittero ostruttivo: in questo caso la chirurgia sarà necessaria per alleviare l'ostruzione indipendentemente dalla diagnosi del tessuto. D'altra parte, nei casi in cui si sospetta PDAC ma ci sono prove di metastasi o malattie localmente avanzate che escludono un tentativo di resezione curativa, la biopsia tissutale è universalmente necessaria per guidare la chemioterapia. Nel resto delle situazioni cliniche, può essere necessario un team multidisciplinare per decidere se deve essere eseguita una biopsia prima dell'intervento [Tempero MA et al. 2010].

Una volta che la diagnosi di PDAC è confermata, o fortemente sospettata, viene fatto un tentativo di stadiazione del tumore, solitamente tramite una scansione CT trifasica dell'addome [Tempero MA et al. 2010]. Raramente per identificare una metastasi distante viene eseguita un'indagine al di fuori dell’addome, solitamente con la scansione CT del

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petto o con la PET (positron emission tomography) dell’intero corpo. La settima edizione dell’American Joint Committee on Cancer (AJCC) per la stadiazione del cancro del pancreas segue lo standard "TNM" (dimensione del tumore, stato del linfonodo, metastasi) (tabelle 1 e 2). Il sistema di stadiazione AJCC è comunemente usato per determinare la prognosi [Byrd DR et al. 2010].

L'intervento chirurgico preoperatorio serve per determinare se un sospetto PDAC è trattabile con intervento chirurgico. Un tumore può essere considerato potenzialmente resecabile, resecabile al limite (borderline), o non resecabile [Katz MH et al.2008]. Sebbene i criteri per chiamare un tumore potenzialmente resecabile o borderline siano soggetti a molti criteri (per esempio quello del chirurgo che deve eseguire l’operazione), in generale il PDAC è considerato resecabile quando: (1) non ci sono prove di metastasi lontane, (2) esiste una mancanza di coinvolgimento tumorale delle arterie maggiori e (3) se è presente un'invasione venosa allora deve essere idoneo alla ricostruzione venosa [Wong JC e Raman S. 2010]. I pazienti che vengono considerati resecabili borderline solitamente presentano un coinvolgimento poco chiaro delle arterie e/o delle vene che non può essere valutato in fase pre-operatoria. In questi pazienti può essere utile la chemioterapia preoperatoria e forse la radioterapia [Stark A e Eibl G. 2015].

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TABELLA 1 | AJCC Pancreas Cancer TNM Classification

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1.1.3 Trattamento del tumore

La chirurgia rimane l'unica opzione di trattamento curativo per PDAC, sebbene solo il 15-20% di tutti i pazienti presenti una massa chiaramente resecabile al momento della diagnosi [Hidalgo M, et al. 2015]. Infatti più della metà dei pazienti con cancro al pancreas mostra patologia metastatica al momento della prognosi. Di questi, un terzo reca tumori inoperabili data la natura localmente avanzata della loro malattia. Per questi pazienti, in cui la chirurgia curativa non rappresenta una valida opzione terapeutica, la base del trattamento consiste nella terapia sistemica, che dovrebbe essere avviata nella maniera più opportuna e sicura possibile data la natura, spesso aggressiva, della malattia. Al contrario, approcci locoregionali, come la chirurgia e le radiazioni, in genere non vengono utilizzati nell’ambito del tumore pancreatico metastatico, salvo in circostanze rare (quali le radiazioni palliative in un sito di metastasi che provocano dolori intrattabili) e quando gli approcci meno invasivi si dimostrano inefficaci. È importante riconoscere che il trattamento della malattia metastatica, se somministrato con intento curativo, è raramente efficace e i relativi tassi di sopravvivenza a 5 anni per i pazienti in questa fase rimangono inferiori al 3% [SEER Cancer Stat Facts: Pancreas Cancer]. Gli obiettivi della terapia devono quindi essere chiaramente comunicati ai pazienti: vale a dire cercare di ottenere una remissione il più possibile profonda e duratura che si traduca in una sopravvivenza prolungata; avere un effetto palliativo su tutti i sintomi correlati al cancro, nonché a cercare di preservare o migliorare la qualità della vita durante tutto il processo. Dato che il dolore, l'anoressia, la depressione sono spesso associati a una diagnosi di cancro al pancreas, è assolutamente indispensabile un piano di assistenza completo che accompagni la somministrazione della terapia.

Nonostante questi scoraggianti risultati, ci sono ancora numerosi presupposti per essere ottimisti. Le opzioni di trattamento sistemico per il carcinoma pancreatico avanzato/metastatico si sono molto evolute nell’ultimo decennio, così come diversi nuovi regimi di chemioterapia hanno mostrato risultati positivi nei test clinici. Questo offre ai pazienti sia più scelte che maggiori opportunità di trattamento attraverso due o più linee di terapia [Cinar P e Ko AH. 2017].

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1.1.3.1 Terapie farmacologiche disponibili

Attualmente la chemioterapia è indicata in tutti i casi di trattamento di PDAC, anche se la durata e il tipo dipendono dagli obiettivi della terapia stessa. Per i pazienti che hanno subito un intervento chirurgico, la chemioterapia adiuvante viene somministrata nel post-operatorio e, come è stato dimostrato, porta un evidente vantaggio nel prolungare la sopravvivenza rispetto al solo intervento chirurgico. I tipici farmaci che vengono utilizzati per questo approccio sono gemcitabina o una combinazione di 5-flurouracile (5-FU) e leucovorina. Per i pazienti con PDAC avanzato/metastatico o non resecabile, è stato dimostrato un beneficio sulla sopravvivenza con la somministrazione di FOLFIRINOX (combinazione di: 5-fluorurocile, leucovorina, irinotecan, oxaliplatino) come chemioterapia di induzione, ovvero, come trattamento primario della malattia [Li D e O'Reilly EM. 2015].

Si può dire che l'era della chemioterapia moderna, nel caso del tumore pancreatico, sia iniziata quando gemcitabina è stata approvata dalla FDA degli Stati Uniti nel 1996. Prima di ciò l’approccio terapeutico per questa malattia era tipicamente centrato su un regime basato su 5-FU somministrato in combinazione con leucovorina [DeCaprio JA et al. 1991; Wolff K et al. 2004]. Gemcitabina (2’,2’-difluoro-2’-deossicitina, dFdC) è un analogo della citosina arabinoside (Ara-C) da cui si differenzia strutturalmente a causa dei due sostituenti fluoro in posizione 2’ dell'anello furanico (Figura 7) [Hertel LW et al. 1988]. Gemcitabina è stato il più importante analogo della citidina sviluppato da Ara-C, mostrando proprietà farmacologiche distintive e un ampio spettro di attività antitumorali.

FIGURA 7| Strutture di Deossicitidina, Citosina arabinoside e Gemcitabina. Deossicitidina

a

Gemcitabina Citidina arabinoside

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Originariamente pensata come agente antivirale, è stata poi impiegata come farmaco antitumorale data la sua impressionante attività in vitro e in vivo. La prova dell'efficacia di gemcitabina per inibire la crescita delle neoplasie umane è stata ottenuta in un'ampia gamma di linee cellulari solide e ematologiche, nonché in molti tumori solidi murini in

vivo. Il suo impiego, nella maggior parte dei casi, ha rilevato un'attività clinica significativa.

Come Ara-C, gemcitabina è un profarmaco che richiede assorbimento cellulare seguito da fosforilazione intracellulare. All'interno della cellula, gemcitabina viene fosforilata a gemcitabina monofosfato (dFdCMP) da una deossicitidina chinasi (dCK), quindi convertita in gemcitabina di- e trifosfato (dFdCDP e DFdCTP, rispettivamente). Questi sono i metaboliti attivi del farmaco [Heinemann V et al. 1988]. A differenza di Ara-C, gemcitabina ha più bersagli intracellulari; si ritiene che la sua attività antiproliferativa dipenda principalmente dalle sue molteplici azioni inibitorie sulla sintesi del DNA [Heinemann V et al. 1988; Gandhi V e Plunkett W. 1990].

DFdCTP è un inibitore della DNA polimerasi [Gandhi V e Plunkett W. 1990] ed agisce dopo che è stato incorporato nel DNA. Dopo l'incorporazione del nucleotide aggiuntivo da parte della DNA-polimerasi, si ha la terminazione dell'allungamento della catena [Huang P et al. 1991]. La posizione non terminale di dFdCTP nella catena del DNA impedisce agli enzimi riparatori del DNA di individuare l’errore e di ripristinare la situazione precedente (terminazione della catena mascherata) [Schy WE et al. 1993;Gandhi V et al. 1996]. Questi eventi molecolari sono fondamentali per l'apoptosi indotta da gemcitabina. Pare che l’azione sia dovuta anche ad un metabolita di dFdC, presumibilmente dFdCTP, che viene incorporato nell’RNA [Ruiz van Haperen VW et al. 1993]. L'effetto di tale meccanismo è tuttavia ancora poco chiaro. Questi effetti sono potenziati da una serie di ulteriori attività farmacodinamiche di gemcitabina di- e trifosfato. Infatti le concentrazioni dei metaboliti di gemcitabina si mantengono elevate per un periodo prolungato; ne consegue l’aumentata probabilità di incorporazione negli acidi nucleici, soprattutto DNA, riducendo i metaboliti naturali concorrenti(auto-potenziamento). Ad esempio, a differenza di Ara-C, dFdCDP inibisce in modo potente la ribonucleotide reduttasi (RR) [Heinemann V et al. 1990; Baker CH et al. 1991], con conseguente diminuzione del pool di deossiribonucleotidi necessari alla sintesi del DNA [Heinemann V et al. 1990; Ruiz van Haperen VW et al. 1994]. Altre attività riportate dei metaboliti di gemcitabina includono l'inibizione della citidina trifosfato sintetasi (CTP sintetasi) [Heinemann V et al. 1995] e l'inibizione della deossicitidilato deaminasi (dCMP deaminasi) da parte di dFdCTP [Heinemann V et al.

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1992]. Recentemente è stato dimostrato che la gemcitabina può rendere dannosa la topoisomerasi I. Questo dimostra che anche l'induzione della rottura del DNA, mediata da tale enzima, contribuisce alla citotossicità di questo farmaco [Pourquier P et al. 2002]. I dati sui meccanismi di gemcitabina sono stati ottenuti principalmente in modelli tumorali in vitro. Studi clinici farmacogenomici hanno tuttavia confermato il ruolo di alcuni di questi meccanismi molecolari nella risposta ai farmaci dei singoli pazienti affetti da tumore [Spratlin J et al. 2004; Rosell R et al. 2004].

I pazienti trattati con gemcitabina hanno mostrato miglioramenti statisticamente significativi sia nella sopravvivenza media (5,65 mesi contro i 4,41 mesi mostrati da altri trattamenti) sia nella sopravvivenza ad un anno (18% contro il 2%). In più, i pazienti trattati con gemcitabina, presentavano un’attenuazione dei sintomi correlati a cancro nel 23,8% dei casi rispetto al 4,8% del 5-FU [Burris HA 3rd et al. 1997]. Successivamente la monoterapia con gemcitabina è stata adottata come standard di riferimento nella maggior parte degli studi successivi sul cancro al pancreas avanzato.

Un gran numero di studi è stato condotto valutando l'efficacia di varie combinazioni basate su gemcitabina come farmaco di prima linea contro il tumore pancreatico avanzato. La stragrande maggioranza di queste prove non è riuscita a soddisfare l’endpoint primario e dimostrare un miglioramento rispetto alla gemcitabina somministrata singolarmente [Cinar P e Ko AH. 2017]. Una delle combinazioni più promettenti è quella con erlotinib, un inibitore di EGFR (recettore del fattore di crescita dell'epidermide). In questo caso c’è stato un prolungamento statisticamente significativo della sopravvivenza da 5,91 mesi a 6,24. Questi risultati positivi hanno portato nel 2005, all'approvazione della combinazione gemcitabina-erlotinib per il trattamento di first-line del cancro pancreatico metastatico (Tabelle 3 e 4) [Moore MJ et al. 2007]. In realtà, attualmente, questa combinazione è utilizzata poco frequentemente in quanto sostituita da opzioni più incoraggianti [Mahaseth H et al 2013].

Negli ultimi anni sono stati compiuti progressi considerevoli nel trattamento del cancro pancreatico metastatico. In particolare, i risultati positivi provengono da due grandi studi che hanno dato vita a due nuovi regimi di chemioterapia combinata per pazienti che alla diagnosi mostrano malattia metastatica. Questi studi descrivono gli effetti di regimi terapeutici combinati come FOLFIRINOX e gemcitabina/nab-paclitaxel (Tabelle 3 e 4) [Cinar P e Ko AH. 2017].

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TABELLA 3| Risultati clinici in studi clinici di fase III in pazienti con malattia avanzata.

ORR, overall response rate; OS, overall survival; GEM, gemcitabine; ERL, erlotinib; FOLFIRINOX, folinic acid + fluorouracil + irinotecan + oxaliplatin; NABPAC, nab-paclitaxel.

[Oettle H. 2014]

TABELLA 4| Eventi avversi di grado 3 o superiori (% pazienti) nelle prove centrali di fase III

GEM, gemcitabina; ERL, erlotinib; FOLFIRINOX, acido folinico + fluorouracile + irinotecan + ossaliplatino; NABPAC, nab-paclitaxel; NR, non riportato. [Oettle H. 2014]

Il regime FOLFIRINOX è composto da due infusioni di oxaliplatino 85 mg/m², leucovorina 400 mg/m², irinotecan 180 mg/m² e 5-FU somministrate entrambe come bolo a 400 mg/m² o come infusione continua di 46 ore a 2.400 mg/m². Lo sviluppo del FOLFIRINOX si è basato su studi preclinici ed evidenze cliniche dell'attività antitumorale di ogni componente singolo e in combinazione. Importante è stata la valutazione della tossicità: è infatti necessario che gli effetti collaterali di ogni componente non si sovrappongano, per evitare aumento della nocività [Wagener DJ et al 1995; Ducreux M et al. 2004]. Il trattamento con FOLFIRINOX ha mostrato una netta evoluzione rispetto al trattamento

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con gemcitabina. Si sono visti miglioramenti statisticamente significativi nella sopravvivenza media (11,1 contro 6,8 mesi), nella sopravvivenza libera da progressione (6,4 contro 3,3 mesi) e un tasso di risposta obiettiva del 31,6% contro il 9,4%. Il problema della terapia con FOLFIRINOX è la bassa qualità della vita che ne deriva. Infatti, anche se il profilo dei suoi effetti secondari non è considerevolmente più pronunciato rispetto alla gemcitabina esso presenta una maggiore incidenza di neutropenia di grado 3/4, neutropenia febbrile, trombocitopenia, diarrea e neuropatia sensoriale. FOLFIRINOX va a ridurre notevolmente la qualità della vita e dovrebbe quindi essere limitato a pazienti in buone condizioni fisiche[Gourgou-Bourgade S et al. 2013]. A causa della sua significativa tossicità sono state sviluppate anche versioni modificate di FOLFIRINOX che includono l'omissione del componente 5-FU e la riduzione della dose iniziale di irinotecan del 25% [Mahaseth H et al. 2013; Lowery MA et al. 2012;James ES et al. 2014]. Queste modifiche sembrano produrre effetti comparabili a FOLFIRINOX standard ma con una tollerabilità migliore (anche se non sono stati effettuati formalmente studi comparativi). Inoltre, poiché irinotecan è ampiamente metabolizzato dal fegato, affidandosi principalmente all'escrezione biliare, può essere necessario iniziare solo con FOLFOX per i pazienti che presentano ittero ostruttivo con livelli elevati di bilirubina sierica e aggiungere irinotecan una volta normalizzata la bilirubina. Come misura finale, dovrebbe far parte della pratica clinica standard, la profilassi primaria con pegfligrastim (farmaco che riduce la neutropenia) per tutti i pazienti che ricevono questo regime [Conroy T et al. 2005].

Un'opzione altrettanto valida per i pazienti che presentano cancro pancreatico metastatico è costituita dalla combinazione di gemcitabina e nab-paclitaxel legante albumina. Lo studio che ha esaminato questa combinazione ha dimostrato una notevole attività antitumorale nei pazienti con tumore pancreatico metastatico non trattato; In particolare, il tasso di risposta osservato era del 48%, con una media della sopravvivenza complessiva di 12,2 mesi [Von Hoff DD et al. 2011].

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FIGURA 8| Incidenza percentuale della regressione tumorale aggregata in risposta a

gemcitabina, nab-paclitaxel e gemcitabina più nab-paclitaxe. [Oettle H. 2014]

Gli studi preclinici hanno mostrato che il nab-paclitaxel sembra diminuire lo stroma desmoplastico peritumorale nei pazienti che presentano xenotrapianto da modelli di topo. Probabilmente questo avviene grazie alla presenza di una proteina chiamata SPARC (Secreted Protein, Acidic and Rich in Cysteine) che risulta sovraespressa nei tumori. La proteina target di SPARC è albumina. SPARC lega quindi l’albumina che si trova legata al nab-paclitaxel, il quale si trova a sua volta complessato con gemcitabina. Ciò provoca una crescita della concentrazione intratumorale di gemcitabina. Non sorprende quindi che l'aggiunta di nab-paclitaxel alla gemcitabina abbia come effetti secondari neutropenia di 3-4 grado (38%), stanchezza (17%) e neuropatia periferica (17%), anche se la neuropatia risulta spesso reversibile e il nab-paclitaxel potrebbe essere successivamente ripreso (a dosi ridotte) nel 44% dei soggetti [Von Hoff DD et al. 2013].

A causa del deterioramento clinico che spesso accompagna la progressione della malattia nel cancro pancreatico metastatico, meno della metà dei pazienti che ricevono chemioterapia di prima linea continuano a ricevere qualsiasi ulteriore terapia. La maggior parte delle sperimentazioni di seconda linea sono state condotte quando gemcitabina (da

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sola o in combinazione) rappresentava la prima linea, se non l’unica possibilità, di terapia standard. Nella fase post-gemcitabina, sono state proposte una serie di aternative, compresi i classici chemioterapici, terapie con molecole target e agenti immuno-oncologici [Walker EJ e Ko AH. 2014]. Gli studi di fase III che hanno avuto maggior impatto sulla pratica clinica erano incentrati su combinazioni di fluoropirimidina [Cinar P e Ko AH. 2017].

FIGURA 9| Algoritmo di trattamento per il cancro pancreatico metastatico avanzato.

[Oettle H. 2014]

Un recente sviluppo nel trattamento di PDAC è stato l'uso crescente della chemioterapia neoadiuvante per la malattia resecabile borderline o localmente avanzata, il che significa utilizzare la chemioterapia prima dell'intervento chirurgico. La logica per la chemioterapia nel PDAC resecabile borderline è che l’utilizzo antecedente della chemioterapia renda il tumore resecabile [Winner M et al. 2015].

L'uso di radiazioni in PDAC è un po' controverso. Alcuni studi non sono riusciti a dimostrare un significativo vantaggio di sopravvivenza quando la radiazione viene aggiunta alla chemioterapia. Alcuni dati hanno addirittura suggerito che l'aggiunta di radiazioni può

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avere un effetto complessivo negativo se utilizzato nella terapia adiuvante o neoadiuvante. Tuttavia, esistono anche dati che dimostrano che la radioterapia conferisce un notevole vantaggio quando viene impiegata nell'ambiente neoadiuvante, consentendo un migliore controllo locale del tumore e una maggiore probabilità di una resezione R0 nei tumori inizialmente considerati resecabili borderline [Franke AJ et al. 2015].

1.1.3.2 Trattamento chirurgico del tumore

La resezione chirurgica rimane l'unico trattamento definitivo per PDAC ed è anche l'unico trattamento che offre una possibilità di cura. Purtroppo solo il 10-20% dei pazienti presenta tumori che possono affrontare la resezione chirurgica. Per essere idoneo ad un intervento chirurgico con intento curativo, un tumore deve essere considerato resecabile (vedi sopra) dal medico chirurgo. Se questo criterio viene soddisfatto, la posizione del tumore determina il tipo di operazione che verrà eseguita. Indipendentemente dalla localizzazione, l'obiettivo della chirurgia è quello di ottenere una completa rimozione del tumore con margini negativi, dove per margini di resezione chirurgica si intende la distanza tra il tumore e il bordo del tessuto circostante che viene asportato in toto. Margini negativi sia macroscopici che microscopici sono noti come resezione R0, le resezioni meno adeguate sono quelle che lasciano il tumore dietro, che siano microscopiche, una resezione R1, o macroscopiche, resezione R2 [Stark A e Eibl G. 2015].

Nel caso di una massa solida sospetta non è necessaria alcuna biopsia prima dell'intervento. Allo stesso modo, non è necessaria alcuna biopsia intraoperatoria perché la sua interpretazione e la conferma istologica sono molto difficili nelle piccole lesioni associate alla pancreatite peritumorale. Tuttavia, nei tumori resecabili borderline associati a chemioterapia, deve sempre essere ottenuta la conferma istologica della malignità [Uzunoglu FG et al. 2014]. Se una biopsia non conferma la malignità, dovrebbe essere fatta una nuova biopsia di conferma, solitamente sotto di FNAB (biopsia di aspirazione fine dell'ago) o una biopsia di base sotto guida ecoendoscopica. Se il tumore è risultato non-resecabile durante l'intervento chirurgico, è necessario tentare una diagnosi istologica.

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FIGURA 10| schema della procedura standard Whipple. Il tessuto mostrato come scuro

viene rimosso; il pannello destro mostra la ricostruzione. [Stark A e Eibl G. 2015]

Per il PDAC situato nella testa del pancreas l’unica scelta chirurgica possibile è una duodenocefalopancreatectomia (DCP, nota anche come procedura "Whipple") (Figura 10). La procedura prevede la rimozione della testa del pancreas insieme al duodeno, alla colecisti con tratto biliare e, nella forma classica della tecnica, l'antro gastrico, associato alla linfadenectomia dei linfonodi regionali. Lo scopo della chirurgia è quello di ottenere una completa resezione del tumore con margini microscopici negativi (R0). L'invasione perineale dei plessi retroperitoneali e dei vasi sanguigni rimane uno dei punti critici dal punto di vista tecnico [National comprehensive cancer network I. 2015]. Anche se storicamente è afflitta da un'elevata mortalità operativa, la procedura Whipple oggi viene eseguita in modo sicuro con una mortalità perioperatoria intorno al 2%. Tuttavia, il 30/40% dei pazienti può subire qualche complicazione, le più comuni sono la fistola pancreatica o lo svuotamento gastrico ritardato [Donahue TR e Reber HA. 2015]. La pancreatectomia totale eseguita allo scopo di agire su una possibile malattia multifocale, assicurando una linfoadenectomia migliorata ed evitando i rischi derivanti da anastomosi pancreatica, non è attualmente approvata e dovrebbe essere utilizzata solo in caso di coinvolgimento tumorale e in centri competenti [Vera R et al.2017].

Il 15% di tutti gli adenocarcinomi pancreatici si trova nel corpo e nella coda della ghiandola. Queste località producono sintomi scarsi e la malattia è quindi in una fase avanzata quando viene stabilita la diagnosi. Infatti la resezione è possibile solo nel 5% dei

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casi. Lo scopo della chirurgia è lo stesso che nel caso dei tumori situati nella testa del pancreas, cioè ottenere la resezione R0. Ciò richiede una pancreatectomia distale, sezionando il pancreas a sinistra della vena portale-mesenterica e includendo la milza, ciò determina una resezione oncologica [Tol JA et al. 2014]. In questi casi viene eseguita una pancreatectomia distale e splenectomia. Anche questa è diventato una procedura sicura solo negli ultimi tre decenni, con una bassa mortalità operatoria nei centri ad alto volume. Il tasso di complicazione si avvicina anche al 35%, quella più comune tra tutte è la perdita dal pancreas transecto [Parikh PY e Lillemoe KD. 2015].

Possono verificarsi alcune complicazioni di PDAC che richiedono l'intervento anche nei pazienti che non sono candidati a un intervento chirurgico con intento curativo. Questi includono: ostruzione biliare maligna, ostruzione gastrica maligna oculare e dolore associato a tumore. L’ostruzione biliare maligna si verifica a causa della compressione tumorale del condotto biliare comune, portando ad itterizia grave. L'ostruzione gastrica maligna si riferisce al blocco tumorale dell'ingresso dello stomaco che vieta il passaggio di cibo dallo stomaco all'intestino tenue e causa nausea persistente e vomito, oltre a malnutrizione. L'ostruzione delle vie biliari e gastriche può essere trattata inizialmente attraverso l'endoscopia, ma può richiedere un bypass chirurgico. Il dolore grave relativo al PDAC, che è refrattario ai farmaci antidolorifici orali, è spesso il risultato dell'estensione locale del tumore ai nervi del plesso celiaco. Solo le terapie mirate, incluse l'ablazione con etanolo o l'iniezione anestetica nel plesso celiaco, hanno dimostrato ridurre il dolore associato al tumore [Stark A e Hines OJ. 2015].

Attualmente, la sopravvivenza complessiva a 5 anni è del 7,2% per i pazienti che presentano PDAC. Per il sottogruppo di pazienti che presentano malattia "localizzata" (e quindi potenziali candidati chirurgici) si può prevedere invece una sopravvivenza a 5 anni del 27,1% [Stark A e Eibl G. 2015].

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1.2 Solfuro di idrogeno

Il solfuro di idrogeno (H2S), scoperto nel 1777 da Carl Wilhelm Scheele, è tradizionalmente conosciuto come un inquinante atmosferico con l'odore caratteristico di uova marce. Questa molecola gassosa è stata recentemente riconosciuta come membro della famiglia dei gas trasmettitori, insieme ai suoi consimili ossido nitrico (NO) e monossido di carbonio (CO) [Vandiver MS e Snyder SH. 2012; Olson KR. 2012]. H2S è un gas incolore a temperatura e pressione ambiente. La sua tossicità è nota da centinaia di anni ed è paragonabile a quella del CO o di HCN: l’esposizione a 300 ppm di H2S porta all'edema polmonare e a 1000 ppm provoca morte immediata [Li Q e Lancaster JR Jr. 2013; Lindenmann J et al. 2010]. Come acido debole è molto solubile in acqua. La sua solubilità a ~ 80 mM e 37 °C è stata riportata come equilibrio tra la forma molecolare e quella ionica (H2Saq ⇌ HS⁻ ⇌ S²⁻). I valori di pKa per la prima e la seconda dissociazione sono rispettivamente 7,0 e 12,05 [Kabil O e Banerjee R. 2010]. A pH fisiologico, di 7.4, esiste principalmente come HS⁻ ma è comunque presente una quota, sebbene più piccola di H2S libero (il rapporto di HS⁻/H2S è ~ 3:1). Le quantità di anione solfuro (S²⁻) sono molto basse. Poiché non è stato possibile determinare quale forma di H2S (H2S, HS⁻ o S²⁻) sia la specie attiva nei sistemi biologici, il termine H2S viene utilizzato per riferirsi ai solfuri totali presenti in soluzione (ossia H2S + HS⁻ + S²⁻) [Zhao Y et al. 2014].

Anche se H2S presenta le proprietà antiossidanti dei solfuri organici e inorganici, questa azione rappresenta solo parzialmente l'intero profilo farmacologico di questo gas trasmettitore, infatti mostra facoltà che svolgono ruoli anche più importanti. Ad esempio influenza l'attività di diverse proteine chinasi (come la proteina chinasi mitogeno-attivata p38, la chinasi regolata da segnali extracellulari, e Akt) [Li L et al. 2011]; inoltre pare che molte classi di canali ionici siano obiettivi biologici dei gas trasmettitori e in particolare di H2S [Tang G et al. 2010; Peers C et al. 2012]. Esso interagisce con molti canali del calcio, del cloruro, così come con recettori ionotropici NMDA. Sono state descritte anche interazioni dirette dell’H2S con alcuni tipi di canali del potassio, probabilmente dovuti alla S-sulfidrilazione di residui di cisteina specifici. Per esempio, H₂S induce la sulfidrilazione di due specifici residui di cisteina extracellulari presenti sulle subunità SUR dei canali potassio ATP-sensibili (KATP) [Mustafa AK et al. 2009; Jiang B et al 2010]. Gli effetti

vasorilassanti di H₂S sono duvuti, almeno in parte, all’attivazione dei canali KATP [Zhao W

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influenzati da H₂S. In particolare, l'inibizione dei canali di calcio di tipo L è stata proposta come meccanismo centrale negli effetti vasodilatatori mediati da H2S nelle arterie cerebrali del ratto [Tian XY et al. 2012], mentre l'attivazione dei canali di potassio sensibili a 4-aminopiridina sembra mediare l’attività vasorilassante di H2S nelle arterie coronarie del ratto [Cheang WS et al. 2010]. Sulla base di recenti studi, è stato ipotizzato che H₂S endogeno agisca attivando i canali del potassio voltaggio-dipendenti Kv7. Infatti, pare che così provochi un rilassamento dell’aorta e dell’arteria mesenterica nei roditori. Questo effetto è antagonizzato da XE991, un bloccante selettivo dei canali Kv7, e ciò conferma il meccanismo proposto [Schleifenbaum J et al. 2010; Köhn C et al. 2012b]. Il canale del potassio voltaggio-dipendente Kv7 gioca un ruolo cruciale nello stabilizzare il potenziale di membrana a valori negativi di riposo; in questo modo blocca l’eccitabilità in svariati tipi di cellule [Robbins J. 2001]. Ad oggi sono riconosciuti cinque sottotipi del canale Kv7 (Kv7.1-Kv7.5), ognuno dei quali presenta una diversa distribuzione tissutale [Soldovieri MV et al. 2011]. La presenza dei canali Kv7 nelle cellule del muscolo liscio vascolare è stata recentemente dimostrata [Ohya S et al. 2003], in particolare del sottotipo Kv7.4 [Ng FL et al. 2011]. I canali Kv7 si attivano intorno a –60 mV [Mackie AR et al. 2008], e la loro attivazione mantiene il potenziale di membrana a riposo, lontano dalla soglia per l’attivazione del canale del Ca²⁺ voltaggio dipendente, che si attiva intorno a -40 mV. In questo modo si previene la vasocostrizione [Mani BK e Byron KL. 2011].

La produzione di H2S nei sistemi dei mammiferi è stata attribuita ad almeno tre enzimi: cistationina β-sintasi (CBS), cistationina γ-liasi (CSE) e 3-mercaptopiruvato sulfur-transferasi (MPST) (Figura 11) [King BS. 2013; Hu LF et al. 2011; Prabhakar NR. 2012]; ma può anche essere generato dai batteri che riducono il solfato nel lume intestinale [Roediger et al. 1997]. La CBS si trova prevalentemente nel cervello, nel sistema nervoso e nel fegato. Questo enzima trasforma la cisteina e l'omocisteina in cistationina rilasciando H2S. Nell’Aorta, nella Vena porta e negli altri tessuti vascolari l'attività di CSE risulta più alta di quella di CBS. CSE è infatti responsabile della produzione di H2S nel sistema vascolare e nel cuore, attraverso una reazione che coinvolge la generazione di L-cisteina, piruvato e ammoniaca da L-cistationina e cisteina. MPST è principalmente localizzato nei mitocondri [Whiteman M et al. 2011] e insieme alla cisteina aminotransferasi (CAT), produce H2S a partire da cisteina in presenza di α-chetoglutarato [Shibuya N et al. 2009]. Inoltre MPST può convertire D-cisteina in H2S in presenza della D-amminoacidossidasi [Shibuya N et al. 2013].

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Gli enzimi per la produzione endogena di H₂S: la CSE, la CBS e la 3-MST sono stati trovati sovra-espressi in molti tumori, tra cui quello del colon, del fegato, ovarico, del seno, gastrico e della prostata. Tuttavia il ruolo di H2S nello sviluppo e nella progressione del cancro è controverso. [Wu D et al. 2015].

FIGURA 11| Sintesi enzimatica di H₂S. [Zhao Y et al. 2014]

Anche se l'espressione di questi enzimi è tessuto specifica, ognuno di essi va a convertire cisteina o i suoi derivati in H2S. Tali enzimi lavorano collettivamente e regolano accuratamente i livelli di H2S nei tessuti, sono quindi fondamentali per l'omeostasi di H2S. Per quanto riguarda i percorsi responsabili della “distruzione”, bisogna osservare che H2S è una specie riducente che può essere facilmente consumata da una grande varietà di agenti ossidanti circolanti [Whiteman M et al. 2004; Whiteman M et al. 2005; Chang L et al. 2008; Geng B et al. 2004] come perossinitrito (ONOO⁻), Superossido (O₂⁻) e perossido di idrogeno (H₂O₂) (Figura 12) [Filipovic MR et al. 2012a; Jones CM et al. 2002; Carballal S et al. 2011].

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Ossidazione

Rodanasi

SO

FIGURA 12| Reazioni di H₂S con gruppi ossidanti. [Zhao Y et al. 2014]

Un altro importante percorso catabolico per H2S, probabilmente quello principale, avviene nei mitocondri. In particolare, è stato recentemente osservato che i mitocondri nel fegato di ratto possono ossidare efficacemente H2S, con tassi di consumo di ossigeno circa quattro volte inferiori a quelli osservati per l'ossidazione del substrato fisiologico succinato. Il meccanismo di ossidazione procede attraverso varie fasi enzimatiche, mediate da H2S-chinone-ossidoreduttasi, S-diossigenasi, S-transferasi e, in generale, porta alla formazione di tiosolfato. Il tiosolfato viene ulteriormente biotrasformato a solfito dalla rodanasi (questa reazione richiede anche la presenza di cianuro, che viene convertito in tiocianato); il solfito a sua volta viene ossidato a solfato dalla solfito-ossidasi (SO), (Figura 13) [Goubern M et al. 2007; Hildebrandt TM e Grieshaber MK. 2008].

2HS⁻ + 2O₂ S₂O₃ + H₂O

S₂O₃²⁻ + CN SCN⁻ + SO₃²⁻

S₂O₃²⁻ SO₄²⁻

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H₂S

TSMT

TSMT

Anche se il solfato inorganico è il principale prodotto stabile derivato dal catabolismo di

H2S, non può essere considerato come un biomarker affidabile per la stima quantitativa della produzione di H2S nel sangue del mammifero. Infatti, gli ioni di solfato possono anche essere generati da altre fonti, come l'ossidazione diretta della cisteina mediante cisteina-diossigenasi e l'ossidazione di solfiti prodotti da altre fonti [Li L et al. 2009]. Inoltre, a causa della sua natura chimica, le concentrazioni plasmatiche di H2S, spesso riportate in letteratura, riflettono la somma delle specie non dissociate di H2S e dei suoi analoghi dissociati: HS⁻ (che è la specie più abbondante a pH fisiologico) e S²⁻ (le cui quantità sono trascurabili a pH fisiologico) [Olson KR. 2009].

Esiste un'altra via catabolica per H₂S: dalla reazione con metemoglobina viene prodotta sulfemglobina, la quale può essere considerata come un possibile biomarker per l’H2S plasmatico (Figura 14) [Kurzban GP et al. 1999].

Metemoglobina Fe³⁺ Metemoglobina Fe³⁺ SH

Sulfemoglobina

FIGURA 14| Reazioni di H₂S con metemoglobina.

Un ulteriore percorso alternativo, che opera solo nel citosol cellulare e coinvolge piccole quantità di H2S, è la metilazione di H2S stesso da parte della tiolo-S-metiltransferasi (TSMT) che porta alla produzione di metantiolo e dimetilsolfuro (Figura 15) [Furne J et al. 2001].

H₂S CH₃-SH CH₃-S-CH₃

FIGURA 15| Reazione catabolica di H₂S nel citosol.

Percorsi ossidativi minori di H2S sono stati trovati nei neutrofili attivati [Mitsuhashi H et al. 2005]. È stato riportato inoltre che l’acido solfidrico possa causare S-sulfidrilazione delle proteine (cioè formare legami -S-SH) (Figura 16) [Paulsen CE e Carroll KS. 2013; Pan

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H₂S

H₂S

J e Carroll KS. 2013; Zhang D et al. 2014], ma il meccanismo dettagliato non è ancora chiaro. Tuttavia questo processo è potenzialmente significativo in quanto prevede un percorso possibile con il quale H2S potrebbe alterare le funzioni di una vasta gamma di proteine cellulari ed enzimi [Mustafa AK et al. 2009; Gadalla MM e Snyder SH. 2010; Sen N et al. 2012; Krishnan N et al. 2011; Vandiver MS et al. 2013; Paul BD e Snyder SH. 2012; Yang G et al. 2013].

Proteina S-X Proteina S-SH

(X può essere H, SR, OH, etc.)

FIGURA 16| Reazioni di H₂S con le proteine.

H2S può anche interagire con S-nItrosotioli per formare acido tionitroso (HSNO), il più piccolo S-nitrosotiolo, i cui metaboliti, quali NO, NO⁻ e NO⁺, hanno funzioni fisiologiche significative (Figura 17) [Filipovic MR et al. 2012b]. È probabile che molte altre reazioni importanti di H₂S siano ancora da scoprire.

RSNO

FIGURA 17| Reazioni di H₂S con nitrosotioli.

Uno studio del 1996 dimostrò che l'H2S endogeno opera da neuromodulatore nel cervello [Abe K e Kimura H. 1996]. Dopo questa prima scoperta, un certo numero di studi ha rivelato diversi effetti biologici di H2S che includono il rilassamento dei vasi sanguigni [Köhn C et al. 2012a; Ariyaratnam P et al. 2013], protezione contro l'ischemia miocardica [Predmore BL et al. 2012; Calvert JW et al. 2010] e citoprotezione contro lo stress ossidativo [Kimura Y et al. 2010; Wen YD et al. 2013]. Nel sistema nervoso, H2S è coinvolto nella modulazione sinaptica interagendo con i canali ionici, secondi messaggeri e modificando i gruppi sulfidrilici delle proteine [Wallace JL e Wang R. 2015]. H2S svolge un ruolo importante nell'equilibrio redox, nella bioenergetica mitocondriale, nell'apoptosi e

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nei processi infiammatori [Kamat PK et al. 2015]. Ciò dimostra il coinvolgimento di H2S nella memoria, nella cognizione e nell’apprendimento [Nagpure BV e Bian JS. 2015], nonché nella neuroprotezione [Paul BD e Snyder SH. 2015]. Il ruolo dell'H2S nella modulazione del dolore è controverso: i dati conflittuali suggeriscono che sia pro-nocicettivo [Terada Y e Kawabata A. 2015] ma anche anti-pro-nocicettivo a seconda dei modelli, dei tipi e delle dosi di H2S-donor e/o modulatori utilizzati. Tuttavia diversi studi hanno suggerito effetti significativi di riduzione del dolore neuropatico e intenso con l’utilizzo di H2S donors [Distrutti E et al. 2006; Lin JQ et al. 2014; Kida K et al. 2015]. Recentemente alcuni derivati isotiocianati, molecole donatrici di H2S a lento rilascio, e NaHS, un tipico donatore veloce di H2S, sono stati descritti come attivatori dei canali di potassio Kv7 [Di Cesare Mannelli L et al. 2017], una classe dei canali di potassio voltaggio dipendenti che svolgono un ruolo fondamentale nella modulazione del dolore [Zheng Q et al. 2013; Busserolles et al. 2016]. Una diminuzione dell'espressione dei canali Kv7 contribuisce all'iperalgesia neuropatica [Rose K et al. 2011], mentre l’H₂S attiva il canale inibendo le risposte C e A𝛿 fibro-mediate del corno dorsale dei neuroni [Passmore GM et al. 2003] e riducendo di conseguenza la generazione dei potenziali d'azione [Lang PM et al. 2008]. Con queste premesse gli attivatori del canale Kv7, come la retigabina, sono attualmente considerati composti antiperalgesici [Nodera H et al. 2011; Blackburn-Munro G e Jensen BS. 2003].

H2S svolge un ruolo chiave nella regolazione dell'omeostasi cardiovascolare, comportandosi come agente diretto per il rilassamento del muscolo liscio vascolare [Cheng Y et al. 2004].È attualmente riconosciuto che una ridotta produzione di H2S endogeno contribuisce a patogenesi di importanti disturbi cardiovascolari come l'ipertensione. Infatti H2S è coinvolto nella regolazione della pressione sanguigna: gli H2S donors esogeni prevengono efficacemente la progressione dell'ipertensione e diminuiscono la pressione sanguigna nei modelli sperimentali di ipertensione [Zhong G et al. 2003]. È stata osservata una biosintesi alterata di H2S anche nelle complicazioni cardiovascolari associate a modelli sperimentali di diabete mellito [Brancaleone V et al. 2008]. Nel muscolo liscio vascolare H2S evoca risposte rilassanti e questa azione è stata soprattutto osservata nei vasi di grandi dimensioni come l'aorta toracica e la vena porta, nonché nei vasi di resistenza periferica (e con potenza superiore), che, rispetto alle grandi arterie di conduttanza, giocano un ruolo più significativo nella regolazione della resistenza vascolare e della pressione sanguigna [Cheng Y et al. 2004].

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H₂S è coinvolto in numerosi processi biologici importanti per il controllo del sistema cardiovascolare. Per esempio, H₂S inibisce l’adesione e l’aggregazione piastrinica [Zagli G et al. 2007], attenua il rimodellamento vascolare indotto dall’ipertensione [Yan H et al. 2004; Zhong G et al. 2003] e sopprime la proliferazione, indotta dall’endotelina, delle cellule muscolari lisce dell’aorta nel ratto, riducendo così la progressione delle lesioni aterosclerotiche [Du J et al. 2004]. Esistono differenti punti di vista sul coinvolgimento dell’H₂S nelle reazioni infiammatorie vascolari che giocano un ruolo importante nella destabilizzazione e nella rottura della placca aterosclerotica. H₂S sembra esercitare effetti antiinfiammatori sui macrofagi [Oh GS et al. 2006], ma ha effetti pro-infiammatori sulle cellule muscolari lisce vascolari [Jeong SO et al. 2006]. In più, studi recenti hanno evidenziato un’influenza reciproca tra H₂S e prostaglandine vasoattive (derivate da ciclo-ossigenasi) nella regolazione del tono vascolare [Koenitzer JR et al. 2007], anche se questo punto presenta opinioni conflittuali e resta quindi da chiarire.

Attualmente riconosciuto è invece che il miocardio che ha subito episodi di ischemia sub-letale diventa meno sensibile a successivi insulti ischemici più gravi. Questo fenomeno è noto come “pre-condizionamento ischemico” (IPC); tale effetto protettivo contro l’ischemia miocardica e il danno da riperfusione è dovuto pincipalmente all’attivazione dei canali cardiaci KATP [O’Rourke B. 2000]. Evidenze sperimentali hanno mostrato che un

arresto nella produzione endogena di H₂S, riduce gli effetti protettivi dell’IPC [Bian JS et al. 2006]. Quindi l’H₂S gioca il ruolo di mediatore nell’IPC, i suoi effetti protettivi sono stati dimostrati sia nel cuore di ratto isolato e perfuso alla langendorff, sia in modelli sperimentali di infarto acuto [Johansen D et al. 2006; Zhu YZ et al. 2007]. Insieme alle considerazioni sull’IPC è necessario fare alcune considerazioni sul “post-condizionamento ischemico” (IPostC). In questo caso, l’interruzione rapida e intermittente del sangue durante la riperfusione, causa una riduzione del danno al miocardio. È stato recentemente dimostrato che l’IPostC causa una significativa stimolazione della biosintesi di H₂S durante l’inizio della riperfusione, indicando che H₂S gioca un ruolo cruciale anche nei meccanismi biologici dell’IPostC. Questo ha trovato riscontri sperimentali, infatti la somministrazione di NaHS durante la riperfusione, migliora le performances funzionali post-ischemiche nel cuore di ratto che ha subito ischemia e riperfusione [Yong QC et al. 2008].

I ruoli pato-fisiologici dell'H2S endogeno nel sistema cardiovascolare evidenziano la grande utilità della sua modulazione farmacologica a fini terapeutici [Pan L et al. 2012;

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Martelli A et al. 2012a]. Così i composti esogeni che rilasciano H₂S sono considerati come strumenti utili per studi di base e soprattutto promettenti farmaci per malattie cardiovascolari. Naturalmente la somministrazione di H2S gassoso è notevolmente limitata per il rischio di sovradosaggio o scarso controllo posologico; è sicuramente preferibile l'uso di sostanze chimiche appropriate che si comportano come agenti che rilasciano H2S. Il solfuro di idrogeno di sodio (NaHS) è l'esempio tipico dell'agente che genera H2S: è un rapido donatore, infatti è sicuramente il più diffuso H2S donor utilizzato per scopi sperimentali. Tuttavia questo sale non è appropriato per gli usi clinici poiché il rilascio rapido di H2S può causare effetti negativi, come ad esempio abbassamento rapido ed eccessivo della pressione sanguigna. Il solfuro di calcio (CaS) è stato proposto come possibile alternativa [Li YF e al. 2009], ma in realtà la velocità e il meccanismo di rilascio di H2S da questi due sali inorganici sono quasi equivalenti. Gli H2S donors ideali dovrebbero generare H2S con tassi di rilascio più lenti [Caliendo G et al. 2010; Martelli A et al. 2012b].

Anche se la formazione endogena e la somministrazione esogena di H2S si sono dimostrate utili in alcune condizioni pato-fisiologiche, i meccanismi molecolari della sua azione sono ancora in fase di indagine. È quindi importante comprendere la chimica e le proprietà del solfuro di idrogeno per essere consapevoli dei possibili problemi riscontrabili negli esperimenti in vitro e in vivo.

1.2.1 Comportamento ormetico di H₂S

"Dosis sola facit venenum". 500 anni fa Theophrastus Bombastus von Hohenheim, conosciuto anche come Paracelsus, descrive il fenomeno noto come effetto dose-dipendenza delle sostanze attive farmacologicamente, chiamato anche ormesi [Calabrese EJ e Baldwin LA. 2001; Calabrese EJ. 2008]. Il concetto di ormesi nell'applicazione farmacologica per le malattie infettive è stato rilanciato recentemente a causa delle scoperte fondamentali in farmacologia e tossicologia che utilizzano sostanze a dosi molto basse. Ad esempio i gas trasmettitori, come il monossido di carbonio, sono comunemente conosciuti per i loro forti effetti tossici e letali, causando ipossia attraverso la formazione di complessi con il gruppo eme (carbossiemoglobina) [Ryter SW e Choi AM. 2009]. Gli

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