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“Le metamorfosi delle IPAB tra diversi modelli giuridici e nuove configurazioni fiscali”

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia Sezione di Studi giuridici

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Emilio Balletti, Clelia Buccico, Maria Antonia Ciocia, Daniela Di Sabato, Andrea Paciello, Luca Pisani, Marco Tiberii

Criteri di valutazione e di selezione dei contributi pubblicati I volumi della Collana sono oggetto di procedura a doppio referag-gio cieco da parte di due referee (double blind peer review). Il Co-mitato scientifico può assumere la responsabilità delle pubblicazioni di studi provenienti da autori, stranieri o italiani, di consolidata espe-rienza e prestigio senza sottoporli a preventivo referaggio esterno.

Nella stessa collana:

1. D. Di Sabato, A. Lepore (a cura di), Sharing Economy. Profili giuridici, 2018

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IL TERZO SETTORE

PROFILI CRITICI DELLA RIFORMA

a cura di

Daniela Di Sabato e Ottavio Nocerino

SHARING ECONOMY

PROFILI GIURIDICI

a cura di

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Collana del Dipartimento di Economia

dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli Sezione di Studi giuridici, 2

Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 2019 pp. IV+420; 24 cm

ISBN 978-88-495-4141-0

© 2019 by Edizioni Scientifiche Italiane s.p.a. 80121 Napoli, via Chiatamone 7

Internet: www.edizioniesi.it E-mail: info@edizioniesi.it

I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla siae del compenso previsto dall’art. 68, comma 4 della legge 22 aprile 1941, n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra siae, aie, sns e cna, confartigianato, casa, claai, confcommercio, confesercenti il 18 dicembre 2000.

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Il volume è il secondo inserito nella collana della Sezione di Studi Giuridici del Dipartimento di Economia dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. Anche in questo caso si tratta di un’opera collettanea, frutto della collaborazione tra ricercatori di diverse aree del diritto, afferenti anche a altri dipartimenti dell’Ate-neo, e dottori di ricerca.

Il Codice del Terzo settore è contenuto nei decreti legislativi 6 giugno 2016, n. 106, nel mentre la disciplina dell’impresa sociale nel decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112 emanati in attuazione della delega conferita al Governo con la legge 6 giugno 2016, n. 106, per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la discipli-na del servizio civile universale. L’intento del legislatore, come si legge nella Relazione Illustrativa, era quello di realizzare un’atti-vità di revisione e riordino «finalizzata al sostegno dell’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza atti-va, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona, alla valorizzazione del potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione degli articoli 2, 3, secondo comma, 4, 9, 18 e 118, comma 4, della Costituzione».

La rilevanza che ha assunto nel tempo l’attività svolta dagli enti intermedi tra Stato e persona e la complessità degli interessi coin-volti hanno contribuito ad accrescere le aspettative rispetto a questa riforma che, invero, ha da subito suscitato numerose critiche.

La mancata emanazione dei decreti di attuazione nei tempi pre-visti, peraltro, impedisce di fare una valutazione alla luce dell’ap-plicazione concreta delle disposizioni emanate e contribuisce ad alimentare il clima di incertezza ed insoddisfazione.

Il tema si presta ad una trattazione interdisciplinare in conside-razione delle diverse problematiche che la riforma pone che non

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possono che essere affrontare impiegando competenze varie: pub-blicistiche, civilistiche, fiscali e laburistiche.

L’opera, peraltro, non ha nessuna pretesa di completezza, ma rac-coglie una serie di saggi su diversi temi che gli autori, in base alla propria formazione e curiosità scientifica, hanno ritenuto di trattare, sollecitati dalla riforma.

Un ringraziamento va rivolto innanzitutto ai docenti della Sezio-ne Giuridica che hanno creduto ed investito Sezio-nella creazioSezio-ne di questa Collana e agli Autori che hanno scelto di destinare il proprio con-tributo scientifico a questo volume. Non si può infine non ringra-ziare coloro che ne hanno reso possibile la realizzazione svolgendo l’attività di composizione e collazione.

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Le metamorfosi delle IPAB tra diversi modelli giuridici

e nuove configurazioni fiscali

Sommario: 1. Introduzione: qualche cenno di storia. – 2. La trasformazione delle IPAB tra pubblico e privato e loro disciplina nel vigente Regolamento n. 2/2013 della Regione Campania. – 3. Il regime fiscale per gli Enti benefici iscritti al Registro Unico secondo il Codice del Terzo settore: alcuni profili di criticità. – 4. Un focus sulle ex IPAB e le fondazioni del Terzo settore. – 5. Qualche considerazione conclusiva.

1. Con l’acronimo IPAB (Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza)1 si identificano quelle opere benefiche presenti sul

territorio che, interpretando un’esigenza comune a tutte le società, svolgevano un’attività solidale di sostegno alla parte piú fragile della popolazione locale.

Sul piano istituzionale i modelli giuridici che le hanno contras-segnate sono stati:

– le associazioni costituite con la finalità di perseguire attività di specifico interesse degli associati (tradizione latino-romana);

– le fondazioni, istituite con il compito di gestire un patrimonio per fini determinati dal fondatore (tradizione germanico-medioe-vale).

Prendendo le mosse dalle istituzioni di assistenza e dagli ospizi sorti nel Medioevo all’interno o nei pressi dei conventi, fino alle Opere Pie, sviluppatesi nel periodo dal Rinascimento all’Illumini-smo e per la maggior parte espressione del mondo cattolico, queste istituzioni non rientravano in alcun modo nella gestione dello Stato, che non le fondava, non le regolava, non ne rivendicava la proprietà e, soprattutto, non le considerava come rappresentative di proprie finalità istituzionali.

Dopo la proclamazione del Regno d’Italia e nonostante un primo

1 Danilo Corrà, La nuova disciplina delle IPAB, Rimini, 2001; Id., La disciplina delle nuove IPAB, Rimini, 2004.

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riordino2 delle Opere Pie, la loro gestione autonoma continuava a far

rilevare diversi abusi nelle modalità di utilizzo di patrimoni e ren-dite al punto che lo Stato, per evitarne la dispersione, è intervenuto, emanando, nel 1890, la Legge «Crispi»3.

Questa ha prodotto una vera e propria rivoluzione nell’ordina-mento degli enti imponendo la trasformazione coatta e obbligatoria della loro natura giuridica da enti di diritto privato a Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza (IPAB), con conseguente uni-formità dei criteri di funzionamento, della disciplina amministrativa e del sistema dei controlli. Questa situazione è rimasta pressoché immutata fino agli anni ’60 quando ha avuto inizio un progressivo processo di depubblicizzazione che si sintetizzerà nelle sue princi-pali fasi.

In primis, lo Stato ha sottratto alla disciplina pubblica le istituzio-ni sorte, per iistituzio-niziativa di soggetti privati, al fine di prestare assistenza ospedaliera4.

Successivamente al trasferimento dallo Stato alle Regioni delle funzioni amministrative relative alle IPAB a carattere nazionale e interregionale5, una pronuncia della Corte costituzionale6 ha

con-sentito di procedere all’accertamento della natura privata anche per le IPAB a carattere regionale e infraregionale.

Un’ulteriore tappa è segnata quindi nel 1990 con l’emanazione di un regolamento statale che consentiva alle Regioni di riconoscere la personalità giuridica di diritto privato alle istituzioni per le quali veniva accertato il carattere associativo oppure il carattere di asso-ciazione promossa ed amministrata da privati ovvero l’ispirazione religiosa7.

La depubblicizzazione delle IPAB continua quindi a rappresen-tare un’eccezione nell’ambito di un sistema prevalentemente impo-stato sull’erogazione dei servizi da parte di soggetti pubblici.

Questo assetto viene ancora confermato dalla legislazione statale

2 Legge 30 luglio 1862, n. 753. 3 Legge 17 luglio 1890, n. 6972. 4 Legge 12 febbraio 1968, n. 132. 5 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.

6 Corte cost., sentenza 7 marzo 1988, n. 396. 7 d.P.C. 16 febbraio 1990.

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degli anni piú recenti8 quando, a seguito del trasferimento alle

Re-gioni delle funzioni relative ai soggetti che operano nel campo dei sevizi sociali operato con le «Leggi Bassanini», viene previsto l’ob-bligo, per le istituzioni che svolgono direttamente attività di eroga-zione di servizi assistenziali, di trasformarsi in aziende pubbliche di servizi alla persona (APSP), salvo che abbiano le caratteristiche per essere depubblicizzate. I vincoli posti dallo Stato alla trasformazione in persone giuridiche di diritto privato sono stati superati grazie alla recente riforma costituzionale che ha attribuito alle Regioni potestà legislativa esclusiva in materia di assistenza e beneficenza.

In questo nuovo scenario istituzionale le singole regioni hanno potuto attuare la riforma delle IPAB in modo del tutto autonomo e svincolato rispetto ai principi della legislazione statale con proprie leggi regionali. Sicchè, gli interventi legislativi regionali successivi si sono tutti incardinati in un processo di progressiva depubblicizza-zione delle attività di assistenza e beneficenza già in corso.

I principi ispiratori delle riforme regionali attuate, sono costante-mente quello di sussidiarietà verticale, quale modalità di allocazione di funzioni amministrative a partire dall’ente piú vicino al cittadino, e orizzontale9, quale strumento di distribuzione a soggetti privati di

funzioni pubbliche di rilevanza sociale, oltre a quelli di efficienza ed efficacia gestionale. Le finalità, pertanto, sono sempre state quelle di incidere sul processo in atto, orientandolo decisamente nei tempi, attraverso la fissazione di termini certi per il completamento delle

8 Legge 8 novembre 2000, n. 328 (legge quadro per la realizzazione del

sistema integrato dei servizi sociali) e d.lg. 4 maggio 2001, n. 207 (riordino del sistema delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza), nonchè d.lg. 4 maggio 2001, n. 207 recante: «Riordino del sistema delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza, a norma dell’art. 10 della legge 8 novembre 2000, n. 328».

Si ricorda che verso la fine dell’800, una commissione d’indagine costituita con il fine di fare un censimento delle Opere Pie esistenti sul territorio na-zionale, ne contò 21.819. Alla data di entrata in vigore della Legge Crispi nel Regno d’Italia, ne esistevano circa 20.000. Un censimento del 1970 le ha viste ridotte a 9.000.

9 Al riguardo si veda: L. Antonini, Sussidiarietà fiscale, Milano, 2005, p.

137 ss. e bibliografia ivi indicata; F. Gallo, Le ragioni del fisco, Bologna, 2007,

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procedure di trasformazione, e nelle modalità, attraverso un sistema di vincoli diretti a realizzare forme gestionali meno onerose per la Pubblica Amministrazione.

Difatti, l’esercizio della libera scelta da parte delle IPAB se tra-sformarsi in soggetti di diritto privato (Associazioni e Fondazioni) o mantenere la personalità giuridica di diritto pubblico (ASP) è con-dizionato:

– dal rispetto degli interessi espressi dalle tavole fondative e dagli statuti originari;

– dalla capacità dell’Istituzione che si trasforma in ASP di soste-nere una struttura organizzativa molto complessa che poco si adat-terebbe a realtà di piccole dimensioni, e di operare comunque in un regime economico di azienda pubblica;

– dall’opportunità fornita alle IPAB di piccole dimensioni di optare per modalità di gestione piú flessibili. Dal punto di vista patrimoniale, peraltro, se da un lato le ASP possono fruire degli sgravi fiscali pro-pri dei soggetti giuridici di diritto pubblico, dall’altro Associazioni e Fondazioni possono godere di una maggiore snellezza nel concludere i contratti non essendo vincolate al rispetto di procedure di appalto.

2. Alla luce di quanto premesso, soprattutto negli ultimi anni le regioni italiane si sono attivate ai fini dell’approvazione di proprie leggi in materia di riordino delle IPAB e, nel 2013 anche la Regione Campania ha approvato il regolamento n. 2 del 22 febbraio 2013 recante: «Riordino delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Bene-ficenza. Disciplina delle Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona». L’atto regionale in parola ha, dunque, previsto tre differenti modalità operative: la trasformazione, la fusione e successiva trasfor-mazione e l’estinzione degli enti non piú attivi.

Sono soggette alla fusione e successiva trasformazione le IPAB operative dotate di risorse patrimoniali limitate in relazione ai fini da perseguire e quelle gestite dallo stesso organo di amministrazione.

Sono soggette alla estinzione le IPAB non piú operative da alme-no due anni, quelle per le quali eraalme-no state esaurite le finalità previste dagli statuti e quelle che non erano piú in grado di perseguirle.

Dalla trasformazione delle IPAB che non rientrano nei due pre-cedenti casi di fusione o estinzione, possono quindi derivare: ASP, Fondazioni e Associazioni.

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Per la precisione, le ASP (Aziende di Servizi alla Persona) sono enti di diritto pubblico dotati di autonomia statutaria, contabile, tec-nica e gestionale. Ancorchè operanti nell’ambito del diritto pubblico devono adottare una forma di gestione basata sulla contabilità e sul controllo di gestione tipici delle società di capitale.

2. Le Fondazioni sono istituzioni di carattere privato senza finali-tà di lucro con un proprio reddito che deve necessariamente derivare da un patrimonio assegnato loro al momento della costituzione da parte di un fondatore (un privato, piú persone congiuntamente o una persona giuridica) tramite un atto pubblico o una disposizione testamentaria.

Le Associazioni sono enti no profit derivanti da un contratto, denominato «atto costitutivo», con cui piú soggetti decidono di ri-unirsi per perseguire uno scopo di natura ideale10.

Orbene, le istituzioni (IPAB) già amministrate dagli enti comu-nali di assistenza o in questi concentrate e le istituzioni che erogano direttamente servizi socio-assistenziali anche mediante la erogazione di prestazioni economiche a persone in difficoltà il cui valore patri-moniale complessivo non è inferiore a euro 500.000/00 si trasforma-no in azienda con le modalità e le procedure definite dal regolamento in esame, con la esclusione delle istituzioni inattive nel campo so-cio-assistenziale da oltre due anni e quelle che hanno esaurito i lasciti testamentari o le finalità statutarie. Oltre queste ultime sono escluse dal procedimento in discorso anche le istituzioni: a) nei confronti delle quali è alternativamente accertato il carattere o l’ispirazione di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 feb-braio 1990 (Direttiva alle regioni in materia di riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza a carattere regionale e infraregionale); b) che operano in settori diversi da quello socio-assistenziale; c) che

opera-10 Non è questa la sede per dilungarsi sulla disciplina degli istituti

menzio-nati e sulle questioni di ordine dottrinario e giurisprudenziale che in relazione ad essi si sono avvicendate nel tempo. Senza alcuna pretesa di esaustività ci si limita ad indicare per tutti: F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2019 e bibliografia ivi indicata, ove, peraltro, dettagliati sono i riferimenti alle novità legislative e giurisprudenziali proprio in tema di Enti del Terzo Settore.

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no prevalentemente nel settore scolastico; d) che svolgono prevalen-temente attività di culto; e) che svolgono prevalenprevalen-temente attività di gestione di edicole e cappelle funerarie; f) che gestiscono seminari, case di riposo o altre strutture residenziali per religiosi o svolgono attività assistenziali a sostegno esclusivo del clero o di soggetti ap-partenenti a ordini religiosi; g) che svolgono indirettamente attività socio-assistenziali i cui statuti non prevedono anche la erogazione diretta dei servizi11.

Le istituzioni che, invece, erogano direttamente servizi socio-as-sistenziali il cui valore patrimoniale complessivo è inferiore a euro 500.000/00 che non deliberano il piano di risanamento previsto nell’articolo 312 del regolamento ai fini della trasformazione in

azien-11 È anche istituito il registro delle aziende pubbliche di servizi alla persona

(art. 17 del regolamento in rassegna), esso, nel suo formato cartaceo, è nume-rato e vidimato dal dirigente della Direzione generale della Giunta regionale. Nel registro sono annotati: a) la denominazione e la sede legale dell’azienda; b) gli estremi del provvedimento di iscrizione; c) la descrizione sintetica delle finalità istituzionali; d) gli estremi del provvedimento di cancellazione. All’at-to dell’iscrizione è attribuiAll’at-to un numero progressivo di identificazione che corrisponde al collegato fascicolo contenente la documentazione dell’azienda.

12 Entro il termine di centoventi giorni dall’entrata in vigore del

regolamen-to le istituzioni inattive in campo socio-assistenziale da meno di due anni e le istituzioni per le quali non sussistono le condizioni e i requisiti patrimoniali previsti per la trasformazione possono comunicare alla Direzione generale della Giunta regionale un piano di risanamento tale da consentire, anche mediante la fusione con altre istituzioni, la trasformazione. Il piano di risanamento è deliberato dagli organi di amministrazione, ancorchè straordinari, delle isti-tuzioni e acquista efficacia ad avvenuta approvazione, nel termine di novanta giorni dalla ricezione, da parte della Direzione generale della Giunta regionale, all’esito della verifica della fattibilità delle soluzioni prospettate. Il termine di novanta giorni previsto dal co. 2 può essere sospeso, per una sola volta, per l’acquisizione di chiarimenti ed elementi integrativi di giudizio. I chiarimenti pervengono alla Direzione generale della Giunta regionale entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta. Il termine per la conclusione del procedimento riprende a decorrere dalla data di ricezione dei chiarimenti e degli elementi integrativi di giudizio o, in mancanza, dalla scadenza del termine previsto nel secondo periodo. Se i chiarimenti forniti dall’amministrazione dell’istituzione non superano i rilievi formulati dalla Direzione generale della Giunta regionale oppure se non pervengono entro il termine di trenta giorni previsto nel comma 3, la Direzione generale rigetta il piano. Il piano di risanamento approvato

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da o il cui piano sia stato rigettato dalla Direzione generale della Giunta regionale o non abbia avuto attuazione, gli enti equiparati dall’articolo 91 della legge n. 6972 del 1890 e le istituzioni indicate nell’articolo 5, co. 2, lettere a), b), c), d), e), f), g) si trasformano, a seconda del proprio carattere e della propria organizzazione, in as-sociazioni o fondazioni senza scopo di lucro, disciplinate dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo. Sono in ogni caso escluse dalla trasformazione in associazione o fondazione le istituzioni già amministrate dai disciolti enti comunali di assistenza o in questi concentrate. Le associazioni o fondazioni sono dotate di autonomia statutaria e gestionale e sono assoggettate al controllo e alla vigilanza della Direzione generale della Giunta regionale ai sensi del codice civile e delle disposizioni del regolamento concernente la materia delle persone giuridiche private emanate con decreto del Presidente della Giunta regionale 22 settembre 2003, n. 619 (Rego-lamento concernente la materia delle persone giuridiche private di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361), denominato anche Regolamento regionale in materia di per-sone giuridiche private13.

dalla Direzione generale della Giunta regionale è attuato dagli organi di am-ministrazione delle istituzioni entro il termine di centottanta giorni dalla data di approvazione.

All’esito dell’attuazione del piano gli organi di amministrazione delle isti-tuzioni deliberano la trasformazione ai sensi delle disposizioni del presen-te regolamento. Se il piano viene rigettato, oppure se non viene attuato nel termine previsto dal comma 5 o non consegue gli esiti previsti, gli organi di amministrazione deliberano la proposta di estinzione dell’istituzione ai sensi dell’articolo 11.

13 Se si tratta invece di Azienda di servizi alla Persona (ASP), essa,

nell’am-bito della propria autonomia, si dota degli strumenti di controllo interno di regolarità amministrativa e contabile, di gestione, di valutazione della dirigenza e di valutazione e controllo strategico di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286 (Riordino dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle ammini-strazioni pubbliche, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59). La verifica dell’andamento dei ricavi conseguiti e dei costi sostenuti, nonché del conseguimento degli obiettivi prefissati è effettuata con cadenza almeno tri-mestrale. I controlli interni sono ordinati secondo il principio della distinzione tra funzioni di indirizzo e compiti di gestione, quale risulta dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 165 del 2001. L’Azienda in parola è sottoposta anche a

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controlli esterni, difatti essa è assoggettata anche al controllo della Regione e alla vigilanza e al controllo delle forme associative dei comuni associati negli ambiti definiti ai sensi dell’articolo 19 della l. reg. n. 11 del 2007, nel cui terri-torio l’azienda svolge le attività. La Regione esercita il controllo attraverso la Direzione generale della Giunta regionale sugli organi di amministrazione e, nei limiti e con le modalità previste dal presente regolamento, sullo statuto, sul bilancio economico previsionale annuale, sul bilancio economico previsionale pluriennale, sul bilancio consuntivo, sugli atti di dismissione, di alienazione e di trasferimento a terzi di diritti reali sugli immobili. Il controllo esercitato dalla Regione è finalizzato a verificare la conformità degli atti alle disposizioni legislative, normative e statutarie vigenti con la esclusione di qualsiasi valuta-zione di merito. Il controllo sui bilanci previsionali annuali e pluriennali e sul bilancio consuntivo è volto a verificare che gli stessi siano redatti in conformità alle disposizioni del Regolamento in parola e ai principi contabili contenuti nell’allegato 1 del decreto legislativo n. 118 del 2011 e che l’entità delle risorse stanziate è tale da consentire lo svolgimento delle attività istituzionali e il perse-guimento degli scopi statutari. Ai fini dell’esercizio delle funzioni di controllo, entro dieci giorni dalla adozione, il legale rappresentante dell’azienda invia le deliberazioni contenenti i bilanci alla Direzione generale della Giunta regionale che può formulare osservazioni e chiedere chiarimenti ed elementi integrativi di giudizio, per una sola volta, entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della deliberazione contenente i documenti contabili, decorso inutilmente il quale l’atto acquista efficacia La richiesta di chiarimenti sospende il termine per l’esercizio del controllo che riprende a decorrere dalla data di ricezione dei chiarimenti e delle modificazioni richieste. I chiarimenti e le modificazioni devono pervenire alla Direzione generale della Giunta regionale entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta. Se i chiarimenti forniti e le modificazioni apportate non superano i rilievi formulati in sede di esame, oppure, nel caso di decorso del termine di trenta giorni previsto nel primo periodo in assenza della ricezione dei richiesti chiarimenti o modificazioni, la Direzione generale resti-tuisce la deliberazione di approvazione dei bilanci all’azienda. Gli atti restituiti non acquistano efficacia e non producono effetti. Ai fini della costituzione dei consigli di amministrazione nel rispetto dei termini previsti dalla legge n. 444 del 1994, la Direzione generale della Giunta regionale provvede alla tenuta e all’aggiornamento dei dati relativi ai termini di scadenza, di proroga e decaden-za degli organi amministrativi.

Le forme associative dei comuni associati negli ambiti definiti ai sensi dell’articolo 19 della l. reg. n. 11 del 2007 esercitano la vigilanza e il controllo sulle attività e sui servizi erogati dall’azienda, sulla carta dei servizi e sul rispetto degli obblighi previsti dalla carta. L’esercizio delle funzioni di controllo e di vigilanza sulle attività e sui servizi erogati dall’azienda è volto a verificare, in termini di efficacia, di efficienza e di economicità, lo stato di attuazione degli obiettivi programmati, la qualità e la finalizzazione delle prestazioni eroga-te, la congruità delle risorse finanziarie destinaeroga-te, i risultati raggiunti, i livelli

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Lo statuto delle singole associazioni o fondazioni indica i beni immobili e i beni di valore storico e artistico destinati dalle tavole di fondazione alla realizzazione dei fini istituzionali e prevede mag-gioranze qualificate per l’adozione delle deliberazioni concernenti la dismissione di tali beni contestualmente al reinvestimento dei pro-venti nell’acquisto di beni funzionali al raggiungimento degli scopi, con esclusione di qualsiasi diminuzione del valore patrimoniale da essi rappresentato, rapportato ad attualità. Lo statuto può discipli-nare, inoltre, le modalità di impiego delle risorse anche a finalità di conservazione, valorizzazione e implementazione del patrimonio.

Il patrimonio delle associazioni o fondazioni è costituito da tutti i beni mobili e immobili delle istituzioni trasformate e dalle successive implementazioni.

I beni immobili e i beni di valore storico e artistico destinati dalle tavole di fondazione alla realizzazione dei fini istituzionali restano destinati alle finalità stabilite dalla volontà dei fondatori, fatto salvo ogni altro onere o vincolo gravante sugli stessi ai sensi delle vigenti disposizioni.

Gli atti di dismissione, di vendita o di costituzione di diritti reali sui beni delle associazioni o fondazioni originariamente destinati alla realizzazione delle finalità istituzionali sono inviati alla Direzione

di soddisfazione dei cittadini, la trasparenza dell’azione amministrativa. A tal fine, le forme associative dei comuni: a) effettuano verifiche periodiche, almeno annuali, delle prestazioni erogate dalle svolgono le attività nel proprio ambito territoriale; b) effettuano verifiche annuali della regolare tenuta della documen-tazione amministrativa prevista dal presente regolamento; c) effettuano verifi-che annuali della regolarità della documentazione comprovante l’acquisizione delle certificazioni del possesso dei requisiti in materia di sicurezza; d) segna-lano all’azienda violazioni di norme, disservizi e carenze nella erogazione delle prestazioni. Le forme associative dei comuni segnalano alle autorità competenti le violazioni che possono configurare responsabilità penali, civili, amministra-tive e contabili. La vigilanza esercitata dalle forme associaamministra-tive dei comuni sulla carta dei servizi è volta all’accertamento della conformità allo schema generale di riferimento emanato dalla Regione ai sensi dell’articolo 8, co. 1, lettera q), della l. reg. n. 11 del 2007 e del rispetto dei contenuti della carta. In caso di accertata inadempienza dei contenuti della carta dei servizi le forme associati-ve dei comuni provassociati-vedono alla contestazione delle violazioni accertate e alla irrogazione delle sanzioni amministrative ai sensi della l. reg. n. 11 del 2007.

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generale della Giunta regionale che, se ritiene tali atti in contrasto con l’atto costitutivo o con lo statuto, li invia al pubblico ministero per l’esercizio dell’azione di cui all’articolo 23 del codice civile.

Le associazioni o fondazioni derivanti dalla trasformazione che operano nel settore socio assistenziale partecipano, quali soggetti del Terzo settore, alla programmazione e alla attuazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali ai sensi dell’articolo 13 l. reg. n. 11 del 2007.

Le IPAB maggiormente pronte a recepire il cambiamento sono state quelle piú piccole, certamente piú radicate sul territorio che hanno optato, appunto, per la trasformazione in soggetti giuridici di natura privata.

Hanno scelto di mantenere la natura giuridica pubblica, le IPAB di piú grandi dimensioni con maggiore consistenza patrimoniale, che potevano dotarsi delle strutture amministrative e organizzative previste dalla legge per i soggetti di diritto pubblico.

La forma giuridica maggiormente scelta è stata quella delle fon-dazioni rispetto alle associazioni, in numero minore.

Le scelte di trasformazione operate dalle IPAB hanno determi-nato che il numero degli enti pubblici che operano in generale nelle singole regioni nel campo dell’assistenza e beneficenza si è forte-mente ridotto.

Un aspetto particolarmente rilevante della riforma delle IPAB è rappresentato quindi dal nuovo ruolo che viene disegnato per la Pubblica Amministrazione nell’ambito delle politiche di assistenza e beneficenza: da soggetto gestore ed erogatore diretto di servizi a soggetto di programmazione, controllo e vigilanza.

3. Meritano, a questo punto, una, seppur breve, riflessione le mi-sure premiali regolate dal Codice del Terzo settore14 che si delineano

in modo diverso a seconda se si tratti di: a) regimi applicabili a tutti gli ETS iscritti al Registro Unico (siano essi con finalità commer-ciali o meno); b) regimi applicabili ai soli ETS non commercommer-ciali e, c) regimi applicabili ad alcune tipologie specifiche di ETS. Decisiva

14 Istituito con d.lg. n. 117, luglio 2017, nell’ambito della legge delega n.

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sembra essere, pertanto, la distinzione tra ETS commerciali e ETS non commerciali: essa è stabilita da artt. 79, co. 5, con riferimento ai commi 2 e 3.

Non essendoci spazio, in questa sede per trattare del regime fisca-le riconosciuto ad «alcune tipologie specifiche di RTS», si procederà con l’analisi dei modelli fiscali applicabili alle altre due fattispecie di ETS.

Si configurano come non commerciali gli ETS, diversi dalle im-prese sociali, che svolgono in via esclusiva o prevalente le attività di interesse generale di cui all’articolo 5 a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi (tenuto anche conto degli apporti economici effettuati dalle amministrazioni pubbliche, anche sovranazionali o straniere, e salvo eventuali im-porti di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento: sembra, quindi, che il costo effettivo del bene o servizio erogato debba consi-derarsi al netto di contributi pubblici non previsti come obbligatori dall’ordinamento) oppure l’attività di ricerca scientifica di partico-lare interesse sociale in conformità alle indicazioni del comma 3 (a mente del quale non si considera commerciale l’attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta direttamente da ETS, diversi dalle imprese sociali, che hanno per fine principale tale atti-vità e che reinvestono tutti gli utili in essa e nella diffusione gratuita dei risultati senza conferire alcun accesso preferenziale da parte di altri soggetti privati, nonché svolta da ETS, diversi dalle imprese sociali, tramite affidamento a università che le svolgano con i criteri delle fondazioni senza fine di lucro).

Al di là dalle previsioni statutarie, gli enti del Terzo settore as-sumono, sul piano fiscale, la qualifica di enti commerciali qualora i proventi delle attività di interesse generale, svolte in forma d’impresa dietro versamento di corrispettivi che superano i costi effettivi come sopra determinati (o che contravvengano ai criteri del comma 3 per la ricerca di interesse sociale), sommati alle le attività secondarie di-verse da quelle di interesse generale ma ad esse strumentali ai sensi dell’art. 6 del Codice (escluse le attività di sponsorizzazione svolte nel rispetto dei criteri di cui al decreto previsto all’articolo 6), su-perano, in un periodo d’imposta, le entrate derivanti dalle attività non commerciali.

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considerano i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote asso-ciative dell’ente e ogni altra entrata a ciò assimilabile, sommati ai corrispettivi non commerciali (cioè non superiori al costo effettivo) per le attività di interesse generale, ai proventi delle attività di ricerca sociale svolte in conformità ai criteri del comma 3 e ai contributi pubblici per le attività di interesse generale svolte con modalità non commerciali e per le attività di ricerca sociale svolte in conformità ai criteri del comma 3.

Ai fini di tale calcolo, i proventi delle attività svolte con modali-tà non commerciali possono essere computati tenendo conto anche del valore normale delle cessioni o prestazioni in cui consistono (superiori per definizione al corrispettivo quando si tratti di attività diverse da quelle di ricerca sociale, che restano non commerciali anche se fronteggiate da un corrispettivo superiore al costo effetti-vo). Il mutamento della qualifica da commerciale a non commerciale opera a partire dal periodo d’imposta in cui l’ente assume natura commerciale.

Posto ciò, il criterio di determinazione della commercialità dell’ETS appare categorico e diverso da quello, orientativo e non cosí rigido, indicato per gli enti non societari in via generale dall’art. 149 t.u.i.r. (che continua ad applicarsi agli enti non iscritti al Registro Unico del Terzo settore)15.

Passando ad una fugace disamina delle misure premiali contem-plate dal Codice del Terzo settore, nell’ambito dei provvedimenti relativi a tutti gli ETS (commerciali e non commerciali), sembra op-portuno segnalare, in via preliminare, la previsione ex art. 94 del Co-dice, il quale statuisce l’obbligo (a pena di nullità) di contraddittorio preventivo per gli accertamenti nei confronti di tutti gli ETS. Non si comprende bene, in base al tenore letterale del precetto, se la norma stessa si riferisca a tutte le fattispecie accertative nei confronti degli ETS o soltanto alle vicende di accertamento che attengono all’ap-plicabilità o meno del regime premiale previsto dal Codice. Specie nel primo caso, le possibili ricadute di carattere generale sarebbero

15 Cfr., F. Padovani, Problemi in tema di trattamento tributario degli enti non commerciali tra storia e prospettive di riforma, in Riv. dir. trib., 2002, I,

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innegabili: non ci si troverebbe di fronte, difatti, a una previsio-ne puntuale di obbligo di contraddittorio preventivo in relazioprevisio-ne a peculiari modalità accertative, secondo i criteri ad oggi previsti dall’ordinamento, bensí a una previsione generalizzata che prescin-derebbe completamente dagli schemi accertativi utilizzati e derive-rebbe solamente dalla qualifica soggettiva dei soggetti accertati. Ne conseguirebbe una chiara disparità di trattamento rispetto agli altri contribuenti la quale potrebbe lasciare intravedere non pochi profili di irrazionalità, i quali potrebbero adombrare una dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma stessa (integrale o, parziale nella parte in cui riferita esclusivamente agli enti del Terzo settore)16.

Sotto il profilo sostanziale, alla generalità degli ETS, escluse comun-que ex art. 79, co. 1 le imprese sociali (per le quali vale l’apposito d.lg. n. 112/2017), trovano applicazione le norme in materia di social lending (art. 78) e di social bonus (art. 81). Quest’ultimo, in partico-lare, consiste in un credito d’imposta per liberalità effettuate a ETS che recuperano immobili pubblici inutilizzati o confiscati a crimi-nalità utilizzandoli esclusivamente per attività di interesse generale svolte con modalità non commerciali; l’articolo si riferisce solo alle «modalità non commerciali» e il requisito, cosí come tratteggiato dall’art. 79, co. 2, sembra poter essere rispettato, per specifici com-parti di attività, anche da enti commerciali.

Alla generalità degli ETS, escluse le imprese sociali, si applicano anche i commi da 1 e 5 dell’art. 82, contenenti agevolazioni in ma-teria di imposte sulle successioni, donazioni, registro, ipotecarie e

16 Sul tema del contraddittorio endoprocedimentale e di tutte le questioni

dottrinali e giurisprudenziali che hanno animato il dibattito intorno ad ogni suo aspetto non è assolutamente possibile riportare in questa sede in modo completo ogni studio o pronuncia succedutisi nel tempo, ci si limita a ricor-dare solo qualche studio monografico e bibliografia ivi indicata, a prescindere da qualsiasi pretesa di esaustività: G. Ragucci, Il contraddittorio nei

procedi-menti tributari, Torino, 2009; Id., Gli istituti della collaborazione fiscale. Dai comandi e controlli alla tax compliance, Torino, 2018; si consenta di rinviare a

L. Strianese, La tax compliance nell’attività conoscitiva dell’amministrazione

finanziaria, Roma, 2014; A. Merone (a cura di), La tutela dei diritti del con-tribuente tra Corti europee e giustizia interna, Napoli, 2018; A. Giovannini, Crescere in equità, Milano, 2019; A. Carbone, Il contraddittorio procedimen-tale. Ordinamento nazionale e diritto europeo-convenzionale, Torino, 2016.

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catastali (il comma 4, che consente l’applicazione delle imposte di registro e ipocatastali in misura fissa per le cessioni a vantaggio di ETS, si applica, invero, anche alle imprese sociali, ancorchè costitu-ite in forma societaria). A tutti gli ETS, comprese le imprese sociali purché non costituite in forma societaria, si applicano i commi 9 e 10 dell’art. 82, in tema di esenzioni dalla tassa di concessione go-vernativa e dalle imposte sugli intrattenimenti valevoli per le attività svolte in occasione di celebrazioni e campagne di sensibilizzazione.

Lo stesso perimentro applicativo vale per l’art. 83, contenente nuovi provvedimenti in materia di detrazioni e deduzioni per le libe-ralità nei confronti di ETS: si tratta, in particolare, di una detrazione del 30% dell’onere ai fini IRPEF con massimo di Euro 30.000 e di una deduzione ai fini IRES (ma, in realtà, la formulazione della disposizione sembra rendere la deduzione applicabile anche ai fini IRPEF, in alternativa alla detrazione) con importo massimo pari al 10% dell’imponibile. Il comma 6 specifica che tali misure sono ap-plicabili anche alle liberalità nei confronti di ETS commerciali, a condizione che essi indirizzino le liberalità all’esclusivo finanzia-mento di attività di interesse generale ai sensi dell’art. 8 del Codi-ce. Vale come principio quanto previsto dall’art. 89, co. 18, ovvero l’esenzione da ogni tributo dei fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente (art. 79, co. 4, lett. a). Al ri-guardo, si osserva che il Codice non specifica (neppure all’art. 81: la specificazione avviene per le sole APS e ai soli fini dell’imposta sugli intrattenimenti, in base all’art. 85, co. 5, conforme a normativa precedente) che, in generale, le erogazioni liberali a vantaggio degli ETS non costituiscono reddito per gli ETS che le ricevono: e se ciò risulta chiaro per gli ETS non commerciali (non essendo tali forme di entrata riconducibili ad alcuna delle fattispecie previste dal Tito-lo I del t.u.i.r.), potrebbero, d’altra parte, insinuarsi taluni dubbi e problemi per gli ETS di carattere commerciale. Ragionamento simile varrebbe per le quote associative, che l’art. 79, co. 6 formalmente esclude da imposizione soltanto per gli ETS associativi (ma con va-lenza per tutti gli ETS non commerciali, vista la non riconducibilità ad alcuna fattispecie di cui al Titolo I del t.u.i.r.).

Circa le misure che si applicano, in generale, agli ETS non com-merciali, valgono le norme di cui all’art. 77 del Codice, in ambito di accesso ai finanziamenti bancari erogati con la raccolta

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dell’emis-sione di titoli di solidarietà o collegati all’emisdell’emis-sione di essi. Ebbene, questi ultimi sono obbligazioni emesse dalle banche e i cui interessi godono di regime fiscale assimilato a quello dei titoli di Stato ma piú favorevole in quanto il relativo ammontare non rileva ai fini della imposta di bollo «patrimoniale»; i fondi raccolti tramite emissione di titoli di solidarietà devono dalle banche essere messi a disposizione di iniziative benefiche di ETS e le banche che emettono titoli di solidarietà possono destinare somme pari all’ammontare nominale dei titoli emessi al finanziamento di specifici ETS ottenendo, nel caso in cui tale forma di finanziamento superi lo 0,6% del valore nominale dei titoli emessi, diritto a un credito d’imposta di pari im-porto utilizzabile in compensazione anche oltre le soglie ordinarie (l’erogazione di tale credito d’imposta è peraltro subordinata all’au-torizzazione della Commissione UE interpellata in sede di verifica di compatibilità con la disciplina degli aiuti di Stato, cfr. art. 101, comma 10). Sempre agli ETS non commerciali si applicano l’art. 79, co. 4, lett. b) (la lettera a), come detto, vale anche per gli ETS com-merciali, visto l’art. 89, c. 18), in forza del quale non concorrono alla formazione del reddito i contributi corrisposti dalle amministrazioni pubbliche per lo svolgimento delle attività di interesse generale con modalità non commerciali, nonché l’art. 82, co. 6 (esenzione IMU/ TASI, peraltro identica a quella attualmente vigente) e co. 7 (il quale prevede la possibilità, per regioni ed enti locali, di stabilire riduzioni o esenzioni per i tributi di loro pertinenza. L’art. 80 prevede un re-gime forfetario generale per gli ETS non commerciali, subordinato all’autorizzazione della Commissione UE e applicabile soltanto dal periodo d’imposta successivo all’ottenimento di essa (cfr. art. 104, co. 2). Agli ETS che optano per tale misura non sono applicabili studi di settore, parametri e indici sintetici di affidabilità.

Differentemente da quanto si segnalerà circa il regime forfeta-rio specifico per OV e APS di cui all’art. 86, il regime forfetaforfeta-rio di cui all’articolo 80 vale esclusivamente ai fini IRES (per quanto attiene all’IRAP rimane, ex art. 82, co. 8, la facoltà per le regioni di disporre riduzioni o esenzioni) e, piú precisamente, alla sola ca-tegoria del reddito d’impresa. Siffatto regime può applicarsi a tutti gli ETS non commerciali, a prescindere dal relativo volume d’affari, previa opzione da effettuare in dichiarazione d’inizio attività o in dichiarazione dei redditi. L’opzione ha durata almeno triennale e,

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successivamente, permane fin quando non espressamente revocata (comma 3) o comunque finché l’ente non perda la qualifica di ETS non commerciale.

Dalla fase di applicazione del regime, i redditi d’impresa degli ETS non commerciali optanti (consistenti, in particolare, nei pro-venti commerciali, perché superiori al costo effettivo, di attività di interesse generale e in proventi di attività secondarie strumentali di cui all’articolo 6 se svolte con modalità commerciali, maggiora-ti di plusvalenze, sopravvenienze atmaggiora-tive, dividendi, interessi atmaggiora-tivi e proventi di immobili a disposizione, è da intendersi se relativi a, o consistenti in beni d’impresa) concorrono a formare l’imponibile soltanto nella parte corrispondente all’applicazione a essi di un co-efficiente di redditività compreso fra il 5% e il 17% a seconda del tipo di operazione compiuta e dell’importo dei proventi (cosí come specificata dal co. 1 e individuata, sotto l’aspetto tipologico, secondo il criterio di prevalenza di cui al co. 2).

Le perdite di esercizi precedenti a quello di inizio applicazione del regime si utilizzano normalmente in vigenza del regime. Gli ETS non commerciali, peraltro, hanno specifici obblighi contabili disci-plinati dall’art. 87 e il mancato rispetto di essi è ritenuto causa di «decadenza dai benefici fiscali».

4. Il comma 82 dell’art. 1 della Legge di bilancio 2019 ha in-trodotto, all’interno dell’art. 79 del Codice del Terzo settore, una peculiare agevolazione in favore delle ex IPAB in termini di «decom-mercializzazione» di talune attività, fondata sulla natura del soggetto piuttosto che sull’attività svolta. Ebbene, detta misura sembra dif-ficilmente conciliabile con il nuovo sistema previsto dal Codice del Terzo settore (d. lg. n.117 del 3 luglio 2017) a proposito del reddito di impresa degli enti del Terzo settore.

L’anzidetto comma 8217 aggiunge al comma 3 dell’art. 79 del

Co-dice del Terzo settore, dopo la lett. b), la lett. b-bis): «le attività di cui all’art. 5 co. 1, lettera a) b) c), se svolte da fondazioni, da ex istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, a condizione che

17 Legge n. 145 del 30 dicembre 2018, S.O. n. 62 della G.U. n. 30 del 31

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gli utili siano interamente reinvestiti nelle attività di natura sanitaria e socio-sanitaria e che non sia deliberato alcun compenso a favore gli organi amministrativi».

A favore di questi enti, quindi, la suddetta Legge di bilancio trat-teggia una eccezione al criterio generale relativo alla natura dell’at-tività, statuito dall’art. 79, co. 2 del d.lg. n. 117/2017, a mente del quale, le attività di interesse generale degli enti del Terzo settore si considerano non commerciali solo se svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi non superiori ai costi effettivi. Il co. 2-bis dell’art. 79, allo scopo di conferire flessibilità nella gestione, senza compromettere la posizione fiscale dell’ente prevede che «le attività di cui al co. 2, si considerano non commerciali qualora i ricavi non superino di oltre il 5% i costi relativi per ciascun periodo di imposta e per non oltre due periodi di imposta consecutivi».

La non commercialità dell’attività, a ben vedere, prescinde dai criteri previsti dal t.u.i.r.18 in materia di attività commerciale degli

enti non commerciali (cfr. art. 55, in particolare co. 2, lett. a), rife-rendosi, invece, solo alla natura dell’attività svolta e sulla modalità del suo svolgimento. La Legge di bilancio, invero, considera non commerciali specifiche attività se svolte dalle fondazioni ex Ipab, tenendo cosí, conto della soggettività dell’ente, al di là della natura dell’attività, come invece stabilito dall’art. 79, co. 2 del Codice del Terzo settore. Va sottolineato che una simile eccezione è già rego-lata dal comma 3 dell’art. 79 del Codice del Terzo settore (CTS), a favore degli enti del Terzo settore che svolgono direttamente (lett. a) o indirettamente (lett. b) attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale. Palese è, in questo caso, la volontà del legislatore di avvantaggiare lo sviluppo della ricerca scientifica, a condizione che i risultati vengano messi a disposizione della comunità scientifica e «non vi sia alcun accesso preferenziale da parte di altri soggetti

18 Cfr. G.M. Colombo, Enti del Terzo Settore (ETS), enti commerciali, enti non commerciali, in Corr. trib., n. 40/2018, 3102, ove si analizzano gli aspetti

relativi alla natura dell’attività e alla natura dell’ente. Cfr. anche G. Girelli, Il

regime fiscale degli enti del Terzo settore, in M. Gorgoni (a cura di), Il Codice del Terzo settore, 395, Pisa, 2018 e inoltre, G. Sepio, Il nuovo diritto tributario del Terzo settore, 163, in A. Fici (a cura di), La Riforma del Terzo settore e dell’impresa sociale, Napoli, 2018.

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privati alle capacità di ricerca dell’ente medesimo nonchè ai risultati prodotti». Sicchè, non tutti gli enti di ricerca scientifica sono age-volati, ma solo quelli che rispondono a particolari requisiti di meri-torietà, in termini di una maggiore socializzazione e diffusione dei risultati ottenuti. Orbene, tornando al tema di cui ci si occupa, per poter inserire la norma nel contensto legislativo già esistente, è utile richiamare il contenuto dell’art. 74, co. 2, lett. b), del t.u.i.r., in base al quale si presumono «non commerciali» le attività previdenziali, assistenziali e sanitarie esercitate da enti esclusivamente a tal fine, comprese le Aziende sanitarie locali. Con C.M. n. 26/E del 29 agosto 1991 è stato precisato che le IPAB, che ancora rivestono la qualifica di enti pubblici, sono destinatarie di tale precetto, sempre che non pongano in essere altre attività al di fuori di quelle assistenziali e/o sanitarie, per le quali – esclusivamente – sono state istituite, e che l’attività di ricovero e di somministrazione di pasti agli anziani può essere ricompresa in quella piú generica di assistenza e beneficienza, cui è finalizzato istituzionalmente in via esclusiva l’ente pubblico

Il d.lg. 4 maggio 2001, n. 207 ha ridefinito le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza, già regolate dalla legge 17 luglio 1890, n. 6792, prevedendone la loro trasformazione in aziende pubbliche di servizi alla persona, o in persone giuridiche (associazioni o fon-dazioni) di diritto privato19. L’art. 5, comma 8 dello stesso Decreto

ha stabilito, si ritiene in modo giusto, che unicamente alle istituzioni riordinate in aziende pubbliche di servizi si applicano le disposizioni di cui all’art. 74, co. 2 del t.u.i.r. Ciò posto, non si comprende l’e-quiparazione che, per certi versi, viene, ora, effettuata per il tramite del comma 82 della Legge di bilancio 2019, fra ex Ipab pubbliche (ASP), che svolgono una funzione pubblica, e soggetti giuridici di diritto privato (sebbene aventi, in origine, una matrice pubblicistica), ai fini della agevolazione in discorso.

Nondimeno, parlando di fondazioni private che gestiscono le medesime attività di cui all’art. 5, lett. a) del d.lg. n. 117/2017 (in-terventi e servizi sociali), nonche´ lett. b) in(in-terventi e prestazioni sanitarie e c) prestazioni socio-sanitarie indicate, ed abbiano la stessa

19 Cfr. G.M. Colombo, L. Corbella e L. Degani, La trasformazione delle IPAB, Milano, 2003.

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forma giuridica, nel momento in cui facciano la scelta di iscriversi al RUNTS, risulta chiara la motivazione per cui non abbiano la possibilità, alle stesse condizioni, di godere dello stesso trattamento agevolativo previsto per le ex Ipab allo stesso comma 82 della Legge di bilancio.

In altre parole, viene assicurato alle ex Ipab un trattamento piú favorevole rispetto agli altri ETS, che, a sua volta, genera una di-scriminazione di cui, sul piano tecnico, non si coglie il perchè20. Va,

in ultimo, rimarcato che il comma 3-bis dell’art. 79 del Codice del Terzo settore fa riferimento alla sola qualificazione di «non com-mercialità» delle attività in essa considerate, escludendole ai fini della determinazione del reddito di impresa, mentre per ciò che riguarda il reddito complessivo degli enti in rassegna, nel caso, che appare possibile, posta la decommercializzazione delle attività di interesse generale, di rispetto dei parametri previsti dall’art. 79, comma 5 del Codice, vale la disciplina generale degli enti non commerciali di cui all’art. 143 e seguenti del t.u.i.r., in particolare per ciò che attiene ai redditi fondiari, di capitale e diversi. Tra questi ultimi, andrebbero annoverati eventuali redditi delle attività diverse, previste dall’art. 6 del CTS.

In particolare, gli immobili relativi alle attività «decommercializ-zate», al pari degli immobili strumentali all’attività istituzionale degli altri enti non commerciali, acquistano autonomia reddituale e sono pertanto produttivi di reddito fondiario. Tali immobili non sono, in-fatti, annoverabili tra quelli contemplati nell’art. 43, co. 1, del t.u.i.r., in quanto, in forza della previsione di decommercializzazione, non sono relativi ad imprese commerciali; pertanto, devono essere assog-gettati ad imposizione. Giova, infine, ricordare che la risoluzione n. 86/E/2002, a proposito della cessione di immobili utilizzati per lo svolgimento di attività istituzionali o decommercializzate, ha messo in evidenza la possibilità che si realizzino plusvalenze tassabili come red-diti diversi, semprechè, ovviamente, si materializzino i presupposti21.

20 Cfr. M. Garone e G. Sepio, Terzo settore, fondazioni ex Ipab con piú margini con attività non commerciali, in Quotidiano del Fisco, in Il Sole 24

Ore del 9 gennaio 2019, in tal senso anche A. Mazzullo, Novità dalla legge

di bilancio. 2) Le ex IPAB, in vita.it dell’8 gennaio 2019.

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Preme, inoltre, rilevare che, essendo la norma agevolativa posizionata all’interno dell’art. 79 del Codice del Terzo settore, essa è applicabile unicamente alle ex Ipab che compiranno la scelta dell’ETS22.

A tal uopo, si ponga l’attenzione sul fatto che in molte ipotesi questi enti dovranno misurarsi, nel momento in cui intendano iscri-versi al RUNTS (Registro unico nazionale del Terzo settore), anche con quanto disposto dall’art. 4, co. 2 del Codice, il quale prevede la esclusione degli enti sottoposti a direzione e coordinamento o con-trollati da enti pubblici. Ciò potrebbe accadere, ad esempio, nel caso in cui i componenti degli organi di governo della fondazione siano interamente o in misura maggioritaria nominati dall’ente pubblico23,

secondo regole statutarie che in qualche maniera sono collegate agli interessi originari (pubblicistici) dell’ente.

Con riguardo alle condizioni, contemplate dalla disposizione oggetto del presente scrutinio, per potere godere dell’agevolazione fiscale in discorso, si riscontra che, mentre l’obbligo di reinvestire in-teramente gli utili nelle attività di interesse generale di natura sanita-ria e socio-sanitasanita-ria24 è in linea con il principio generale dell’assenza

di scopo di lucro, imposto dal Codice del Terzo settore (art. 8, co. 1), come condicio sine qua non ai fini della iscrizione al RUNTS; l’altra condizione (che, cioè , non sia deliberato alcun compenso a favore degli organi amministrativi) potrebbe evidenziare qualche problema di ordine pratico in assenza di un adeguato compenso, per la co-stituzione degli organi di governo dell’ente. Si ricorda, inoltre, che una norma analoga è prevista per le organizzazioni di volontariato

22 Sembra utile ricordare che un simile risultato, ai fini della detassazione

del reddito di impresa, può essere raggiunto con l’impresa sociale (art. 18 del d.lg. n. 112/2017).

23 Una posizione, questa, non unanimemente condivisa, in quanto parte

della dottrina ritiene che, nel caso di specie, non si sviluppa un legame confron-tabile con il mandato tra ente pubblico che nomina e il soggetto che è nominato amministratore dell’ente, il quale agisce in piena autonomia e responsabilità. Per un approfondimento della tematica si veda: F. Gazzoni, op. cit., in riferi-mento a quanto trattato in relazione agli Enti del Terzo Settore.

24 Si rileva che le attività nelle quali devono essere reinvestiti gli utili

sem-brano essere quelle di cui alle lett. b) e c) del co. 1 dell’art. 79 del CTS, con esclusione (apparendo ciò quantomeno singolare) delle attività di assistenza sociale di cui alla lett. a).

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dal co. 2 dell’art. 34 del d.lg. n. 117/2017, il quale prevede che, «ai componenti degli organi sociali, ad eccezione dei quelli di cui all’art. 30, comma 5 che siano in possesso dei requisiti cui all’art. 2397 (secondo comma del codice civile), non può essere attribuito alcun compenso, salvo il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate per l’attività prestata ai fini dello svolgimento della funzione». La struttura gestionale, invero, nell’uno o nell’altro caso, di prammatica, è molto diversa, nel senso che, in genere, le fonda-zioni ex Ipab gestiscono servizi sociali molto articolati e complessi, mentre le organizzazioni di volontariato sono realtà contrassegnate da finalità di tipo ideale piuttosto che finalità di gestione di servizi aventi una significatività economica di rilievo, il cui svolgimento implica un rimarchevole impegno e una seria responsabilità da parte degli amministratori. Infine, si segnala che l’art. 1, comma 83 della Legge di bilancio 2019 stabilisce che l’agevolazione a favore delle ex Ipab sarà utilizzabile secondo le modalità indicate dalle regole europee in materia di aiuti de minimis25.

5. Sulla scia delle anzidette riflessioni svolte, seppur sintetica-mente, sul tema della struttura delle ex IPAB e del loro trattamento fiscale e, indirettamente, sul tema molto piú ampio e meritevole di ulteriori approfondimenti (che l’economia del presente contributo non consente di sviluppare) degli ETS, in conclusione vale la pena di enucleare ancora qualche considerazione.

Premesso che Terzo settore è un nome relativamente nuovo, (ri-traibile in primis dal d.p.e.f. 2002/2003) che indica una realtà sociale che già da secoli contribuisce a rendere civile il nostro Paese (v. supra, cenni storici) e che ha contribuito a rovesciare una delle piú retrive derive dello statalismo che ha caratterizzato lo sviluppo del nostro ordinamento dall’Unità d’Italia, deriva che non considerava piú adeguatamente lo straordinario apporto che la creatività sociale, traducendosi in opere, ha offerto in termini di servizi, di occupazio-ne, di sviluppo, ai nostri territori, è quanto mai interessante sapere

25 Invero, la disposizione rinvia anche al reg. 1408/2003, che concerne gli

aiuti al settore agricolo. In ogni caso, il nuovo comma è incluso nell’art. 79, la cui efficacia è subordinata, ai sensi dell’art. 104, co. 2 del Codice, al placet della Comunità Europea.

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che proprio negli anni in cui in Italia si approvava la legge Crispi sulle Opere Pie (v. supra, primo paragrafo), negli USA si approvava la prima legge di detassazione per il no profit26.

In ordine a ciò, sempre piú efficaci si sono rivelate nel tempo, le prospettive per nuove formule di governance dirette ad instaurare rapporti di cooperazione tra amministrazioni pubbliche, imprese e settore non profit. Difatti, il proliferare, a partire dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso, di numerose leggi speciali che, seppur emana-te con la condivisibile finalità di agevolare fiscalmenemana-te il settore in discorso, hanno di volta in volta aggiunto requisiti statutari, intro-dotto nuovi albi e forme di controllo, dando origine ad un assetto particolarmente articolato e generando una crescente «ibridazione» degli istituti codificati.

Cosicchè considerate le criticità del procedimento per il ricono-scimento della personalità giuridica dettato dal d.P.R. n. 361/2000, la legge delega 106/2016 ha espressamente attribuito al decreto legisla-tivo (n. 117 del 2007) dedicato al riordino del titolo II libro primo del codice civile, il compito di «rivedere e semplificare il procedi-mento per il riconosciprocedi-mento della personalità giuridica» (art. 3, co. 1, lett. a) mediante l’istituzione del Registro unico nazionale del Terzo settore. Con ciò, riformando il procedimento per l’acquisto della personalità giuridica.

Il legislatore delegato, per il tramite del decreto legislativo de-nominato «Codice del Terzo settore», rispetto ad altre soluzioni possibili, ha preferito abbandonare il «sistema concessorio» per ap-prodare ad un «sistema normativo», nell’intento di assorbire il gap tra l’inadeguatezza della disciplina civilistica del Libro I del Codice civile e la reale potenzialità del settore no profit.

Diversi sono gli attriti che talvolta si configurano (soprattutto in campo fiscale) tra le diverse normative concernenti gli ETS non commerciali27, tra cui il deficit di coordinamento tra i regimi

previ-26 Cfr., su questi processi, P. De Carli, Sussidiarietà e governo economico,

Milano, 2002, p. 263 ss.

27 I concetti di attività non commerciale e di ente non commerciale

nell’am-bito del t.u.i.r. sono ancora dibattuti, incerti e sugli stessi, non vi è unanimità di pensiero, sul tema: F. Padovani, op. cit., p. 765 ss.; A. Fedele, Il regime fiscale

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sti dal Codice Unico e quelli disciplinati dagli articoli del t.u.i.r., in riferimento anche a quanto disposto dal Codice civile.

Orbene, posto che per l’attività di «ricerca scientifica di partico-lare interesse sociale», nonché per le attività di «interventi e servizi sociali», di «interventi e prestazioni sanitarie» e per «prestazioni so-ciosanitarie» svolte da fondazioni delle ex Ipab, sono previsti criteri specifici per restare nella non commercialità (vedi supra, paragrafo 4), per gli altri ETS (iscritti nel Registro Unico), quella non commer-ciale, è l’attività di tipo erogativo (di beni e di servizi) «istituzionale», ovvero che non si sostenta con corrispettivi.

Infine, può esser ritenuta proficua l’opera di codificazione e il tentativo di sistematizzare le diverse variegate discipline, stabilendo – salvo che per le associazioni di promozione sociale e per le orga-nizzazioni di volontariato – un comune regime fiscale di favor (che attende, comunque, il lascia passare della Commissione europea).

Ancor piú meritevole il fatto che, nell’art. 79, comma 5 CTS per la prima volta in via generale e in positivo, venga qualificato il con-cetto di ente (del Terzo settore) non commerciale: attualmente, sen-za alcuna rilevansen-za per le risultanze formali, sono non commerciali quegli ETS che svolgano in via esclusiva o prevalente le attività di cui all’art. 5 CTS in conformità ai criteri indicati ai precedenti commi 2 e 3. Quindi, l’ETS è non commerciale (potendo cosí godere della di-sciplina fiscale riservata a tali soggetti, ma principalmente del regime forfetario di cui all’art. 80) quando integri 1) un requisito soggettivo e, quindi, sia un ETS – ad eccezione di un’impresa sociale – iscritto al RUNTS, nonché, 2) un requisito oggettivo/quantitativo, ovvero non solo eserciti una delle attività elencate nell’art. 5 CTS, ma lo faccia a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superino i costi effettivi, tenuto anche conto degli apporti economici esterni (anche se, piú flessibilmente, è sufficiente che i ricavi non superino di oltre il 5% i relativi costi per ciascun periodo d’imposta e per non oltre due periodi d’imposta consecutivi).

In chiusura, si svolge un’ultima osservazione. All’interno del no-stro ordinamento, il principio di capacità contributiva, che governa

primo del codice civile e l’Irpeg: problematiche e possibili evoluzioni, in Riv. dir. trib., 1993, p. 348 ss.; A. Fedele, op. ult. cit., p. 337 ss.

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il comparto impositivo quale estrinsecazione del principio di ugua-glianza, si identifica con un sistema di autentica «contabilità sociale» che non può limitarsi alla contabilità dell’azione amministrativa, ma deve necessariamente agganciarsi e tenere conto del ruolo di quei corpi che il patto fondamentale ha cristallizzato come stabilmente funzionali alla gestione a livello autonomo di esigenze fondamen-tali della persona, tra cui, appunto, una certa parte degli enti non commerciali28.

Da ciò discende la necessità di valorizzare il ruolo sociale dei corpi sociali in termini di «diritto al non intervento fiscale dello Stato per permettere di assolvere – laddove è possibile – innanzitut-to auinnanzitut-tonomamente (ovvero con risorse proprie) i compiti di rilievo sociale»29 di tali entità, in un’ottica di «fiscalità compensativa».

Va posto l’accento unicamente sui principi supremi dell’ordina-mento del nostro Paese come quello di capacità contributiva in tutte le sue declinazioni, ivi compresa quella della necessità di una fiscalità compensativa per gli enti che, nel contesto nazionale, si facciano ca-rico (e non occasionalmente) della gestione di esigenze sociali prima-rie ed imprescindibili la cui soddisfazione, in mancanza di soggetti autorganizzati, dovrebbero garantire le pubbliche amministrazioni.

28 Cfr., F. Farri, Punti fermi e profili di irrazionalità nel regime fiscale della famiglia, in Riv. dir. trib., supplemento on-line, §§ 2-3; F. Gallo, I principi di diritto tributario: problemi attuali, in Rass. trib., 2008, § 2; Corte cost., sentt.

nn. 223/2012 e 116/2013.

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Presentazione 1 Marilena Rispoli Farina, Il codice del Terzo settore tra

novità e contraddizioni 3

Maria Antonia Ciocia, Il codice del Terzo settore e la

complessa coesistenza di una pluralità di regimi normativi 23 Roberta Catalano, Il Registro Unico Nazionale ed il

rico-noscimento della personalità giuridica agli enti del Terzo

settore 37

Daniela di Sabato, La definitività dell’atto di dotazione di beni in favore dell’associazione: divieto di recupero

dell’apporto e obbligo di devoluzione 51

Andera Lepore, Modelli di autotutela endoassociativa 81 Chiara Ghionni, Enti filantropici e attività d’impresa 107 Laura Foglia, L’assetto funzionale degli enti del Terzo

set-tore tra volontariato e lavoro 127

Marco Tiberii, Il rapporto tra enti pubblici ed enti del

Terzo settore e la natura giuridica delle convenzioni 141 Silvio Tirelli, L’affidamento dei servizi sociali. La

concor-renza nella solidarietà 157

Clelia Buccico, Linee evolutive della fiscalità degli ETS

e il «caso» degli Enti sportivi dilettantistici 215 Antonio Miele, Le ODV nella riforma del Terzo settore

(32)

Loredana Strianese, Le metamorfosi delle IPAB tra

di-versi modelli giuridici e nuove configurazioni fiscali 295 Mario Valenzano, La tassazione degli immobili per gli

enti ecclesiastici 319

Ottavio Nocerino, La disciplina fiscale riservata alle

im-prese sociali 335

Daniela Casale, La disciplina fiscale delle cooperative

so-ciali alla luce della recente riforma del Terzo settore 375 Maria Rosaria Viviano, Il Donation Crowdfunding:

ri-flessioni sugli aspetti fiscali 395

Questo volume è stato impresso nel mese di dicembre dell’anno 2019 per le Edizioni Scientiche Italiane s.p.a., Napoli - Stampato in Italia / Printed in Italy

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