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Vedi I rapporti diplomatici tra le città italiane alla fine del Duecento: il caso di Bologna e Firenze

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Firenze University Press

Reti Medievali Rivista, 18, 1 (2017)

<http://www.retimedievali.it>

il caso di Bologna e Firenze

di Daniele Bortoluzzi

Dante attraverso i documenti. II.

Presupposti e contesti dell’impegno politico

a Firenze (1295-1302)

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I rapporti diplomatici tra le città italiane

alla fine del Duecento:

il caso di Bologna e Firenze*

di Daniele Bortoluzzi

Durante l’impegno politico di Dante, i rapporti tra Firenze e Bologna furono stretti e ben do-cumentati. Tra 1296 e 1299, Bologna combatté contro il marchese d’Este e i Ghibellini di Ro-magna e Firenze fu prima alleata, poi mediatrice tra le parti su mandato di Bonifacio VIII. La documentazione bolognese svela sistemi di alleanze instabili e in continua riconfigurazione, influenzati dal pontefice e dalle parti delle città. Il linguaggio della documentazione mostra anche come i termini di “Guelfo” e “Ghibellino” furono relativizzati e utilizzati per identificare gli amici e i nemici.

During Dante’s political activity, the relationships between Bologna and Florence were tight and well documented. Between 1296 and 1299 Bologna fought a war against the Marquis of Este and the Ghibellines of Romagna in which Florence was first allied and than arbitrator on request of Boniface VIII. The documentation of Bologna shows variable and changing alliances, influenced by the pope and by politics of partes. The language in documents shows how the terms “Guelph” and “Ghibelline” were used in a relative sense, to identify allies and enemies.

Medioevo; secolo XIII; Firenze; Bologna; Dante Alighieri; politica; epistolografia; Guelfi; Ghi-bellini; Bianchi; Neri; guerra; amico/nemico; diplomazia; Bonifacio VIII.

Middle Ages; 13th Century; Florence; Bologna; Dante Alighieri; Politics; Epistles; Guelph Party;

Ghibelline Party; White Party; Black Party; War; Friend/Enemy Relationships; Diplomcy; Bo-niface VIII.

ISSN 1593-2214 © 2017 Firenze University Press DOI 10.6092/1593-2214/5152

Dante attraverso i documenti. II. Presupposti e contesti dell’impegno politico a Firenze (1295-1302)

a cura di Giuliano Milani e Antonio Montefusco

* Quanto qui esposto è frutto di una più ampia ricerca dal titolo: Una città davanti alla guerra.

Governi dell’emergenza e comando dell’esercito a Bologna alla fine del Duecento, nel quadro

del Dottorato in studi storici delle Università di Firenze e Siena, ciclo XXX. Vorrei ringraziare il dott. Giuliano Milani per le stimolanti discussioni su Bologna alla fine del Duecento, per avermi dato la possibilità di scrivere questo articolo e per averlo letto e migliorato con correzioni e in-tegrazioni. Desidero ringraziare inoltre i professori Armando Antonelli, Paolo Grillo e Andrea Zorzi per aver letto criticamente il testo, per i loro preziosi suggerimenti e per il tempo dedicato a confrontarsi con me su questo e altri temi. Un grazie infine a Federico Del Tredici, Edward Loss, Maddalena Moglia, Francesco Poggi, Daniele Sini e Pierluigi Terenzi per il loro aiuto e disponibilità. Errori e omissioni sono da imputare a me soltanto.

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1. Le relazioni tra Bologna e Firenze: le fonti

Al volgere del XIII secolo la situazione politica italiana era determinata e complicata da molteplici fattori, uno di questi – che si cercherà di indagare in questo contributo – consisteva nel fatto che tutti i poteri coinvolti erano tra loro, più o meno intensamente, interconnessi. Come già aveva notato in pas-sato Ernesto Sestan, a partire dalla seconda metà del XIII secolo, i «rapporti intercomunali [furono] enormemente moltiplicati e complicati e intrecciati», dal momento che le lotte di fazione e i bandi politici avevano «rotto l’inco-municabilità fra città e città» determinando la nascita di «un fatto che ha avuto una grande portata storica: si costruì una solidarietà partigiana al di sopra dell’angusto, solitario, esclusivista patriottismo municipale e […] una possibilità di dialogo che prima non esisteva»1. Quanto esplicitato da Sestan è

ben visibile osservando i rapporti diplomatici tra città: per l’Italia di fine Due-cento questo campo è ancora tutto da esplorare, nonostante all’interno dei consigli la politica “estera” fosse un importante argomento di discussione2. Le

città italiane, infatti, soprattutto a partire dalla seconda metà del XIII secolo, iniziarono a seguire con sempre maggior attenzione e interesse le vicende po-litiche degli altri comuni e il loro gravitare attorno all’Impero o al Papato, così come alla monarchia angioina o aragonese; i complessi sistemi di alleanze che si erano creati inoltre, conferivano a eventi lontani una portata molto più ampia di quella che avrebbero avuto nei decenni precedenti.

Quanto detto è ben esemplificato dalle relazioni diplomatiche che inter-corsero fra Bologna e Firenze nell’ultimo lustro del Duecento. In quegli anni le due città furono legate da vicende comuni e contatti stabili, indagabili an-che grazie alla documentazione conservata all’Archivio di Stato di Bologna. Gran parte della corrispondenza tra città fu inserita nella serie dei Carteggi, ma le due raccolte che compongono questa serie, denominate Lettere del Co-mune e Lettere al CoCo-mune, contengono per gli ultimi cinque anni del XIII secolo solo otto lettere utili per questa indagine e tutte relative al 12983. È 1 Sestan, Le origini delle signorie, pp. 193-223, citazioni dalle pp. 211, 219, 220.

2 L’utilizzo del concetto di “diplomazia” e “relazioni diplomatiche” in epoche precedenti all’età

moderna è oggetto di dibattito, ma nell’ultimo decennio importanti contributi hanno messo in luce come sia pertinente riferire quei termini all’età medievale. Tommaso Duranti, ad esempio, ha sottolineato come ai congressi della Lega Lombarda partecipassero «i rappresentanti dei diversi comuni: soprattutto quando i rettori della lega non coincidevano con i rettori comunali, è possibile riconoscere loro una capacità negoziale anche attiva e non un ruolo di semplici la-tori di messaggi o di mera rappresentanza formale»: Duranti, La diplomazia bassomedievale; un’utile panoramica sulla questione in Péquignot, Les diplomaties occidentale; inoltre Grillo,

Alle origini della diplomazia comunale; Le relations diplomatiques au Moyen Âge; Loss, Em-baixadores e politicas urbanas; Le dìplomate en question, in particolare le riflessioni contenute

nel saggio di Moeglin, La place des messagers et des ambassadeurs, pp. 11-36; Moeglin,

Con-clusion. Existe-t-il un ordre diplomatique médiéval?, pp. 303-317. Tra gli studi sulla diplomazia

con particolare interesse alle epistole, ma per secoli successivi al XIV: Senatore, Un mundo de carta; I confini della lettera; Lazzarini, Communication and conflict.

3 Archivio di Stato di Bologna (d’ora in poi: ASBo), Comune e Governo, Carteggi, Lettere del Comune, b. 407; Lettere al Comune, b. 413.

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possibile integrare questo materiale con le delibere consiliari. Alcuni mandati di pagamento, così come l’invio delle delegazioni più rilevanti, furono infatti registrati nei verbali delle assemblee, anche se in modo cursorio. Soprattutto, quei verbali contengono molte informazioni utili a ricostruire il contesto po-litico e a contestualizzare le missive e le ragioni delle missioni diplomatiche, informazioni taciute nei testi delle lettere. Le carte conservate nei fondi delle Riformagioni e Provvigioni permettono di ricostruire, per il periodo che va dall’anno 1295 all’anno 1300, almeno trenta missioni diplomatiche da e per Firenze4. In alcuni casi queste menzioni fanno riferimento a scambi epistolari

e, anche se raramente, le lettere appaiono trascritte: su sei missive arrivate da Firenze (una nel 1295, le altre tra il 1298 e 1300), solo una è giunta fino a noi in questi testi. Per fortuna, tuttavia, ne possediamo altre in tradizione indiretta grazie al frate agostiniano Cherubino Ghirardacci, che alla fine del XVI secolo scrisse la sua Historia di Bologna, in cui copiò altre sei lettere datate 1299 e una 1298, che altrimenti sarebbero oggi perdute5.

2. La struttura delle lettere e le ambasciate

L’operazione compiuta dal Ghirardacci era dettata da una certa consape-volezza dell’importanza delle ambascerie: la trascrizione delle epistole all’in-terno della Historia di Bologna non era solo dovuta solo alla necessità che «si vegga la verità, e riconosca come à caso hanno scritto altri sopra questa materia», ma anche «perché apparisca il modo, che in quei tempi tenevano le Repubbliche nello scrivere agli altri Popoli».

Le missive avevano una struttura uniforme ed obbedivano a un preciso schema retorico teorizzato e perfezionato a partire dai primi decenni del XII secolo nei trattati di ars dictaminis6. Le lettere esordivano con la salutatio, che

conteneva l’elenco dei destinatari - in genere tutti soggetti che componevano lo spazio politico cittadino - seguito dai mittenti e da un’eventuale dichiara-zione di amicitia7. Quando i fiorentini scrivevano ai Bolognesi indirizzavano

quindi le loro missive «magnificis et nobilibus viris dominis... potestati... ca-pitaneo... antianis, consulibus, consilio et communi civitatis Bononie amicis

4 ASBo, Comune e Governo, Riformagioni e Provvigioni del Consiglio del Popolo e della Massa

(d’ora in poi: Riformagioni): reg. 137, c. 310v; reg. 140, c. 218r; reg. 145, c. 112v; reg. 147, cc. 243r, 246v, 248r, 256r, 273r, 283v, 289r; reg. 148, cc. 345r, 345v, 346v, 355v, 372r, 372v; reg. 149, cc. 17r, 57r, 67v, 74v, 80v, 81v, 83v, 87r, 89v, 103r, 107r, 225v; ASBo, Comune e Governo, Riformagioni e provvigioni dei Consigli minori (d’ora in poi: Riformagioni minori): reg. 210, cc. 73r, 125r, 252v, 283v; reg. 211, cc. 318r, 358v, 364v, registro 212, c. 52r; ASBo, Comune e

Governo, Riformagioni e Provvigioni serie cartacea (d’ora in poi: Riformagioni serie cartacea),

b. 217, fasc. I-12; cc. 7v-8r, 12r, 13r, 19r, 26r; fasc. I-16, c. 11v; fasc. I-17, c. 16v; fasc. I-18, 7r-8v; ASBo, Comune e Governo, Carteggi, Lettere del Comune, b. 407, regg. I, L.

5 Ghirardacci, Historia, pp. 362, 367, 368, 370, 375, 401, 402.

6 Artifoni, Retorica e organizzazione del linguaggio, pp. 157-182; Le dictamen; Grévin, From letters to dictamina, pp. 407-420; Morenzoni, Epistolografia e artes dictandi, pp. 443-464. 7 Delle Donne, Le formule di saluto, pp. 251-279.

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suis charissimis», a cui i bolognesi rispondevano specularmente: «Nobilibus et sapientibus viris dominis... potestati... defensori seu capitaneo, prioribus artium, vexillifero iustitiae, consilio, populo et communi civitatis Florentiae amici charissimis»8. Non si trattava di una particolarità nelle corrispondenze

tra le due città. Negli stessi anni, quando Matteo Visconti si rivolgeva ai bolo-gnesi utilizzava una formula quasi identica9. Questi ultimi indicavano come

destinatari nelle loro lettere ai ravennati i «magnifici viri virtute probati ami-ci intime diligendi domini... potestas... capitaneus, necnon singuli offiami-ciales et rectores civitatis Ravennae» e l’elenco potrebbe continuare10.

Il lungo elenco di destinatari dimostra come non si privilegiasse un solo interlocutore: le questioni bilaterali fra città necessitavano del più ampio gra-do di condivisione possibile. Le intestazioni delle lettere rivelano infatti come la politica estera non riguardasse solo le magistrature di governo, ma coin-volgesse tutta la cittadinanza che partecipava ai consigli. Per queste ragioni, in linea con quanto era stato teorizzato nella trattatistica, il linguaggio scel-to era semplice e chiaro. «In primis pensetur persona mittentis, persona cui mittitur, pensetur inquam vel sit sublimis, vel humilis, vel amicus vel hostis» ricordava Alberico di Montecassino, considerato uno dei primi autori di trat-tati di ars dictaminis11.

La salutatio si concludeva con una formula augurale variabile, ad esempio «Optatae felicitatis salutem», «salutem et de inimicis victoriam quae spera-tur», «salutem et felicibus felicia cumulare», a cui seguiva il messaggio ogget-to della corrispondenza12. La salutatio non aveva solo la funzione di mostrare

benevolenza e catturare l’attenzione del lettore, ma era anche utile a esplicita-re alla cittadinanza alleanze, unità d’intenti, sottintesi.

Dopo l’esposizione del contenuto in oggetto le missive si concludevano con la data, sia topica che cronica. Se comparata alla data della delibera, que-sta offre un’idea del tempo necessario alle lettere per arrivare a destinazione: dai 7 ai 14 giorni se provenivano da Milano, una giornata o poco più se arriva-vano da Firenze13. Gli ambasciatori addetti alla consegna delle missive erano

nominati all’interno dei consigli e i loro compiti terminavano con il rientro a Bologna14. Essi non si limitavano alla consegna delle lettere, ma spesso

te-nevano discorsi su specifici casi. Per queste ragioni si cercava di designare persone idonee, verosimilmente dotate di una buona competenza oratoria e, per i casi più delicati, si stabiliva che gli ambasciatori dovessero essere «de melioribus et maioribus civitate Bononie»15. Gli uomini incaricati apparte-8 Ghirardacci, Historia, pp. 367-368.

9 Riformagioni, vol. 146, c. 204v: «Nobilibus et prudentibus viris dominis potestati, capitaneo,

antianis et consulibus et sapientibus et comuni Bononie amicis suis».

10 Ghirardacci, Historia, p. 376.

11 Delle Donne, Le formule di saluto, p. 253. 12 Ghirardacci, Historia, pp. 376, 378, 387.

13 Riformagioni minori, vol. 210, c. 243v; Riformagioni, vol. 146, cc. 199v-200r.

14 Per una comparazione si veda Andretta, Péquignot, Waquet, De l’ambassadeur, pp. 9-186. 15 Riformagioni minori, vol. 211, c. 359v.

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nevano alle più importanti famiglie della città, sia nobiliari che di Popolo16.

La preminenza sociale e l’esperienza politica erano in alcuni casi i criteri di scelta, ma in altri si privilegiavano le competenze professionali, come si nota dall’invio di esperti di diritto17. In una circostanza particolarmente rilevante

invece, l’ambasceria fu allestita utilizzando il criterio territoriale: otto uomi-ni, due per quartiere, dei quali tre erano dottori in legge18. In un altro caso

fu inviata a Firenze un’ambasceria composta da un membro della società dei Mercanti, da uno dei Cambiatori, uno dei Beccai, uno dei Cordovanieri, uno dei Calzolai e da due membri delle società delle armi dei Vai e dei Toschi19. Le

missioni diplomatiche a Firenze avevano una durata variabile, ma in genere erano sempre superiori ai tre giorni ed erano ben retribuite: dai 20 ai 40 soldi (cioè una o due lire) al giorno.

3. Jean de Chalon tra Firenze e Bologna (1295)

Il 2 luglio del 1295 i rettori fiorentini inviarono una lettera alle massime cariche di governo bolognesi, tradendo una certa inquietudine per l’immedia-to presente. I «karissimi amici» spiegavano che il vicario del re dei Romani Adolfo di Nassau, Jean de Chalon, era arrivato ad Arezzo «cum magna quan-titate militum», e chiedevano gli venissero inviati dei cavalieri in soccorso20. 16 Milani, Da milites a magnati, pp. 125-156.

17 Senza pretesa di completezza, a solo titolo esemplificativo: nel 1297 andarono a Firenze

Ro-lando Sabbadini e Milanzolo Zovenzoni (28 e 30 soldi al giorno): Riformagioni, reg. 145, c. 119r; Bonifacio Samaritani e Giovanni Calamattoni: Riformagioni, reg. 146, c. 200v; nel 1298, Bonifacio Samaritani, Giovanni Calcina, Geremia Angelelli (30 soldi al giorno): Riformagioni, reg 146, c. 209r; Giovanni Simopiccioli, Pietro Orsi, Lancillotto Gozzadini (30 soldi al giorno):

Riformagioni, reg. 147, c. 246v.

18 Riformagioni minori, vol. 210, c. 290r: «Iacobus de Tenchariis legum doctor, Albertus

do-mini Laurencii Bonacapti pro quarterio porte sancti Petri; Bonvillani de Thederixiis, Graciolus de Boatteris pro quarterio Porta Steri; Iulianus Cambi legum doctor, Henricus Meçovillanis pro quarterio porte Ravennati; Philippus de Foscarariis legum doctor, Iohannes domini Conforti pro quarterio porte Sancti Proculi»; Riformagioni, vol. 147, c. 256r: nel 1298 fu inviato il dottore di decretali Giovanni Calcina; Riformagioni, vol. 147, c. 87r: nel 1299 vennero inviati a Firenze i dottori in legge Alberto di Odofredo, Pace Paci, Giuliano Cambi, Filippo Preti, il giudice Bon-villano Tederisi e Rolandino Sabbadini.

19 Riformagioni, vol. 147, c. 243r.

20 Riformagioni minori, reg. 210, c. 125r: «Magnificis viris dominis

Potestati..Capetaneo..An-cianis Consulibus Conscillio et comuni civitatis Bononie karissimis amicis suis Mapheus de Madiis potestas Karolus de Manenttis de Spoleto Deffensor et Capetaneus. Priores artium et Vexillifer Iustitie Conscilium popullus et Comune civitatis Florentiae cum fellicitatis augmento salutem. Post recessum vestri providi oratoris quem pridie Florentie destinastis certas habui-mus novitates de nobilli viro Domino Iohanne de Zalone qui se d[icit] vicarium Domini Roma-norum regis in provintia Tuscie generalem quique in civitatem Aretii cum magna quantit[ate] millitum se duxit. Qua propter licet vestre aviditatis existerent vos ab omnibus laboribus et sumptibus precavere taram evidentis necessitatis imenente articullo providimmus vobis pre-sentes licteras destinare et vos affectuosius deprecari quatenus vestros millites quos paratos habetis vellitis ad nos Florentie sine dillatione alliqua visis presentibus destinare nostri gratia et amore et ad honorem et exaltationem vestram et nostram et omnium amicorum proventie supradicte quod pro collatione geremus magni comodi et honoris parati semper vobis quantum

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La situazione a Firenze non era delle migliori: al principio dell’anno il po-destà Lucino da Como si era dimesso, dopo un mese dal suo insediamento, perché incapace di controllare una situazione incandescente: nel marzo Gia-no Della Bella era stato allontanato dalla città e i magnati eraGia-no pronti a un colpo di mano per rovesciare il governo popolare21.

I bolognesi deliberarono di assecondare la richiesta, ma nella discussione consiliare più voci chiesero che si inviassero degli osservatori in Romagna per raccogliere quante più informazioni possibili22. Il vicario era sceso in Italia

con una scorta poco consistente, 200 cavalieri, ma si era recato in Romagna per arruolare altri armati ed era entrato ad Arezzo alla testa di 500 milites. Nella regione il de Chalon poteva inoltre contare sugli uomini forniti dagli aretini, dai cortonesi, nonché dagli Ubertini e dagli altri signori tradizional-mente ghibellini del Valdarno superiore23.

Le forze schierate dal vicario imperiale non rappresentavano quindi un vero pericolo, anche alla luce del fatto che i fiorentini avevano da poco rinno-vato i patti per la lega guelfa con Lucca, Prato, Siena, San Gimignano e Colle. Il suo arrivo aveva però eccitato gli animi dei Ghibellini in Romagna e i bolo-gnesi necessitavano di quante più informazioni possibili per valutare la situa-zione: il 12 agosto fu approvata una riformagione che autorizzava, in difesa della Chiesa, tutte le operazioni militari ritenute necessarie nella regione24.

Il vero pericolo per Firenze arrivava piuttosto dall’interno: i magnati at-tendevano una congiuntura favorevole per sollevarsi, tanto che il cronista Dino Compagni attribuì loro la responsabilità dell’arrivo del vicario imperiale: «Mes-ser Giovanni di Celona, venuto a petizione de’ Grandi, […] andossene ad Arezo agli adversari de’ Fiorentini a’ quali disse: “Signori, io sono venuto in Toscana a petizione de’ Guelfi da Firenze: ecco le carte”»25. L’intervento di Bologna veniva

dunque richiesto per fronteggiare una simile eventualità: aiutare a difendere le istituzioni popolari in un momento di forte instabilità politica. Se, come ha so-stenuto Robert Davidsohn, è improbabile che Jean de Chalon sia stato chiamato direttamente dai magnati, appare più plausibile che questi ultimi – il 5 luglio – si sollevarono sperando in un suo aiuto, che però non arrivò26.

Il vicario non intervenne in aiuto dei magnati perché le città della lega guelfa si erano rivolte a Bonifacio chiedendogli di trattare a nome loro la rinuncia delle pretese imperiali nella regione, promettendo al nobile bor-gognone un cospicuo risarcimento27. In seguito a queste trattative le città

se facultas ottullerit libentissime complacere. Data Florentie die ii iulii viiie indictionislegistrata

presentata die III iulii». Su Jean de Chalon si veda anche Poso, Giovanni di Chalon, pp. 3-74.

21 Varanini, Maggi, Maffeo. Su tali fatti si veda anche il contributo di Giuliano Milani in questa

sezione monografica.

22 Riformagioni minori, reg. 210, c. 125v. 23 Davidsohn, Storia di Firenze, II, pp. 741-743. 24 Riformagioni, reg. 140, cc. 234v, 235r. 25 Compagni, Cronica, libro I, p. 27.

26 Davidsohn, Storia di Firenze, II, pp. 741-745.

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toscane finirono per pagare 104.000 lire di fiorini piccoli (a cui forse se ne aggiunsero altre 6.000), anche se Bonifacio trattenne almeno una parte del-la somma versata28.

L’operazione portò con sé un altro risultato: Firenze cambiò decisamente schieramento politico. Prima del 1295 la città non era infatti stata così distan-te dall’orbita milanese. Il podestà in carica quell’anno era il bresciano Maffeo Maggi, l’uomo definito da Jean-Claude Maire Vigueur «uno degli ufficiali più blasonati di tutti i tempi»29. Rettore di Milano nel 1294, in concomitanza con

l’assegnazione del vicariato da parte di Adolfo di Nassau a Matteo Visconti, era considerato un fedelissimo del capitano ambrosiano30. Negli anni seguenti

invece la politica fiorentina cominciò a farsi decisamente più vicina a quella papale. Il ruolo di mediazione che Bonifacio aveva giocato con il vicario impe-riale portò al pontefice il vantaggio di stringere le sue relazioni con Firenze e procedere a un altro passo nel suo progetto di assoggettamento della Toscana: la richiesta a Filippo il Bello di inviare in Italia Carlo di Valois31.

4. Bologna e Firenze negli anni della guerra con gli Estensi (1296-1299) La guerra che vide impegnata Bologna contro il marchese d’Este e i Ghi-bellini di Romagna contribuì a mantenere vivi e intensificare i rapporti diplo-matici tra Bologna, Firenze e Milano. Anche in questo caso tuttavia è fuor-viante posizionare gli attori in modo fisso negli schieramenti dei Guelfi e dei Ghibellini, come dimostra, ad esempio, l’attività bellica di Azzo d’Este. Nel 1295 il marchese aveva stretto un’alleanza militare con Cremona per soccor-rere Lodi attaccata da Matteo Visconti, ufficialmente ghibellino. Nel 1296, ad Argenta, aveva invece promosso una lega con i ghibellini di Romagna, tra cui spiccavano Scarpetta Ordelaffi, Uguccione della Faggiola, Maghinardo Pagani di Susinana, allo scopo di stringere Bologna, guelfa, in una morsa e costrin-gerla alla resa32.

erano in contatto dal 1294 perché il papa premeva per avere il vicariato in Toscana, circostanza che aveva determinato anche l’invio dell’arcivescovo di Pisa in Germania, mentre a partire dal gennaio 1295 la presenza di Jean de Chalon è documentata presso la curia. Si veda Poso,

Gio-vanni di Chalon, pp. 41, 45. Sulle ambasciate fiorentine per trattare la questione: Davidsohn, Storia di Firenze, II, pp. 732-733, Poso, Giovanni di Chalon, pp. 52-53. Sui tentativi egemonici

di Bonifacio VIII si veda Canaccini, Bonifacio VIII, pp. 477-501.

28 Poso, Giovanni di Chalon, pp. 53-70. 29 Maire Vigueur, I profili, p. 1062. 30 Varanini, Maggi, Maffeo.

31 In una lettera del 18 agosto 1296 Bonifacio VIII scrisse a Filippo il Bello: «pro quibus efficatius

executioni mandandis, dilecti filii nobilis viri Caroli Alanzonis comitis, fratris tui, quem sincerita-tis prerogativa prosequimur, presentiam habere vellemus, ex quo te, propter impedimenta varia, nobiscum non possumus habere presentem. Quapropter excellentiam tuam rogamus et hortamur attente ut post missionem dictorum nuntiorum tuorum dictum comitem e vestigio ad nos mittas, missionis hujusmodi secreta causa celata, sibi tamen per te exposita» (Les registres de Boniface

VIII, pp. 611-612, n. 1646); si veda anche Digard, Philippe le Bel, pp. 274, 376. 32 Gorreta, La lotta.

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Si era così aperta la guerra tra Bologna e la signoria estense. Fin dall’ini-zio delle ostilità la città chiese l’aiuto dei fiorentini. Questi inviarono truppe, inizialmente per una durata limitata, ma poi, con l’aggravarsi della situazione, per un tempo indeterminato33. Durante gli anni di guerra i contatti fra le due

città non s’interruppero mai. Una riformagione del 9 aprile 1296 informa che l’ambasciatore bolognese Alamanno de Signorelli si presentò a Firenze do-mandando 100 equitatores comandati da due «millites periti et exercitati»34;

in un momento particolarmente concitato, durante l’assedio di Bazzano, i bo-lognesi scrissero una lettera indirizzata ai loro alleati, implorando l’invio di fanti e cavalieri per meglio sostenere l’operazione militare35.

La situazione bolognese era politicamente complicata: la città, infatti, non agiva compatta, ma al suo interno una fazione tramava per ottenere la sottomissione all’Este. Iacopo del Cassero, il podestà che aveva evitato la di-sfatta militare di Bologna, fu esentato dal sindacato proprio per paura dei sicari del marchese36. L’incertezza e la pericolosità della guerra, sommate alle

complessità di governare una città divisa, determinarono particolari difficol-tà nel reclutare i rettori forestieri. I rifiuti arrivavano da più parti, inclusa Firenze: il 17 dicembre 1296 arrivò una lettera nella quale veniva specificato che «commune Florentie renunciat acceptare eleccionem potestatis civitatis Bononie»37. Così per due mesi la carica fu ricoperta dagli Otto di guerra, una

speciale balìa creata per affrontare il conflitto. Le trattative sicuramente con-tinuarono, dato che nel febbraio 1297 il fiorentino Tegghia Frescobaldi si in-sediò come rettore forestiero per un semestre.

In questi anni la guerra contro gli Estensi avvicinò ulteriormente Bologna a Matteo Visconti: nel gennaio del 1297 furono inviati a Milano quattro amba-sciatori – due nobili e due di Popolo – allo scopo di stringere un’alleanza con il capitano ambrosiano e con Alberto I della Scala38. Quando nel luglio del 1297

il successore del Frescobaldi, Berardo da Camerino, rinunciò all’incarico, il consiglio del popolo decise di affidare la scelta del futuro podestà proprio al Visconti e successivamente, nell’aprile del 1298, il milanese fu eletto capitano del Popolo di Bologna39. Quest’ultima mossa era un misto di disperazione e 33 Una riformagione datata 31 agosto 1296 informa che a Bologna era presente un contingente

fiorentino composto da «milites et pedites» comandato da Tegghia Frescobaldi (il futuro pode-stà di Bologna), Schiatta Cavalcanti e Lando Falconeri; Riformagioni, reg. 142, c. 364v; David-sohn, Storia di Firenze, III, p. 44.

34 Riformagioni minori, reg. 211, c. 318r.

35 ASBo, Curia del Podestà, Giudici al sindacato, anno 1296 II semestre, c. 69r.

36 Riformagioni, reg. 143, c. 372r. Iacopo del Cassero fu assassinato dai sicari del marchese

mentre si recava a Milano per assumerne la podesteria. L’episodio è ricordato anche da Dan-te, si veda Alighieri, Purgatorio, V, vv. 79-84: «Ma s’io fosse fuggito inver la Mira, quando fu’ sopraggiunto ad Oriaco, ancor sarei di là ove si spira. Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco m’impigliar sì, ch’i’ caddi; e lì vid’io delle mie vene farsi in terra laco».

37 ASBo, Curia del Podestà, Giudici al sindacato, anno 1296 II semestre, c. 75r. 38 Riformagioni, reg. 143, c. 15v.

39 Riformagioni, reg. 144, c. 39v, Riformagioni, reg. 147, c. 256r. Una lettera per sondare tale

possibilità fu inviata da Bologna il 23 marzo: ASBo, Comune e Governo, Carteggi, Lettere del

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calcolo politico: nella deliberazione fu verbalizzato che il milanese avrebbe sicuramente rifiutato l’incarico, ma almeno avrebbe inviato un rettore capace e di fiducia.

5. La mediazione di Firenze nelle trattative di pace (1297-1298)

Nonostante l’avvicinamento a Matteo Visconti, i contatti fra Firenze e Bo-logna si intensificarono proprio a partire dal 1297: il primo marzo fu delibe-rato di inviare duo probi viri a Firenze e nelle altre città della taglia Guelfa e a Perugia allo scopo di scegliere degli ambasciatori per poi recarsi dal pontefice per discutere sulla guerra in corso40. Bonifacio VIII accettò il coinvolgimento,

tanto che già il 13 luglio arrivò a Bologna la notizia della disponibilità del papa a mediare una tregua, ma più sorprendente è il secondo punto all’ordine del giorno, rivelatore di quanto la politica fiorentina condizionasse quella bolo-gnese: «Item quid placet consilio super eo qui ambaxatores comunis Florentie ex parte comunis ipsorum videntur petere et velle, quod tregua fiat»41.

Una delle clausole previste da Bonifacio per emettere il lodo di pace sta-biliva che entrambe le parti avrebbero dovuto consegnare a un incaricato del pontefice un castello ciascuna – Piumazzo i bolognesi, Spilamberto il marchese – per mostrare buona volontà e soprattutto per fare arretrare le posizioni42. L’Este probabilmente considerava la scelta delle fortezze da

af-fidare sfavorevole e, forse per questa ragione, chiese un maggiore coinvol-gimento di Firenze nelle trattative. La decisione non era casuale: il signore di Ferrara e i suoi famigliari avevano solidi rapporti finanziari con i toscani già dal 1295. Queste connessioni si sarebbero incrementate ulteriormente tra il 1299 e 1300, quando i marchesi d’Este depositarono 33.985 fiorini d’o-ro presso dieci banche fiorentine43. Lo stesso valeva per Bologna: nel 1297

un’ambasciata fiorentina lavorò in città un mese per tutelare gli interessi dei banchieri Lambertino e Giovanni Frescobaldi in una controversia con il comune, e nello stesso anno i toscani garantirono l’approvvigionamento cittadino di sale, attività molto remunerativa dato che i bolognesi erano im-possibilitati a recuperarlo altrove44.

40 Riformagioni, reg. 143, c. 29r.

41 Riformagioni, reg. 144, c. 97v. È molto difficile stabilire con esattezza se la richiesta di

me-diazione fu un’iniziativa bolognese o se questi ultimi furono ufficiosamente consigliati e indiriz-zati. Quel che è certo è che l’intervento pontificio era molto utile a Bonifacio VIII perché deter-minava un vantaggio nella partita che il Caetani – anche con l’aiuto militare di Firenze – stava giocando contro i Colonnesi. La Romagna fu inoltre uno dei teatri dello scontro e nel 1299 il Papa non esitò a impiegare contro l’ultimo baluardo nemico, il castello di Montevecchio, i Ghi-bellini pacificatisi con Bologna e la Chiesa, tra i quali vi erano Maghinardo Pagani da Susinana e Galasso di Montefeltro: Davidsohn, Storia di Firenze, III, p. 67.

42 Riformagioni, reg. 147, c. 222r. I bolognesi accettarono le condizioni, ma a patto che anche

l’Este si fosse mostrato ugualmente accondiscendente: Ghirardacci, Historia, p. 357.

43 Davidsohn, Storia di Firenze, II, pp. 556-557. 44 Riformagioni, reg. 145, c. 112v.

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Dal momento che la guerra, con i suoi complicati giochi di alleanze, aveva coinvolto altri attori, era anche con loro che Bologna doveva riappacificarsi. Matteo Visconti e Alberto I della Scala furono i mediatori scelti negli accor-di con i Lambertazzi, bolognesi accor-di parte ghibellina fuoriusciti fin dal 1274: le trattative permisero a questi ultimi di fare ritorno in città45. Allo stesso

modo vennero intavolate delle trattative anche con i Ghibellini di Romagna46.

Anche in questo caso il ruolo di Firenze non fu marginale: la città s’impegnò a intercedere presso Bonifacio VIII perché cassasse tutte le condanne loro inflitte dato che Maghinardo e i suoi alleati intendevano allearsi con Carlo di Valois e ne aspettavano l’arrivo47. Alla pace si arrivava, quindi, solo attraverso

la mediazione di un soggetto politico a cui fosse riconosciuta dalle parti sia legittimità giuridica a intervenire, sia relazioni stabili di amicizia.

Firenze rivestì ufficialmente il ruolo di mediatrice il 7 novembre del 1298 quando a Bologna si redasse un atto «ad bonum et pacificum statum partis Ecclesie partis Tuscie et Lombardie et tocius Ytalie» in cui si confe-rivano a Firenze i poteri necessari per dirimere le questioni sorte tra le due belligeranti48. Fu inoltre stabilito che entrambe le parti in guerra si stavano

rivolgendo alla città toscana non per raggiungere una tregua temporanea, ma per arrivare alla pace. Come già aveva deciso Bonifacio VIII le due bel-ligeranti consegnarono i due castelli affinché fossero custoditi da personale armato fiorentino49.

In questo biennio lo scambio epistolare dovette essere piuttosto serrato: assumere il controllo di fortificazioni era infatti complicato. Bologna dovette utilizzare a sue spese 100 fanti toscani e anche la paga della guarnigione fu oggetto di corrispondenza. Il 5 gennaio 1299 il podestà Monfiorito da Coder-ta, Raniero della Torre difensore e capitano, i priori delle arti, il gonfaloniere di giustizia, il consiglio, il Popolo e il comune della città di Firenze scrissero ai loro omologhi bolognesi che, per decisione presa in vigore della balìa concessa ai priori e al gonfaloniere dal consiglio cittadino, il costo della guarnigione era stato stabilito in 500 fiorini d’oro50; si chiedeva inoltre ai bolognesi di

in-terrompere qualsiasi atto ostile contro il marchese, e che entrambe le parti riaprissero le vie al transito di uomini e merci51.

Gli equilibri dentro Firenze si erano dunque spostati verso una politica più vicina agli Estensi. Del resto, fin dal 1297 i bolognesi erano al corrente

del-45 Milani, L’esclusione, pp. 270-271. 46 Riformagioni, reg. 148, c. 336r. 47 Ghirardacci, Historia, p. 376.

48 ASBo, Comune e Governo, Diritti e oneri del comune, Convenzioni, trattati, obbligazioni. Serie cronologica sciolta, b. 1, f. 84.

49 Riformagioni, reg. 149, c. 57r; Riformagioni minori, reg. 210, c. 283v. 50 Ghirardacci, Historia, p. 367.

51 Ibidem, pp. 374-375. Nel 1299 un’ambasciata dei priori e del gonfaloniere di giustizia aveva

anche chiesto che il dazio sulle gabelle ai mercanti tornasse ai livelli prima della guerra:

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la presenza di una pars marchesana nella città toscana52. Il cambio di fronte

fu evidente nel maggio del 1299, quando una grande delegazione costituita da giuristi bolognesi e da uomini di Azzo fu convocata a Firenze dinnanzi a una commissione composta da un giudice per sestiere, dai priori delle arti e de-gli artefici e dal gonfaloniere di giustizia53. Scopo dell’iniziativa era dirimere

tutta una serie di questioni non relative all’arbitrato, ma che rientravano nelle trattative di pace.

Fin dalle prime sedute oggetto di discussione furono le acquisizioni terri-toriali compiute da Bologna durante la guerra, di cui il marchese chiedeva la restituzione. La difesa bolognese si basò tutta sul negare legittimità all’inizia-tiva fiorentina, parandosi dietro le consegne impartite da Bonifacio. In par-ticolare i felsinei contestavano ai toscani di non essersi spesi adeguatamente per sollecitare il Pontefice a emettere il lodo di pace, come invece era stato stabilito54.

Non è questa la sede per analizzare nel dettaglio tutte le istanze e ricusa-zioni, ma quel che preme sottolineare è che già a un primo sguardo emerge come un evento apparentemente circoscritto come il conflitto fra Bologna e il marchese d’Este fu discusso e analizzato dettagliatamente a Firenze ed era ampiamente conosciuto a Roma e Milano.

6. Le relazioni diplomatiche tra Bologna e Firenze dopo l’arbitrato (1299-1300) Con il termine delle ostilità stabilito nel 1299, le coalizioni si incrinarono e le distanze politiche si accentuarono. I bolognesi optarono per un governo guelfo molto moderato, scelta che si era rivelata vincente durante la guerra, mantenendo la loro alleanza con Milano. Firenze, che al contrario aveva vi-rato verso una politica sempre più intensamente filopapale, dunque poten-zialmente antiviscontea, si avvicinò sempre più al marchese d’Este ed elesse

52 Riformagioni, reg. 143, c. 29r: quando i bolognesi richiesero ai priori dei sapienti che li

ac-compagnassero dal pontefice specificarono «qui non sint de adherentibus marchioni exstensis vel Maghinardi de Soxenana».

53 ASBo, Comune e Governo, Diritti e oneri del comune, Convenzioni, trattati, obbligazioni. Serie cronologica sciolta, b. 1, fasc. n. 98, c. 1r: «In Dei nomine amen. Exixstentibus

pruden-tibus viris domino Iacobo de Certaldo iudice pro sextu Ultrarnii, Lippo del Mancino pro sextu Sancti Petri Scheradi, Saggina Philippi pro sextu Burgi, Iohanne Artaviani pro sextu Sancti Pancratii, Veri Rondinelli pro sextu porte Domus et Tancino Acerbi pro sextu porte Sancti Pe-tri, prioribus artium et artificum pro comuni Florentie, etiam Borgo Rinaldi vexillifero iustitie in dicto sextu porte Domus pro ipso comuni pro duobus mensibus initiatis die quinto decimo mensis aprelis et finendis die quartodecimo mensis proxime accessuri, notario vero et scriba eorum et dicti officii pro dicto comuni Bonsegnore Hostigiani notario. Hic hest liber continens scripturas, stançiamenta, provisiones, deliberationes et acta facta tempore dicti offici prioratus, scriptus per dictum Bonsignorem notarium sub anno Domini millesimo duecentesimo nonage-simo nono indictione duodecima».

54 ASBo, Comune e Governo, Diritti e oneri del comune, Convenzioni, trattati, obbligazioni. Serie cronologica sciolta, b. 1, fasc. 98, passim.

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come proprio capitano l’orvietano Raniero della Torre55. Queste circostanze

aiutano a comprendere in parte gli eventi successivi.

In quegli anni infatti divennero oggetto di grande attenzione le vicende nel nord Italia, in particolare quelle riguardanti la città ambrosiana. Matteo Visconti era accerchiato: nel maggio 1299 il marchese di Monferrato, aiutato dal marchese d’Este, da Pavia, da Cremona, Novara e Vercelli attaccò Milano, che rispose invocando l’aiuto dei suoi alleati, inclusa Bologna. La città rispose affermativamente alla richiesta, predisponendo un contingente di cavalieri56. I

soldati, per arrivare a Milano, dovevano marciare attraverso alcuni territori oc-cupati dalle forze estensi e, per queste ragioni, il comune di Bologna domandò l’autorizzazione ad Azzo che tuttavia impedì il transito e protestò con Firenze57.

Nel loro ruolo di mediatori e garanti della pace i signori di Firenze - cioè i priori delle arti e il gonfaloniere di giustizia – il 13 giugno inviarono una lettera ai rettori bolognesi chiedendo ragione di quella scelta e invitandoli a rivedere la decisione sull’invio di truppe. I bolognesi affidarono la loro difesa a una missiva che sosteneva la scelta sulla base di argomenti di carattere ide-ologico e giuridico. Questi ultimi chiamavano in causa proprio l’arbitrato pro-nunciato da Firenze, all’interno del quale era stato stabilito che le strade sia nei territori estensi che felsinei erano da considerarsi libere e sicure e che i cit-tadini di entrambi le parti avrebbero potuto transitare senza essere respinti58.

Quella non fu la sola missiva che i fiorentini inviarono nel 1299 a Bologna. Il 19 dicembre venne letta in una seduta del consiglio del popolo una lettera in cui i priori, il podestà, il papitano e il gonfaloniere di giustizia domandavano l’invio di milites et pedites59. Il contrasto con quanto era successo pochi mesi

prima è solo apparente. A Firenze convivevano almeno due fazioni, una dei co-siddetti bianchi, che fu certamente la parte “antimarchesana” in città e una dei neri, quella parte filomarchesana che, come si è visto, era temuta dai bolognesi. Come ha dimostrato Giuliano Milani, a partire dal dicembre del 1299 si nota un’egemonia dei bianchi nel priorato: il cambio di atteggiamento fu quindi do-vuto al fatto che la pars, arrivata al governo, iniziò a intensificare le relazioni diplomatiche con gli alleati, inclusa Bologna60. Il conflitto fra fazioni in Toscana

si stava estremizzando e questo veniva seguito con grande attenzione. In una seduta consigliare poco posteriore, quella del 15 dicembre, i bolognesi espresse-ro le loespresse-ro preoccupazioni circa le novitates occorse nelle città di Firenze, Pistoia

55 Archivio di Stato di Terni, Sezione Orvieto, Riformagioni, reg. 70, c. 51r. Il 4 maggio 1297

il della Torre fu uno degli organizzatori dei giochi in onore di Bonifacio VIII in occasione della sua visita a Orvieto. Ringrazio per la segnalazione il dott. Francesco Poggi che sta conducendo una ricerca su Orvieto e Perugia dal titolo Conflitti di Popolo. Perugia e Orvieto tra XIII e XIV

secolo nell’ambito del dottorato in Studi storici delle Università di Firenze e Siena, ciclo XXX. 56 Riformagioni, reg. 149, cc. 64r-v, 80v. Sulla vicenda e sui rapporti tra Matteo Visconti e

Bo-nifacio VIII si veda Grillo, Milano guelfa, pp. 37-38.

57 Ghirardacci, Historia, p. 387. 58 Ibidem, p. 402.

59 Riformagioni, reg. 148, c. 372r.

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e in altre parti della Tuscia che, si sottolineava, «non possent esse sine magno et grandi periculo comunis et populi Bononie» e che rendevano necessario at-tribuire agli anziani e consoli l’arbitrio per prendere tutte le decisioni atte a garantire il buono e pacifico stato a Bologna e nelle città coinvolte61.

La documentazione tace su quel che accadde in seguito, ma alla fine del luglio 1300 un’ambasceria di ritorno da Firenze portò la richiesta di creazione di una lega. Per l’onore di Papa Bonifacio VIII, dell’eccellentissimo re di Sicilia Carlo, del cardinale Matteo d’Acquasparta e per l’onore della parte guelfa si stringeva così un patto di alleanza e fraternità62: non vi era stata la guerra

temuta dai bolognesi e i bianchi fiorentini avevano raggiunto una posizione di predominio nello spazio politico cittadino, ma, almeno fino al luglio 1301, un contingente bolognese rimase nella città toscana per garantire la pace63. Nel

consiglio cittadino la proposta di alleanza passò con 300 voti a favore e solo 9 contrari, questo perché gli assetti regionali erano repentinamente modificati. Il Marchese d’Este infatti si era alleato con Matteo Visconti facendo sposare Beatrice d’Este, sorella di Azzo, a suo figlio Galeazzo Visconti64.

7. Guelfi e Ghibellini / amici e nemici

Il linguaggio delle lettere, così come quello delle riformagioni, svela alcu-ne categorie di pensiero usate per esplicitare i conflitti e le relazioni intercitta-dine. Particolarmente interessante è lo scambio epistolare sull’invio di truppe in soccorso di Matteo Visconti quando – nel 1299 – fu accerchiato dalle forze del marchese di Monferrato. Le due lettere svelano quanto fossero malleabili i termini «guelfo» e «ghibellino» e quanto il loro utilizzo presentava non facili problemi di interpretazione, creando anche effetti paradossali, dato che tanto Firenze quanto Bologna si consideravano guelfe e ponevano i loro nemici e avversari nello schieramento dei Ghibellini.

Il 13 giugno i priori e il gonfaloniere di giustizia, nello scrivere la loro missiva, avevano inizialmente usato toni amicali: «Nos qui iure timemus disi-dium et amicorum et fratrum inducimur rationalibiter vobis intimo cordis af-fectu scribere», preoccupati che l’aiuto al «capitano di Milano» avrebbe potu-to in qualche modo turbare la pace appena raggiunta, per poi inasprire i potu-toni, prevedendo che queste azioni avrebbero fatto cadere Bologna «apud omnes in vituperium et infamia generalem»65.

La risposta bolognese non si fece attendere e portò la disputa verso una retorica fortemente ideologizzata. Credere che il soccorso militare al

«magni-61 Riformagioni, reg. 148, c. 372v.

62 Riformagioni, reg. 152, c. 225v; il testo del trattato, redatto il 25 agosto 1300, in Ghirardacci, Historia, p. 418.

63 Riformagioni, reg. 154, c. 324r. 64 Dean, D’Este, Azzo.

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ficus vir dominus capitaneus Mediolani» fosse «contraria parti guelfae et fa-vorabilia ghibellinis» non solo era offensivo, ma era scorretto. Bologna aveva sempre lavorato per «augmentare statum Ecclesiae sanctae matris», mentre la città di Pavia, il marchese di Monferrato «et amici eiusdem», tra cui Azzo VIII d’Este erano ghibellini: «inimici fuerunt et sunt populi et comunis Bononie». In questo modo Matteo Visconti diventava zelatore e servitore della parte guelfa dato che durante la guerra aveva offerto ai felsinei più volte il suo aiuto, sia con consigli che attraverso l’invio di truppe66. L’attacco ai fiorentini era sottile, ma

veemente: ghibellini erano quei soggetti che combattevano l’alleato di Bologna. L’appartenenza alla pars Ecclesiae veniva staccata dalla politica papale e ricondotta all’interno delle dinamiche cittadine. In altre parole non era più tanto l’aderenza a un potere universale a determinare l’inquadramento in uno schieramento, ma i termini venivano relativizzati e categorizzati all’interno delle alleanze locali. Per entrambe le città i Guelfi erano gli amici, tutti quei soggetti cioè, con i quali si instauravano relazioni di reciproco aiuto, da quello militare a quello informativo e che fornivano consigli, agendo in virtù di un comune progetto o convenienza, come la difesa da un nemico comune. Dive-niva perciò perfettamente coerente per i bolognesi coordinarsi con Matteo Visconti premettendo in una loro lettera: «considerato quod inimici nostri et vestri»67. Ghibellini erano invece gli inimici, ossia chiunque metteva a

ri-schio il buono e pacifico stato delle città sia attraverso attacchi diretti che indiretti68. Quando il 30 luglio 1300 venne stretta un’alleanza con Firenze,

nel consiglio del Popolo si stabilì che questa avveniva «ad honorem laudem et reverentiam» di Bonifacio VIII, di Matteo di Acquasparta, di Carlo di Valois e per garantire il buono e pacifico stato di Bologna, di Firenze e della Parte guelfa69. Il vocabolo guelfo anche in questo caso era riferito alle due città e,

come notava Vito Vitale, il patto era stretto per «trovare un aiuto, in caso di bisogno, appunto contro il papa e cardinale»70. Il gioco politico era

complica-to, ma seguiva una sua logica71.

8. Conclusioni

La penisola all’inizio del Trecento viveva un momento di grande incertezza politica. Non esisteva un conflitto capace di polarizzare in modo netto

quel-66 Ibidem, p. 402. 67 Ibidem, p. 350.

68 Le lettere qui analizzate non rappresentano un’eccezione; nel 1298 i bolognesi, scrivendo agli

anconetani, definirono il marchese d’Este e i suoi alleati dei terribili Ghibellini: ASBo, Comune

e Governo, Carteggi, Lettere del comune, b. 407, fasc. L, c. 6r. 69 Riformagioni, reg. 152, c. 225v.

70 Vitale, Il dominio della parte guelfa, p. 79.

71 Schmitt, Le categorie del ‘politico’; Freund, Il terzo, il nemico, il conflitto, in particolare L’a-mico e il neL’a-mico, pp. 47-154; Amicus (inimicus) hostis; Portinaro, Materiali, pp. 219-310, Zorzi, Conflitto e costituzione, pp. 321-342.

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le pluralità di soggetti che popolavano le città italiane, come era avvenuto, ad esempio, durante la guerra tra Federico II e il papato. La circostanza si som-mava a un fattore nuovo, secondo Ernesto Sestan nato proprio in quei decenni: l’interesse politico delle città aveva iniziato a spostarsi sempre più verso una dimensione sovralocale. Questa tesi, che ha costituito un importante snodo nel-la riflessione storiografica sul problema dei Guelfi e Ghibellini in Italia è stata ripresa da Giovanni Tabacco che la elaborò nella sua sintesi sulla storia politica dell’Italia medievale: lo studioso notò come il progressivo irrigidirsi degli schie-ramenti dei Guelfi e dei Ghibellini aveva determinato una coordinazione so-vralocale delle parti, fornito un certo grado di stabilità ai governi cittadini che erano stati dotati così di «un minimo di garanzia di sopravvivenza»72. Questa

lettura è stata tendenzialmente accettata. Proprio partendo da Tabacco, San-te Bortolami ha posto agli inizi del Trecento la nascita di un «commonwealth intercittadino piuttosto stabile»73, mentre Jean-Claude Maire Vigueur, pur

ri-conoscendo l’esistenza e l’importanza del fenomeno, ha invitato a sfumare gli aspetti ideologici attribuiti alle parti in conflitto74. È stato più volte notato come

le città, così come tutti gli altri attori che agirono nell’Italia di fine Duecento, sfuggono a una classificazione politica fissa e non sono inscrivibili una volta per tutte in uno schieramento politico chiaro e definito75.

Su questa linea interpretativa nell’ultimo quindicennio altri studiosi hanno fornito nuovi paradigmi per affrontare la questione. Paolo Grillo ha invitato a «prestare molta attenzione a non costringere la lettura della poli-tica italiana nei decenni a cavallo fra Due e Trecento in uno schema troppo rigido di perenne contrapposizione Guelfi/Ghibellini e di monolitica stabili-tà degli schieramenti collettivi e individuali»76. Le parti presenti all’interno

delle città italiane erano infatti poco inquadrabili ideologicamente. La lotta tra fazioni, come ha dimostrato Giuliano Milani, aveva polarizzato i conflitti e istituzionalizzato la pratica dell’esclusione77. Questa permetteva un ricambio

dei gruppi dirigenti, ma non era definitiva: presto o tardi le parti – o alcuni gruppi all’interno di esse – tendevano a riappacificarsi. Il rientro negoziato degli esclusi, piegati ai sistemi di valori dei vincitori, rendeva lo spazio politi-co cittadino magmatipoliti-co e in politi-continua ripoliti-composizione78.

Le fazioni insomma costituivano una miscela esplosiva, ma da sole non avrebbero potuto incendiarsi. Nell’ultimo decennio del Duecento provvidero

72 Tabacco, Egemonie sociali, pp. 316-330, citazioni alle pp. 317 e 322. 73 Bortolami, Politica e cultura, p. 235.

74 Maire Vigueur, Nello Stato della Chiesa, pp. 741-814, citazione a p. 772; Maire Vigueur, Flus-si, circuiti e profili, pp. 999-1000.

75 Chittolini, «Crisi» e «lunga durata», pp. 125-154; Grillo, Milano guelfa, pp. 11-16. Un punto

sulla tradizione degli studi sui Guelfi e Ghibellini in Raveggi, L’Italia dei guelfi e ghibellini, pp. 7-26.

76 Grillo, Milano guelfa, p. 14.

77 Milani, L’esclusione dal comune, in particolare pp. 145-204; Milani, I comuni italiani, pp.

120-123; Milani, Uno snodo nella storia dell’esclusione, pp. 297-311.

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a questo scopo la lunga latitanza del potere imperiale, da poco ricomparso ma solo formalmente, e la politica di Bonifacio VIII che tentò di egemonizzare la penisola, catalizzando le reazioni e polarizzando i conflitti79. Come si è visto,

le città italiane alla fine del XIII secolo si mossero assecondando o reagendo ai disegni egemonici del Pontefice. Non esisteva un indirizzo netto, preesi-stente, facilmente prevedibile. Piuttosto gli equilibri mutarono costantemen-te, determinando alleanze e contrapposizioni in continua riconfigurazione80.

Le città e i loro gruppi dirigenti adottarono, come era avvenuto in preceden-za, una linea diplomatica variabile: si avvicinavano al pontefice fino a quando le circostanze erano convenienti o si allontanavano ai primi segnali di un’in-gerenza più marcata. Alleanze e opposizioni erano sfruttate per ottenere un vantaggio sulle rivali più prossime: tra città vicine al fine di ottenere la supre-mazia regionale o tra fazioni per l’affermazione di una linea politica sull’altra. Rispetto alla prima metà del Duecento il quadro si era tuttavia complicato: gli schieramenti non si dividevano più solo sulla tradizionale contrapposizione tra papato e impero, ma guardavano anche agli Aragonesi di Sicilia, agli Angioini di Napoli e alla monarchia francese81. Le qualifiche di guelfo, ghibellino, di pars

Ecclesiae, pars Imperii, erano così locali e soggettive da essere poco utili se utilizzate per interpretare una realtà più ampia e stratificata, in cui le alleanze erano frutto di complessi – e difficilmente ricostruibili – calcoli politici82.

Come si è visto infatti, in questa fase più che la contrapposizione ideologi-ca tra Guelfi e Ghibellini a sideologi-candire gli schieramenti fu la distinzione relativa tra amici e inimici83. Città e fazioni erano tra loro coordinate, ma

attraver-so relazioni mutevoli e influenzabili dalle circostanze: i complessi sistemi di alleanze che si erano creati conferivano a eventi lontani una portata molto più ampia di quella che avrebbero avuto nei decenni precedenti. I termini «guelfo» e «ghibellino» avevano infatti perso il loro significato originario dal momento che la realtà politica era profondamente mutata rispetto ai decenni precedenti, rendendo impossibile un inquadramento ideologico netto e omo-geneo. A Firenze e Bologna le due categorie erano state riportate all’interno della politica cittadina, utilizzate per indicare gli amici con i quali coordinar-si, e i nemici, sia quelli interni, sia quelli esterni, da combattere ed escludere84.

79 Paravicini Bagliani, Bonifacio VIII, pp. 477-501. Una bibliografia sugli studi su Bonifacio

VIII in Paravicini Bagliani, Il papato nel secolo XIII, pp. 72-104.

80 Grillo, Milano guelfa, pp. 39-43. 81 Ibidem, p. 15.

82 Gentile, Fazioni e partiti, p. 277; Heers, Partiti e vita politica, p. 13.

83 Dessì, I nomi dei guelfi e ghibellini, pp. 4-66; Raveggi, Da Federico II a Carlo d’Angiò,

Raveg-gi, Tarassi, Medici, Parenti, Ghibellini, Guelfi e Popolo grasso.

84 Forse era questo che Dante, priore a Firenze, intendeva quando vedeva in Italia la gran tem-pesta: If, VI, vv. 76-78: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran

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