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Autore
Dott. Lucci Valerio Massimiliano
Tutor Scientifico
Prof. Passino Claudio
Tutor Aziendale
Dott. Leonardo PalosciaMaster Universitario di II livello
Trattamento percutaneo della malattia coronarica
Anno Accademico
2017/2018
Caso di filo guida “intrappolato”
complicato da frattura di guida e
deformazione di stent.
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INDICE
Introduzione pag. 3
Tecnica di biforcazione pag. 3
La guida coronarica “giusta” pag. 4
Deformazione dello stent pag. 6
Caso clinico pag. 8
Discussione pag. 11
Conclusioni pag. 16
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Introduzione
La “jailed wire tecnique” è spesso utilizzata nel trattamento di biforcazioni per prevenire l’occlusione acuta di un “side branch”. Tuttavia il recupero del filo guida dopo lo stenting sul “main branch” puo’ essere problematico a causa dell’intrappolamento del filo guida fra lo stent e la parete vasale del “side branch” (1) .
Qualora l’intrappolamento si complicasse in rottura del filo guida sono diverse le strategie interventistiche e/o conservative per evitare temute complicanze maggiori quali trombosi endocoronariche, dissezioni e perforazioni (16) .
L’eccessiva manipolazione nel tentativo di recuperare il filo guida intrappolato, applicando varie tecniche, possono condurre a deformazione longitudinale dello stent.
Presentiamo un caso clinico di biforcazione trattata con “jailed wire tecnique” complicata da frattura di guida e deformazione di stent trattata con una seconda procedura di salvataggio mediante OCT.
Tecnica di biforcazione
L’ utilizzo del filo guida jailed è una fase chiave nella strategia di biforcazione del provisional stenting .
La tecnica consiste nell’inserire il filo guida nel side branch prima dell’ espansione dello stent nel main vessel. Dopo l’ espansione, il filo rimane incarcerato sotto lo stent e nel caso in cui si occluda acutamente rimane un valido marker per il rewiring.
Anche se non si tratta di una tecnica riconosciuta, gli esperti dell’European Bifurcation Club la raccomandano per potenziali vantaggi quali: potenziale marker in caso di occlusione, creazione di un favorevole angolo di carena per il rewiring, maggiore supporto
4 per il catetere guida fungendo anche da “anchoring”; in casi estremi per la possibilità di intervenire con un crush dello stent sul main vessel liberando il vaso occluso: l’intervento può concludersi quindi con una tecnica crush inversa o con una nuova dilatazione dello stent crushato nel MV una volta risolta l’occlusione nel SB. (1).
Tali vantaggi sono confermati dallo studio TULIPE dove l’ assenza di un filo guida jailed era associato a un significativo numero di reinterventi al follow up. (2)
La guida coronarica “giusta”
Una volta scelta la strategia del provisional, per anni il dubbio dell’operatore è stato, e lo è ancora, quale fosse la tipologia di guida migliore in termini prestazionali e di sicurezza che potesse rimanere incarcerata. Un’ elegante risposta l’ ha fornita lo studio di Pan che ci chiarisce molto riguardo su quale possa essere il tipo di guida “migliore” da jailare. Lo studio pubblicato nel 2016 confronta due tipi di guida, rivestita da polimero e non, raffrontadone la sicurezza, intesa come resistenza al danneggiamento, e l’ efficacia, intesa come qualità nel crossare il side branch.
Se ne evinceva che le guide polimero rivestite, contrariamente a un recente passato, fossero superiori alle non rivestite. Lo studio arruolava 235 pazienti consecutivi e randomizzava in due gruppi, in rapporto 1:1, circa 115 rivestite (Pilot 50 o Whysper) e 120 non rivestite (BMW o Floppy II) guide per gruppo: le guide dopo la procedura, venivano sottoposte a un’ analisi allo stereomicroscopio. (1)
Ne risultava che le guide rivestite da polimero erano significativamente più resistenti rispetto alle altre del gruppo non rivestite e in tale gruppo in due casi, si presentarono anche fratture. Questo studio era uno stravolgimento rispetto a quanto Colombo affermava nel 2008 di non utilizzare di non utilizzare guide polimero rivestite da jailare.
5 Fra gli endpoint secondari solo la lunghezza del filo incarcerato risultava predittore di danneggiamento.
Nessuna differenza fra i due gruppi ci fu da un punto di vista clinico in termini di eventi. In altri studi tuttavia sono stati evidenziati anche altri fattori predittivi di “incarceramento” quali l’angolo eccessivamente acuto del side branch (3), la calcificazione del vaso principale (4) e il posizionamento di uno stent su un segmento curvo del ramo principale che trasmette una grande forza radiale alla guida (5) .
Successivamente il dibattito sulla tematica continuava in brevi editoriali in cui Chatterjee criticava lo studio di Pan, poiché il tipo di microscopio utilizzato non poteva individuare il danno polimerico, in quanto aveva un potere di ingrandimento non sufficiente per valutare il danno del polimero; inoltre le guide possono anche essere solo parzialmente rivestite da polimero e quindi avere caratteristiche di “danneggiamento” del polimero diverse da quelle completamente rivestite (6).
In un piccolo studio pilota (20 guide), si osservava che i fili guida completamente rivestiti di polimero presentavano un danno cinque volte maggiore rispetto a quelle rivestite in
modo intermedio da polimero, ed erano comunque danneggiate l’80% delle guide anche
quando la protezione del side branch non era complicata, ma tutto ciò utilizzando un microscopio elettronico; si dimostrava inoltre una debole relazione fra la perdita di polimero durante la procedura e l’ infarto peri-procedurale mediante dosaggio creatin-chinasi cardiaca, in assenza di eventi clinici associati, quindi un fenomeno clinico ancora da chiarire.
In quell’editoriale si invitava ad avere cautela, prima di cambiare strategia e filo guida, in quanto c’era molto da chiarire sulla frammentazione di materiale polimerico e sul suo significato clinico. Concludeva invece che le guide parzialmente rivestite da polimero
6 potessero essere un giusto compromesso fra prestazione e perdita di polimero (6). Anche Nicholson in un editoriale riporta una critica allo studio di Pan dato che utilizzando una guida non polimerica come la BMW Universal di fatto si sta utilizzando una guida che solo nei 45 mm distali non è rivestita quindi di fatto si utilizzava come guida da jailare una guida rivestita. (7) Entrambi concludono sulla necessità di continuare a studiare anche le guide “intermedie” di nuova generazione.
Deformazione dello stent
In letteratura sono documentati diversi meccanismi in base ai quali ricorre la deformazione di uno stent dopo la sua espansione. Fra questi, come si evince dall’analisi dei dati di Williams et al. su un totale di 9310 stent in 4445 PCI, una deformazione di stent si è verificata nello 0,2% dei casi e ha colpito lo 0,097% degli stent (8). Nella loro raccolta di casi hanno confermato il già descritto e più frequente meccanismo evidenziato da Hanratty and WalshI , che individua come causa della deformazione la compressione del catetere guida all’edge prossimale dello stent (8). Altri meccanismi descritti, relativamente frequenti, sono la postdilatazione dello stent in cui il tip del pallone entra in contatto con le maglie prossimali dello stent seguendo la guida che si adagia sulle maglie di un segmento curvo, oppure per il contatto con il catetere da protezione embolica nelle pareti venose, o per interazione con le estensioni dei cateteri guida. (8)
In un elegantissimo studio al “bench test”, Ormiston ha studiato le proprietà fisiche di diversi tipi di stent sottoposti a molteplici stress meccanici con l’intento di definirne la deformabilità. Lo studio ha confrontato il comportamento dei diversi tipi di stent sottoposti a forze idonee studiate per simulare una deformazione; in particolare si documentava la
risposta alla compressione, all’allungamento e la resistenza alla deformazione
longitudinale, intesa come la proprietà dello stent di mantenere la propria architettura se sottoposto a sollecitazioni compressive o a stiramento.
7 La deformazione di stent è più frequente a livello della porzione prossimale dello stent;
questa appare all’angiografia come un “affastellamento” di maglie. Meno comune invece
appare al tratto medio o distale dello stent; definizioni frequentemente utilizzate per definire la deformazione angiograficamente sono effetto a fisarmonica, a concertina, schiacciamento o accorciamento degli anelli, e le forze suddette sperimentate sono assimilabili alla postdilatazione, il passaggio di sonde IVUS, di cateteri guida, di cateteri aspiratori nonché “l’inginocchiamento” di fili guida.
Si parla anche di “rottura o interruzione” riferita dall’interventista come la sensazione di una resistenza all’attraversamento di uno stent espanso o come un intrappolamento di un device o anche di un filo guida.
Dallo studio si evinceva che fra tutti i pazienti che avevano posizionato un Microdriver e in cui era stata riconosciuta una distorsione, nel 38 % dei casi avevano sviluppato eventi avversi. Gli effetti della deformazione possono manifestarsi come una “malapposizione” dello stent. Questa può generare potenzialmente fenomeni di restenosi, per possibile cattiva distribuzione del farmaco sul vaso, e, a gradi estremi, protrusione di maglie all’interno del vaso che, oltre all’ostruzione relativa del flusso, genera trombosi endocoronariche da flusso non più laminare.
La soluzione della deformazione longitudinale, quando riconosciuta e documentata, va risolta necessariamente mediante postdilatazione ad alte atmosfere con pallone non compliante e/o compliante se il passaggio del pallone è difficoltoso.
L’uso delle metodiche di imaging andrebbero sempre promosse se ovviamente non si ha un ostacolo al passaggio e quindi il rischio di ulteriore la deformazione dello stent (9). Aldilà dei meccanismi che possono generare la deformazione dello stent bisogna tener presente anche della struttura e della tecnica di costruzione dello stesso stent. Nota è la
8 maggiore possibilità alla deformazione del Promus Element rispetto allo Xience V o al Cypher. Nel tempo sicuramente c’è stata una sottostima della deformazione anche perché angiograficamente non sempre si identificano quelle zone a maggior opacità descritte (es : platino – cromo del Promus) che possano far sospettare un collasso o un affastellamento di maglie, piuttosto è proprio operativamente che si può avvertire resistenza all’ingresso, nella maggioranza dei casi, proprio del pallone di postdilatazione che possono indicare una zona deformata (9).
In conclusione, può verificarsi una deformazione longitudinale dello stent per una varietà di meccanismi ed importante ne è l'identificazione in quanto, se non adeguatamente trattata, può essere associato a un rischio di trombosi dello stent.
Caso clinico
Trattasi di un uomo di 56 anni iperteso e dislipidemico in terapia, già portatore di 2 BVS su arteria discendente anteriore media e due stent medicati su coronaria destra. Torna per angina instabile. Sottoposto a coronarografia si visualizzava stenosi di arteria discendente anteriore fra i due precedenti BVS e stenosi critica su ramo marginale medio distale (fig 1); libera e pervi gli stent su coronaria destra. L’arteria discendente anteriore era trattata senza problemi . Il trattamento del ramo marginale in biforcazione al tratto medio con ramo divisionale (Medina 1.1.0) di discreto calibro ed estensione, prevedeva come scelta procedurale il posizionamento di un filo guida di protezione, con tecnica provisional e successivo stenting diretto con “incarceramento” del filo guida. Erano passati quindi due fili guida BMW Universal. Dopo posizionamento diretto dello stent sul main branch (fig 2) espanso a 14 atmosfere , al ritiro della guida dal side branch si avvertiva grande resistenza e dopo vani tentativi di recupero con pallone OTW, effettuati movimenti di eccessiva torsione per cui la guida si spezzava sotto lo stent (fig 3,4); evidente la
9 deformazione dello stesso al tratto medio, sul punto di rottura. Molteplici i tentativi di riattraversamento dello stent, tutti inefficaci malgrado l’utilizzo di fili guida con supporto di microcatere. Si interrompeva la procedura per eccesso di contrasto. Si somministrava al paziente per 48 h inibitore delle Gp IIb/IIIa e si programmava nuova PCI OCT guidata. Dapprima si posizionava un filo guida su arteria circonflessa vera e successivamente si riusciva ad oltrepassare lo stent con guida idrofilica (Choice PT) e sostegno di un pallone OTW. A quel punto era avviato studio valutativo mediante OCT del ramo marginale verso circonflessa vera che documentava una stenosi significativa al tratto prossimale e la presenza di coil della guida spezzata con apposizione trombotica risalita fino al tronco comune. Dopo alcune predilatazioni con il pallone OTW, si predilatava con palloni a dimensione crescente fino al calibro di 2.5 e al controllo con lo “stent boost” (fig. 5) si evidenziavano maglie dello stent “affastellate” a ridosso della guida. Al controllo OCT per ramo marginale si evidenziava un importante accorciamento e la clusterizzazione dello stent al tratto prossimale e medio e ben a parete, malgrado prolasso di placca, al tratto distale. Sono stati quindi posizionati 3 stent medicati (Xience Xpedition) coprendo anche il tronco con rewiring distale su arteria discendente anteriore, POT su TC e ottimizzazione finale mediante Kissing Ballon su arteria discendente anteriore; si conclude con “rePOT”. Conferma del buon risultato all’angiografia (fig. 6 ) si otteneva mediante OCT finale che evidenziava lo stent precedentemente impiantato crushato completamente sotto le maglie (7). Decorso clinico non complicato e benessere a 3 mesi dalla procedura. Dopo 1 anno e 2 mesi il paziente è stato sottoposto a nuova coronarografia per STEMI anteriore: buoni esiti della procedura su ramo marginale.
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fig 1 fig 2 fig 3 fig 4
fig 5
fig 6 fig 7
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Discussione
Molto rara è l ‘incidenza dell’intrappolamento associata a frattura di guida, evenienza stimata intorno allo 0.1-0.2% (10); altrettanto rara, è la deformazione longitudinale dello stent ,0.2% dei casi, (11) intesa come una distorsione che ne infici la lunghezza una volta avvenuto un rilascio positivo e un buon posizionamento. Nel nostro caso malgrado l’utilizzo di un pallone di piccolo calibro e l’utilizzo di microcateteri di supporto non si è ottenuto il recupero del filo che è rimasto spezzato al di sotto dello stent su ramo marginale medio determinando una situazione di instabilità clinica e trombosi intracoronarica documentata all’ OCT.
Si nota come nella prima procedura il filo guida sul side branch è molto avanzato sul fondo del vaso formando un loop e la junction (BMW Universal) della guida si posiziona sotto lo stent nel tratto più calcifico del vaso. Nella seconda procedura invece il filo guida invece, durante lo stenting prossimale, è posizionato con gli ultimi 45 mm al di sotto dello stent in modica trazione.
L’ ”errore” commesso nella prima procedura, aldila’ della discutibile protezione del side branch minore o meno, e del posizionamento impreciso della guida, è stata verosimilmente la rotazione eccessiva della guida oltre i 180 gradi (12), che ha determinato che lo stent, una volta espanso, facesse da perno, favorendo oltre all’esfoliazione del polimero la vera e propria frattura. Vrolix riporta che un’ eccessiva rotazione sulla guida incarcerata generi un’alta forza di trazione che se esercitata sulla giunzione dei 3 cm distali del filo e il resto della guida esiti spesso in frattura. (13)
Fra i vari accorgimenti utili da tener presente durante il posizionamento di filo guida nel side branch sono da evitare una tensione continuativa anterograda sul side branch, perché la guida, lasca, sul main potrebbe arrotolarsi intorno lo stent per oltre 270 gradi rendendone impossibile il ritiro; andrebbe invece favorita una tensione retrograda in
12 maniera che la guida abbracci l’angolo di biforcazione minimizzando la porzione di guida incarcerata (13).
Malgrado non ci sia univoco consenso, l’ incarceramento di una guida con rivestimento polimerico/idrofilico sarebbe da evitare, e sarebbe auspicabile, prima del rilascio dello stent, una leggera tensione per evitare l’eccesso di loop che potrebbe generarsi. Il tip idrofilico, infatti può incarcerarsi con maggiore facilita lesionandosi e fratturarsi nel ritiro anche nel passaggio in un catetere di supporto. Grundeken scoraggia l’utilizzo di fili guida polimerici/idrofilici dato che la migrazione di microparticelle di polimero/rivestimento idrofilico sono state individuate nel 45% dei trombi ricavati durante tromboaspirazione in procedure primarie: è stata anche documentata embolizzazione di tale materiale nel 10% di 40 casi di esami autoptici (14).
Rimane importante tener presente che l’eccessiva dilatazione dello stent può rendere difficoltoso il ritiro del filo guida incarcerato come del resto va evitata un’eccessiva postdilatazione prima di rimuovere la guida jailed (15).
La tecnica da noi tentata per il ritiro della guida prima della frattura, documentata fra le più sicure e semplici, prevede il posizionamento del pallone a basso profilo sopra la guida per creare uno spazio di passaggio per il ritiro del filo guida, seppur ovviamente rischiando sempre la malapposizione dello stent; neanche con l’ avanzamento di un microcatetere nei pressi dell’incarceramento del filo guida si è riusciti ad evitare la frattura. Il razionale di tale supporto è ridurre la forza di tensione favorendo una maggiore “canalizzazione” della
stessa proprio sulla guida. Conseguenze dell’intrappolamento sono: occlusioni acute,
trombizzazione locale o sistemica ed embolizzazione, perforazioni e tamponamento, aritmie e migrazioni di frammenti di guida (16). Per evitare tali disastrose conseguenze, laddove ci siano le condizioni, il tentativo di recupero rimane la prima scelta consigliata secondo diverse tecniche.
13 Una volta fratturata non esistono a tutt’oggi sistemi dedicati al recupero di fili guida persi. Esaminando la letteratura non è unanime la soluzione all’ incarceramento e alla perdita del filo guida: gli approcci ipotizzabili contemplano dei sistemi per il recupero di materiale perso, la chirurgia, o secondo la clinica, la dimensione e la localizzazione del frammento anche il trattamento conservativo. Nella casistica raccolta da Abdulrahman nel 41.8% dei casi si è ottenuto il recupero del filo, nel 43.3% si è avuta l’estrazione chirurgica e nel 14.9% un approccio conservativo (11).
Si descrivono utili ad esempio un’ intubazione profonda preceduta da un pallone gonfiato in prossimità della porzione terminale del catetere guida fino a portarlo a stretto contatto con il filo seguito da retrazione di tutto il sistema: ciò con guida ancora intatta e fortemente incuneata.
Diffusa è anche la “tecnica della tripla guida” in cui vengono portate altre due guide nei pressi di quella da recuperare e vengono quindi ruotate ripetitivamente nei pressi di quella fratturata a quest’ultima nel tentativo di incastrarla e recuperarla dal catetere guida come corpo unico.
Anche l’utilizzo di sistemi speciali, come il microcatetere Tornus in cui l’avvitamento nei pressi del tip del filo guida possa favorire il rilascio della porzione incastrata. Riportata per
il recupero del filo guida in diversi casi anche lo “snare”: soluzione però più
frequentemente utilizzata nel caso di vasi prossimali o in porzioni di grosso calibro (16). Tutte le manovre proposte comunque sono rischiose e l’estensiva manipolazione può portare a catastrofiche dissezioni, rotture o trombosi.
Nel caso in cui non riuscisse il recupero del filo guida perso, non fosse agevole la copertura di questa con degli stent o ci sia l’impegno del filo in aorta va valutato un intervento chirurgico per la rimozione del filo e l’eventuale bypass combinato. Bisogna sempre considerare che l’imprevisto intervento chirurgico è sempre associato con una
14 significativa morbidità e mortalità . L’estrazione chirurgica prevede l’ arteriotomia (con patch sul tronco comune) o aortomia (15) .
Bisogna valutare anche la posizione della rottura della guida infatti laddove questa avvenisse in un vaso distale e di piccolo calibro o all’interno di una lesione cronica una scelta terapeutica valida rimane abbondare il filo fratturato, soprattutto per tip di piccole dimensioni e se con caratteristiche non metalliche ed idrofiliche.(17)
La posizione e il calibro vasale sono importanti da valutare dato che è stato osservato che il persistere in una coronaria, anche sana, di questo materiale restringa il lume vasale determinando stenosi (16).
Casi in cui è stato scelto il trattamento conservativo spesso si accompagna a prolungamento anche longlife della DAPT.
L ‘alternativa a queste tecniche rimane la copertura del frammento con uno stent e proprio questa è stata la scelta del nostro caso clinico durante la seconda procedura di “recupero”. Dopo aver passato, agevolmente, un nuovo filo guida con il supporto di un palloncino OTW attraverso le maglie dello stent deformato, si è proceduto allo studio OCT.
Lo studio OCT di valutazione ci ha permesso di identificare innanzi tutto l ‘ estensione dei frammenti del filo guida con l’evidenza di trombosi che risaliva fino al tronco comune e, lo stent deformato dai precedenti tentativi di ritiro della guida e dai tentativi inefficaci di riattraversamento. Inoltre si nota come lo stent oltre ad essersi deformato si sia notevolmente accorciato esponendo ad ulteriore rischio di trombosi. Del resto già al termine della prima procedura era evidente l’affastellamento di maglie nella porzione prossimale media dello stent confermata successivamente allo stent boost.
Inoltre lo studio del vaso mediante OCT ci ha permesso di capire se potessimo realmente coprire tutto il filamento della guida persa e lo stent parzialmente crushato anche se la scelta terapeutica era comunque orientata da subito ed era volta a coprire tutta la trombosi
15 che arrivava fino al tronco comune. Del resto il posizionamento dello stent come scelta terapeutica a coprire il residuo di filo guida evita complicanze maggiori quali posso essere dissezioni, perforazioni e /o trombosi del vaso.
Come riporta Hadi nonostante anche l’IVUS identifichi bene la deformazione di stent, l‘OCT grazie alla superiore risoluzione spaziale definisce meglio le caratteristiche patologiche sottostanti. Agostoni mostra nel suo caso il potenziale rischio di deformazione di stent associato a “jailed wire” in una biforcazione di ramo diagonale ritirato con forza; nel recupero del filo il razionale di tutte le tecniche rimane l'uso di dispositivi di piccolo calibro che spinti sopra il filo imprigionato consentono una “centralizzazione ” selettiva della forza spingendo il filo nel dispositivo stesso. Come nel suo caso anche nel nostro l’informazione aggiuntiva ci viene dall’OCT che ci permette di comprendere il modo specifico di come la forza applicata abbia deformato le maglie dello stent. L’OCT, grazie alla sua altissima risoluzione spaziale, consente sia una migliore comprensione delle prestazioni degli stent metallici nei vasi coronarici, sia la visualizzazione chiara di ogni singola struts. Questa analisi sui “livelli di struts” consente una migliore identificazione dei problemi rispetto sicuramente all’angiografia ma anche rispetto all’ IVUS, limitata da una risoluzione che è almeno dieci volte inferiore. (18)
Successivamente al controllo finale OCT risultavano ben apposti gli stent, e la guida risultava coperta per la sua interezza; la procedura si completava con kissing ballon su arteria discendente anteriore con flusso ottimale su tutti i vasi .
A controllo clinico a breve termine il paziente era asintomatico e in pieno benessere. Il paziente è stato lasciato in DAPT longlife. Segnaliamo che oltre un anno dopo il paziente è stato sottoposto a nuova P-PCI su arteria discendente anteriore ostiale….a buon fine.
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Conclusioni
Si conclude che tutte le manovre proposte comunque sono rischiose e l’estensiva manipolazione può portare a catastrofiche dissezioni, rotture o trombosi.
Si consiglia, riassumendo la letteratura di evitare fili polimerici e/o idroiflici per la protezione dei side branch, evitare l’overespansione dello stent e per il recupero del filo guida incarcerato valutare sempre l’approccio più semplice che consiste nell’utilizzo di palloni o microcateteri nei pressi del filo guida incarcerato per favorire la “centralizzazione” della forza di ritiro.
Malgrado non ci sia una standardizzazione della condotta da seguire nel caso di questa rara complicanza sono chiare delle tecniche da adattare ad ogni singolo caso valutando anche la tecnica chirurgica: il consiglio è quello di porre massima attenzione a degli accorgimenti che possano evitare l’intrappolamento e, per la sicurezza del paziente, l’operatore dovrà scegliere fra le tecniche del proprio bagaglio con cui abbia più familiarità ed esperienza .
17 Bibliografia:
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