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Ri-abitare : auto-recupero assistito del patrimonio pubblico

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Academic year: 2021

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XXVI Ciclo del corso di dottorato

Coordinatrice Lucia Martincigh Tutor prof. Francesco Careri

Dott. Emanuela Di Felice

Ri-ABITARE

Auto-Recupero assistito del patrimonio pubblico

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...a coloro che in me hanno creduto, Giovanna, Aldo, Simone a chi ha sostenuto le mie idee Piccio, Maria, Azzurra, Adriana, a chi mi ha dato il sostegno quando avevo bisogno di un sorriso... tutti gli amici a chi ha rivisto nella mia testardaggine la sua speranza

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CAP 02 AUToRECUPERo nASCITA E SPERIMEnTAZIonE SUL TERRIToRIo RoMAno

2.1 Dalla protesta alla proposta...49

2.2 Principi di un agire collettivo ...52

2.3 Due progetti sperimentali...55

2.4 La legge regionale ...56

2.5 Una riflessione dalla legge ad oggi ...61

2.6 Schede dei progetti...64

2.7 L’autorecupero per chi...94

2.8 Le cooperative ...97

2.9 ALLEGATo: InTERVISTE...99

CAPIToLo 01/CoSTRUZIonE DI Un’IPoTESI DI InTERVEnTo 1.1 Un popolo di autocostruttori...19

1.2 Roma cresce spontanea...22

1.3 Sviluppo urbano informale e il ruolo delle amministrazioni...26

1.4 normativa e autoproduzione del bene casa...28

1.5 Ricucire la città ...31

1.6 Diritto all’abitare e consumo di suolo...33

1.7 Vulnerabilità abitativa e nuovi modelli di nuclei familiari...40

CAPIToLo 00/ RIABITARE, AUToRECUPERo ASSISTITo DEL PATRIMonIo PUBBLICo 0.0 Premessa...8

0.1 Facciamo un’autorecupero...10

0.2 Abitare Roma...12 InDICE

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CAP 03 / ESPERIEnZE A ConFRonTo

3.1 Lo stato dell’arte dell’autorecupero in Italia...121

3.2 Esperienze di autorecupero in italia...126

3.3 Esperienze internazionali a confronto...134

3.4 Le politiche abitative del riuso nel mondo...138

3.5 L’America Latina come laboratorio...142

3.6 Uruguay, residenza pubblica e città...143

3.7 Cooperativismo ...147

3.8 Riciclo urbano...150

3.9 Particolarità del riciclo cooperativo...154

CAP 04 DA oCCUPAnTI AD ABITAnTI 4.1 Roma tra domanda e resistenza...163

4.2 La città nella città ...167

4.3 L’azione manifesto...171

4.4 Auto-organizzazione spaziale...176

4.5 La ricerca quale ruolo...179

4.6 Trasformare la città facendo: autorganizzazione urbana...181

4.7 Porto Fluviale...183

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CAP 06 CRITERI PER LA DEFInIZIonE DELLE STRATEGIE DI InTERVEnTo SULL’ESISTEnTE

6.1 Criteri per la definizione di una strategia di intervento sull’esistente...239

6.2 Impostazioni per una nuova struttura di gestione... 241

6.3 Fasi dell’iter progettuale ...244

6.4 Lo studio di fattibilità...247

6.4.1 La valutazione previa dell’immobile e una normativa flessibile ...249

6.4.2 Localizzazione/ tipologia /morfologia...250

6.5 Il progetto preliminare 6.5.1 Strategie di intervento...253

6.5.2 Strati/ volumi aggiunti/ adattabilità / ergotecnica/ gestione...254

6.5.3 osservare, progettare, realizzare e gestire nel tempo...261

6.5.4 Efficienza energetica e costi... 264

6.6 Il progetto condiviso 6.6.1 Quali sono le caratteristiche di uno spazio che nasce insieme al suo utente finale?...273

6.6.2 La forma della casa, progettare con chi?...275

6.6.3 Autorganizzazione spaziale...278

6.6.4 formazione di un autorecuperatore...281

6.6.5 Quali materiali?...283

CAP 05 VERSo L’AUToRECUPERo ASSISTITo 5.1 … oltre il recupero assistito ...193

5.2 Un’opportunità su più fronti ...197

5.3 Intervenire sull’esistente...202

5.4 Le criticità dell’esperienza romana ...205

5.5 Rielaborazione della legge sull’autorecupero...207

5.6 Le potenzialità progettuali nell’aspetto della bioclimatica, l’ipotesi di “upgrade”...214

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E’ possibile trasformare il patrimonio pubblico in stato di abbandono in una risorsa (in termini di alloggi sociali) per l’emergenza abitativa? Ci sono delle strategie di intervento (di tipo territoriale e tecnologico) capaci di trasformare l’esistente in una progettazione della città che risponde ai valori di densificazione e mixitè. Davanti alla crisi economica è necessario rivalutare il ruolo degli abitanti come autocostruttori (ed investitori) del proprio habitat, inserendo la partecipazione attiva di questi nel processo di trasformazione come strategia per l’abbattimento dei costi. Ia progettazione e la realizzazione partecipata sono in grado di di garantire inoltre la gestione dello spazio (privato e pubblico) degli alloggi popolari autorecuperati. La legge regionale del 98 sull’Autorecupero è stata applicata a Roma su 11 edifici con grandi difficoltà di esecuzione e gestione del processo. La ricerca si presenta dunque come occasione per svolgere una riflessione rispetto agli obiettivi raggiunti, alle criticità individuate durante il processo, al fine di raccogliere un report capace di aprire questa forma di produzione casa a nuove sperimentazioni future che tengano conto delle difficoltà incontrate attraverso la ricerca e il know how.

In Uruguay dagli anni 60 si recupera il patrimonio storico in stato di abbandono tramite cooperative di abitanti.

In Francia e Germania si promuove il riuso di edifici esistenti come forma di abbattimento dei costi. Alcune regioni italiane stanno promuovendo l’autorecupero come forma di produzione di alloggi popolari. Il consumo di suolo è ormai un dato preoccupante in Italia, è pertanto riconosciuta l’importanza del riuso dell’esistente come strategia di densificazione. I movimenti di lotta per la casa rivendicano la trasformazione tramite autorecupero o semplicemente recupero, ma a mio giudizio per andare avanti su questa strada è necessaria una riflessione profonda e puntuale capace di correggere gli errori commessi fino ad oggi.

IL metodo di ricerca qualitativa comparativa che è stato sviluppato in 0.0 Premessa

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questo testo, ha visto l’analisi dei fenomeni patologici che hanno generano il problema, la fattezza dei fattori scatenanti: valore, atteggiamento, complessità.

Si è proceduto ad una raccolta dei documenti che testimoniano la potenzialità dell’applicabilità dell’autorecupero a Roma rispetto ai dati dell’emergenza abitativa oggi.

Le interviste a testimoni coinvolti nel processo: di soggetti con competenze acquisite, ruoli svolti, esperienze fatte, sapere accumulato.

In una seconda fase si è proceduto alla raccolta di esempi internazionali di riuso dell’esistente anche non strettamente connessi al processo di autorecupero, ma di simile impostazione.

Infine gli ultimi due capitoli si concentrano verso una proposizione per un autorecupero assistito, che veda prima di tutto una riformulazione della legge che ponga le condizioni per un controllo del territorio e delle sue risorse, unitamente alle linee guida per una realizzazione ad opera d’arte

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Più volte durante la mia ricerca ho sentito nominare l’autorecupero secondo le più svariate interpretazioni e attribuzioni di significati. Approfittando di poter chiarire in modo lineare e sintetico in questa sede quello che, più volte, ho cercato di spiegare in rocamboleschi giri di parole ed esempi. Provando in uno stesso discordo di venir a capo di una definizione che tenesse conto di tutte quelle prerogative che questa forma creare alloggi accessibili ha per me.

Molte volte, per autorecupero si intendono quelle forme spontanee di risistemazione degli spazi abitativi, ad opera di persone che, trovandosi in emergenza abitativa, scelgono l’occupazione di edifici in stato di abbandono. Questa è una forma spontanea e direi anche naturale di apportare modifiche allo spazio e alla struttura, che si è scelto come il proprio habitat.

Questo non è l’autorecupero che io intendo.

L’autorecupero è, anch’esso una forma di trasformazione ad opera dei suoi abitanti, ma attraverso l’applicazione di una legge specifica in materia di residenza pubblica. In questo caso sono le amministrazioni, ed in senso più ampio, lo Stato a porre le condizioni perché questo sia possibile. Scendendo più a fondo rispetto al concetto e i presupposti di questa legge è necessario specificare un punto fondamentale: Seppur la legge nasce come forma di legalizzazione di una pratica abusiva, nella sua stesura giuridica il primo punto sottolinea che gli enti e gli istituti interessati sono tenuti a redigere l’elenco degli edifici destinati ad tal fine. L’autorecupero è principalmente una volontà politica che ha bisogno di una continuità gestionale, riguardando processi di trasformazione complessi. Questo primo punto della legge, presuppone dunque che ci sia una mappatura del territorio, tale da consentire l’individuazione degli edifici adatti a queste forme di agopuntura urbana. Sfido però, qualsiasi ricercatore a trovare dati attendibili rispetto al numero effettivo di edifici pubblici in dismissione.

Per autorecupero dunque, io intendo un programma di residenza pubblica 0.1 Facciamo un Autorecupero?

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agevolata che si inserisce negli interventi previsti nella redazione di un Piano Regolatore. La gestione delle risorse è un compito oneroso se non sono chiare le quantità e le caratteristiche dell’oggetto in questione, l’opportunità di intervento che queste rappresentano, e le problematiche presenti nel campo di applicazione. In questo ragionamento di mappatura e delineazione delle criticità è necessario un continuo aggiornamento attraverso il lavoro sul campo. Se gli enti istituzionali riescono a stilare statistiche economiche e sociali, basate su dati quantitativi, per quanto riguarda quelle spaziali, esse rimangono in un campo ricco di sfumature e di difficile sintesi. Le caratteristiche che il territorio assume sotto l’azione dell’uomo è il mix creativo di varie condizioni sociali, creative, economiche e culturali. Ad oggi è plausibile parlare di ridisegno dei modelli abitativi contemporanei, proprio perché lo spazio ad uso delle attività umane è influenzato da alcuni fattori variabili, sia per quanto riguarda lo spazio privato, quanto per quello pubblico.

La scrittura di una mappatura spaziale diviene la sovrapposizione di due disegni, quello del tessuto della città, con quello dei suoi abitanti. L’autorecupero a mio giudizio, si inserisce puntualmente nei nodi di intersezione tra i vuoti funzionali urbani ma non spaziali, in corrispondenza delle linee dei flussi umani.

Questo aggiornamento continuo del cambio dei modelli abitativi, rispetto alle esperienze svolte crea la base motivazionale nell’affrontare questa ricerca. Un’analisi degli obiettivi iniziali, del loro svolgimento e di come nel tempo hanno risolto o no le finalità preposte. Un confronto con altre pratiche di simile prerogativa in Italia ed all’estero al fine di creare relazioni di comparabilità dei dati e dei modelli di intervento. L’unione di testimonianze in grado di verificare l’efficacia o no che questo programma ha avuto sui diretti interessati. Infine a distanza di sedici anni dall’entrata in vigore della legge regionale sull’autorecupero ritengo necessaria una riflessione su tale pratica a fronte di un crescente vocio che dice: “facciamo un autorecupero!”

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La città di Roma è un caso emblematico nell’affrontare il tema della povertà abitativa nel panorama europeo. Sono circa 30.000 le persone in attesa di un alloggio (lista casa popolari insieme liste movimenti di lotta per la casa e residence), l’incapacità delle amministrazioni locali di prevedere la realizzazione di nuove case è dovuta principalmente alle scarse risorse finanziarie in cui riversano gli enti . Dall’altro lato la crisi economica ha provocato 200.000 case vuote e 50.000 case invendute, aggravata dalla crescente migrazione verso la metropoli, sia dalle piccole realtà italiane che dai paesi nei quali guerre e disuguaglianze sociali hanno provocato un’esodo di massa, andando ad acutizzare in modo decisivo il fenomeno della domanda di alloggi a basso costo. Per coloro che non rientrano nelle logiche di mercato, l’unica soluzione possibile è lo spostamento verso la provincia, abbassando la qualità della vita a beneficio del pendolarismo. Il sistema economico, basato sulla liberalizzazione del mercato dichiara irrinunciabili gli investimenti privati nel settore pubblico, abbassando la capacità delle amministrazioni di trasformare le più tradizionali forme di politica abitativa in un’occasione per rinnovare i processi di produzione di alloggi a basso costo, lasciando incompiute le aspettative di interventi pubblico-privato volti al social housing.

A tal proposito la ricerca vuole andare ad indagare le nuove forme di abitare che hanno come presupposto il superamento di un’emergenza, ma che allo stesso tempo si offrono come nuova frontiera della ri-progettazione dell’esistente.

Le prime forme di riuso del patrimonio pubblico avvengono attraverso l’appropriazione abusiva di immobili in stato di abbandono, questa pratica particolarmente frequente nella città di Roma, (60 edifici per un totale di circa 2.000 persone) oltre ad essere il sintomo di una incapacità gestionale 0.2 Abitare Roma

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dell’emergenza abitativa, o di un mercato capace di rispondere a domande diversificate, diviene il punto di partenza per la sperimentazione di nuovi modi di abitare. L’autorecupero pur partendo dalla volontà di sanare situazioni di disagio abitativo, quali le occupazioni, valorizza l’emancipazione del singolo e al tempo stesso della comunità che decide di affrontare il processo di legalizzazione e autocostruzione del proprio alloggio. In tale processo il rapporto sinergico tra amministrazioni e abitanti diviene il meccanismo capace di valorizzare il patrimonio pubblico attraverso il cooperativismo, ricadendo in un tipo di progettazione a beneficio della comunità, nell’ottica della densificazione urbana e della mixitè sociale e funzionale. Oggi, in particolar modo si torna a parlare di autorecupero, sia da parte dei movimenti di lotta per la casa, ma anche da parte di quei comuni che scelgono di inserire tale forma di produzione di alloggi a basso costo favorendo il riuso dell’esistente nelle proprie politiche urbane, quali Bologna e Firenze.

In questa visione Roma si presenta come capitale europea caratterizzata da quelle contraddizioni tipiche di un paese ancora in via di sviluppo, dove pratiche spontanee e gestione territoriale non trovano un punto di incontro nella riformulazione legislativa. La legge dell’autorecupero si presenta dunque come punto di incontro nel dialogo tra l’informalità e la necessità di alloggi accessibili.

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Agevolazioni per i figli / nuclei familiari: Distribuzione di programmi secondo la legislazione, per tipo di programma

universale (27)

occupazionale senza contributi rispetto al reddito (17) senza contributi basato rispetto al reddito (32) occupazione (32)

senza programmi legislativi (75) senza informazioni

note: i numeri tra parentesi fanno riferimento al numero di paesi per categoria

Fonti: SSA e ISSA , 2012; SSA e ISSA , 2013a ; SSA e ISSA , 2013b ; SSA e ISSA , 2014; Commissione Europea , Sistema di informazione reciproca sulla protezione sociale ( MISSOC ) ; Consiglio d’Europa , Sistema di informazione reciproca sulla protezione sociale del Consiglio d’Europa ( MISSCEO ) .

Link: http://www.social-protection.org/gimi/gess/ RessourceDownload.action?ressource.ressourceId=43301

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Tasso di deprivazione abitativa in Europa (2009)

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CAPIToLo 01/CoSTRUZIonE DI Un’IPoTESI DI InTERVEnTo

1.1 Un popolo di autocostruttori...19

1.2 Roma cresce spontanea...22

1.3 Sviluppo urbano informale e il ruolo delle amministrazioni...26

1.4 normativa e autoproduzione del bene casa...28

1.5 Ricucire la città ...31

1.6 Diritto all’abitare e consumo di suolo...33

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La scelta di ripercorrere la storia della crescita di Roma informale, risiede non tanto nella denuncia del fallimento dell’urbanistica tradizionale, ma piuttosto nella valorizzazione dell’auto-organizzazione prodotta dal basso. Se in tanti anni le amministrazioni hanno condannato e allo stesso tempo condonato tale pratica, dall’altra oggi possiamo iniziare a pensare che questa capacità può essere messa in sinergia con la crescente necessità di alloggi a basso costo. In una visione della crescita e trasformazione della città che tenga conto del ruolo degli abitanti esclusi dall’offerta del libero mercato, ma capaci di rivendicare il proprio immaginario di trasformazione nel quale la partecipazione è sinonimo di un rinnovamento condiviso.

Un popolo di autocostruttori ha generato tra gli anni 50’-70’ le borgate romane, cosi come nei paesi in via di sviluppo accade oggi, l’autoproduzione è un fenomeno ricorrente al quale sempre più associazioni e governi sembrano interessati al coinvolgimento. Se da una parte si cerca di regolarizzare o fermare la crescita informale, dall’altra ne riconoscono il valore, potenziando le possibilità e le capacità del singolo.

Questo processo di presa di conoscenza di un problema nel suo atto pratico, dell’istanza di un’emergenza abitativa in aumento a causa della crisi finanziaria del 2008, si presenta come un’opportunità per elaborare nuove forme di agire che tengano conto di tutti gli attori e che stabilisca tra di loro una nuova forma di relazione. Roma, per la sua storia ed il suo presente si conforma come una metropoli in grado di avere al suo interno differenze tali da poter contemplare forme di rinnovo urbano avanguardiste nella proposizione di un nuovo modo di abitare la città. La ricerca cerca pertanto di spaziare dall’interdisciplinarità, al lavoro sul campo, alla connessione delle reti territoriali locali e internazionali e più ampiamente di sollevare un dibattito rispetto alle modalità di intervento sull’esistente.

Partendo dalla definizione dell’autocostruttore, possiamo delineare l’ambito culturale e generazionale a cui questo tipo di esperienze, possa fare 1.1 Un popolo di autocostruttori

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riferimento. Coloro che dagli anni 50’ hanno autocostruito la propria casa ricadono in una fascia di popolazione media, ovvero con un potere economico sufficiente a intraprendere questo tipo di iniziativa, dilazionandola rispetto al tempo ed alle possibilità economiche del nucleo familiare. Allo stesso modo l’autorecupero, non casualmente, si rivolge ad un possibile inquilino capace di poter sostenere un investimento nel tempo contando sull’associazionismo cooperativo, come garante. Rivolgendo dunque uno sguardo alla forma in cui la città si è evoluta ed ai suoi attori, l’autorecupero si propone in continuità, andando a rafforzare la coesione tra i singoli, potenziando la capacità economica all’interno di una gestione razionale delle risorse in un rapporto sinergico con le amministrazioni.

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Roma, novembre 1983 inaugura la mostra La metropoli “spontanea”, Il caso di Roma, frutto di una raccolta di ricerche promosse dall’Università di Roma ed esposta a Castel S. Angelo. Questa esposizione offre l’ultima significativa occasione di dibattito sul tema della crescita urbana non pianificata: a pochi mesi di distanza l’argomento fa il suo ingresso in Parlamento per divenire materia di legge e abbandona gradualmente l’agenda dei ricercatori, per non ritornarvi mai più. Il contributo disciplinare a supporto della nascente politica di sanatoria è riducibile ad appena due immagini contrapposte, a ridosso della quali la cultura urbanistico-architettonica si è variamente arenata. Da un lato l’accento posto sulla trasgressione del Piano, sintetizzato nella vicenda del crollo di Agrigento1; dall’altro l’abitare inteso come necessità, spontaneità, la capacità di autorganizzazione espressa dalle periferie terzomondiste, portate da Turner come modello praticabile di una nuova politica abitativa( zanfi 2008) All’interno della città pianificata di Roma assistiamo continuamente a forme di trasgressione allo strumento di sviluppo e trasformazione della città del Piano Regolatore. Questo modo spontaneo di crescita è generalmente considerato come un fenomeno patologico dovuto principalmente ad una errata gestione dello strumento urbanistico. Tale malfunzionamento si pensa possa essere risolto applicando normative giuridico-amministrative rigorose insieme alla proposta di un’offerta alternativa capace di dirottare l’abusivismo verso forme di legalità ( Clementi e Perego 1983).

Posto che queste forme di abusivismo siano l’indice della crisi della gestione tradizionale della trasformazione e sviluppo urbano, il loro studio diviene fondamentale per arrivare all’origine della crisi stessa. La mancanza di documenti relativi a questa forma di produzione anonima dimostra che la storia di tali fenomeni non può essere ricondotta alla gestione istituzionale essendo una trasformazione che sfugge al modello tradizionale di pianificazione abitativa. Ribaltando cosi il punto di vista dell’approccio all’analisi di suddetti fenomeni, anche le periferie più banali divengono documento delle leggi di 1.2 Roma cresce spontanea

1 Gli anni ‘60 sono gli anni del “boom edilizio” durante il quale il territorio nazionale viene ampiamente lottizzato. La vasta lottizzazione fu caratterizzata da un cattivo uso del suolo che portò - non solo ad Agrigento - ad eventi disastrosi. La frana di Agrigento è dunque l’esempio più eclatante degli effetti della

speculazione edilizia di quel decennio, evento che porterà alla formulazione della cosiddetta “Legge Ponte” (1967)

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auto-organizzazione di una società e del suo modo di generare spazi.

L’abusivismo un tempo condizionato da situazioni di disperazione oggi si è trasformato in forme di convenienza rispetto alle offerte di mercato, e come forma di opposizione alle speculazioni fondiarie. Diviene importante infine in questo tipo di ricerca apportare a differenti discipline, andando a stimolare in modo diretto gli attori di questi processi, sia dal lato delle istituzioni che da quello di coloro che generano forme alternative di città.

La data di nascita ufficiale dell’abusivismo edilizio in Italia va individuata nel 17 agosto 1924. È il giorno in cui il Parlamento approva la Legge 1150, altrimenti conosciuta come “Legge urbanistica”. Prima di allora non vi era stata alcuna trattazione unitaria della disciplina dell’assetto del territorio (Santucci, 2002), ma provvedimenti che regolamentavano solo determinate aree e in maniera scoordinata.

Inizialmente quello che viene praticato è un abusivismo di necessità.

È una necessità che riguarda chi edifica al di là di ogni regola per dare un tetto alla propria famiglia, ma è un’urgenza che sintetizza quello che è l’atteggiamento dello Stato. Quest’ultimo concepisce la limitazione dell’attività edificatoria, anche quando è illecita, come un ostacolo al riemergere del Paese. Paradossalmente l’abusivismo di necessità non è visto come una trasgressione, ma come un miracoloso corroborante ad uso e consumo di un’economia che deve riprendersi dagli effetti della guerra. Da qui il suo utilizzo, in quanto variante dell’attività edilizia, come vero e proprio volano economico. Geograficamente l’abusivismo di necessità interessa tutto il territorio: non si registra una sostanziale differenziazione, proprio perché ogni area è accomunata da una condizione di emergenza. 2

Tale fenomeno spontaneo di crescita delle città è generalmente trattato come patologico, soprattutto dove all’urbanistica sono state delegate tutte le funzioni decisionali di accrescimento e sviluppo urbano. “Esito della trasgressione sono insediamenti di qualità inferiore a quella della città pianificata, che ospitano una popolazione più povera, le cui condizioni sono

2 Tra gli anni Cinquanta e Sessanta la società italiana cambia, e con essa si trasforma anche l’abusivismo. Il miglioramento economico generale permette il delinearsi di nuove esigenze e di nuove aspettative. Si assiste al profilarsi di un fenomeno di urbanizzazione che convoglia masse di operai nelle principali città. Nel settore socio-giuridico la casa diventa il bene sul quale maggiormente si esercita il diritto di proprietà tanto che prende piede la convinzione che ne basti il possesso per un uso incondizionato. La famiglia si diversifica, passando da un carattere patriarcale ad uno nucleare. Tali condizioni innestano un fabbisogno imprevisto di alloggi, a cui la politica residenziale inizialmente non sa rispondere.

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aggravate anche dall’esclusione dall’accesso a gran parte di quei servizi che di per sé misurano l’effetto urbano” (Clementi Perego, 1983, pag 21).

Cercando di definire il termine “abusivismo” possiamo dire che questo va a soddisfare alcuni principi dell’emergenza abitativa:

a) è una pratica sociale di urbanizzazione che si esprime attraverso

l’edificazione di nuove abitazioni ed è in grado di conformare intere parti di periferia;

b) è un sistema di produzione e consumo della casa nel quale i rapporti

tra gli agenti coinvolti non sono garantiti dalle istituzioni pubbliche. La soddisfazione del fabbisogno abitativo è perseguita attraverso un modello nel quale ha ruolo determinante la capacità di autogestione dell’utente, diversamente da quanto solitamente avviene nell’area garantita;

c) è una condizione di accesso alla proprietà di un alloggio prodotto

con sistemi capaci di contenere i costi insediativi e comunque di adattarli alle capacità e modalità di investimento degli utenti in modo assai più flessibile dell’edilizia legale.

Mentre l’abusivismo di necessità va scemando, per stabilizzarsi su valori fisiologici, emergono nuovi interessi. Negli anni Settanta fa la sua comparsa un’interpretazione speculativa del fenomeno, assai meno rispettosa delle regole e dell’ambiente.

Borgata il Mandrione anni 50’

Pasolini fra le baracche che sorgevano fra Casilina e Palmiro Togliatti

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1977

1931 1962

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L’abusivismo edilizio è stato uno dei fenomeni che ha maggiormente compromesso il territorio, il suo sviluppo secondo densità basse ed estremamente disomogenee, se da un lato sopperiva alla mancanza di un’offerta di alloggi abbordabili, dall’altro non ne garantiva la sua connessione ai servizi della città. L’area metropolitana romana è una “finzione urbanistica” anche perché solo una parte di area metropolitana si trova all’interno dei confini comunali. Da Roma centro ad Ostia corre la stessa distanza di Milano con Pavia, il territorio del Comune di Roma è grande dieci volte Milano e sei Torino... (Clementi e Perego 1983) Le aree vuote tra una borgata e l’altra vengono strategicamente ricucite attraverso il secondo piano di intervento di Piani di Edilizia Economica e Popolare. Con una serie di interventi di “ricucitura”e “rammagliamento” del tessuto da riqualificare, la borgata abusiva e il PEEP si sarebbero fusi (Zanfi 2008). Il Piano regolatore di Roma e soprattutto il piano delle zone 167 avevano limitato lo sviluppo di insediamenti a piccola densità (casette mono o bifamiliari) a favore della realizzazione, a grande scala territoriale, della “città programmata”, dell’edilizia residenziale pubblica che doveva rappresentare un modello di razionalità di tipo scandinavo in una città urbanisticamente confusa e caotica.

Una edilizia residenziale pubblica che, in preda ad un vero e proprio “delirio normativo” pretendeva di certificare standards abitativi e tipologici ( gli interpiani almeno di 3 metri, tipologie di edificio a mega-scala, taglio degli alloggi, sistema di aerazione dei bagni, ecc..) in aperto contrasto con il sistema di attese della domanda che, invece, si orientava verso un modello forse più da “paesone” ma non per questo meno legittimo dei modelli standardizzati. La divaricazione tra domanda e offerta di qualità abitativa, di configurazione degli insediamenti, di immagine della casa, ha raggiunto a Roma punte così acute proprio per l’assenza di alternative “legali” alla città programmata (Clementi e Perego 1983). Nel corso degli anni ‘70 si è assistito ad uno sviluppo urbanistico incontrollato che ha prodotto, nelle periferie 1.3 Sviluppo urbano informale e il ruolo delle amministrazioni

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romane numerosi insediamenti di natura spontanea.

I nuovi nuclei abusivi presentavano notevoli carenze nel campo delle infrastrutture primarie e secondarie e dalla seconda metà degli anni Settanta le amministrazioni hanno iniziato un lungo processo di risanamento sia urbano che sociale. L’opera di recupero è stata portata avanti su un duplice piano: di sanatoria rispetto all’edificato; di contenimento dell’ulteriore sviluppo dell’edificazione abusiva.

L’azione dell’Amministrazione si è dunque tradotta nella redazione e realizzazione di un certo numero di piani di recupero 3, le aree abusive sono state perimetrate individuando così delle nuove zone urbanistiche, le zone “O”, per ciascuna delle quali è stato definito un apposito piano particolareggiato. Per consentirne lo sviluppo urbanistico, all’interno delle zone O sono stati poi delimitati alcuni ambiti chiamati “comparti” o “comprensori”, ossia aree fondiarie dove il privato può procedere a nuove edificazioni, previa cessione gratuita al Comune di rimanenti aree libere da destinare alla realizzazione dei servizi pubblici.

Tali servizi possono essere eseguiti dall’Amministrazione o, in alternativa, possono essere realizzati direttamente dai privati a scomputo degli oneri concessori (le “opere a scomputo”). Questa alternativa viene favorita ed incoraggiata dal Comune in quanto la realizzazione delle opere pubbliche da parte dei privati convenzionati garantisce tempi di attuazione sensibilmente ridotti e coinvolge i cittadini nella gestione della cosa pubblica.

I piani particolareggiati di zona O oggi a Roma sono 70 e comprendono al loro interno 566 comparti. L’attuazione dei comparti e dei relativi servizi rientra nelle competenze del Dipartimento XVI del Comune di Roma che ne cura la realizzazione (sia diretta che concertata con i privati) sulla base di criteri di eco-compatibilità ambientale.

3 Il risanamento che ha interessato la rete stradale, l’illuminazione pubblica ed in primo luogo le condizioni igienico-sanitarie. L’obiettivo era quello di giungere ad una riunificazione della città portando i servizi principali fino alle zone più periferiche e costituendo una rete di infrastrutture cittadine.

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1.4 normativa e autoproduzione del bene casa

Se da un punto di vista del costo di costruzione e gestione l’abusivismo ha reso accessibile il bene casa alle classi svantaggiate del centro-sud italia, dall’altra parte il territorio è stato aggredito e deturpato da lottizzazioni fuori controllo. Tale atteggiamento collettivo, oltre ad essere dannoso per l’ambiente ha negli anni provocato una serie di eventi drammatici dovuti a crolli improvvisi, provocando vittime e disastri idrogeologici in tutto il paese. Nel 1985 nasce la prima legge che se da una parte condanna l’abusivismo, dall’altra ne prevede il suo condono tramite sanzione: Legge 28 febbraio 1985, n. 47 4. Secondo dati CRESME, l’effetto dell’annuncio del primo condono avrebbe provocato l’insorgere - nel solo biennio 1983/4 - di 230.000 manufatti abusivi, mentre quelli realizzati fra il 1982 e tutto il 1997 sarebbero 970.000 5. Sempre secondo dati del CRESME, dal 31/12/1993 (ultima data prevista per il completamento dei manufatti) sono stati realizzati altri 220.000 abusi, tra nuove costruzioni e ampliamento delle esistenti. Anche in questo caso la scarsa e prevalentemente formale capacità di controllo da parte dei Comuni avrà permesso l’ammissione al condono di edifici che, per la loro volumetria o il loro impatto ambientale, non avrebbero potuto essere sanati; ugualmente è possibile sospettare che moltissimi edifici siano in realtà stati realizzati dopo la chiusura dei termini.

Nello stesso anno della legge sull’abusivismo nasce la Legge Galasso (legge n.431/85) a tutela dei beni paesaggistici e ambientali. Successivamente una serie di politiche di recupero dei quartieri abusivi hanno puntualmente inserito interi brani di città spontanea all’interno di quella pianificata, lasciando invariate le condizioni di insanità degli standard urbanistici, nelle quali tutt’oggi riversano gran parte dei quartieri romani di borgata. Avvicinandoci ai giorni nostri nel 2003 il condono edilizio Berlusconi-Tremonti (introdotto dal D.L. 269/2003), riafferma la politica di sovrastare le forme di edilizia abusiva a favore di un rientro per le casse comunali 6. Il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria è subordinato al parere favorevole dello Stato proprietario, per

4 Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive. Si poneva prima di tutto come una provvisoria legge-quadro in materia urbanistico/edilizia, ma la sua maggiore conseguenza è stata quella di ammettere al condono edilizio tutti gli abusi realizzati fino al 1/10/1983(governo Craxi-Nicolazzi). Per i manufatti costruiti in aree a vario titolo vincolate il rilascio della concessione (o autorizzazione) in sanatoria era subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela (per il vincolo paesaggistico di solito i comuni, con successivo controllo ed eventuale annullamento da parte delle Sopraintendenze)

5 II secondo condono “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”, art. 39 (primo governo Berlusconi). Riapre i termini della precedente legge 47/1985, estendendoli agli abusi realizzati fino al 31/12/1993. Vengono tuttavia introdotte alcune limitazioni: che le opere non abbiano comportato un ampliamento superiore al 30% della volumetria originaria, ed in ogni caso non superiore a 750 mc. Lo stesso limite volumetrico si applica alle nuove costruzioni, “per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria” (il che consente di condonare anche le lottizzazioni abusive). Resta fermo per le zone vincolate l’obbligo di acquisire preventivamente l’autorizzazione dell’autorità preposta (che, ricordiamo, per il vincolo paesaggistico è solitamente il Comune, sia pure in prima battuta!). In più, l’ultimo periodo del 4 comma stabilisce anche il silenzio-assenso in caso di perdurante inerzia comunale.

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il tramite dell’Agenzia del Demanio, alla vendita delle aree appartenenti al patrimonio disponibile o al mantenimento ventennale oneroso dell’opera sulle aree appartenenti al patrimonio disponibile (Montini Mangani 2004).

A Parlare dell’abusivismo edilizio e della risposta da parte dello Stato

significa analizzare l’atteggiamento che questo ha assunto durante gli ultimi 40 anni rispetto all’autoproduzione del bene casa. Il susseguirsi di condoni edilizi non fa altro che ribadire l’impossibilità di fornire il sufficiente stock di case a chi resta escluso dalle dinamiche di mercato. Se inizialmente si trattava di riconoscere il diritto all’abitare sotto il profilo di un’autocostruzione di emergenza che nel tempo diviene una risorsa del nucleo familiare, con il passare dei decreti legge, il lascia passare diviene una vera e propria strategia di riattivazione delle micro imprese a livello locale, oltre che delle casse comunali, cosi come dimostra l’ultimo piano casa .

B La Legge Regionale n. 10/2011, approvata lo scorso agosto dal

Consiglio Regionale, integra ed apporta sostanziali modificate alla Legge Regionale n. 21/09 e che più semplicemente identifica il “Piano Casa della Regione Lazio”.

Il provvedimento, amplia le possibilità offerte ai cittadini ed alle imprese di intervenire sull’edilizia esistente a favore soprattutto dell’offerta abitativa. Il provvedimento si applica a tutti gli edifici realizzati legittimamente ma anche a quelli che hanno acquisito il titolo abilitativo, ivi compreso il caso della formazione del silenzio assenso, in sanatoria 7.

C L’ultimo Piano Casa della Regione Lazio è in stretta connessione

con la storia dell’abusivismo italiano, se da un lato cerca di stimolare la superfetazione “fai da te”, dall’altra ribadisce la necessità di intervenire sull’esistente, a maggior ragione dando uno sguardo alla quantità di invenduti che contano i grandi investitori privati. La densificazione dell’esistente e il riuso degli immobili posizionati all’interno della città consolidata sono i principi che in parte hanno mosso la definizione di

6 Il Decreto Legge 30/09/2003 n. 296, Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici, art. 32, Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione dell’attività di repressione dell’abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni delle aree demaniali. Ammette a sanatoria gli immobili abusivi realizzati fino al 31 marzo 2003. La sostanziale differenza rispetto ai testi della L. 47/1985 e della L. 724/1994 (Misure di razionalizzazione delle finanza pubblica) sta nella possibilità di ammettere a sanatoria manufatti realizzati anche su opere di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale, a esclusione del demanio marittimo, lacuale e fluviale, nonché dei terreni gravati da diritti di uso civico.

7 E’ applicabile, altresì, anche a quelli non ultimati purché abbiano il titolo abilitativo edilizio. La legge offre possibilità di ampliamento anche alle abitazioni esistenti in zone agricole e, con alcune prescrizioni, a quelle ricadenti nelle aree naturali protette; non pone più il limite dei 1.000 mc del fabbricato esistente su cui applicare l’ampliamento del 20%, che comunque rimane fissato ad un massimo di 70 mq.

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tale legge cercando di riportare un’ordine di gestione urbana basata sulla rivalutazione dell’esistente.

Sono previsti, inoltre, una serie di possibili interventi, di iniziativa pubblica e/o privata, volti al cambio di destinazione d’uso degli edifici non residenziali dismessi o non completati, con la finalità di recuperare tali volumetrie ai fini residenziali, riservando un quota compresa fra il 30 ed il 35% da destinare a locazione a canone concordato (housing sociale) 8.

Considerata l’attuale eccezionale situazione di crisi economica e sociale che impone l’adozione di misure urgenti volte a fronteggiare la grave emergenza abitativa in atto e a adottare misure volte a rilanciare in modo efficace il mercato delle costruzioni;

Considerata, in particolare, la necessita’ di intervenire in via d’urgenza per far fronte al disagio abitativo che interessa sempre più’ famiglie impoverite dalla crisi e di fornire immediato sostegno economico alle categorie meno abbienti che risiedono prevalentemente in abitazioni in locazione;

Considerata l’esigenza di adottare con misure di urgenza l’offerta di alloggi di edilizia residenziale pubblica e di alloggi sociali;

Considerata, inoltre, la necessità e l’urgenza di introdurre disposizioni in materia di qualificazione delle imprese esecutrici di contratti pubblici di lavori volte a garantire un miglior livello di certezza giuridica in particolare in tema di partecipazione degli operatori economici qualificati nel mercato degli appalti, nonché’ disposizioni volte a facilitare gli investimenti connessi ad Expo2015. Se da un lato nell’art. 5 Lotta all’occupazione abusiva di immobili stabilisce che: Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può’ chiedere la residenza ne’ l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge.

Dall’altra parte le politiche urbane che hanno negli anni favorito il bene casa sotto la forma della proprietà privata sia essa stata costruita secondo pratiche legali o illegali ribadisce il suo riconoscimento in termini di Bene necessario allo sviluppo urbano in una capitale che necessita di nuovi abitanti.

8 La Regione Lazio con le modifiche apportate alla legge regionale 21/09 di fatto ha recepito il “Piano Città” contenuto nel Decreto Legislativo “Sviluppo” assegnando un forte e decisivo ruolo ai Comuni nel definire le aree su cui è possibile la “riqualificazione incentivata”.

Infine l’ultimo Piano a livello nazionale DECRETO-LEGGE 28 marzo 2014, n. 47 Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015.

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1.5 Ricucire la città

L’abusivismo edilizio è stato uno dei fenomeni che ha maggiormente compromesso il territorio, il suo sviluppo secondo densità basse ed estremamente disomogenee, se da un lato sopperiva alla mancanza di un’offerta di alloggi abbordabili, dall’altro non ne garantiva la sua connessione ai servizi della città. L’area metropolitana romana è una “finzione urbanistica” anche perché una parte di area metropolitana si trova all’interno dei confini comunali. Da Roma centro ad Ostia corre la stessa distanza di Milano con Pavia, il territorio del Comune di Roma è grande dieci volte Milano e sei Torino... (Clementi Perego 1983). Le aree vuote che tra una borgata e l’altra vengono strategicamente ricucite attraverso il secondo piano di intervento di Piani di Edilizia Economica e Popolare. Con una serie di interventi di “ricucitura”e “rammagliamento” del tessuto da riqualificare , la borgata abusiva e il PEEP si sarebbero fusi (Zanfi 2004). Il Piano regolatore di Roma e sopratutto il piano delle zone 167 avevano limitato lo sviluppo di insediamenti a piccola densità (casette mono o bifamiliari) a favore della realizzazione, a grande scala territoriale, della “città programmata” dell’edilizia residenziale pubblica che doveva rappresentare un modello di razionalità di tipo scandinavo in una città urbanisticamente confusa e caotica.

Una edilizia residenziale pubblica che, in preda ad un vero e proprio “delirio normativo” pretendeva di certificare standards abitativi e tipologici ( interpiani almeno di 3 metri, tipologie di edificio a mega-scala, taglio degli alloggi, sistema di areazione dei bagni, ecc..) in aperto contrasto con il sistema di attese della domanda che, invece, si orientava verso un modello forse più da “paesone” ma non per questo meno legittimo dei modelli standardizzati. La divaricazione tra domanda e offerta di qualità abitativa, di configurazione degli insediamenti, di immagine della casa, ha raggiunto a Roma punte così acute proprio per l’assenza di alternative “legali” alla città programmata 9. Nel corso degli anni ‘70 si è assistito ad uno sviluppo urbanistico incontrollato che ha prodotto nelle periferie romane numerosi insediamenti di natura

9 Dalla città spontanea alla città contratta La Metropoli “spontanea”: il caso di Roma, 1925-1981: sviluppo residenziale di una città dentro e fuori dal piano Alberto Clementi, Francesco Perego, EDIZIONI DEDALO, 1983

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spontanea.

I nuovi nuclei abusivi presentavano notevoli carenze nel campo delle infrastrutture primarie e secondarie e dalla seconda metà degli anni Settanta le amministrazioni hanno iniziato un lungo processo di risanamento sia urbano che sociale (che ha interessato la rete stradale, l’illuminazione pubblica ed in primo luogo le condizioni igienico-sanitarie). L’obiettivo era quello di giungere ad una riunificazione della città portando i servizi principali fino alle zone più periferiche e costituendo una rete di infrastrutture cittadine. L’opera di recupero è stata portata avanti su un duplice piano: di sanatoria rispetto all’edificato; di contenimento dell’ulteriore sviluppo dell’edificazione abusiva. L’azione dell’Amministrazione si è dunque tradotta nella redazione e realizzazione di un certo numero di piani di recupero individuato nei piani di recupero 10.

Per consentirne lo sviluppo urbanistico, all’interno delle zone O sono stati poi delimitati alcuni ambiti chiamati “comparti” o “comprensori”, ossia aree fondiarie dove il privato può procedere a nuove edificazioni, previa cessione gratuita al Comune di rimanenti aree libere da destinare alla realizzazione dei servizi pubblici.

Tali servizi possono essere eseguiti dall’Amministrazione o, in alternativa, possono essere realizzati direttamente dai privati a scomputo degli oneri concessori (le “opere a scomputo”). Questa alternativa viene favorita ed incoraggiata dal Comune in quanto la realizzazione delle opere pubbliche da parte dei privati convenzionati garantisce tempi di attuazione sensibilmente ridotti e coinvolge i cittadini nella gestione della cosa pubblica.

I piani particolareggiati di zona O oggi a Roma sono 70 e comprendono al loro interno 566 comparti. L’attuazione dei comparti e dei relativi servizi rientra nelle competenze del Dipartimento XVI del Comune di Roma che ne cura la realizzazione (sia diretta che concertata con i privati) sulla base di criteri di eco-compatibilità ambientale.

10 Tra questi il Piano di risanamento idro-sanitario per la costruzione delle reti idriche e fognarie (Piano ACEA) varato nel 1974, il Piano di illuminazione pubblica del 1979, il Piano per l’estensione della rete di gas metano del 1980 ed il Piano di edilizia scolastica avviato nel 1976. Contemporaneamente, dal 1976 in poi, si è proceduto all’individuazione di uno strumento urbanistico per la progettazione e il recupero urbano e sociale delle aree abusive: i “piani particolareggiati di riqualificazione”, la prima generazione dei piani di recupero urbanistico a Roma.

Dopo un lungo percorso normativo, che si è concluso con la Legge Regionale n.28/1980 e con la Delibera di Giunta Regionale n.4777/1983, le aree abusive sono state perimetrate individuando così delle nuove zone urbanistiche, le zone “O”, per ciascuna delle quali è stato definito un apposito piano particolareggiato.

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1.6 Diritto all’abitare e consumo di suolo

E’ stato di recente pubblicato il rapporto annuale di Legambiente, elaborato dall’istituto di ricerche Ambiente Italia, che fa il punto sullo stato di salute del belpaese. Nell’edizione 2011 l’approfondimento tematico è dedicato al consumo di suolo, assunto come indicatore pricipale dei problemi non solo ambientali che gravano sulla penisola.Il consumo di suolo non è un fenomeno solo italiano, ma alcuni caratteri dei processi di urbanizzazione rendono la situazione nel nostro paese più complessa e rilevante che altrove. Nelle periferie delle principali aree urbane italiane sono infatti cresciuti in modo sregolato migliaia di abitazioni e sobborghi sconfinati generando dispersione e degrado ma, paradossalmente, lasciando irrisolti i problemi di accesso alla casa per chi ne avrebbe bisogno. La stima più attendibile – e, secondo Legambiente, comunque prudenziale – di superfici urbanizzate è di 2.350.000 ettari. Una estensione equivalente a quella di Puglia e Molise messe insieme, pari al 7,6% del territorio nazionale e a 415 metri quadri per abitante. Negli ultimi 15 anni, il consumo di suolo è, infatti, cresciuto in modo abnorme e incontrollato e la realtà fisica dell’Italia è ormai composta da informi fenomeni insediativi: estese periferie diffuse, grappoli disordinati di sobborghi residenziali, blocchi commerciali connessi da arterie stradali. Ma quantificare il fenomeno non è facile, perché le banche dati sono eterogenee e poco aggiornate, e perché la pressione sul territorio è ampliata da carenze di pianificazione e abusivismo edilizio, caratteristici del nostro Paese.

“Il consumo di suolo — ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza — è oggi un indicatore dei problemi del Paese. La crescita di questi anni, senza criteri o regole, è tra le ragioni dei periodici problemi di dissesto idrogeologico e tra le cause di congestione e inquinamento delle città, dell’eccessiva emissione di CO2 e della perdita di valore di tanti paesaggi italiani e ha inciso sulla qualità dei territori producendo dispersione e disgregazione sociale. Occorre fare come negli altri paesi europei dove lo si contrasta attraverso precise normative di tutela e con limiti alla crescita urbana,

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ma anche con la realizzazione di edilizia pubblica per chi ne ha veramente bisogno e interventi di riqualificazione e densificazione urbana, fermando così la speculazione edilizia. Esattamente il contrario di quanto adottato nell’ultimo decreto Milleproroghe che continua a consentire ai Comuni, per i prossimi due anni, di adoperare il 75% degli oneri di urbanizzazione per le spese correnti e incentiva, e quindi a rilasciare permessi a edificare anche laddove non sarebbero necessarie nuove costruzioni, per pagare gli stipendi dei dipendenti”.

Il caso di Roma è emblematico e merita di essere analizzato. Sia perché, negli ultimi anni, il territorio romano ha visto una fortissima crescita edilizia, sia perché il comune di Roma è il più grande in Italia in termini di superficie e di popolazione. Uno studio originale e inedito sulle trasformazioni dei suoli a usi urbani rivela come, in 15 anni, questi siano aumentati del 12% a Roma (con 4.800 ettari trasformati, quasi tre volte il tessuto “storico” della città compreso entro le Mura Aureliane).11

In Italia, insomma, non si punta sul recupero dell’esistente ma sulla trasformazione di nuove aree, non si investe nella mobilità sostenibile, e le città sono sempre più congestionate e inquinate. E’ chiaro come, negli ultimi 20 anni, non si sia costruito per rispondere alle domande di abitazioni ma alla speculazione immobiliare e finanziaria, e la grave situazione di disagio sociale riscontrabile in molti centri urbani rispecchia una crisi che non riguarda solo il settore edilizio ma attraversa tutto il Paese. 12

Mentre l’abusivismo di necessità va scemando, per stabilizzarsi su valori fisiologici, emergono nuovi interessi. Negli anni Settanta fa la sua comparsa un’interpretazione speculativa del fenomeno, assai meno rispettosa delle regole e dell’ambiente

11 Nello stesso arco di tempo, a Roma la popolazione è aumentata di 30.887 abitanti, con una media di 150 metri quadrati di suoli trasformati per ogni nuovo abitante. La trasformazione ha interessato in particolare suoli agricoli (Roma è il più grande comune agricolo d’Europa) ma anche importanti porzioni di aree naturali. Sono scomparsi 4.384 ettari di aree agricole, il 13% del totale e 416 di bosco e vegetazione riparia. Ora, in base il piano regolatore vigente nel comune di Roma e ai programmi in atto, è prevedibile un ulteriore consumo di 9.700 ettari, prevalentemente agricoli, ossia più di quanto sia stato trasformato tra il 1993 e il 2008.

12 Ambiente Italia 2011, il consumo di suolo in Italia annuario di Legambiente elaborato dall’Istituto di Ricerche Ambiente Italia è a cura di Duccio Bianchi e Edoardo Zanchini

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Percentuale di famiglie indebitate a causa del costo della casa (%)

FONTE: Legambiente, 2008, su dati Ance/Cresme RIPARTIZIonE AnnUALE DELL’ABUSIVISMo EDILIZIo SUL ToTALE DELLE CoSTRUZIonI (

*manca il dato rispetto alle domande accolte e respinte del condono del 1985 Fonte: Elaborazione Legambiente su dati dei Comuni capoluogo di provincia Le prime dieci città capoluogo per richieste di

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13 L’adattamento autonomo come causa di crescita del peri-urbano, Silvia Macchi, convegno 5 febbraio 2013 Il consumo di suolo: lo stato, le cause e gli impianti

Indice delle quotazioni immobiliari per il residenziale 2004-2012*

Differenziale dei valori di riferimento tra i comuni della Provincia di Roma * 2° sem. 2012 Agenzia Territorio

Variazione della popolazione residente nei comuni della Provinicia di Roma 2001-2005 Dati ISTAT e CCIAA Secondo gli ultimi dati di Legambiente e ISPRA (Istituto Superiore per la

Protezione e la Ricerca Ambientale) il consumo di suolo a Roma e provincia del peri-urbano (urban Sprawl) è effetto tra l’altro, della migrazione di persone e attività dalla città consolidata. Pertanto lo spostamento di persone e attività dalle arre centrali alle aree di frangia della metropoli, fanno parte dell’adattamento autonomo (sociale, economico, climatico, ecc) rispetto al principio di ricerca di un equilibrio rispetto alle possibilità di mezzi e all’accedervi. La migrazione è riconosciuta come strategia di adattamento messa in atto autonomamente dalle persone in risposta ad un cambiamento che ha modificato il loro capability set (capacità potenziali), in termini di disponibilità di mezzi (meno case) o di accessibilità a tali mezzi. 13

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I dati dell’indagine ISPRA per la regione Lazio portano a valori più alti della media nazionale e, pur considerando un possibile errore di stima, consentono di valutare il trend del CdS regionale. Il tasso di crescita è nettamente più elevato della media nazionale e, se nel secondo dopoguerra, la situazione del Lazio era complessivamente migliore di quella italiana, nel 2010 il valore di suolo consumato si attesta ben oltre l’8%, un dato che porta la regione tra le prime nella graduatoria delle regioni più cementificate (ISPRA, 2013). L’area di Roma, in particolare, è tra quelle dove il fenomeno desta ancora più preoccupazione e, nel 2008, il valore del suolo consumato superava il 26% della superficie comunale (ISPRA, 2012). Il confronto con la popolazione residente permette di analizzare la relazione tra la potenziale domanda abitativa e l’urbanizzazione del territorio. In termini di CdS, la dispersione urbana e la bassa densità abitativa comportano un aumento dell’impermeabilizzazione media pro-capite. Roma mostra un leggero miglioramento negli ultimi anni, motivato da un aumento della popolazione con un minore incremento della superficie impermeabile, ma in generale si evidenzia una tendenza alla progressiva decrescita dell’intensità d’uso, con valori che ben rappresentano la progressiva tendenza alla dispersione urbana (ISPRA, 2012). Analizzando i dati CLC si stima che la quota di aree artificiali (“Territori modellati artificialmente”, classe 1 al I livello della legenda CLC) nel Lazio fra il 1990 ed il 2000 è stata di circa 360 ettari l’anno, ovvero di circa 1 ettaro al giorno, con un incremento percentuale nel decennio di circa il 3.7%.

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Impermeabilizzazione del suolo nell’area urbana di Roma, anno 2009, elaborazioni ISPRA su dati Copernicus.

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Nel quadro dell’urbanizzazione occidentale europea degli ultimi cinque secoli, la crescente urbanizzazione dispersa del XX secolo ha provocato molte e profonde trasformazioni territoriali. Gli studi e le ricerche degli ultimi decenni di diversi attori del sapere urbano e urbanistico hanno permesso, anche attraverso la produzione di diverse immagini interpretative, di comprendere e dare visibilità alla grande trasformazione insediativa europea. Davanti alle evidenti ripercussioni sull’ambiente di tali urbanizzazioni legate ad un sempre crescente consumo di suolo come risorsa finita, ad una sua eccessiva cementificazione, ma anche all’inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo (con conseguenti dissesti idrogeologici, frequenti alluvioni, degrado vegetazionale, ecc.). Negli ultimi anni sempre più è cresciuta in Europa la necessità di ridefinire la pianificazione e la progettazione urbanistica in senso “sostenibile” a tutte le scale, dal progetto di bioarchitettura fino alla pianificazione territoriale.

In particolare lo sviluppo sostenibile-ecologico urbano ha come idea di città cui tendere: una città compatta (non dispersa) come metropoli policentrica strutturata su una mobilità sostenibile. Per il raggiungimento di questo obiettivo tre sono le parole chiave :

1 compattezza (evitando il “consumo di suolo”, cercando dunque

di evitare la continua urbanizzazione dispersa sui territori agricoli, ristrutturando l’esistente, riusando, riciclando, riqualificando);

2 mixité (sociale progettando quartieri capaci di accogliere classi

sociali e/o culture diverse, mixité funzionale - basta con i pezzi di città monofunzionali, si alla mescolanza delle attività in uno stesso quartiere, in una stessa parte di città, prossimità di attività e servizi e trasporti collettivi ... );

3 cittadinanza (la città partecipativa, della democrazia locale, della

democrazia partecipativa, coordinare le azioni frammentate e integrarle per la costruzione di progetti condivisi concertazione e partecipazione).

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Le grandi migrazioni che interessano i paesi in via di sviluppo, hanno interessato anche l’Europa nel secolo passato, e allo stesso modo le città Europee si sono accresciute se non raddoppiate proprio attraverso costruzioni abusive, illegali provvisorie come nel caso di Roma.

La città che si sviluppa tramite trasgressioni all’urbanistica, viene generalmente attribuita ad una incapacità gestionale, punita con norme giuridico-amministrative. In tal senso, il piano diviene uno strumento che spesso lascia fuori dalle soluzioni abitative i ceti più poveri e disagiati, privilegiando insediamenti semi privati economicamente inaccessibili, promossi dal libero mercato. Queste forme di abusivismo e illegalità si pongono come antagoniste al sistema mercato, diviene una pratica sociale per la produzione del bene casa quando le pubbliche istituzioni non ne garantiscono l’efficienza.

L’abusivismo è indicatore del grado di sviluppo di una società che lo esprime, e la sua intensità è indice di disuguaglianza sociale urbana, dello stato di abbandono delle fasce deboli.

In sostanza analizzare periferie marginali di diversi contesti geografici significa analizzarne i contorni comuni:

A_ Analogie nella forma dualistica dei processi abitativi di fronte a

composizioni sociali differenti.

B_ Il ruolo del governo nella crescita urbana, l’impianto formale

dell’urbanistica. L’assenza di un intervento radicale rispetto al fenomeno dell’abusivismo, maschera in realtà la tolleranza delle istituzioni verso l’edificazione illegale, come circuito che va a riempire l’incapacità di creare case a basso costo.

Di fronte poi a un crescere delle tensioni sociali, esistono due tipologie di intervento:

1_ La rimozione e la ricollocazione

2_ Il risanamento/recupero delle aree degradate anche al livello

giuridico.

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grafico crescita demografica tra il 1950-2010 e proiezione dal 2010-2015 fonte: UNDESA 2009

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La tabella riportata indica la percentuale totale delle famiglie che in Europa vivono al di sotto della soglia di povertà (calcolata in base al 60% del reddito medio nazionale) e quante di queste sono proprietarie della loro abitazione o invece in affitto. Al di là del dato allarmante della crescente povertà relativa presente nel nostro paese, quello che risulta particolarmente significativo è l’elevata presenza di famiglie sotto la soglia di povertà anche tra chi decide di acquistare casa.

Famiglie a basso reddito tra proprietari e coloro che ricevono un sussidio per l’abitazione

Fonte: Eurostat, K. Dol, M. Haffner, Housing statistics in the European Union, OTB Research Institute for the Built Environment, Delft University of Technology, Settembre 2010

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Quali sono i nuovi bisogni abitativi? Il reddito si conferma una delle cause principali della vulnerabilità abitativa. In questo senso, la crisi ha avuto un impatto elevato, facendo scivolare nell’area grigia del disagio abitativo una vastità di persone per le quali invece la casa in passato non rappresentava un problema (Cittalia-Anci 2011). Se la povertà economica si conferma un fattore determinante, essa sta però cambiando fisionomia, con la conseguenza di rendere le politiche tradizionali spesso inefficaci: di fronte a un aumento del tasso di povertà, le soglie di accesso richieste dall’edilizia residenziale pubblica sono troppo basse ed escludono una larga fetta di popolazione borderline, ossia troppo «ricca» per averne diritto ma troppo povera per accedere al mercato immobiliare privato. Un’area grigia non così facilmente intercettabile, che vive in condizioni economiche precarie e che un minimo imprevisto farebbe precipitare in stato di emergenza.

Altri cambiamenti hanno riguardato la struttura demografica della popolazione e in particolare dei nuclei familiari. Accanto a un calo della popolazione Evoluzione di prezzi e canoni delle abitazioni e del reddito familiare in Italia, 1991-2007

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14 I dati provenienti dalle ultime statistiche dicono che gli immigrati sono la fascia più esposta ai problemi di sovraffollamento e di scarsa qualità delle abitazioni: l’indicatore di grave deprivazione abitativa è per loro il 14,9 per cento, cioè più del triplo di quello delle famiglie italiane (4,7 per cento).

15 1. Cfr. Giovanni Caudo, La Casa a Roma: un problema per 100 mila, Il Giornale dell’Architettura, 4,32, settembre 2005.

16 Il 18 dicembre 2002 viene occupato lo stabile di via dei Reti, a San Lorenzo. A promuovere queste iniziative di lotta è Action, (Agenzia comunitaria diritti) che nasce dall’evoluzione dei movimenti di lotta precedenti: tute bianche (oggi disobbedienti) e Dac (diritto alla casa). Cfr.: Sofia Sebastianelli, Le occupazioni a Roma: i luoghi e le persone, Il Giornale dell’Architettura, 3,17, aprile 2004.

totale, assistiamo all’aumento dei nuclei familiari (+9% dal 2003 al 2009) e alla riduzione della loro composizione, con nuclei sempre più piccoli a causa dell’allungamento dell’aspettativa di vita media e all’instabilità dei rapporti di coppia. Nuovo fattore d’impoverimento abitativo è la precarizzazione dei rapporti di lavoro e la conseguente domanda di alloggi temporanei. La crisi economica impone di cercare lavoro là dove c’è. Ecco allora che assistiamo a una ripresa dei movimenti migratori interni, seppur ancora piuttosto contenuti, sia intraregionali che interregionali, in particolare nella direzione Sud-Nord (verso Lombardia ed Emilia Romagna in primis) (Cittalia 2010). Quali categorie escono più colpite in questo nuovo contesto? Prima di tutto la popolazione giovane, che a causa del prolungamento dei percorsi di formazione e della diffusione di rapporti di lavoro precari ha sempre meno capacità di accedere al mercato immobiliare. Il peggioramento delle condizioni di accesso al credito riguarda infatti soprattutto i contraenti con età inferiore ai 35 anni che intendono acquistare la prima casa. Altra categoria a rischio di disagio abitativo è la popolazione straniera residente in Italia, cresciuta a ritmi particolarmente intensi. 14

Nel primo semestre del 2014 nel Lazio sono stati eseguiti 7.042 sfratti (+14% rispetto allo stesso periodo del 2013); di questi 1.523 riguardano il comune di Roma, con un incremento del 7,9%. Tra le motivazioni, gli sfratti per morosità rappresentano il 89% (Cgil 2014). Tra le 11 grandi città italiane, Roma, insieme a Milano, registra il più forte disagio abitativo. La stima è che questo, nelle sue più diverse forme (senza casa, sfrattati, beneficiari del sostegno economico per l’affitto, ecc.) riguardi ormai circa 40 mila famiglie 15. La vulnerabilità crescente delle famiglie italiane esposte ai canoni di affitto in regime di libero mercato è il dato significativo della nuova questione abitativa. La liberalizzazione del mercato degli affitti con la Legge 431 del 1998 non ha prodotto effetti virtuosi e di calmieramento del mercato ma l’esatto opposto, una crescita incontrollata dei valori dei canoni. La soglia oltre la quale si valuta che una famiglia possa entrare in sofferenza finanziaria, è pari al 30% del rapporto tra il canone e il reddito familiare. Il CRESME ha stimato

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che, in Italia, nel 2007, le famiglie che si troveranno al di sopra di questa soglia saranno 1.760.000, erano 1.355.300 nel 2005. Oltre 400 mila famiglie scivoleranno verso forme, seppure relative, ma pur sempre di povertà. A Roma, dove il mercato immobiliare si colloca ai vertici per intensità di crescita, l’effetto di schiacciamento verso il basso delle fasce sociali cosiddette medie, impiegatizie, è destinato ad avere una incidenza più alta di quanto avviene a livello nazionale. Nel 2004, per una famiglia del centro di Roma con reddito pari a 30 mila €/anno l’incidenza del rapporto canone/ reddito era pari al 70%, al 46% per una famiglia della semiperiferia e al 37% per una di periferia. Se il reddito è di 15 mila €/anno (il caso ad esempio di una famiglia monoreddito, o di giovani con lavori precari ecc.) l’incidenza diventa proibitiva anche per sostenere l’affitto di un’abitazione in periferia (Sunia). ll ritorno nel dicembre del 200216 delle occupazioni a scopo abitativo testimonia, al di là delle valutazioni che si possono dare del fenomeno, il crescente disagio sociale attorno al diritto all’abitare che coinvolge gli immigrati ma sempre più anche gli italiani: studenti, famiglie monopersonali, anziani, separati, donne con figli.

La prima impressione è che sembrano tornate antiche questioni che si pensava risolte, una storia che potrebbe sembrare di altri tempi, di quando l’emergenza portava in piazza operai e studenti: al grido di “la casa è un diritto”. A quella stagione fecero seguito gli anni d’oro dell’edilizia pubblica. A Roma, tra il 1965 e il 1987, furono realizzati 452.436 vani (le previsioni erano di 674.000) in 83 diversi interventi dal più piccolo, poco più di 20 vani, al più grande di oltre 37 mila vani 17.

La decisione di acquistare una casa attraverso un mutuo risulta molto spesso una scelta obbligata dall’assenza di un’offerta di abitazioni in affitto ad un canone conveniente. Molto spesso infatti il costo mensile di un mutuo corrisponde o supera di poco quello del canone d’affitto spingendo la maggior parte di coloro che hanno possibilità di garanzie bancarie e di accesso al credito bancario ad optare per la prima soluzione.

Il Cnel 18 in un recente studio sulle problematiche legate all’abitare calcola per

17 L’articolazione degli interventi previsti, secondo la dimensione: 6 interventi con più di 20 mila vani; 14 interventi tra 8 mila e 16 mila vani; 19 interventi tra 2 mila e 6 mila vani; gli altri 44 sono tutti al di sotto dei 1.500 vani. Cfr. USPR Documenti, 3, il piano per l’edilizia economica e popolare, Comune di Roma, ottobre 1981.

18 CNEL, La crisi degli affitti e il piano di edilizia abitativa. Osservazioni e proposte, Roma, 21 luglio 2010

19 Le conseguenze più drammatiche in termini sociali sono l’enorme numero dei procedimenti di rilascio forzoso degli immobili: secondo dati del Ministero dell’Interno nel 2009 gli sfratti sono cresciuti del 17,6% rispetto all’anno precedente, per un totale di 61.484 provvedimenti emessi di cui 51.576 per morosità (questi ultimi aumentati rispetto all’anno precedente del 25,8%).

Complessivamente le richieste arrivate all’autorità giudiziaria nel 2009 sono state 116.573 e 27.584 gli sfratti effettivamente eseguiti nello stesso periodo.

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chi percepisce intorno ai 14.000 euro annui un’incidenza delle spese abitativa che oscilla tra il 63 e il 94% del proprio reddito: un ammontare spropositato se si considera che una giusta incidenza è stimata intorno al 30%. Per rientrare in questa soglia di costi le famiglie di questa fascia retributiva dovrebbero dunque poter accedere ad alloggi con un prezzo che oscilla tra i 250 e i 300 euro mensili ad oggi inesistenti nell’offerta del mercato privato quanto da quella dell’edilizia pubblica. Gli attuali costi medi per un affitto vengono stimati dal Cnel tra i 740 euro mensili per un contratto in essere e i 1.100 euro dei nuovi contratti, appunto molto lontani dalla sostenibilità per la media delle famiglie italiane. Lo strumento del canone concordato non ha preso piede nel mercato della locazione arrivando al massimo a coprire il 15% dell’offerta complessiva e comunque raggiungendo una diminuzione tra il 10 e il 20% del canone rispetto a quello di libero mercato.

Questa situazione ha determinato l’esplosione di un fenomeno di morosità da più parti definito ‘incolpevole’ proprio legato ad un’insostenibilità del sistema complessivo della locazione più che ad una mancanza del singolo..19

Questa diffusa ‘morosità incolpevole’ non beneficia di nessun sostegno stante l’esclusione dai vari decreti di sospensione degli sfratti che si sono succeduti negli ultimi anni per le categorie protette e che hanno sempre e solo riguardato gli sfratti per finita locazione. Anche il sistema del buono affitto erogato dai comuni non sembra poter essere di alcuna utilità in questo contesto se si considera ad esempio che il Comune di Roma si accinge nella prima metà del 2011 ad erogare i soldi spettanti ai vincitori del bando 2008. Alla morosità incolpevole si aggiungono numerose altre fattispecie di ‘precarietà abitativa’: si calcola infatti che siano oltre 230.000 le famiglie che in Italia sono costrette alla coabitazione e 70.000 quelle in alloggi precari.

Figura

Foto storica Borgata Romana, Fonte: Archivio Storico L’Unità
Foto edificio del Porto Fluviale, ex magazzino  militare situato nel quartiere Testaccio a Roma
foto manifestazione Roma Skill Share: fonte:  https://collettivowsp.wordpress.com
foto manifestazione Roma Skill Share.
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