piazze minori nel centro storico di firenze • antonio capestro • antonio capestro
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un percorso fra le piazze un percorso fra le piazze
Che fare per assicurare alle piazze, vecchie e nuove, maggiori e minori, la possibilità di con- tinuare a svolgere un ruolo nella città contemporanea?
Per fornire un contributo alla discussione sul futuro delle piazze minori di Firenze, ho pen- sato che fosse utile proporre al Seminario del CISDU una riflessione critica su questo ricor- rente interrogativo, ripercorrendo le tappe salienti del lungo e molteplice percorso che mi è capitato di intraprendere attraverso piazze e città, italiane ed europee, non di rado corrobora- to da concrete sperimentazioni progettuali.
È un percorso le cui tappe muovono, dopo alcune prime esperienze conoscitive sulla mia città e sul suo territorio, da quell’insistente dibattito sulla ‘morte della piazza’ che si era svi- luppato nell’ultimo decennio del ‘900: un dibattito che aveva sollecitato architetti e urba- nisti, ma anche storici e sociologi, ad interrogarsi sulle strade da percorrere per verificare la potenziale residua vitalità delle piazze, pur a fronte dei cambiamenti urbanistici e sociali che stavano avvenendo nelle città.
Il successo della ‘riscoperta’ della piazza, che allora parve conseguito, diede impulso a mol- te importanti esperienze su questo tema, tanto da consentirci di poter oggi argomentare sul ruolo importante che un buon progetto architettonico e urbanistico, se ben inquadrato in un programma di ‘buon governo’ per la gestione dello spazio pubblico, può svolgere nell’assicu- rare vitalità e interesse alle piazze cittadine (o, al contrario, su come possa rischiare di ostaco- larne la vita, e finanche di accelerarne la fine).
Ecco dunque i tratti salienti di questo lungo itinerario tematico (e autobiografico); un itinera- rio che ho volutamente articolare in tappe, così che da ciascuna di esse si possano estrapola- re argomentazioni appropriate e utili suggerimenti per perseguire un approccio propositivo, una possibile risposta a quel ‘che fare’ che ho posto all’inizio della premessa al mio interven- to. E che si conclude, nella parte finale, con una riflessione critica su di un lavoro che mi è occorso di fare, la riqualificazione di Piazza Grande a Palmanova, vero banco di prova di que- sta fruttuosa peregrinazione fra piazze e città-utente.
Franco Mancuso ANCSA Associazione Nazionale Centri Storici Artistici
mancuso@community.iuav.it Fortezza di !
Palmanova
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Da Venezia a Milano
(attraverso il Touring Club Italiano)
Mi ero laureato da poco, nel 1963 allo IUAV, e avevo iniziato a Venezia il mio percorso di architetto, e poi di docente, lavorando con De Carlo: a Urbino, fin da studente, negli stu- di per la preparazione del Piano Urbanistico; poi alla redazione di «Spazio e Società», e all’ILAUD, e alla collana editoriale «Struttura e forma urbana» del Saggiatore; e in mol- te altre occasioni.
Era il 1970, e mi raggiunge una telefonata da Milano, anticipatami da De Carlo; è di Au- relio Natali, direttore editoriale del TCI, allora impegnato nella redazione di una serie di libri su aspetti peculiari della storia della cultura architettonica e urbana in Italia. Aveva in programma un libro sulle piazze del nostro paese, e ne aveva parlato con Cesare Bran- di per la parte storica, e con Gianni Berengo Gardin per la fotografia, che avevano ac- cettato l’incarico. Era amico di De Carlo, e contava su di lui per la parte urbanistica. De Carlo però era molto impegnato, e non se la sentiva di accettare l’incarico; propone però a Natali di rivolgersi a me, avendomi oramai messo alla prova, e assicurandolo che avrei svolto lodevolmente il mandato.
Arriva dunque la telefonata, e corro a Milano, assai lusingato per la proposta. Nell’auste- ra e prestigiosa sede milanese di via Corso Italia, fra bellissime mappe di territori e città, stampe d’epoca, libri d’arte, Natali mi descrive il libro che ha in mente, il taglio che vor- rebbe per il testo sull’urbanistica, la lunghezza, le immagini.
Era il mio primo impegno editoriale di prestigio: torno quindi a Venezia eccitatissimo e mi butto a capofitto nell’impresa. Tre mesi dopo il testo parte per Milano (per corriere, internet non c’era ancora), corredato da fotocopie di mappe delle piazze e delle città de- scritte nel testo.
Dopo una settimana, ecco la telefonata: «Venga subito a Milano, dobbiamo parlare».
Arrivo. «Lei architetto non ha capito niente — mi investe Natali, autorevolmente, ma
anche amicalmente — deve sapere che il Touring pubblica i suoi libri in 500.000 co-
pie, che verranno ricevute nelle case dei 500.000 soci! E i libri del Touring vengono let-
ti in famiglia, soprattutto dai figli, che li usano per le ricerche di scuola (internet, dicevo
appunto, non c’era ancora). Torni a Venezia, dunque, e riscriva tutto: soggetto, predica-
to verbale, complemento oggetto. Punto, e a capo. Di quello che ha scritto, non si capi-
sce niente!». Prima di uscire mi trattiene un momento, chiedendomi: «Sa disegnare? Se
si, ridisegni tutte le mappe, e faccia in modo che siano comprensibili a tutti; e, le diverse
piazze, altrettanto facilmente confrontabili».
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Torno a Venezia avvilitissimo e rifaccio tutto secondo le indicazioni di Natali. Rispedisco a Milano testo e disegni, e dopo qualche mese il libro esce: 500.000 copie, incredibile; e avrà molto successo
1. Con Natali diventammo amici.
Ho tratto da questo mio primo percorso fra le piazze queste essenziali lezioni: che c’era (ma c’è ancora) un grandissimo interesse per l’argomento delle piazze; che per descriverle, per interpretarle, per comunicarle, occorre adoperare parole chiare ed appropriate, esprimere concetti precisi: lodi, e se occorre difetti, comprensibili e comunicabili; che non si può parla- re di una piazza, se non si descrive la città che la ospita; e che il disegno, se ben concepito, è uno strumento efficacissimo per descriverle, e comprenderle.
A Parigi, in Rue de Varenne
Rue de Varenne è una breve strada settecentesca di Parigi, parallela al Boulevard Saint-Ger- main; al numero 50 ospita l’Hotel de Galiffet, residenza storica, sede ancor oggi dell’Istitu- to Italiano di Cultura. Ma Rue de Varenne, preceduta dall’anagrafico 50, era anche il nome della rivista che Fernando Caruso, allora dinamico e colto direttore dell’Istituto, pubblicava come supplemento italo-francese di «Nuovi Argomenti», edito in Italia da Mondadori.
Alle iniziative dell’Istituto partecipava Luciana Miotto, che si era laureata nei miei stessi an- ni allo IUAV, e che come me aveva partecipato da studente all’esperienza di Urbino con De Carlo. Luciana dopo la laurea si era trasferita a Parigi, dove insegnava, ed era molto impe- gnata nelle iniziative tese a diffondere in Francia i caratteri peculiari della cultura italiana.
Si era all’inizio degli anni ‘80, e a Parigi si discuteva accanitamente sul che fare del grande buco conseguente all’abbattimento delle Halles. Caruso vuole contribuire al dibattito, e di- scutendone con Luciana decidiamo di proporgli una mostra sulla vitalità delle piazze stori- che in Italia, e di organizzare in concomitanza un convegno che ne approfondisca le ragioni.
Caruso ne diviene subito convinto sostenitore, e si mette all’opera. “Ci siamo mossi — scri- ve Caruso sul numero monografico della sua rivista pubblicato in occasione della Mostra — sulla base di una domanda attuale e concreta: come vengono utilizzate, e quale può essere il riuso delle antiche piazze? La piazza, è un’istituzione legata al passato, o è una categoria uni- versale che può trovare nel futuro nuovi modi di essere?”
Si decide di lavorare sul Veneto; o, meglio, sul ‘Territorio di Venezia’ (che storicamente an- dava dalla Lombardia al Friuli, oltre che, lungo le rotte dell’Adriatico, fino all’Egeo, Creta e
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