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ALL ’ INDOMANI DELL ’U NITÀ D ’I TALIA

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(1)

C

APITOLO

1. N ARRATIVA , T EATRO E O PERA M USICALE

ALL INDOMANI DELL ’U NITÀ D ’I TALIA

La “modestia” è quella propria dell’artista- scienziato che rifiuta la divisa demiurgica del poeta romantico e accetta la propria missione di scrutatore logico dell’animo umano con lo spirito di sottomissione ai dati della natura a cui obbediva ogni buon scienziato del tempo; […] il nuovo artista rifiuta di inventare la realtà, non di rappresentarla in tutta la sua forza e grandezza.

(CARLO ALBERTO MADRIGNANI)1

1.1. C

ENNI

S

TORICO

-L

ETTERARI

La proclamazione del Regno italiano (17 marzo 1861) rappresentò per molti un importante traguardo: a partire dalla costituzione della “Giovine Italia”

mazziniana (1831), attraverso i moti rivoluzionari del ’48, si diffuse in fretta il desiderio comune di liberare ed unificare la penisola, anche a costo di sacrifici estremi

2

. Tante speranze furono riposte in tale meta, che purtroppo non si rivelò

1 MADRIGNANI,CARLO ALBERTO, Ideologia e narrativa dopo l’Unificazione. Ricerche e discussioni, Roma, Savelli, 1974, p. 42.

2 Basti ricordare ciò che Bettino Ricasoli, il “barone di ferro”, scrisse al senatore Francesco Borgatti: «Non c’è eccesso che non avrei commesso nel ’59 e ’60, quando fossi stato posto alla disperazione di perdere l’unità d’Italia: avrei ucciso mia figlia che era il mio grande affetto in terra, se ella avesse potuto essere un impedimento a conseguire il grande scopo cui tanti italiani miravano» (BETTINO RICASOLI, in SPADOLINI, GIOVANNI, Malinconia delle date, in ID., Autunno del Risorgimento. Miti e contraddizioni dell’unità, Firenze, Edizioni della Cassa di Risparmio di Firenze, 1986, pp. 126-127).

Per approfondimenti sul contesto storico cfr. anche ABBA, GIUSEPPE CESARE, Da Quarto a Volturno. Noterelle d’uno dei Mille, Introduzione di Giorgio De Rienzo, Milano, Mondadori, 1980;

CROCE,BENEDETTO, Storia d’Italia. Dal 1871 al 1915, Bari, Laterza, 1966; MACK SMITH,DENIS, L’Italia, in TUER BURY,JOSEPH PATRICK (a cura di), Storia del mondo moderno, vol. X, Il culmine della potenza europea (1830-1870), Milano, Garzanti, 1970; PESCOSOLIDO,GUIDO, L’Europa delle Nazioni, in AA. VV., Storia della letteratura italiana, vol. VIII, Tra l’Otto e il Novecento, Roma, Salerno Editrice, 1999; SPADOLINI,GIOVANNI, Le contraddizioni dell’Unità, in ID.,Autunno del Risorgimento, cit.

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all’altezza delle aspettative, e all’indomani dell’Unità l’entusiasmo venne offuscato da molta delusione. L’unificazione favorì infatti la classe dei possidenti, mentre non permise una risoluzione dei problemi territoriali, alcuni dei quali furono anzi inaspriti e palesati: in primis il divario regionale tra un Nord sempre più sviluppato ed un Sud ancora feudale e retrogrado (Cavour stesso aveva sperato che Parlamento e suffragio universale

3

potessero risolvere la cosiddetta

“questione meridionale”

4

); tra un “Paese reale”, quello delle classi povere e quindi facilmente assoggettabili, e un “Paese legale”, quello di aristocratici e borghesi che decidevano le sorti per tutti: solo ad una minoranza elitaria fu permesso di pianificare il nuovo assetto nazionale.

L’emergere della borghesia come classe dominante (il privilegio non era più sancito per nascita, bensì per patrimonio, capacità professionali e cultura) e il miglioramento tecnologico favorirono la diffusione del positivismo

5

, i cui dogmi di produttività e concretezza introdussero intelletto ed estro nei meccanismi del nuovo contesto unitario: da una parte si chiedeva all’arte di affiancarsi alla scienza, analizzare la vita nei suoi aspetti materiali e tangibili, svelare il

“semplice fatto umano”, senza mediazioni sentimentali o ideali (i ritratti dal vero e le storie di cronaca divennero così i soggetti prediletti)

6

; dall’altra si

3 Nel 1882 (circa vent’anni dopo l’Unità d’Italia e la morte di Cavour) la riforma elettorale instaurò il diritto di voto per tutti i maschi ventunenni, capaci di leggere e scrivere: l’alfabetismo era infatti considerato necessario per evitare manipolazioni politiche.

4 Il Mezzogiorno costituiva il problema più rilevante, non tanto come condizione economica (anche il Settentrione era di area perlopiù agricola), quanto come viabilità (stradale e ferroviaria), tasso d’analfabetismo, rapporti sociali nelle campagne, e strutture creditizie.

5 Sostenitori del positivismo furono, tra gli altri, Auguste Comte, considerato il fondatore della sociologia moderna; Charles Darwin, fautore di una nuova concezione dell’evoluzione naturale (animale e umana); Herbert Spencer, colui che cercò di applicare la teoria evoluzionistica a tutti gli aspetti della realtà.

6 Per il contesto letterario di questo paragrafo, cfr. AA.VV., Storia generale della letteratura italiana, vol. IX, La letteratura dell’età industriale: il secondo Ottocento, diretta da Nino Borsellino e Walter Pedullà, Milano, Motta, 1999; ANGELINI,FRANCA –MADRIGNANI,CARLO ALBERTO, Cultura, narrativa e teatro nell’età del Positivismo, Roma-Bari, Laterza, 1996; CAPUANA,LUIGI, Studii sulla letteratura contemporanea. Seconda serie, a cura di Paola Azzolini, Napoli, Liguori, 1988; CROCE, BENEDETTO, La letteratura della Nuova Italia, vol. I, Bari, Laterza, 1956; ID., La letteratura della Nuova Italia, vol. III, Bari, Laterza, 1964; ID., La letteratura della Nuova Italia, vol. VI, Bari, Laterza, 1974; FERRONI, GIULIO, Profilo storico della letteratura italiana, vol. II, Torino, Einaudi, 1992;

MADRIGNANI,C.A., Ideologia e narrativa dopo l’Unificazione, cit.; TROMBATORE,GAETANO, Riflessi letterari del Risorgimento in Sicilia e altri studi sul secondo Ottocento, Palermo, Manfredi, 1970.

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considerava sempre più l’oggetto artistico un prodotto commerciale da vendere e retribuire:

Qui inizia il mandato dello scrittore moderno: ecco profilarsi la strutturale ambiguità dell’intellettuale legato al processo capitalistico ma non per questo esente dal privilegio di guardare con occhio spesso critico questa società, che egli rinnega e insieme subisce; qui inizia la lunga storia della ribellione-accettazione nei confronti di un capitalismo sentito sempre più come estraneo, come nemico, già in questi anni, agli inizi di un lungo processo7.

In campo letterario le idee positiviste si accompagnarono alla nascita del verismo, il cui compito divenne quello di (rap)presentare la realtà nel suo farsi, in linea con i dettami zoliani orientati verso l’impersonalità dell’opera e l’assenza dell’autore dall’azione. È dunque corretto affermare che il verismo sia stato un’emanazione diretta del naturalismo francese, sebbene si tratti di un’eredità più di forma che di contenuti e intenti

8

. I romanzi naturalisti, ispirati agli assunti del filosofo Hippolyte Taine (propugnatore dell’idea secondo cui l’uomo è il prodotto di “race, milieu, moment”) e legittimati dal metodo sperimentale del fisiologo Claude Bernard (il cui trattato Introduction à l’étude de la médecine expérimentale [1865] divenne un testo di riferimento anche in ambito letterario), si rivolsero alla società con un concreto scopo di denuncia e di riforma, determinando la nascita del romanzo “sperimentale”, al quale Zola elargì lo statuto di “scientifico”

9

. In Italia del rapporto tra positivismo e letteratura si

Specificatamente per la letteratura verista, cfr. AA.VV., I verismi regionali, Atti del Congresso Internazionale di Studi: Catania, 27-29 aprile 1992, vol. II, Catania, Fondazione Verga, 1996;

BOLZONI, LINA – TEDESCHI, MARCELLA, Dalla scapigliatura al verismo, Roma-Bari, Laterza, 1975;

GHIDETTI, ENRICO, L’ipotesi del realismo. Storia e geografia del naturalismo italiano, Milano, Sansoni, 2000; GHIDETTI, ENRICO –TESTA, ENRICO, Realismo, naturalismo, verismo, psicologismo.

Capuana, Verga, De Roberto, in AA.VV., Storia della letteratura italiana, cit.; MARIANI,GAETANO, Ottocento romantico e verista, Napoli, Giannini, 1972; MARZOT, GIULIO, Battaglie veristiche dell’Ottocento, Milano-Messina, Principato, 1941.

7 MADRIGNANI,C.A., Ideologia e narrativa, cit., p. 23.

8 Persino l’uso del dialetto, molto sfruttato nella produzione verista, è stato per certi versi ripreso dall’Assommoir (1877), testo assai criticato di Émile Zola, il quale aveva cominciato ad intrecciare lingua letteraria e lingua parlata, fino all’inserimento di espressioni popolar-dialettali.

9 Il romanzo Thérèse Raquin (1873) e il saggio Le roman expérimental (1880), entrambi di Zola, sono i due manifesti, l’uno pratico e l’altro teorico, del naturalismo francese. È importante ricordare anche, come teorici naturalisti, Henry Becque con Les corbeaux (1882) e La parisienne

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occupò Francesco De Sanctis, affiancato più tardi da Vittorio Pica, entrambi in accordo nel dichiarare che fosse impossibile equiparare sperimentazioni scientifiche e sperimentazioni letterarie: queste ultime non sono infatti né ripetibili, né costanti. L’idea francese non riuscì quindi ad imporsi nel nostro Paese, a parte qualche eccezione in area lombarda (da ricordare almeno Cesare Tronconi e Paolo Valera che, con La folla [1901], seppe coniugare sistema sperimentale e denuncia sociale, nella presentazione del proletariato milanese).

Il periodo positivista-verista vide l’egemonia del romanzo (in campo letterario), considerato il più adatto ad incarnare i princìpi e le finalità artistiche del tempo. Luigi Capuana stesso, sostenitore del “metodo evoluzionistico” di Gaetano Trezza (che adottò tale metodo anche in campo umanistico, oltre che scientifico) e principale teorico verista (il 1872, anno in cui è uscita la raccolta dei suoi scritti, Il teatro italiano contemporaneo

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, è infatti considerato l’anno d’inizio del verismo), valutò questo genere come il più caratterizzante la sua contemporaneità; Giovanni Verga – nella Dedicatoria a Farina che apre L’amante di Gramigna

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– lo definì «la più completa e la più umana delle opere d’arte».

Anche il teatro riscontrò comunque un certo successo, sebbene fosse considerato una forma letteraria inferiore

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; esso si rivolgeva ad un pubblico troppo generico, la cui media di gusti ed intelletto non era gradita ai letterati più impegnati:

(1885); Edmond e Jules De Goncourt con la Prefazione a Germinie Lacerteux (1865) e quella a Les frères Zemganno (1879); e Guy De Maupassant con la Prefazione a Pierre et Jean (1889).

10 CAPUANA,LUIGI, Il teatro italiano contemporaneo, Palermo, Pedone Lauriel, 1872.

11 La novella è stata pubblicata per la prima volta con il titolo L’amante di Raja, in «Rivista minima», febbraio 1880.

12 Sul teatro dell’Ottocento, cfr. AA.VV.,Il secondo Ottocento. Lo stato unitario e l’età del positivismo, vol. VIII, Roma-Bari, Laterza, 1975; ALONGE,ROBERTO, Teatro e spettacolo nel secondo Ottocento, Roma-Bari, Laterza, 1988; ANGELINI,FRANCA, Il teatro, in ANGELINI,F.–MADRIGNANI,C.A., Cultura, narrativa e teatro, cit.; BARBINA,ALFREDO (a cura di), Teatro verista siciliano, Bologna, Cappelli, 1970; FERRONE,SIRO (a cura di),Teatro dell’Italia unita, Atti dei convegni: Firenze, 10-11 dicembre 1977 e 4-6 novembre 1978, Milano, il Saggiatore, 1980; NICASTRO, GUIDO, Teatro e società in Sicilia (1860-1918), Roma, Bulzoni, 1978; OLIVA,GIANNI, La scena del vero. Letteratura e teatro da Verga a Pirandello, Roma, Bulzoni, 1992; TINTERRI,ALESSANDRO (a cura di), Il teatro italiano dal naturalismo a Pirandello, Bologna, il Mulino, 1990.

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Ho scritto pel teatro, ma non lo credo certamente una forma d’arte superiore al romanzo, anzi lo stimo una forma inferiore e primitiva, sopra tutto per alcune ragioni che dirò meccaniche. Due massimamente: la necessità dell’intermediario tra autore e pubblico, dell’attore; la necessità di scrivere non per un lettore ideale come avviene nel romanzo, ma per un pubblico radunato a folla così da dover pensare a una media di intelligenza e di gusto, a un average reader, come dicono gli inglesi. E questa media ha tutto fuori che gusto e intelligenza; e se un poco ne ha, è variabilissima col tempo e col luogo13.

I motivi per cui gli autori veristi si accostarono al genere drammatico

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furono quindi la necessità di guadagno (essendo «la sola cosa che potesse fruttare materialmente alla letteratura»

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) e la consapevolezza che esso esercitasse una forte influenza sul pubblico. Si cominciò a sperare nella nascita di un teatro unitario (Capuana fu tra i primi a sostenere l’idea), che fosse in grado di superare i problemi linguistici e le divisioni regionali; trattare temi non solo globali, ma anche locali; e allo stesso tempo contrastare il sopravvento straniero (soprattutto francese) di vaudeville, pochade e commedie d’evasione, molto apprezzati dalla platea

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. Con tali premesse il teatro assunse valore sociale e divenne strumento di “utilità nazionale” (sebbene continuasse ad essere un genere artistico piuttosto elitario), oltre che mezzo di sussistenza. Ciò spinse i letterati che lo avevano sempre denigrato ad assumere le vesti di autori drammatici.

Le titubanze iniziali da parte degli intellettuali, e gli ostacoli creati dal repertorio estero e dall’assetto delle compagnie del tempo (in cui vigeva l’egemonia del grande-attore, più propenso ai testi tragici, con particolare

13 GIOVANNI VERGA, in OJETTI,UGO, Alla scoperta dei letterati. Colloqui con…, Milano, Dumolard, 1895, pp. 70-71.

14 Userò i termini “dramma” e “drammatico” per riferirmi a tutto ciò che riguarda la produzione per il teatro, seguendo l’accezione proposta in D’ANGELI, CONCETTA, Forme della drammaturgia. Definizioni ed esempi, Torino, UTET, 2004, p. 3.

15 Lettera di Giovanni Verga a Luigi Capuana (29 ottobre 1883), in RAYA,GINO (a cura di), Carteggio Verga-Capuana, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1984, p. 208.

16 La predilezione da parte del pubblico italiano per gli spettacoli d’evasione è dimostrata anche da una testimonianza di Giuseppe Costetti: «C’è una gran parte di pubblico che va al teatro solamente ed esclusivamente per ridere. È un gusto, come un altro, su cui è vano disputare: ma è un fatto, e spiega la voga delle pochades francesi, che fanno ridere sin troppo.

Se non vanno al teatro, quando si recita una commedia nostra, tutti coloro a cui piace ridere, e sono moltissimi, la colpa non è un poco ancora dei nostri autori?» (COSTETTI,GIUSEPPE, Il teatro italiano nel 1800, Bologna, Forni, 1978, p. 451 - I° ed. Rocca San Casciano, Cappelli, 1901).

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predilezione per Shakespeare e Alfieri), costrinsero il verismo a giungere sulle scene in ritardo rispetto alla diffusione che ebbe in campo narrativo: il primo esempio rilevante di teatro verista è la Cavalleria rusticana di Giovanni Verga, rappresentata il 14 gennaio 1884 al Carignano di Torino (se si escludono i primordiali esperimenti da parte di drammaturghi come Gaspare Mosca e Giuseppe Rizzotto, autori de I mafiusi di la Vicaria [1863]

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, considerato da molti il testo d’apertura del verismo drammatico; Vittorio Bersezio con Le miserie d’monnsù Travet [1863]; Giacinto Gallina, che si accosta al teatro a partire dal 1872). Ancora più tardi si affaccia in Italia l’Opera verista, inaugurata da un’altra Cavalleria rusticana (1890), quella di Pietro Mascagni, su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci.

1.2. N

UOVE OPERE PER NUOVE GESTIONI

Come per il teatro di parola, anche in campo musicale si portò avanti l’intento di preservare il repertorio nazionale, ostacolato ed offuscato dai musicisti francesi e tedeschi Charles Gounod, Jules Massenet, Giacomo Meyerbeer e Richard Wagner: forte si fece sentire la necessità di misurarsi con la musica estera, dalla quale trarre ispirazione (molti musicisti e critici videro in Wagner la scappatoia verso la sprovincializzazione della vita musicale italiana) senza però lasciarsi espropriare di un glorioso passato artistico

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. Ai capolavori

17 Laddove non specificata altra occasione, le datazioni di testi teatrali e libretti melodrammatici si riferiscono alle prime rappresentazioni.

18 Per approfondimenti in merito al teatro d’Opera di fine Ottocento, cfr. BALDACCI,LUIGI, Libretti d’opera e altri saggi, Firenze, Vallecchi, 1974; DORSI,FABRIZIO –RAUSA,GIUSEPPE, Storia dell’opera italiana, Milano, Mondadori, 2000: i capitoli In cammino verso il dramma musicale (1872-1889) e Il verismo e la Giovane Scuola (1890-1924); GIRARDI, MICHELE, Opera e teatro musicale, 1890-1950, in http://spfm.unipv.it/girardi/teatroxx.pdf (voce enciclopedica inedita);

GRONDA,GIOVANNA –FABBRI,PAOLO (a cura di), Libretti d’opera italiani. Dal Seicento al Novecento, Milano, Mondadori, 1997; GUARNIERI CORAZZOL, ADRIANA, Musica e letteratura in Italia tra Ottocento e Novecento, Milano, Sansoni, 2000; NICOLODI,FIAMMA, Orizzonti musicali italo-europei 1860-1980, Roma, Bulzoni, 1990; SALVETTI,GUIDO, Tra Ottocento e Novecento, in AA.VV.,Musica in scena. Storia dello spettacolo musicale, vol. II, Gli italiani all’estero. L’opera in Italia e in Francia,

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stranieri riuscirono a tenere testa ben poche opere italiane: escludendo il repertorio verdiano, si ricordino ad esempio Mefistofele (del 1868, con una nuova versione nel 1875), musica e libretto di Arrigo Boito, e La Gioconda (1876) di Amilcare Ponchielli, sempre su libretto di Boito (che si firmò “Tobia Gorrio”, anagramma del suo nome e cognome); fino al tardivo successo, tanto inatteso quanto sperato, di Cavalleria. Francesco D’Arcais salutò il trionfo di Mascagni come una concreta possibilità di risalita da parte del teatro d’opera italiano, in evidente crisi:

È parso che il Mascagni e la sua Cavalleria aprissero alla musica italiana, un nuovo e glorioso periodo di splendore. […] Ora è naturale la domanda: in quali condizioni si ridurrà il nostro teatro musicale, il giorno in cui il Verdi abbandonerà definitivamente le scene, se pure non le ha già abbandonate? L’invasione della musica francese e tedesca, con esclusione assoluta del repertorio italiano, già incominciata, anzi tanto inoltrata nei teatri dell’estero e della stessa Italia, non si compirà interamente? Quali opere nuove contrapporremo al repertorio straniero? Con quali armi combatteremo? Chi ci condurrà alle feconde battaglie dell’arte? […] Molto si esagera e forse si pecca d’ingiustizia, quando si lamenta la crescente antipatia degli stranieri per la musica italiana, che sarebbe fatta segno, dicesi, ad una opposizione sistematica. Quest’accusa è, almeno in parte, smentita dai fatti. Le nostre opere moderne che avevano veramente la virtù di varcare il confine, lo hanno passato. Non parliamo del Verdi; ma lo hanno passato il Mefistofele, la Gioconda, il Ruy-Blas, cioè le migliori opere, dopo quelle del Verdi, scritte in Italia nell’ultimo trentennio. Delle altre, quante e, soprattutto, quali meritavano quell’onore? La maggior parte vissero una vita effimera anche nei nostri teatri19.

In conseguenza dell’Unità d’Italia, si assiste anche ad un cambiamento della gestione finanziaria degli spazi teatrali, la cui amministrazione economica ricadde totalmente sui Comuni, non disposti a sostenere spese ingenti per pochi eletti, e dunque favorevoli ad un rinnovamento sociale delle platee: l’audience operistica, costituita perlopiù da aristocrazia e alta borghesia, cominciò ad annoverare i ceti medio-bassi (non il popolo

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). In poco tempo le nuove classi in

Torino, UTET, 1996; SCARDOVI,S., L’opera dei bassifondi, cit.

19 D’ARCAIS, FRANCESCO, La musica italiana e la Cavalleria rusticana del M.o Mascagni, in

«Nuova Antologia», serie III, vol. XXVII, fascicolo XI, 1° giugno 1890, pp. 518-530: p. 520.

20 A tal proposito, mi sembra interessante riportare una citazione di John Rosselli: «Leggere, come accade nei documenti contemporanei, che in loggione si trovava “il popolo” o “l’infima classe”, serve più che altro a rammentare fino a che punto fosse limitativo nel primo Ottocento il senso normale della parola “popolo”: i manovali, i mezzadri, i braccianti, i mendicanti non erano

“popolo”» (ROSSELLI, JOHN, L’impresario d’Opera. Arte e affari nel teatro musicale italiano

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ascesa negli affari e nell’industria, gli speculatori edilizi e finanziari, i politici e i funzionari soppiantarono gli antichi elitari frequentatori del teatro musicale, mentre i «parvenus meno blasonati» (per dirla con Guido Salvetti) affollarono i teatri minori che ospitavano una programmazione variegata, tale da accontentare più fasce di spettatori possibili: opere, operette (in particolar modo quelle viennesi di Johann Strauss Jr., Franz Suppé, Franz Lehár), prosa, varietà, balli (molto richiesti ed apprezzati soprattutto dopo il trionfo del Ballo Excelsior [1881], per la musica di Romualdo Marenco), café-chantant (dove fu la canzone napoletana a primeggiare), e persino il circo equestre (sostenuto e legittimato più tardi dai radicali manifesti futuristi

21

).

Della nuova gestione cominciarono ad occuparsi gli editori musicali che, con l’avvento del diritto d’autore

22

, ottennero maggior rilievo (fino a rivestire un vero e proprio ruolo impresariale), e si impegnarono a tutelare quegli autori che in essi affidavano ogni speranza. Riuscire a vendere nel miglior modo possibile le opere della propria squadra significava guadagnare in prima persona, e poter mantenere i compositori affiliati. Lo stesso Pietro Mascagni avrebbe rinunciato al

“Concorso Sonzogno”, pur di trovare l’appoggio sicuro di un editore (nel caso specifico Ricordi):

Se si potesse parlare in proposito al Sig. Giulio Ricordi?! […] Io non ho grandi pretese;

mi basterebbe una piccola cosa tanto da tirare avanti. – Io credo che il Sig. Ricordi farebbe un buon affare con questa Cavalleria rusticana, che si raccomanda col solo titolo.

Le ripeto che il libretto è buono; in quanto alla musica non le dico che questo: è riuscita come meglio non potrei desiderare; la strumentazione, poi, oggi è divenuta il mio forte e sono sicuro che se il Sig. Ricordi la sentisse, la troverebbe di suo gusto. – Io dietro una sua risposta sarei pronto a venire a Milano coll’opera; anche in questi giorni, e sarei felicissimo di non mandarla al Concorso Sonzogno. […] Del resto il Sig. Ricordi può chiedere di me anche allo stesso Puccini e sono certo che ne avrà risposta favorevole23.

dell’Ottocento, Torino, EDT, 1985, p. 408).

21 Cfr. AA. VV., Noi futuristi. Teorie essenziali e chiarificazioni, Milano, Quintieri, 1917, con particolare attenzione agli scritti: MARINETTI,FILIPPO TOMMASO, Il teatro di varietà, e MARINETTI, FILIPPO TOMMASO –SETTIMELLI,EMILIO –CORRA,BRUNO, Il teatro futurista sintetico. I due manifesti risalgono rispettivamente al 1913 e al 1915.

22 Con la legge del 2 aprile 1865 si comincia a parlare di “Diritto d’Autore”, poi ufficialmente regolamentato dalla legge del 25 luglio dello stesso anno. Nel 1882 viene infine fondata la S.I.A.E.

(Società Italiana degli Autori e degli Editori), con lo scopo di garantire il rispetto della normativa.

23 Lettera di Pietro Mascagni ad Alfredo Soffredini (5 maggio 1889), in MORINI,MARIO –IOVINO,

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I nuovi editori-impresari sfruttarono come potenti strumenti di divulgazione le riviste, grazie alle quali poterono sostenere le proprie “scuderie”

di compositori e autori (la «Gazzetta Musicale di Milano» era in mano a Ricordi,

«Il Teatro Illustrato» era gestito da Sonzogno, «L’Italia Musicale» era controllata dalla Lucca)

24

; nel frattempo si ingegnarono anche nella diffusione internazionale dell’Opera italiana, attraverso l’apertura di sedi distaccate all’Estero (Ricordi, già responsabile della Scala di Milano, aprì succursali a Lipsia [1901] e New York [1911], dove gestiva anche il Metropolitan; mentre Sonzogno, ancor prima di inaugurare a Milano il suo Teatro Lirico Internazionale [1894], aveva esteso il proprio controllo sul Theater an der Wien di Vienna [a partire dal 1892], per poi spingersi fino a Cuba e Calcutta)

25

. Per gli editori era infatti divenuto necessario avere ciascuno un proprio teatro privato (in Italia e all’Estero), da sfruttare come vetrina di promozione per le opere dei loro compositori:

Edoardo Sonzogno apre ogni anno, una o due volte, il suo teatro Lirico Internazionale, per esporvi qualche nuovo prodotto della sua casa editoriale. Il teatro diviene così per la sua casa una vetrina, che sul pubblico esercita un’attrazione forte, una efficacia di suggestione, onde all’opera vengono poi, nel cammino che dovrà percorrere, vantaggi che non otterrebbe rappresentata da un impresario, sia pure dei migliori, in qualche centro teatrale d’Italia26.

ROBERTO –PALOSCIA,ALBERTO (a cura di), Pietro Mascagni. Epistolario, vol. I, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 1996, p. 97.

24 Oltre alle riviste specializzate, periodici e quotidiani non musicali ospitavano recensioni, cronache e articoli, relativi alle programmazioni teatrali.

25 In merito alla nuova situazione impresariale-editoriale del teatro d’Opera fine- ottocentesco, cfr. ANTOLINI,BIANCA MARIA, L’editoria musicale in Italia negli anni di Puccini, in BIAGI

RAVENNI, GABRIELLA –GIANTURCO, CAROLYN (a cura di), Giacomo Puccini. L’uomo, il musicista, il panorama europeo, Atti del Convegno Internazionale di Studi su Giacomo Puccini nel 70°

anniversario della morte: Lucca, 25-29 novembre 1994, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 1997;

D’ARCAIS,FRANCESCO, L’industria musicale in Italia, in «Nuova Antologia», serie II, vol. XV, fascicolo IX, 1° maggio 1879, pp. 133-148; FORGACS,DAVID, Spettacolo: teatro e cinema, in AA.VV.,Guida all’Italia contemporanea 1861-1997, vol. IV, Comportamenti sociali e cultura, Milano, Garzanti, 1998: paragrafo 2. Il teatro dall’Unità alla Grande guerra; NICOLODI,FIAMMA, Il sistema produttivo, dall’Unità a oggi, in BIANCONI,LORENZO –PESTELLI,GIORGIO (a cura di), Storia dell’Opera italiana, vol.

IV, Il sistema produttivo e le sue competenze, Torino, EDT, 1987; SALVETTI,GUIDO, Musica, in AA. VV.,Guida all’Italia contemporanea, vol. IV, cit.: paragrafo 1. Tra pubblico e istituzioni; SANTI, PIERO,Copyright e tempo della morte nell’opera pucciniana, in BIAGI RAVENNI,G.–GIANTURCO,C. (a cura di), Giacomo Puccini, cit.

26 GUSTAVO MACCHI,in CAPRA,MARCO, “Nel demi-monde della cultura”. Il teatro musicale in Italia tra Ottocento e Novecento nella ricezione delle opere di Cilea, Giordano e Alfano, in STREICHER, JOHANNES (a cura di), Ultimi splendori. Cilea, Giordano, Alfano, Roma, ISMEZ, 1999, p. 62.

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L’intellettualità contemporanea non approvò il nuovo management, considerato corruttore dell’ingegno creativo

27

, e avanzò rimostranze contro lo Stato, perché cominciasse a sostenere i teatri in nome degli ideali estetici dell’arte, evitando le logiche di mercato. Insomma, all’indomani dell’Unità la conduzione “artigianale” e autonoma delle sale venne sostituita da una direzione d’impianto “commerciale-industriale”. Tale assetto costrinse il melodramma a mischiarsi con altre forme di spettacolo, a rendersi più attraente attraverso l’uso di tecnologie, e ad immettersi persino nelle Esposizioni Universali: da ricordare è l’Esposizione di Vienna del 1892, in occasione della quale Sonzogno radunò un’orchestra e una compagnia di canto, che permettessero il lancio delle opere veriste italiane (tra cui in primis Cavalleria rusticana). In questo modo la politica culturale si proiettò verso l’appariscenza e quella che Verdi chiamava, con un certo disprezzo, “réclame”: giornali e riviste si impegnarono a costruire e presentare eventi magnificenti, che annoverassero capolavori artistici, divi, geni della musica, riuniti e confezionati secondo le esigenze del mercato. La gestione teatrale più moderna diede anche il via alla moda dei concorsi (inaugurata con il

“Concorso Sonzogno”

28

), necessari per presentare al pubblico prodotti originali ed innovativi, e per selezionare giovani talenti.

Sulla scia delle nuove esigenze, l’opera verista si distaccò dalle storie fantastiche e dai personaggi di ascendenza romantica, attingendo plot e soggetti da realtà umili e contadine (soprattutto del Sud), sebbene si trattasse di proiezioni auliche, che in qualche modo dispersero gli intenti divulgativi precedentemente assunti dal genere romanzesco e parzialmente mantenuti da quello drammatico. Agli spettatori fu concessa solo una parvenza di vita reale:

27 Valido testimone di ciò è Gabriele D’Annunzio, “giovane raffinato” e “cultore delle arti belle”, che definì il tanto osannato Mascagni “capobanda” dei compositori veristi, e rivendicò al contrario l’assoluto primato della musica wagneriana.

28 La prima edizione del Concorso è avvenuta nel 1883, anno in cui partecipò anche Giacomo Puccini con Le Villi, su libretto di Ferdinando Fontana: l’opera-ballo pucciniana non vinse né ricevette alcun riconoscimento speciale. La commissione giudicatrice era costituita da nomi noti del panorama teatrale-operistico: Amilcare Ponchielli (come Presidente), Cesare Dominiceti, Franco Faccio, Amintore Galli, Pietro Platania.

(11)

Costoro non occuperanno le terre dei baroni né parteciperanno a scioperi agrari. […]

Sono, insomma, dei leoni da circo, pronti a ruggire per la gioia del pubblico, ma incapaci di azzannare chicchessia29

.

Il realismo

30

sale sulle scene melodrammatiche nel 1867 con Gli avventurieri di Gaetano Braga, su libretto di Antonio Ghislanzoni, e si consolida nel 1871 con Papà Martin di Antonio Cagnoni, ancora su versi di Ghislanzoni:

entrambe le opere si pongono tra scapigliatura e verismo, e sono caratterizzate da un recupero del quotidiano, fino a quel momento trascurato dalla produzione librettistica. Più tardi, il successo indiscusso di Cavalleria rusticana aprì una nuova epoca:

Questo trionfo che fu subito mondiale, di un’opera agile e breve chiuse definitivamente l’età dei “mastodonti”, già in agonia negli anni Ottanta. Questo trionfo di un teatro musicale che fu subito detto verista – un poco perché violento, un poco perché folclorico – gettò ombra su un teatro di poesie e di leggenda […]. Questo trionfo assunse scopertamente connotati nazionalistici: genialità italica da contrapporsi al wagnerismo vittorioso in tutta Europa, nonché al sinfonismo e al camerismo a cui l’Italia aveva solo allora cominciato a dare contributi decorosi con gli Sgambati, i Mancinelli e i Martucci31.

Sebbene l’atto di nascita del verismo in musica sia datato 17 maggio 1890 (la prima della Cavalleria di Mascagni al Costanzi di Roma), assai più complicato risulta determinare quali siano le opere da considerare veriste, soprattutto visto il fitto panorama musicale che si è andato costituendo negli anni coevi.

29 TEDESCHI,RUBENS, Addio, fiorito asil. Il melodramma italiano da Boito al verismo, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 75-76.

30 In questo caso ho usato il termine “realismo” secondo l’accezione di Roman Jakobson: «Che cos’è il realismo per un teorico dell’arte? È una corrente che si è posta il fine di riprodurre la realtà nel modo più fedele possibile e che aspira al massimo della verisimiglianza: definiamo realiste le opere che ci sembrano verisimili, fedeli alla realtà» (JAKOBSON, ROMAN, Il realismo nell’arte, in TODOROV,TZVETAN (a cura di), I formalisti russi. Teoria della letteratura e metodo critico, Prefazione di Roman Jakobson, Torino, Einaudi, 1968, p. 98). La definizione del termine è però molto più complessa: la questione terminologica relativa a “realismo”, “naturalismo” e

“verismo”, soprattutto in campo musicale, verrà affrontata quivi, capitolo 2. Verismo in musica:

un dibattito in sospeso…

31 SALVETTI, G., Tra Ottocento e Novecento, cit., p. 417. Giovanni Sgambati (pianista e compositore), Luigi Mancinelli (direttore d’orchestra e violoncellista) e Giuseppe Martucci (direttore d’orchestra, compositore e pianista) si sono infatti cimentati nella composizione di musica sinfonica e da camera.

(12)

1.3. T

RA

V

ERISMO E POST

-V

ERISMO

Il verismo melodrammatico non rappresentò l’unica manifestazione musicale del suo tempo, esso fu affiancato da altre correnti, e i componenti della stessa “Giovane Scuola” non si misurarono con uno stile univoco

32

. Mi riferisco ad esempio ad Antonio Smareglia il quale, nonostante la parentesi verista di Nozze Istriane (su libretto di Luigi Illica [1895], tratto da un fatto di cronaca), è conosciuto per la trilogia simbolista in collaborazione con Silvio Benco: La Falena (1897), Oceàna (1904), Abisso (1914); Riccardo Zandonai, che compose la Francesca da Rimini (1914), su libretto di Gabriele D’Annunzio; Franco Alfano, noto per la fantastica Leggenda di Sakuntala (1921, su libretto proprio), e ricordato soprattutto per aver composto il finale di Turandot (rimasta incompiuta per la morte di Puccini). Altri seguirono l’importante esperienza del futurismo che cominciò a stravolgere i rapporti con il pubblico: l’intento di compiacere la platea per ricevere consensi lasciò il posto al desiderio di provocarla e scuoterla in nome degli ideali estetici dell’arte. Sul Manifesto della musica futurista (1911), Francesco Balilla Pratella scrive infatti:

32 Per quanto riguarda la storia dell’Opera tra Ottocento e Novecento, cfr. CASINI,CLAUDIO, L’Ottocento, vol. II, Torino, EDT, 1978; DAHLHAUS, CARL, La musica dell’Ottocento, Firenze, La Nuova Italia, 1990; DELLA SETA,FABRIZIO, Italia e Francia nell’Ottocento, Torino, EDT, 1993; GIRARDI, M., Opera e teatro musicale, cit.; GRONDA,G.–FABBRI,P. (a cura di), Libretti d’opera italiani, cit.;

GUARNIERI CORAZZOL, A., Musica e letteratura in Italia tra Ottocento e Novecento, cit.; IZZO, FRANCESCO –STREICHER,JOHANNES (a cura di), Ottocento e oltre. Scritti in onore di Raoul Meloncelli, Roma, Editoriale Pantheon, 1993; NICOLODI,FIAMMA, Gusti e tendenze del novecento musicale in Italia, Prefazione di Fedele D’Amico, Firenze, Sansoni, 1982; PESTELLI,GIORGIO, Musica, in STAJANO, CORRADO (a cura di), La cultura italiana del Novecento, Roma-Bari, Laterza, 1996; PORTINARI,FOLCO, Pari siamo! Io la lingua, egli ha il pugnale. Storia del melodramma ottocentesco attraverso i suoi libretti, Torino, EDT, 1981;SALVETTI,GUIDO, Il Verdi della maturità e il secondo Ottocento, in AA. VV., Musica in scena, vol. II, cit.; SALVETTI,G., Tra Ottocento e Novecento, cit.; ID.,L’opera nella prima metà del secolo,inAA.VV., Musica in scena, vol. II,cit.; SALVETTI,G., Musica, cit.;STREICHER, JOHANNES –TERAMO,SONIA –TRAVAGLINI,ROBERTA (a cura di), Scapigliatura e Fin de Siècle. Libretti d’opera italiani dall’Unità al primo Novecento. Scritti per Mario Morini, Roma, ISMEZ, 2004; TATTI, MARIASILVIA (a cura di), Dal libro al libretto. La letteratura per musica dal ’700 al ’900, Introduzione di Giulio Ferroni, Roma, Bulzoni, 2005; TEDESCHI,R., Addio, fiorito asil, cit.

(13)

Essendo entrato, così trionfalmente, nell’ambiente musicale italiano, in contatto col pubblico, cogli editori e coi critici, ho potuto giudicare con la massima serenità il mediocrismo intellettuale, la bassezza mercantile e il misoneismo che riducono la musica italiana ad una forma unica e quasi invariabile di melodramma volgare, da cui risulta la assoluta inferiorità nostra di fronte all’evoluzione futurista della musica negli altri paesi33

.

Tale idea avrebbe comportato nuove conseguenze, tra cui quella di abbandonare le Accademie musicali in nome dello «studio libero» e autodidatta;

combattere i critici e «l’influenza malefica dei loro scritti»; allontanarsi dagli

«ambienti commerciali» e preferire una vita povera piuttosto che vendere l’arte;

distaccarsi sempre più dal passato in visione del futuro; dare al libretto il titolo di

«poema drammatico o tragico per la musica», dimostrandone l’importanza primaria; spingersi verso il contemporaneo «ed esaltare tutto ciò che in musica appaia originale e rivoluzionario ritenendo un onore l’ingiuria e l’ironia dei moribondi e degli opportunisti»

34

.

Alla fine del secondo decennio del Novecento, in un contesto di innovazioni, Gian Francesco Malipiero, dopo le esperienze con D’Annunzio e Depero, tra simbolismo e futurismo, porta a compimento le sue ricerche antinaturaliste e antiaccademiche, basate su «assenza del dialogo; immobilità psicologica del canto; raffigurazioni brevi con valore emblematico; conseguente eliminazione della continuità drammatica e, con essa, di una riconoscibilità apprezzabile dell’azione, che non viene mai direttamente riferita allo spettatore»

35

(da ricordare almeno due trilogie: L’Orfeide [1925], con la quale ebbe notevole successo anche in Germania; e il trittico goldoniano [1926] La bottega del caffè, Sior Todero Brontolon, Le baruffe Chiozzotte, con il quale tentò di tornare all’oggettività espressiva delle maschere della Commedia dell’Arte).

Dietro la spinta di Malipiero (secondo il quale è «l’artista che guida il pubblico,

33 BALILLA PRATELLA,FRANCESCO, La musica futurista, in AA.VV., Noi futuristi, cit., p. 53. Balilla Pratella compose La sina d’Vargöun (1909, suo anche il libretto in versi liberi, in linea con l’idea futurista secondo cui il musicista doveva occuparsi in prima persona della parte drammatica per non avere vincoli esterni): con quest’opera vinse il “Concorso Baruzzi”, giudicato da Pietro Mascagni, Giacomo Orefice, Guglielmo Mattioli, Rodolfo Ferrari e dal critico Gian Battista Nappi.

34 Cfr. BALILLA PRATELLA,F., La musica futurista, cit., pp. 53-54.

35 SALVETTI,G., L’opera nella prima metà del secolo, cit., p. 481.

(14)

non viceversa»

36

) e delle influenze estere di Richard Strauss, Igor Stravinskij e Arnold Schönberg (con le loro sperimentazioni musicali), gli anni Trenta danno il via ad un rinnovamento radicale di contenuti e musica: i compositori della cosiddetta “Generazione dell’Ottanta”

37

, spesso anche librettisti delle loro opere, cominciano a spaziare dai temi di letteratura teatrale classica (Alfredo Casella si cimenta nella composizione musicale dei Balletti Svedesi

38

con La Jarre [1924], su testo di Luigi Pirandello, che qualche anno dopo scriverà il libretto della Favola del figlio cambiato [1933] per Malipiero; ancora più tardi Ildebrando Pizzetti porterà in scena Assassinio nella Cattedrale [1958], dal dramma di Thomas Stearns Eliot), alle trame fantastiche (Ottorino Respighi si ricorda ad esempio per La campana sommersa [1927], su libretto di Claudio Guastalla, tratto da Gerhart Hauptmann; mentre Casella compone l’opera-fiaba La donna serpente [1932] da Carlo Gozzi), fino all’estetica dannunziana (Pizzetti si era già distinto come nuovo compositore con Fedra [1915], ispirata al dramma dannunziano, ricavato a sua volta dalla tragedia euripidea)

39

.

Lo spirito di cambiamento si conclude con Luigi Dallapiccola, che sale sulle scene con l’atto unico Volo di notte (1940, su libretto proprio) da Antoine de Saint-Exupéry:

La sua ammirazione senza pregiudizi per il teatro Ottocentesco fece tornare alla luce le vere qualità del compositore d’opera italiano, che si riflettono nelle molte pagine in cui una vocalità aderente al dramma, si unisce a una raffinata padronanza del linguaggio correntemente parlato dagli artisti europei. Si era così ricreata quella linea internazionale, in cui si sarebbe mosso anche Petrassi, che la morte di Puccini aveva interrotto40.

36 GIAN FRANCESCO MALIPIERO, in SALVETTI,G., Musica, cit., p. 608.

37 I giovani musicisti della “Generazione dell’Ottanta” condividevano tra loro «la vocazione elitaria, il culturalismo, il disprezzo per il mestiere e la routine, la polemica nei confronti dell’opera, l’avversione per il verismo» (CAPRA,M., “Nel demi-monde della cultura”, cit., p. 59).

38 Negli anni Venti (1920-1924) a Parigi si svilupparono e diffusero i Balletti Svedesi di Rolf de Maré e Jean Börlin, che riuscirono a tenere testa ai più noti Balletti Russi di Diaghilev.

Collaboratori della compagnia furono tra gli altri: Picabia, Bonnard, De Chirico, Léger, Jean Hugo.

39 Negli anni 1925-1930, vengono istituiti nuovi concorsi e festival: la Biennale di Venezia comprende in sé il Festival di Musica Contemporanea; nel 1933 a Firenze nasce il Maggio Musicale; mentre nel 1937 a Bergamo sorge il Teatro delle Novità.

40 GIRARDI,M., Opera e teatro musicale, cit., p. 158. Goffredo Petrassi ha composto musica da camera, corale e vocale, balletti e colonne sonore (si ricordino almeno quelle per Riso amaro [1949] di Giuseppe De Santis e Cronaca familiare [1962] di Valerio Zurlini).

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