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Il premio Nobel per la Letteratura assegnato a Derek Walcott nel 1992,

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INTRODUZIONE

David Dabydeen è uno dei maggiori autori provenienti dalla diaspora antillana, come confermato dallo Hind Ratten Award, conferitogli nel 2007 per il suo eccezionale contributo alla letteratura e alla vita intellettuale della diaspora.

Il ventesimo secolo è stato caratterizzato dallo spostamento di migliaia di persone, fuggite dai loro paesi in cerca di nuovi orizzonti, spinti da guerre, genocidi, persecuzioni politiche e religiose. La conseguenza diretta di queste diaspore è l'emergere di diverse comunità al fuori dei luoghi d‟origine; comunità che mettono radici nella società di accoglienza conservando, tuttavia, costumi e tradizioni. Il risultato è l'esperienza di vivere tra due tempi e due luoghi: il presente nello spazio di accoglienza e il passato nel luogo di origine. A questo fenomeno non sono sfuggiti nemmeno gli scrittori delle Indie occidentali che, date le precarie condizioni esistenti nello spazio insulare, sono stati costretti a emigrare per potersi impegnare nella creazione letteraria. Canada, Stati Uniti e Gran Bretagna diventano i principali paesi di destinazione, a seconda dei servizi offerti o delle restrizioni sull‟immigrazione. Questi autori hanno cercato di mantenere viva l‟eredità della loro cultura di appartenenza anche nei nuovi luoghi di arrivo, integrandosi come cittadini senza mai perdere il legame con la madrepatria. La crescente visibilità di questi scrittori nel mercato editoriale attira sempre di più l‟attenzione sulla produzione letteraria della diaspora, che fa dell‟esperienza della migrazione e dell‟esilio i suoi temi dominanti.

Il premio Nobel per la Letteratura assegnato a Derek Walcott nel 1992,

uno dei più grandi scrittori del nostro tempo, è sintomatico del forte cambiamento

culturale in atto. Come dimostrano i precedenti Nobel conferiti al nigeriano Wole

Soyinka e alla sudafricana Nadine Gordimer, la letteratura in inglese non si limita

più soltanto a Gran Bretagna, Irlanda e Stati Uniti: nella seconda metà del XX

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secolo le rivendicazioni culturali, seguite al processo di colonizzazione, hanno dato vita a un importante corpus letterario che ha per protagonisti autori delle ex colonie. Tra i più noti scrittori della letteratura delle Indie occidentali è doveroso ricordare Vidiadhar Surajprasad Naipaul, i cui romanzi si focalizzano sul retaggio coloniale dell'Impero Britannico; Wilson Harris, guyanese che ha esordito come poeta, diventando poi famoso come romanziere e saggista dallo stile spesso astratto e densamente metaforico; e George Lamming, poeta e romanziere nato nelle Barbados. 1 Questi autori hanno raggiunto una notorietà tale a livello internazionale da far dichiarare allo storico e saggista trinidadiano C. L. R. James che, allo stato attuale, non conosce nessun altro paese di lingua inglese capace di produrre un trio della qualità letteraria quali quella di Harris, Lamming e Naipaul.

Del resto, lo stesso Derek Walcott sarà definito dal poeta russo-americano Joseph Brodsky: «The great poet of the English language». 2

Gli autori delle Indie occidentali si sentono, da una parte, prosecutori di una lunga tradizione letteraria e culturale che prende il via con il romanzo Becka’s Buckra Baby (1903) del giamaicano Tom Redcam e con i romanzi di Herbert G.

de Lisser, 3 dall‟altra, partecipi dello sviluppo di una cultura nuova e in espansione. 4 Ciò è possibile perché alcuni luoghi delle Indie occidentali sono ancora incontaminati, pertanto gli autori – come tanti nuovi Adamo 5 – si sentono in dovere di assegnare un nome alle cose. Come sostiene Walcott, la percezione che l'antillano ha di sé come «uomo nuovo» nasce proprio dalla consapevolezza che con la parola possiede il potere supremo di dare un nome alle cose, identificarle, dar loro un significato, in breve consentire al creatore verbale di creare il suo universo.

1

B. K ING , West Indian Literature, MACMILLAN EDUCATION LTD (2

nd

edition), London, 1995, p. 1.

2

J. B RODSKY , On Derek Walcott, in «New York Review of Books», November 10, 1983, p. 39.

3

D. C. D ANCE (ed.), Fifty Caribbean Writers: A Bio-Bibliographical Critical Sourcebook, Westwood, Connecticut: Greenwood Press, 1986, p. 2.

4

ivi, p. 3.

5

ivi, p. 4.

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7

Se è vero che molti scrittori delle Indie occidentali concordano sull'importanza della parola, non è tuttavia semplice risolvere la controversia su quale sia la parola da usare. Molte lingue infatti sono a disposizione di questi autori. Il critico Kenneth Ramchand ha sottolineato il forte disaccordo degli autori sulla lingua da adottare: potrebbe essere l'inglese standard, oppure una lingua africana, o l‟Hindi, o un qualsiasi altro dialetto. La vera sfida non è tanto scegliere una lingua, quanto decidere cosa prendere da ognuna di esse. 6

Le Indie occidentali dunque sono un luogo di differenze che riguardano le origini radicalmente differenti dei suoi popoli, le molte lingue e culture che sono parte della sua storia e i molti paesi e isole differenti che ne fanno parte. Sebbene abbiano in comune la storia e molte altre caratteristiche, la composizione culturale e sociale di Giamaica, Barbados, Trinidad, Santa Lucia, Belize e Guyana è alquanto diversa. Le conquiste, la schiavitù, l'economia delle piantagioni e l'immigrazione hanno storie e conseguenze differenti in ognuno di questi paesi. 7 Eppure alle spalle della letteratura caraibica sembra esserci un passato condiviso, benché questo passato debba essere raccontato da prospettive e voci diverse:

quella di Santa Lucia con Derek Walcott, quella di Trinidad con V.S. Naipaul, quella dei neri delle Barbados con George Lamming, quella di diverse donne giamaicane con Olive Senior e quella della Guyana con David Dabydeen. Wilson Harris e Derek Walcott sono tra coloro che hanno tentato di offrire una prospettiva più ampia; tuttavia nessuno scrittore può sperare di abbracciare ogni aspetto di questa realtà.

Le diverse estrazioni regionali e culturali in perenne contrasto, e il bisogno di lottare per sopravvivere, rappresentano il substrato da cui questi autori traggono i soggetti delle loro opere. Il predominio della cultura europea in epoca coloniale, d‟altro canto, ha fatto sì che la padronanza della lingua inglese e la conoscenza della cultura europea divenissero il mezzo essenziale per farsi strada in una

6

Ibidem.

7

ivi, p.3.

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8

società che offriva ben poche opportunità nell‟area del commercio, della tecnologia e delle scienze. Si trattava di una società in cui l‟istruzione post- primaria era rara e costosa. Il romanzo di Lamming In the Castle of My Skin, uno dei più noti della letteratura delle Indie occidentali, mostra come l'alienazione dalla famiglia e dal villaggio sia il risultato dell'apprendimento di un'istruzione.

Tale allontanamento diventa poi metafora della perdita di comunicazione che si è verificata quando le Indie occidentali misero da parte il paternalismo dell'insediamento feudale per passare al moderno capitalismo individualista. 8 La natura competitiva e l'alta qualità del sistema educativo, uniti alla presenza di intellettuali influenti e insegnanti ben preparati, hanno garantito agli scrittori delle Indie occidentali un livello di istruzione, nell'ambito della letteratura ma anche semplicemente nell'uso dell'inglese, migliore rispetto ai loro contemporanei in Inghilterra e negli Stati Uniti. La pièce di Walcott Remembrance è un esempio di quelle opere letterarie che ricordano il rigore di una educazione coloniale, incentrata com‟è sull'incontro/scontro culturale. A House for Mr Biswas di Naipaul mostra in modo meno benevolo la terribile competitività di questo sistema educativo, con i bambini che lottano per fuggire dalla povertà e guadagnarsi l‟accesso al benessere borghese.

La cultura coloniale non è mai stata priva di vitalità. Gli anni Trenta sono stati caratterizzati dalla ricerca nell'ambito della musica caraibica, del ballo, del folclore e delle loro origini in Africa e in Europa. La seconda guerra mondiale ha portato i soldati americani, il denaro americano e soprattutto le idee americane. In questo periodo Londra diventa il centro per la diffusione e il consolidamento della letteratura caraibica in lingua inglese. La guerra e il primo dopoguerra spinsero in queste zone molti intellettuali di idee progressiste, sostenitori della cultura locale e dell'indipendenza politica. Le vecchie divisioni sociali cominciarono a sgretolarsi;

artisti locali vennero introdotti nei movimenti culturali più recenti:

8

B. K ING , West Indian Literature, cit., p. 2.

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9

impressionismo, cubismo, esistenzialismo e il teatro dell'assurdo furono ben presto assorbiti anche dagli artisti delle Antille. 9

Gli anni Cinquanta hanno segnato poi il consolidamento di questa letteratura che inizia a diffondersi dentro e fuori i confini dell'Inghilterra.

Programmi trasmessi dalla BBC come Calling the West Indies e Caribbean Voices diventano noti ai giovani scrittori, che iniziano a creare una vera e propria letteratura della diaspora. Autori come Austin Clarke, Wilson Harris, George Lamming, V.S. Naipaul e Samuel Selvon appartengono alla prima generazione che ha fatto di Londra la capitale dei Caraibi inglese. I temi affrontati corrispondono a due tendenze: la ricerca d‟identità e la discriminazione razziale nel rapportarsi con quella che allora era identificata come «madrepatria». La prima è alimentata dal processo di decolonizzazione che si stava verificando nei Caraibi e spingeva i soggetti ad interrogarsi sul proprio posto nel mondo. La seconda tendenza è determinata dalle circostanze sociali che la comunità degli immigrati era costretta a fronteggiare in territorio britannico. Uno degli scrittori che nelle sue opere ha affrontato l‟esperienza della diaspora è Samuel Selvon.

L‟autore, di origine indiana, nato a Trinidad, esplora i problemi e le avventure degli immigrati neri arrivati in Inghilterra alla fine della guerra. La sua trilogia, The Lonely Londoners (1956), Moses Ascending (1975), Moses Migrating (1983) rivela attraverso le esperienze del suo personaggio principale, Moses Aloeta, la realtà e i sogni degli antillani nella società inglese: la ricerca della terra promessa, la delusione dell‟incontro e l‟incapacità di tornare all‟isola di origine. 10 L‟interesse per l‟esperienza della migrazione si rivela anche nell‟opera di altri autori come il barbadiense George Lamming con il romanzo The Inmigrants, scritto nel 1954, o Austin Clarke che, al contrario dei suoi contemporanei, emigrò in Canada, diventando il principale scrittore di frontiera. L‟opera di questo autore

9

Ibidem.

10

B. KING, The Internationalization of English Literature. The Oxford English Literary History,

Oxford University Press, Vol. 13, Oxford, 2004, p. 185.

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10

copre vari decenni e la sua trilogia A Meeting Point (1967), Storm of Fortune (1973) e The Bigger Light (1975) dà conto della vita dei caraibici nel Nord. 11 Questa prima generazione spiana la strada a quella che sarà la letteratura caraibica di lingua inglese. Il rapporto del soggetto con lo spazio diventa il centro nevralgico: lo sguardo si posa sull‟isola d‟origine e su qualsiasi altra isola del mare del Nord dove giungono gli immigrati.

La migrazione prosegue anche nei decenni successivi nonostante la proclamazione d‟indipendenza e l‟inclusione di nuovi nomi che vanno ad ingrossare la lista degli scrittori fuori dall‟arcipelago.

Sebbene l‟Inghilterra continusse ad essere la destinazione principale, altri luoghi cominciarono a rappresentare mete alternative: il Canada e gli Stati Uniti diventarono le nuove terre promesse. Questi spazi furono raggiunti da scrittori come Jamaica Kincaid (Antigua), Dionne Brand (Trinidad) e Neil Brissondath (Trinidad). Coloro che migrarono tra gli anni Sessanta e Settanta affrontarono con fare inquisitorio gli elementi dell‟identità nazionale e individuale, senza mai smettere di parlare del fenomeno dell‟esilio. Avendo vissuto sulle isole gli anni dell‟emancipazione e l‟emergere di governi nazionalisti, introducono nella loro scrittura il ritratto delle società post-indipendentiste e il processo di ricostruzione postcoloniale.

Se gli scrittori antillani della prima generazione si consideravano succubi delle divisioni sociali fra neri e bianchi, le nuove antologie, scritte da autori nati o cresciuti in territorio inglese, dimostrano un cambiamento di prospettiva nella scrittura. Non si ode più la voce dell‟emigrante, tantomeno la nostalgia per una terra cui si spera di tornare dopo un soggiorno temporaneo nella metropoli. Ormai quella che si sente è la voce del «Black British West Indian» che parla contro la discriminazione e grida per ottenere gli stessi diritti di ogni altro cittadino, manifestando così un aumento della sensibilità sociale. I cambiamenti verificatisi

11

V. RAMRAJ, West Indian Writing in Canada, in B. K ING (a cura di), West Indian Literature,

cit., pp.102-114.

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11

nel corso dei decenni hanno portato molti autori della diaspora antillana a considerare se stessi come veri cittadini britannici. Tuttavia, alcuni di loro riconoscono di appartenere a più di una cultura, di un‟etnia, di una nazione.

L‟opera di Caryl Phillips, David Dabydeen e Fred D‟Aguir è interessante proprio perché dà voce a questa doppia coscienza di essere britannici e caraibici al contempo: questo aspetto viene ricreato nella scrittura mediante una narrativa frammentata e polifonica. Se questa duplice identificazione – ovvero il sentirsi legati alla tradizione delle Indie occidentali e a quella della letteratura straniera – sia una fase di passaggio conseguente alle circostanze storiche presenti o se sia la via del futuro deve ancora essere stabilito. Certo è che un sorprendente corpus di testi di ottima qualità è già stato prodotto. 12 La letteratura della diaspora mostra una grande padronanza di tematiche che spaziano dall‟esperienza diretta della migrazione ad altre più astratte come la dispersione, lo sradicamento, l‟ingiustizia sociale; temi che traggono spunto sia dalla tradizione letteraria inglese, sia dalla più recente cultura caraibica.

Bruce King riflette su come sia possibile spiegare l‟alta qualità della letteratura delle Indie occidentali. È consuetudine credere che l‟arte derivi da una lunga tradizione e una società forte. Questo è vero nel senso che una forma artistica nasce come linguaggio fatto di convenzioni che ogni artista può assimilare o respingere. Persino la letteratura di protesta, sottolinea King, si fonda su regole, convenzioni e modelli. Del resto è anche vero che proprio le società più forti garantiscono quel patrocinio necessario al fine di creare un‟arte complessa e duratura. Tuttavia, la stabilità è relativa. La vita stessa è fatta di crescite e cali. E la vitalità della letteratura delle Indie occidentali incarna esattamente questo cambiamento, sia nelle sue note di collasso della società coloniale, riflettendo sui conflitti etnici e di classe, sia nelle sue varianti della lingua inglese. La diversità di regione e culture diventa la fonte da cui attingono molti scrittori. Il bisogno di dare un senso alla discontinuità finisce quindi per alimentare l‟arte stessa. La

12

B. K ING , West Indian Literature, cit., p. 6.

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12

raccolta di racconti Arrival of the Snake-Woman di Olive Senior, In the Castle of My Skin di Lamming, il romanzo Wide Sargasso Sea di Jean Rhys, A House for Mr Biswas di V. S. Naipaul e Another Life di Derek Walcott conferiscono a loro modo un ordine narrativo e letterario ai cambiamenti culturali, sociali, economici, politici e personali. 13

GLI ANNI OTTANTA

Gli anni Ottanta hanno visto la nascita del teatro e del cinema nero e l'esplosione della narrativa post-coloniale non da ultimo riconosciuta con importanti premi letterari. 14 Gli scrittori delle Indie occidentali hanno pubblicato circa cinquanta opere di narrativa, circa settanta volumi di poesia e una ventina di antologie poetiche. 15 Nel 1981 Hanif Kureishi ha scritto Outskirts e Borderline per il Royal Court Theatre e nel 1985 Stephen Frears ha curato la regia di My Beautiful Laundrette, basato sul testo di Kureishi che in seguito ha ricevuto una nomina per l'Oscar. Il film, divenuto molto popolare, è stato acclamato come un importante manifesto della cultura nera della Gran Bretagna. Lo stesso decennio ha visto anche l'aumento della fama di Salman Rushdie, da Midnight's Children a Satanic Verses, il primo omaggiato dal Premio Booker ed il secondo stigmatizzato dalla fatwa degli ayatollah. I classici scrittori neri anglofoni delle generazione precedenti, come Wilson Harris o V. S. Naipaul, sono stati affiancati da diversi nuovi scrittori di recente immigrazione – David Dabydeen e Ben Okri – e dalla discendenza della Gran Bretagna nera, gente giovane nata e cresciuta in Gran Bretagna, come Caryl Phillips, Zadie Smith, Kureishi stesso ed altri i quali sviluppando la dialettica “etnica”, hanno dato voce a quel che significava essere

13

ivi, p. 7.

14 http://www.el-ghibli.provincia.bologna.it/id_1-issue_01_05-section_6-index_pos_1.html (ultima volta consultato in data 12/09/2011).

15

L. A. B REINER , The Eighties, in B. K ING (a cura di), West Indian Literature, cit., p.76.

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13

'britannico', non più da un'angolazione di periferia d'immigrazione ma dalla prima linea della post-immigrazione 16 .

Rispetto ai decenni precedenti inoltre colpisce la quantità di nuove voci femminili. Negli anni Ottanta infatti è aumentato il numero di opere non soltanto scritte da donne ma soprattutto rivolte a un pubblico femminile. Due antologie apparse sul finire di questo decennio sono indicative di questo nuovo andamento:

Her True-True Name (1989), dove Pamela Mordecai e Betty Wilson hanno raccolto un interessante campionario di storie e passi tratti dalle opere di circa trenta autrici, che mostrano la varietà di culture e tradizioni caraibiche; e Creation Fire: A Cafra

17

Anthology of Carribean Women’s Poetry (1990) di Ramabai Espinet, che contribuisce al tentativo di dare visibilità alle donne creative delle Indie occidentali fornendo brevi biografie e immagini delle autrici stesse. 18 Negli anni Ottanta del resto ha avuto luogo anche la prima Conferenza Internazionale sulle Scrittrici Caraibiche di Lingua Inglese, tenutasi al Wellesley College (Massachusetts) nell‟aprile del 1988.

Ad attrarre l‟attenzione in questo periodo è stata anche la letteratura indo- caraibica e la sua implicita storia culturale. Gli autori delle Indie occidentali di retaggio Indo orientale sin dall‟inizio sono stati in prima linea nella letteratura regionale, soprattutto nella narrativa. Ma esiste anche una peculiare letteratura indo-caraibica con una propria estetica, come dimostrato da due pubblicazioni del 1985: East Indians in the Caribbean: A Bibliography of Imaginative Literature in English 1894-1984 di Jeremy Poyinting e The Still Cry: Personal Accounts of East Indians in Trinidad and Tobago during Indentureship (1894-1917) di N. K.

Mahabir. Sul finire del decennio poi hanno fatto la loro comparsa molte altre opere su questo argomento, quali India in the Caribbean (1987) curato dallo

16

I. V IVAN , L’impatto dell’ibridazione post-coloniale sulla britannicità della letteratura britannica, cit., p. 6.

17

CAFRA (The Caribbean Association for Feminist Research and Action) è un‟associazione fondata nel 1985.

18

L. A. B REINER , The Eighties, cit., p.76.

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14

stesso Dabydeen assieme a B. Samaroo, e l‟antologia sulla letteratura indo- caraibica, Jahaji Bhai (1988), di Frank Birbalsingh. 19

La comunità denomitata “Black British”, costituitasi con l‟emigrazione postbellica dalle Indie occidentali all‟Inghilterra, e i suoi successi letterari hanno ottenuto dunque un grande riconoscimento negli anni Ottanta. Sia che si parli di esilio, espatrio, o emigrazione, la dispersione in giro per il mondo diventa, senza dubbio, una parte essenziale della vita degli scrittori delle Indie occidentali.

Gli anni Ottanta sono stati il decennio di Margaret Thatcher, di Ronald W.

Reagan e di George H. W. Bush. La primo ministro del Regno Unito dal 1979 al 1990 mise in guardia la cultura inglese dal pericolo di essere sommersi da ondate di immigrati neri. Il risultato fu una generale indifferenza nei confronti della situazione dei neri, caratterizzata da disoccupazione, salari bassi, alloggi squallidi e istruzione spesso inadeguata. 20 La dura situazione economica ha influito molto sulla vita degli scrittori delle Indie occidentali: il costo dei libri importati è aumentato molto nel corso del decennio, soprattutto in Giamaica e Guyana, e di conseguenza il numero delle librerie in queste zone è diminuito drasticamente.

Pertanto, nonostante la notevole produttività degli autori, alla fine del decennio una forte percentuale di opere pubblicate era per i più inaccessibile. Come già era accaduto negli anni Cinquanta, la speranza di un grande successo di pubblico e di critica si poteva realizzare solo all‟estero. Se molti autori di fama consolidata, come Naipaul, Harris e Selvon, già da decenni erano migrati altrove, alle soglie degli anni Novanta due dei più grandi e più radicati autori hanno lasciato la madrepatria: dopo circa trent‟anni, Kamau Brathwaite lascia la Giamaica per New York; Walcott viaggia molto, tornando spesso nel sud e portando con sé quelle risorse e quell‟esperienza necessaria per facilitare lo sviluppo culturale a lungo atteso a Santa Lucia. 21

19

ivi, p. 77.

20

K. D AVEY , English Imaginaries: Six Studies in Anglo-British Modernity, cit., p. 145.

21

L. A. B REINER , The Eighties, cit., p.77.

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15

L‟evento più interessante, tuttavia, è la comparsa di libri di molti poeti delle Indie orientali, molti dei quali di origine guyanese. Alcuni di loro residenti proprio in Guyana, come Rooplall Monar (Koker, 1987) e Mahadai Das (My Finer Steel Will Grow, 1982; Bones, 1988); altri invece trasferitisi in Canada o Gran Bretagna: Itwaru (Shattered Songs, 1982; Entombed Survivals, 1987), Cyril Dabydeen (Islands Lovelier Than a Vision, 1986; Coastland: New and Selected Poems, 1989), Sasenarine Persaud (Demerary Telepathy, 1988; Between the Dash and the Comma, 1989), David Dabydeen (Slave Song, 1984; Coolie Odyssey, 1987). Le opere di questi autori sono molto diverse fra loro sia nello stile che nelle tematiche, tuttavia la loro pubblicazione in un periodo piuttosto breve ha acceso il dibattito sulla possibilità di definire un‟estetica specificatamente Indo-Caraibica.

Oltre al già citato problema della lingua, un aspetto che ricorre nelle opere di tutti questi autori è senza dubbio la ricerca della propria identità. Durante questa ricerca l'autore delle Indie occidentali e le sue dramatis personae compiono generalmente tre viaggi. Il primo è quello in Inghilterra (e più di recente negli Stati Uniti o nel Canada), che simboleggia il loro ingresso nel mondo occidentale dei bianchi. Ciò determina il trauma causato dal distacco dall'ambiente familiare, ma anche l'agonia dell‟idillio solitario; di solito questo viaggio rinforza la consapevolezza che la terra fredda e straniera non è la propria casa e che il viaggiatore deve sbarazzarsi della sua europeizzazione e occidentalizzazione, due aspetti antitetici alla sua percezione di sé come nativo delle Indie occidentali. 22 Degno di nota è il fatto che sebbene lo scrittore (o il personaggio) sia cresciuto nella società delle Indie occidentali in cui convivono entrambi i mondi, soltanto con l'esperienza dell'esilio si acquisisca la consapevolezza della diversità della propria coscienza rispetto a quella del mondo metropolitano.

Il secondo viaggio è quello in Africa (o in India, come nel caso di Naipaul), dove i più scoprono che il Passaggio Intermedio della tratta atlantica degli schiavi li ha separati in modo irreparabile dalle loro radici. Il terzo e ultimo

22

D. C. D ANCE (ed.), Fifty Caribbean Writers, cit., p. 5.

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viaggio è quello di ritorno sulla propria isola, un ritorno che in molti considerano impossibile poiché la tappa europea, unita all'educazione ricevuta in Europa, li ha distanziati dal loro popolo, le loro radici, dunque da loro stessi. Come scrive Walcott in Another Life, di ritorno a casa il narratore scopre che niente è più come prima: «it was a book / you‟d read a life ago». 23

Queste appena menzionate sono le tematiche più diffuse fra gli scrittori delle Indie occidentali, con il presente lavoro mi propongo di esplorare il romanzo A Harlot’s Progress di David Dabydeen in cui i temi tipici della letteratura postcoloniale, quali ricerca dell‟identità, schiavitù, memoria e oblio, vengono affrontati in modo straniante, incontrando la prospettiva postmoderna, che chiama in causa lo scetticismo sulla possibilità di ricostruire adeguatamente il passato.

Alla fine di questo romanzo, ricco di richiami intertestuali sia a testi precedenti o contemporanei, sia ad opere d'arte, il narratore stesso giunge alla conclusione che la sua storia non può essere raccontata: l‟esperienza della schiavitù è stata talmente traumatica da rendere vano qualsiasi tentativo di raccontare ed elaborare le vicende del passato. Messe da parte razionalità e obiettività, si lascia spazio ora a rappresentazioni autoreferenziali di un passato incerto, vittima dell‟oblio che, come afferma Paul Ricoeur, rappresenta quella minaccia inquietante che si profila sullo sfondo della fenomenologia della memoria e dell‟epistemologia della storia. 24

23

Ibidem.

24

P. R ICOEUR , La memoria, la storia, l’oblio, trad. it. di D. Iannotta, Raffaello Cortina Editore,

Milano, 2003, p. 589.

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DAVID DABYDEEN: CENNI BIOGRAFICI

Critico, scrittore e romanziere David Dabydeen (David Horace Clarence Harilal Sookram) nasce il 9 dicembre 1955 in una piccola comunità Indo- Guyanese del New Amsterdam nella Guyana coloniale, due anni dopo la reimposizione del controllo diretto sul Paese da parte della Gran Bretagna a seguito della vittoria elettorale del PPP (Partito Progressista Popolare). 25 Come conseguenza diretta di questa svolta, la partnership multietnica del PPP – rappresentata dalla leadership congiunta di Forbes Burnham e Cheddi Jagan – e la già fragile pace fra le etnie Afro-Guyanese e Indo-Guyanese degenerano in gravi violenze che causano lo sfollamento della famiglia di Dabydeen in un villaggio a Berbice.

Nel 1969 il giovane Dabydeen viene mandato in Inghilterra presso la nuova famiglia del padre. I tre anni trascorsi alla Cambridge University (1974-77) sono molto infelici: nella città del colonizzatore Dabydeen avverte la presenza opprimente dei bianchi britannici. L‟ansia della sensibilità letteraria del giovane emigrato trapela da un passo tratto dal suo saggio From Care to Cambridge:

On the second evening I ventured outdoors to view the street and was overtaken by a middle-aged man wrapped in a winter overcoat whose skin, in the streetlamp light, took on a ghostly, grey appearance. I have never been so terrified in England since as I was that night by the sight of that pale image of death.

26

[La seconda sera mi avventurai all'aperto per vedere la strada e fui superato da un uomo di mezza età avvolto in un cappotto invernale la cui pelle, alla luce del lampione, aveva un aspetto grigio e spettrale. Non sono mai stato così spaventato in Inghilterra come lo fui quella notte alla vista di quell‟immagine pallida della morte.]

25

K. D AVEY , English Imaginaries: Six Studies in Anglo-British Modernity, Lawrence & Wishart, London, 1999, p. 143.

26

D. D ABYDEEN , From Care to Cambridge, in K. H. P ETERSEN – A. R UTHERFORD (eds.),

Displaced Persons, Dangaroo Press, Sydney, 1988, p. 138.

(14)

18

Questa figura di diversità registrata da Dabydeen in maniera così intensa – un‟immagine di separazione dalla madrepatria – rappresenta sia la degradazione dell‟identità bianca dell‟uomo britannico, sia il riconoscimento del suo potere simbolico. 27

All‟interno di questa cultura razzista e poco accomodante, che marchia il giovane emigrato dal Centro America come “Paki” da maltrattare, la scuola secondaria rappresenta per Dabydeen un vero momento di svolta: i suoi risultati in Inglese sono migliori rispetto a quelli dei suoi compagni bianchi, che mostrano ben poco interesse per il mondo fuori dall‟Inghilterra, ma che sono rapidissimi nel creare nomi dispregiativi per gli stranieri. Il motto di Dabydeen diventa: «You had to take what was defined as English high culture... [and] insert your blackness there.» 28 Il fatalismo dei contadini di Hardy, l‟attenzione di Lawrence per la cultura pre-colombiana e gli aspetti della metafisica di Strindberg vengono interpretati da Dabydeen mettendoli in relazione con il passato della Guyana;

l‟energia e la schiettezza dei dialoghi di Sir Gawain gli ricordano all‟istante la lingua pre-civilizzata del creolo guyanese.

Nel 1978 si laurea a pieni voti in discipline umanistiche e sociali. Sono questi gli anni in cui Margaret Thatcher mette in guardia la cultura inglese dal pericolo di essere travolti dall‟ondata di immigrati neri, alimentando grande diffidenza verso la cultura dei neri.

Nel 1982, l‟anno successivo alle rivolte di Brixton, Dabydeen consegue il dottorato in Arte e Letteratura del XVIII secolo presso l‟University College di Londra e gli viene assegnato il posto di ricercatore universitario al Wolfson College di Oxford. Nello stesso anno partecipa all‟organizzazione di un convegno cui partecipano molti professionisti dell‟educazione: sebbene nell‟ambito dell‟istruzione il multiculturalismo sia d‟obbligo, Dabydeen sottolinea che il cambiamento istituzionale è ancora molto lento. Gli anni Ottanta difatti sono

27

K. D AVEY , English Imaginaries: Six Studies in Anglo-British Modernity, cit., p. 144.

28

ivi, p. 145.

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19

caratterizzati dai successi militari del governo Thatcher nelle Falklands, che in breve tempo riaffermano la supremazia britannica. 29 Sono questi gli anni in cui Dabydeen getta le basi del suo progetto volto alla modernizzazione delle abitudini di lettura degli inglesi e degli aspiranti lettori postcoloniali, liberandoli dai precendeti pregiudizi che impedivano loro il riconoscimento della presenza nera nella cultura britannica: secondo Dabydeen a tal fine non è necessario abbandonare i libri e i dipinti di epoca coloniale; è sufficiente gettar luce sulla presenza nera. Dopo il convegno del 1982, Dabydeen scrive un saggio sugli autori inglesi del XVIII secolo che avevano conciliato la loro idea di commercio come attività civilizzante con le realtà barbare della tratta degli schiavi, in cui la morale era subordinata alla ricerca del profito, unita poi all‟idea di inferiorità degli africani. Citando autori che si proclamarono contrari alla schiavitù, quali Swift, Johnson, Defoe, Wordsworth, Blake e Cowper, Dabydeen li schernisce poi per aver dedicato ben poco tempo alla causa dell‟abolizione della schiavitù stessa. Il merito della fine di questa pratica oscena, conclude Dabydeen, spetta pertanto solo alle rivolte degli schiavi. 30

Oggi Dabydeen è direttore dell‟Istituto di Studi Caraibici e professore al Centro Studi Culturali Comparatistici Britannici all'Università di Warwick. È anche Ambasciatore a disposizione della Guyana e membro del Comitato Esecutivo dell'UNESCO. Nel 2001 ha scritto e presentato all‟emittente radiofonica britannica BBC Radio 4 The Forgotten Colony, un programma che esplora la storia della Guyana. È autore di quattro romanzi, tre raccolte di poesie e diversi lavori di saggistica e critica letteraria. Nel 2007 gli è stato conferito lo Hind Ratten Award per il suo eccezionale contributo alla letteratura e alla vita intellettuale della diaspora indiana. 31

29

Ibidem.

30

ivi, p. 146.

31

http://www.contemporarywriters.com, (ultima volta consultato in data 14 marzo 2011).

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20

PROSPETTIVE CRITICHE

Le pareti della scogliera descritta in Disappearance (1993) si sfaldano;

allo stesso modo la presenza dei neri in Gran Bretagna è soggetta al processo storico dell'erosione. Con la sua attività di scrittura, a partire dall'antologia accademica Black Writers in Britain, 1760-1890 (1991), Dabydeen ha operato in favore di un ritorno immaginativo di questa presenza sulle spiagge britanniche.

L‟opera di Dabydeen, insieme a quelle di Itwaru, Kirpal Singh, Satendra Nandan e M. G. Vassanjii, è volta a ricreare l‟esperienza della migrazione, nonché la dispersione provocata dal progetto coloniale. 32

Dabydeen ha fondato la sua reputazione di scrittore creativo con le prime – e premiate – raccolte di poesie: Slave Song (1984), con cui ha vinto il Commonwealth Poetry Prize e il Quiller-Couch Prize, Coolie Odyssie e Turner:

New Selected Poems (1994).

Slave Song viene composta negli anni in cui è ancora uno studente universitario a Cambridge. I testi di Dabydeen sono prodotti all'interno di una diaspora letteraria caraibica eterogenea e, più nello specifico, all'interno di una formazione letteraria anglo-guyanese il cui gruppo di rappresentanti accoglie il realismo storico di Edgar Mittelholzer, Jan Carew e Roy Heath, assieme alle innovazioni narrative di Wilson Harris. L'impegno politico creolo di Linton Kwesi Johnson e i dialetti creoli guyanesi che compaiono nell'opera di John Agard, E. R.

Braithwaite e Fred D‟Aguiar costituiscono poi lo spazio intertestuale in cui Dabydeen si muove. Le voci costruite nella sua poesia sono di frequente legate al territorio delle piantagioni indo-guyanesi. Il linguaggio che si crea è dunque altamente specifico: è un linguaggio artificiale, o meglio un‟interlingua costituita da creolo guyanese e simbolismo Hindu in cui fa la sua comparsa anche la

32

C. K ANAGANAYAKAM , Configurations of Exile: South Asian Writers and Their World, TSAR,

Toronto, 1995, p. 12.

(17)

21

fraseologia inglese medievale e del XVIII secolo. 33 Dabydeen, dunque, non offre una lingua guyanese autentica da contrapporre ai valori inglesi. La sua opera al contrario si basa sulla consapevolezza della natura artificiale delle identità che si vanno a costituire all'interno delle relazioni di potere che valorizzano o denigrano il colore della pelle, la lingua e la cultura. Come sottolinea Sarah Lawson Welsh, non ci sono lingue originali in Slave Song, bensì voci ricostruite che svolgono un ruolo di mediazione. 34 Questo tentativo di rifondare il linguaggio rappresenta per Dabydeen una celebrazione provocatoria della degradazione inglese. Lo stesso autore afferma che scrivere in creolo è per lui: «painful, almost nauseous». 35 Tuttavia Dabydeen difende i dialetti creoli dei neri britannici: nell'immaginario inglese, il dialetto creolo è pieno di paradossi e privo di regole, dunque incapace di rappresentare l'identità bianca britannica. Proprio per questo motivo Dabydeen intende rivalorizzarlo. Dabydeen inoltre illustra Slave Song con incisioni, quasi ad assimilare il testo a un abbecedario coloniale, includendo perfino traduzioni in inglese e note esplicative per chiarire il suo creolo simulato. L'effetto che ne deriva è una forte intertestualità che mette in dubbio l'autorità della critica occidentale, stabilendo inoltre che le relazioni tra scrittori neri, istituzioni accademiche, artisti inglesi e il capitale che deriva dalle piantagioni, in sintesi il passato e presente, sebbene in fase di cambiamento continuano ad essere forme coloniali di potere. 36

Nella poesia Coolie Son: The Toilet Attendant Writes Home, il lavoratore emigrato decide di creare un presente che mascheri la realtà di umiliazione e disillusione, offrendo così alla sua famiglia in patria una versione dei fatti consona a quella che loro vogliono sentire. Quello che viene taciuto, pur permanendo facilmente intuibile al lettore, è la storia di schiavitù, sfruttamento e patetica

33

K. D AVEY , English Imaginaries: Six Studies in Anglo-British Modernity, cit., p. 150.

34

Ibidem.

35

ivi, p. 151.

36

Ibidem.

(18)

22

imitazione del colonizzatore. 37 L'impressione generale trasmessa da queste raccolte acclamate dalla critica è quella di una serie di viaggi diversi e discontinui;

viaggi su una nave negriera, in aereo, treno e taxi; odissee personali; traversate transatlantiche; un viaggio in autobus verso Shepherd‟s Bush. Viaggiando avanti e indietro per la storia, Dabydeen evoca l'esperienza caraibica come una sorta di diaspora, un movimento tra India e Guyana, tra Guyana e Inghilterra. Per esempio, la poesia London Taxi Driver parla di un viaggio in taxi da Tooting, nella Londra meridionale, a Waterloo. Questo viaggio, in cui riecheggiano le imprecazioni del tassista, porta in sé un viaggio ancora più grande: quello di un lavoratore a contratto indiano da Berbice a Londra. Sia con il creolo irregolare del coolie, sia con le imprecazioni in dialetto cockney del tassista, la poesia di Dabydeen riesce a cogliere un'immagine vivida della brutalità casuale e della violenza sessuale che era – ed è – parte integrante dell'incontro coloniale. Martina Ghosh-Schellhorn, nel saggio Transitional Identity and Its Indentured Emplacement, 38 riflette sul fenomeno dell‟«Indenture», un tipo di contratto che nel passato costringeva servi o apprendisti a lavorare al servizio di padroni per un certo periodo di tempo. Nei Caraibi questa soluzione fu adottata dal colonialismo per colmare la mancanza di manodopera nelle piantagioni di zucchero e cacao.

L‟Emancipation Act del 1834-38 provocò il dislocamento di un milione e mezzo di persone, incluso circa mezzo milione di indiani dal continente, trasportate sulle isole dei Caraibi. 39 Il fatto che la percentuale di coloro che sopravvivevano fino al termine del contratto di lavoro fosse molto bassa è sintomatico delle cattive condizioni di vita a cui erano sottoposti questi lavoratori. Un altro aspetto degno di nota è che fra coloro che invece sopravvivevano fino alla fine del contratto,

37

C. K ANAGANAYAKAM , Configurations of Exile: South Asian Writers and Their World, cit., p.

26.

38

M. G HOSH -S CHELLHORN , Transitional Identity and Its Indentured Emplacement, in M. Cliff, D.

Dabydeen,O. Palmer Adisa, A. Hornung, E. Ruhe, Postcolonialism and Autobiography, Rodopi B. V., Amsterdam – Atlanta G.A., 1998, pp. 167-190.

39

ivi, p. 168.

(19)

23

soltanto un terzo sceglieva di tornare in patria, dando vita a quel fenomeno di dispersione, denunciato da Dabydeen in molte opere. 40

Come Wilson Harris e Derek Walcott, Dabydeen sente il bisogno di creare un passato che dia valore all‟esperienza caraibica. Con Turner (2002), la raccolta che ha confermato la reputazione di Dabydeen come poeta, si crea infatti una curiosa combinazione fra Africa e India, entrambe indicatori storici di questa particolare esperienza. 41 Si tratta di un lungo poema in venticinque sezioni, che si ispira al celebre dipinto di J. M. W. Turner, intitolato Slavers Throwing Overboard the Dead and Dying: Typhoon Coming On (Fig. 1). 42 Questo dipinto, presto noto semplicemente come The Slave Ship, esposto per la prima volta nel 1840 alla Royal Accademy, rappresenta schiavi africani incatenati e gettati in mare. Il quadro di Turner è stato al centro di accesi dibattiti sia al momento della sua prima esposizione sia in tempi recenti. 43 Se nella descrizione del dipinto formulata da John Ruskin in Modern Painters (1843) si fa un minimo accenno agli schiavi annegati, considerati alla stregua di una notà a piè di pagina, per concentrarsi invece sulla perfezione del colore, nella poesia Turner Dabydeen si sofferma proprio sul corpo sommerso di uno schiavo annegato che si trova in primo piano nel dipinto, mescolando realtà e fantasia per recuperare e redimere il suo passato. 44 Dabydeen utilizza il nome Turner per indicare diversi individui:

sarà il nome del capitano della nave negriera, ma anche quello che verrà dato al figlio di una schiava, buttato in mare dal ponte di un'altra nave con “cargo”

umano. Nonostante la presenza della morte sin dall‟inizio del poema, Dabydeen

40

ivi, p. 169.

41

C. K ANAGANAYAKAM , Configurations of Exile: South Asian Writers and Their World, cit., 1995, p. 26.

42

A NNA M. C IMITILE , Emergenze. Il fantasma della schiavitù da Coleridge a D'Aguiar, Liguori Editore, Napoli, 2005, p. 99.

43

A. W ARD , “Words are all I have left of my eyes”: Blinded by the Past in J.M.W. Turner’s Slavers Throwing Overboard the Dead and Dying and David Dabydeen’s “Turner”, in «Journal of Commonwealth Literature», Nottingham (2007), vol. 42 (1), p. 48.

44

http://www.contemporarywriters.com

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24

afferma che proprio dalla morte deriva la nascita di una nuova forza creativa. 45 Lo scrittore guyanese ricrea così quel mare popolato di fantasmi che tanto ossessionava gli schiavi vittime di una simile sorte. 46 Nel poema Turner è il capitano di una nave negriera e un pedofilo, sottolineando così i tentativi del pittore Turner di negare ai neri un ruolo attivo nella Gran Bretagna del XIX

secolo. 47 La risposta poetica di Dabydeen a Slavers Throwing Overboard the Dead and Dying: Typhoon Coming On non solo respinge il quadro di Turner ma più in generale esamina il modo in cui i neri sono stati rappresentati nell'arte. Di questa problematica Dabydeen si era già occupato nei suoi testi su William Hogarth, Hogarth’s Blacks: Images of Blacks in Eighteenth Century [sic] English Art (1985) e Hogarth, Walpole e Commercial Britain (1987). Anziché promuovere una rappresentazione visiva della schiavitù, in Turner, mediante la metafora della cecità, Dabydeen mostra come un approccio verbale (dunque scritto) possa essere più utile per ripensare il passato, ponendosi il problema dell‟assenza di una memoria consona alla schiavitù. 48 Nella sua poesia Dabydeen scrive che sebbene ci siano degli oggetti capaci di fungere da testimonianza – citando in modo quasi agghiacciante la pelle e i denti – del passato della schiavitù non resta alcunché: tutto, dunque, deve essere inventato. 49 Comunque sia, scrive Abigail Ward nel suo saggio in cui confronta il dipinto di J. M. W. Turner con il poema di Dabydeen, il passato della schiavitù è caratterizzato dalla morte; e persino una risposta creativa come quella nei versi di Dabydeen, dovrà per forza fare i conti con questo fatto. 50

Il passato a cui sia J. M. W. Turner, sia David Dabydeen fanno riferimento è l‟episodio della Zong. Il 1781 fu l'anno di uno dei più cruenti massacri mai

45

A. W ARD , “Words are all I have left of my eyes”: Blinded by the Past in J.M.W. Turner’s Slavers Throwing Overboard the Dead and Dying and David Dabydeen’s “Turner”, cit., p. 53.

46

A NNA M. C IMITILE , Emergenze. Il fantasma della schiavitù da Coleridge a D'Aguiar, cit., p.

101.

47

A. W ARD , “Words are all I have left of my eyes”: Blinded by the Past in J.M.W. Turner’s Slavers Throwing Overboard the Dead and Dying and David Dabydeen’s “Turner”, cit., p. 48.

48

ivi, p. 49.

49

ivi, p. 52.

50

ivi, p. 53.

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25

registrati nel commercio di schiavi. Avvenne a bordo della nave negriera Zong, mentre faceva ritorno dall'Africa con il suo carico umano. Il capitano Luke Collingwood ordinò un massacro, quando si accorse di essere uscito fuori rotta. A causa della prolungata durata del viaggio di ritorno, temette che le vettovaglie non bastassero a sfamare tutti coloro che erano a bordo, pertanto decise di lanciare in mare ben 131 schiavi. Fra questi c'erano gli schiavi ammalati e più deboli, mentre i superstiti, mantenuti in buona salute, sarebbero stati venduti una volta rientrati in Gran Bretagna. Nel 1783 a Londra ebbe inizio un processo in tribunale che andò avanti per molti anni, al fine di decidere se fosse lecito concedere un risarcimento ai proprietari della nave per le perdite subite. 51 Questa vicenda ebbe un forte impatto sull‟opinione pubblica e in particolar modo tra gli abolizionisti. Olaudah Equiano, un ex-schiavo, attirò per la prima volta l‟attenzione di tutti su questi fatti ignominiosi. Sempre nel 1783 i quaccheri fecero la loro prima richiesta di abolizione della schiavitù al parlamento inglese. L‟incidente della nave negriera Zong divenne fonte di ispirazione anche per altre opere, come i romanzi Feeding the Ghosts (1997) di Fred D‟Aguiar, Abeng (1984) di Michelle Cliff e A Harlot's Progress (1999) dello stesso Dabydeen. Questo fenomeno dimostra come gli eventi accaduti a bordo della Zong siano diventati, al pari del dipinto, molto importanti nel dibattito contemporaneo circa il modo in cui si debba ricordare il passato della schiavitù quasi due secoli dopo la sua abolizione. 52 Comunque sia, parlando di Turner durante un‟intervista con Chelva Kanaganayakam, Dabydeen fa un‟importante precisazione:

Although it is a poem about our history, and about the loss of memory, for me it was also about being an immigrant in Britain, and what migration meant in terms of forgetting where one came from.

Migration entailed a dispersal of my family. I have family all over the world now because of the whole process of decolonization. […] Although Turner was a poem about a dead African, for me it was about today, about how our history is fixed by other people and how it leads to

51

A NNA M. C IMITILE , Emergenze. Il fantasma della schiavitù da Coleridge a D'Aguiar, cit., p.

100.

52

A. W ARD , “Words are all I have left of my eyes”: Blinded by the Past in J.M.W. Turner’s

Slavers Throwing Overboard the Dead and Dying and David Dabydeen’s “Turner”, cit., p. 49.

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26

separation and irreparable losses in terms of not being able to go back home; we have lost the language and gestures and habits of what we used to be home.

53

Nel 1991 Dabydeen pubblica il suo primo romanzo, The Intended, il racconto delle scoperte sessuali, delle rivalità e delle tensioni tra le aspirazioni fisiche e culturali di quattro adolescenti asiatici – «the regrouping of Asian diaspora in a South London schoolground» 54 – e un rastafariano nero inglese, con cui l‟autore ha vinto il Guyana Prize for Literature. Nonostante gli evidenti cambiamenti di genere (da poesia a prosa) e di setting (il romanzo è ambientato nella Londra contemporanea), ci sono chiare corrispondenze tematiche con le prime opere: la continua pressione britannica affinché l‟identità nera divenga invisibile; le proibizioni del moralismo coloniale che suscitano vergogna per il desiderio provato per una ragazza bianca. Proprio l‟esito negativo del rapporto sessuale con una donna bianca rapprenta l‟incarnazione delle ansie del narratore relative al suo ingresso nella cultura inglese. In questo Bildungsroman autobiografico il narratore racconta il suo viaggio dalla cultura creola indo- guyanese, a Londra, il cuore dell‟identità bianca. Il romanzo si focalizza sulle problematiche affrontate quotidianamente da coloro che occupano le cosiddette posizioni marginali: persone nate in paesi colonizzati o ex-colonizzati, che ora vivono nelle metropoli dei colonizzatori. Joseph, il nero di turno, sembra muoversi all‟interno degli stereotipi conradiani, quando tenta di creare immagini alternative. Partendo dalle immagini „inglesi‟ di intensa approssimazione del paesaggio africano, nel corso del romanzo fornisce invece immagini dell‟Africa che sovvertono completamente il ritratto occidentale che Conrad dà dei neri come selvaggi. 55

53

C. K ANAGANAYAKAM , Configurations of Exile: South Asian Writers and Their World, cit., p.

27.

54

K. D AVEY , English Imaginaries: Six Studies in Anglo-British Modernity, cit., p. 156.

55

M. G HOSH -S CHELLHORN , Transitional Identity and Its Indentured Emplacement, cit., p. 179.

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Siamo all'interno della tradizione della decolonizzazione creativa che sviluppa le seguenti tematiche: l'impegno per la rimozione del dominio metropolitano, il rovesciamento dell'ordine costituito critico e culturale, unito all'impulso verso la creazione di una nuova estetica letteraria indipendente dalle egemonia culturale. 56 Anche in questo romanzo si percepisce che uno degli interessi maggiori di Dabydeen, come scrittore e come critico, è quello di esplorare le investigazioni letterarie della diaspora caraibica e quelle identità poliglotte spesso in conflitto che emergono dai movimenti storici da e verso la madrepatria, quella terra segnata da razzismo, sfruttamento e violenza. Il linguaggio, sotto forme creolizzate o mediante inglese standard, sia nella poesia che nella prosa di Dabydeen diventa una sorta di strumento di vincolo coloniale o il risultato doloroso di un brutale passato coloniale. Nelle pagine di The Intended l'uso del dialetto creolo rivela quella polarità tra fascino e resistenza verso l'inglese standard. Il narratore in prima persona di questo romanzo di formazione fa trapelare il desiderio di integrazione – e presa di distanza – all'interno delle norme socio-linguistiche dei bianchi: il loro inglese standard rappresenta la purezza, laddove il creolo, che non lascia spazio al lirismo, porta in sé la crudezza arrabbiata che riconduce la mente dei suoi fruitori alla loro sofferta storia passata.

Il focus di Dabydeen, muovendosi tra Inghilterra, Guyana e Africa, si alterna fra intenzioni, ricordi e desideri impliciti nell‟immaginaria diaspora africana e asiatica verso la Gran Bretagna. Così facendo, il narratore del romanzo è quasi costretto a riflettere su quelle relazioni tra il potere e le sue conseguenze per quanto concerne il concetto di razza. Ecco dunque il dilemma delle opere letterarie riguardanti la diaspora: da una parte, quella pressione verso l‟imitazioni ed eliminazione dell'identità nera attraverso i progetti di estetiche in apparenza apolitiche, messe in atto da certe istituzioni accademiche; dall'altra la concentrazione su quello che Dabydeen chiama il «folking up» della letteratura

56

K . MC INTRYRE , “A Different Kind of Book”: Literary Decolonization in David Dabydeen’s

“The Intended”, in «ARIEL: A Review of International English Literature», (27:2), 1996 Apr,

1996, p.151.

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28

nera che potrebbe essere considerata importante soltanto come esempio di esotismo etnico e aberrante. Questa ambivalenza viene introdotta con il personaggio di Joseph, che attraverso domande implacabili distoglie il giovane narratore e i suoi amici dall'intento narrativo dell'imitazione. Joseph tuttavia morirà suicida, pertanto la sua influenza sul narratore è per la maggior parte postuma. In conseguenza della morte di questo personaggio il proposito di creare un'immagine alternativa del fenomeno coloniale, a prescindere dalle sue tragiche conseguenze, resta pur sempre una questione aperta. 57 Il romanzo si chiude con l‟immagine del narratore che nell‟oscurità del sud di Londra aspetta un taxi che lo condurrà alla Oxford University. Nell‟attesa riflette sui commenti sarcastici degli amici sulla sua volontà di diventare bianco e sul fatto che di recente si è lasciato dalla fidanzata bianca; il narratore diviene così il capovolgimento controcoloniale della fidanzata di Kurtz in Heart of Darkness di Conrad, facendo sì che la

«Englishness» diventi la sua destinazione intenzionale. Una volta giunto a Oxford, tuttavia, riscopre l‟identità nera ritrovandosi a parlare il creolo dei suoi compagni e l‟inglese medievale della sua famiglia coloniale. 58

Disappearance (1993), il successivo romanzo di Dabydeen, scritto in una prosa più sobria e meditativa rispetto a The Intended, narra la storia di un giovane ingegnere afro-guyanese che lotta per salvare un villaggio costiero a Hastings. 59 Sull‟orlo di una scogliera che si sta sfaldando, il suo lavoro è quello di creare una barriera difensiva dal mare capace di proteggere questo prezioso scenario nel corso dei sei mesi della sua permanenza. Nel frattempo l‟anziana padrona di casa, la signora Rutherford, gli fa da guida, mostrandogli gli strani rituali del villaggio inglese e il suo maestoso e sinistro passato.

La stabilità della cultura britannica che lastricava la via verso Oxford del precendente romanzo qui è destinata a sfaldarsi. Le scogliere, un tempo difesa e

57

K. D AVEY , English Imaginaries: Six Studies in Anglo-British Modernity, cit., p. 157.

58

ivi, p. 156.

59

C. K ANAGANAYAKAM , Configurations of Exile: South Asian Writers and Their World, cit., p.

26.

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29

simbolo di invulnerabilità, rappresentano ora la costante dissoluzione dell‟identià inglese che ormai deve negoziare con le sue alterità e le nuove configurazioni di potere e conoscenza. 60

Si tratta di un paesaggio profondamente simbolico in cui il narratore si sente molto sperduto. La linea costiera effimera e mutevole su cui si trova a lavorare, una lingua di sabbia instabile tra terra e mare, fornisce uno sfondo emblematico per rappresentare la condizione dei lavoratori immigrati. Difatti questo romanzo viene messo in relazione con The Enigma of Arrival (1987) di V.

S. Naipul, un‟autobiografia in cui l‟autore riesamina la propria emigrazione da Trinidad a New York, prendendo coscienza del proprio posto nel nuovo ambiente e delle intricate relazioni fra le persone e la terra che li circonda. 61 Intervistato riguardo il confronto fra il suo romanzo e quello di Naipaul, Dabydeen risponde che il protagonista di Disappearance è sì ispirato a Naipaul, ma la sua visione della vita è ben diversa da quella dello scrittore trinidadiano: se quest'ultimo mostra una certa dose di sofferenza, Dabydeen invece sostiene che nonostante la desolazione, sia necessario credere nella coscienza e nella bellezza, due aspetti assenti nella visione di Naipaul. 62

Se in Turner dal mare poteva nascere nuova vita, in questo secondo romanzo di Dabydeen il mare rappresenta invece una minaccia contro cui l'uomo si schiera costruendo dighe. Tuttavia le pagine finali di Disappearance sono caratterizzate dalla speranza che proprio il mare distrugga la diga, affinché l'umanità si renda conto di essere soltanto un puntino nel cosmo. Il mare dunque è metafora di cancellazione ma anche di origine universale, perché in sé contiene sia la vita che la morte. Proprio come la terra, anche il mare non ha memoria e resiste ad ogni forma di recinzione. 63

60

K. D AVEY , English Imaginaries: Six Studies in Anglo-British Modernity, cit., p. 158.

61

C. K ANAGANAYAKAM , Configurations of Exile: South Asian Writers and Their World, cit., p.

26.

62

ivi, p. 30.

63

ivi, p. 29.

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30

Le altre opere di narrativa, The Counting House (1996), A Harlot's Progress (1999), e Our Lady of Demerera (2004) mostrano l'abilità di Dabydeen nel congiungere la preparazione teorica e la competenza artistica. In modi diversi tutti i romanzi attingono alla conoscenza accademica dell'autore sul tema del colonialismo e della schiavitù, una conoscenza già ampiamente dimostrata in The Black Presence in English Literature (1985) e Hogarth’s Blacks (1985), due testi molto influenti in ambito accademico.

The Counting House (1996) è ambientato alla fine del XIX secolo e narra le vicende di una coppia indiana le cui speranze di una nuova vita nella Guyana coloniale finiscono in tragedia. La storia esamina le tensioni storiche tra lavoratori indiani a contratto e guyanesi di origine africana. 64

Il romanzo di Dabydeen, Our Lady of Demerera (2004) è ambientato sul finire del Novecento nella città di Coventry, dove lo stesso Dabydeen vive e lavora. La trama ruota attorno a Lance Yardley, un critico teatrale attratto dalla possibilità di squallide esperienze sessuali nei quartieri degradati della città. Figlio della classe operaia, cresciuto da genitori separati in un quartiere di case popolari, cerca una via di fuga nella letteratura e nel matrimonio con l‟attrice Beth, nipote di un signore inglese che aveva fatto fortuna con una piantagione di canna da zucchero in Guyana. Il loro rapporto ha breve durata, poiché Beth presto respinge Lance, il quale poco tempo dopo si lascia sedurre da una giovane e misteriosa ragazza indiana, Rohini, che lavora in un negozio di antiquariato. All‟apparenza timida, in verità vende il proprio corpo ai clienti, quando il suo capo è fuori città.

Dopo l‟improvvisa e violenta morte di Rohini, Lance Yardley decide di andare in Guyana, in cerca di notizie su un giovane prete irlandese giunto lì come missionario nel corso della prima guerra mondiale.

Il libro combina elementi naturalistici con aspetti del realismo magico e non è un caso che sia dedicato al compagno guyanese, il romanziere Wilson Harris (e a Derek Walcott, il poeta di Saint Lucia), comicamente reinventato nel

64

K. D AVEY , English Imaginaries: Six Studies in Anglo-British Modernity, cit., p. 164.

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31

testo come Padre Wilson e Padre Harris. Secondo il critico Sukdev Sandhu, Our Lady of Demerera è un romanzo sulla povertà e sul degrado, eppure affronta questo tema con uno spirito tipicamente sovversivo: la serietà e la mancanza di ironia quasi non lo fanno sembrare un romanzo inglese. Vaga, avanza e fa deviazioni continue, evitando la narrazione lineare. Emerge qui l‟interesse di Dabydeen per le idee di trasformazione e mutamento di sé, che non si compiono dopo la morte ma nel corso di una singola vita. Queste idee sono attinte da alcune correnti di pensiero Hindu. Personaggi che scompaiono e riemergono; identità che si fondono e si separano; cambiamenti di forma – un tema che ricorre nell‟opera di altri autori guyanesi, quali Pauline Melville e Wilson Harris – sono all‟ordine del giorno.

Anche in Our Lady of Demerara il linguaggio ha un ruolo primario:

estatico e metaforico, spesso richiama alla mente i versi religiosi di Thomas Traherne e George Herbert, tanto che il romanzo può essere letto anche sotto forma di poesia dalla melodia impetuosa. Come in tutte le altre opere descritte finora, anche qui Dabydeen riflette sulla miseria culturale: si domanda quale sarà il futuro che si prospetta per gli abitanti di un povero paese del Sud Africa. E in qualche modo gioca con l‟idea che l‟instabilità possa essere considerata come risorsa, un punto di partenza per immaginare una nuova trasformazione sociale.

Queste tematiche sono sviluppate da Dabydeen con grande ingegno: al centro del suo interesse non c‟è l‟ansia che trapela da alcuni filoni della letteratura postcoloniale, bensì la licenziosità intellettuale. 65

Nel 2008 Dabydeen pubblica il suo sesto romanzo Molly and the Muslim Stick. 66 Ambientata in Inghilterra nella prima metà del XX secolo, la storia si focalizza sul personaggio di Molly Harris, una vittima di abusi sessuali che cerca

65

Sukhdev-Sandhu-salutes-the-intellectual-bawdiness-of-an-ambitious-murder-mystery-The-lash- and-the-lick.html http://www.telegraph.co.uk/culture/3620759/ ( ultima volta consultato il 12/06/2011).

66

http://www2.warwick.ac.uk/fac/arts/ccs/staff/dabydeen/ (ultima volta consultato in data 29/08/

2011)

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a tutti i costi di curarsi dagli effetti psicologici causati dalla violenza. Quando finalmente riesce a portare un po‟ d‟ordine nella sua vita, grazie anche all‟impiego come insegnante in un quartiere operaio, un immigrato irregolare guyanese le si presenta alla porta. Lei si prende cura di lui: lo lava, lo veste, gli offre una pipa, lo fa accomodare sul divano e lo chiama Om. L‟uomo rimane a casa di Moll, che fa di lui un servo e un‟oggetto esotico da esibire ad amici e parenti. Alla fine, nel fervore anticomunista, razzista e xenofobo degli anni Cinquanta, l‟uomo viene deportato. Molly scopre ben presto di non poter vivere senza di lui: non è un legame amoroso quello che prova per Om, bensì un attaccamento materno.

Pertanto si reca in Guyana sulle sue tracce.

Quando il setting del romanzo si sposta in Guyana, al lettore viene offerta una panoramica dello stile di vita amerindio. Molly rimane scioccata alla vista delle nudità di questo popolo ma ammira le collane di perline indossate dalle donne e gli abiti di pelle degli uomini. Molly riesce a rilassarsi e riprendere in mano la propria vita grazie alla serenità di questo posto, dove i nativi la considerano come un ospite speciale. Ben presto però si stufa e fa ritorno in Inghilterra. Ma prima di partire, Molly scopre che la comparsa di Om sulla soglia di casa sua potrebbe essere stato semplicemente un «dream happening» andato male, e il ritorno di Om in Guyana forse è soltanto il suo sogno di tornare a casa.

Il romanzo infatti presenta una componente surrealista, accompagnata persino da eventi soprannaturali, che hanno la funzione di provocare sconcerto nel lettore. L‟uso degli elementi surreali, tuttavia, serve a esotizzare ed erotizzare gli Amerindi in Guyana. 67

Nel 2007 David Dabydeen ha curato, insieme a John Gilmore e Cecily Jones, l'edizione del monumentale Oxford Companion to Black British History, descritto da The Independent come: «A magisterial excavation of Black Britain».

67

http://signifyinguyana.typepad.com/signifyin_guyana/2008/12/a-guyanacaribbeanfocused-

review-of-david-dabydeens-molly-and-the-muslim-stick.html (ultima volta consultato in data

02/10/2011)

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Il volume contiene infatti oltre quattrocento voci introdotte da più di cento specialisti, a dimostrazione del fatto che, sebbene finora poca sia stata l‟attenzione prestata agli aspetti multietnici della storia britannica, in Inghilterra prima dell‟arrivo degli inglesi c‟erano proprio gli africani. 68

Un aspetto che abbraccia l'intera produzione di David Dabydeen è il richiamo intertestuale a famose opere di letteratura inglese, come The Tempest (1611) di William Shakespeare, Heart of Darkness (1902) di Joseph Conrad e le poesie di John Milton. Persino l'arte figurativa viene coinvolta, come si vede nelle già citate poesie Slave Song, Coolie Odyssey e Turner, che reagiscono a dipinti inglesi che ritraggono i neri, come le opere di Francis Wheatley (1747-1801) e J.

M. W. Turner (1775-1851). Queste reazioni accompagnano l‟intensa ricerca di Dabydeen sui modi in cui i neri e gli indiani sono stati rappresentati nell'arte inglese, nella società e nella storia dei lavoratori a contratto dei Caraibi. I risultati di questa prolungata ricerca sono visibili nei testi di Dabydeen, quali Hogarth’s Blacks: Images of Blacks in Eighteenth Century Art and Society e A Handbook for Teaching Caribbean Literature; così come nei libri di cui Dabydeen ha curato l'edizione, come The Black Presence in English Literature; o quelli pubblicati in collaborazione con altri, come Black Writers in Britain 1760-1890 e India in the Caribbean. 69 Dabydeen nota che, nel XVIII secolo Hogarth è stato uno dei più prolifici pittori e incisori di neri, sebbene la critica spesso trascuri questo dato di fatto. Avendo sviluppato una certa compassione per la gente comune, l‟artista ha raggruppato schiere di neri nei suoi dipinti e incisioni, violando in un certo senso il decoro dell‟epoca. Hogarth, spiega Dabydeen, ha esteso la sua compassione anche ai neri, rappresentandoli come componenti attive della subcultura delle classi inferiori inglesi. 70

68

the-oxford-companion-to-black-british-history-by-ed-david-dabydeen-john-gilmore-amp-cecily- jones-443487.html http://www.independent.co.uk/arts-entertainment/books/reviews/ (ultima volta consultato in data 20/08/2011)

69

K. D AVEY , English Imaginaries: Six Studies in Anglo-British Modernity, cit., p. 146.

70

ivi, p. 147.

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