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Approf 7 JOSEPH E. STIGLITZ, PREMIO NOBEL PER L’ECONOMIA

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Academic year: 2021

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JOSEPH E. STIGLITZ, PREMIO NOBEL PER L’ECONOMIA

Joseph E. Stiglitz è un famoso economista statunitense. Dopo aver insegnato in prestigiose università, dal 1995 al 1997 è stato consigliere di Bill Clinton, il presidente degli USA. Dal 1997 al 2000 ha lavorato come capo- economista alla Banca Mondiale. Oggi insegna alla Columbia University di New York e nel 2001 ha vinto addirittura il premio Nobel per l’Economia. Sulla globalizzazione ha scritto numerosi testi, tra i quali il best- seller La globalizzazione e i suoi oppositori (Globalization and its Discontents), tradotto in più di 20 lingue e in Italia edito da Einaudi nel 2002.

Stiglitz ritiene che la globalizzazione sia “una forza positiva”: ha contribuito a creare benessere per milioni di persone, ha cambiato il modo di pensare della gente e ha diffuso ideali democratici. Ma per altri milioni di individui questo processo non ha funzionato come avrebbe dovuto. Costoro hanno visto peggiorare le loro condizioni di vita, hanno perso il lavoro e ogni tipo di sicurezza.

In un’intervista rilasciata nel 2003 a Chiara Pallanch e pubblicata sulla rivista Lo straniero, l’economista americano spiega che “al contrario di quanto affermano i sostenitori della globalizzazione, soprattutto statuni- tensi, l’integrazione economica dei mercati, come è stata confi gurata fi no ad ora negli accordi commerciali in- ternazionali e nelle politiche delle istituzioni economiche internazionali, non solo non ha generato un benes- sere diffuso, ma spesso ha portato a un aumento della povertà in molte parti del mondo, soprattutto nei Paesi sottosviluppati. […] L’America latina, ad esempio, ha subito un peggioramento signifi cativo del proprio quadro economico e sociale: il dislivello tra le classi sociali è aumentato in modo rilevante, con l’effetto che un numero sempre più crescente di categorie sociali si sta impoverendo e si trova senza reti di sicurezza sociale. Insomma, le politiche decise dal FMI e da Washington hanno fallito e le critiche alla globalizzazione, nella maggior parte dei casi, si sono rivelate corrette. […] In questo quadro continuano a esserci distorsioni spaventose in mercati che dovrebbero essere invece perfettamente effi cienti, perché le regole economiche sono sbilanciate: preser- vano l’interesse particolare dei Paesi industrializzati. Prendiamo ad esempio l’agricoltura, principale fonte di reddito negli Stati del Sud del mondo. I Paesi occidentali hanno spinto la liberalizzazione del commercio per i loro prodotti di esportazione, forzando i Paesi poveri a eliminare le proprie barriere commerciali, ma hanno mantenuto le proprie attraverso i sussidi ai loro prodotti agricoli. In questo modo hanno impedito ai Paesi in via di sviluppo di esportare i loro prodotti agricoli, privandoli di fatto del reddito delle esportazioni di cui han- no disperatamente bisogno. La situazione che ne risulta è distorta: per una mucca negli Stati Uniti il governo centrale stanzia 2 dollari al giorno in sussidi, mentre gli allevatori in Africa vivono sotto la soglia del dollaro al giorno. Il caso della produzione cotoniera è ancora più lampante: negli Stati Uniti i sussidi alla produzione di cotone (4 miliardi annui) superano addirittura il valore effettivo totale della produzione (3,5 miliardi annui).

L’ondata di proteste di Seattle ha rivelato proprio l’ingiustizia di regole commerciali che miravano a proteg- gere solo gli interessi specifi ci dei Paesi industrializzati. Insomma, bisogna considerare l’effetto della liberaliz- zazione e delle politiche imposte dal FMI sulla povertà, e cercare di correggere queste dinamiche commerciali inique e sbilanciate”.

In sostanza Stiglitz sostiene che l’eliminazione delle barriere al libero commercio e la maggiore integrazione fra le economie degli Stati siano poten- ziali fattori di crescita dell’economia e del benessere generalizzato. Al contra- rio, i modi in cui la globalizzazione è stata fi no ad oggi gestita devono essere rivoluzionati. Bisogna impedire che le grandi organizzazioni sovrastatali (come il Fondo Monetario Internazio- nale, la Banca Mondiale e l’Organizza- zione Mondiale del Commercio), che stabiliscono le regole del gioco, conti- nuino a fare gli interessi dei soli Paesi ricchi.

Un intervento di Stiglitz durante una riunione del 2005 dello United Nations Economic and Social Council, alla presenza del Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan.

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Sempre nella stessa intervista, Stiglitz indica i primi segnali di un cambiamento positivo: “in materia am- bientale il Tribunale d’Appello dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, pronunciatosi nel caso Stati Uniti contro Thailandia, ha creato un precedente che ha delle potenzialità di applicazione proprio nella direzione di un cambiamento importante delle regole commerciali. Nel 2002 le pressioni dei movimenti ambientalisti spinsero l’amministrazione statunitense a sollevare una controversia commerciale (in sede del WTO) contro la Thailandia: la modalità di pesca dei gamberetti da parte thailandese metteva in pericolo la sopravvivenza delle tartarughe marine, che morivano a centinaia intrappolate nelle reti. […] La Thailandia è stata costretta a modifi care l’attività di pesca, utilizzando reti particolari che salvaguardano le tartarughe. Considerando che il principio base tradizionale degli accordi commerciali internazionali era di ritenere qualsiasi restrizione alle at- tività produttive di un Paese come illegittima, questa sentenza potrebbe avere delle conseguenze enormi. […]

Per la prima volta è stato possibile criticare il processo di produzione di un bene, sulla base di considerazioni legate all’impatto ambientale […]. Ma questo principio potrebbe essere utilizzato in molte direzioni diverse e le possibili applicazioni di questa decisione sono ancora largamente inesplorate: sulla base di questo principio potrebbe diventare legittimo porre delle restrizioni commerciali alle importazioni di beni, in base alle loro modalità di produzione. […] Ad esempio, l’Unione Europea potrebbe usare questo meccanismo per porre delle restrizioni commerciali alle importazioni di beni statunitensi che vengono prodotti con tecnologie ineffi cienti da un punto di vista energetico. Questo sarebbe uno strumento per costringere gli Stati Uniti ad applicare il Protocollo di Kyoto usando le politiche commerciali”.

Secondo Stiglitz è fondamentale il ruolo dei governi statali, che “possono riprendere il controllo delle istitu- zioni internazionali in cui sono rappresentati. C’è un’esigenza di cambiamento degli orientamenti, di maggior trasparenza e di apertura alla società civile, di cui i governi nazionali più avanzati possono farsi portatori. Per prima cosa è necessario fare pressione per rendere le istituzioni economiche internazionali più sensibili alle tematiche politiche e sociali […], costringendole a operare con maggiore apertura e trasparenza. Ad esempio, i governi europei dovrebbero insistere affi nché il FMI inizi ad agire come un’istituzione pubblica, quale do- vrebbe essere. Si potrebbe iniziare dal rendere pubblici i documenti dell’operato del FMI. Questo romperebbe l’aura di segretezza che avvolge le dinamiche di questa istituzione, poco trasparente e poco democratica […].

L’accessibilità da parte della società civile ai documenti del FMI darebbe inizio a un dibattito aperto e infor- mato sulle sue azioni e, allo stesso tempo, permetterebbe ai cittadini di valutare meglio il comportamento dei propri rappresentanti politici di fronte alle scelte economiche dei governi. Se in molti Paesi si aprisse lo spazio per discussioni pubbliche di questo tipo, la società civile conquisterebbe una voce di critica concreta rispetto alla politica economica del proprio governo, e un’infl uenza indiretta rilevante rispetto alle istituzioni economi- che internazionali. Un secondo modo con cui i governi possono infl uenzare il Fondo Monetario Internazionale è quello di premere affi nché i suoi economisti, ogni volta che “propongono” un intervento economico a un Paese, includano nelle loro previsioni le conseguenze economiche delle loro raccomandazioni sulla povertà e sull’occupazione. Se il FMI fosse, infatti, obbligato a rivelare ai governi i prevedibili effetti sociali dei programmi che adotteranno, allora sarebbe costretto a prestare maggior attenzione a questi temi. Questo perché le misure economiche adottate non dovrebbero essere basate su fattori strettamente economici, ma anche su quelli sociali: la globalizzazione deve necessariamente assumere un volto più umano, dove fattori come la disoccu- pazione, l’istruzione e la salute abbiano un ruolo rilevante nelle scelte economiche”.

L’economista conclude l’intervista attribuendo una grande responsabilità anche alla società civile, che “può comunque giocare un ruolo di rilievo nella ridefi nizione dei processi della globalizzazione. La pressione delle critiche dei movimenti dal 1999 in avanti è servita principalmente a indebolire la credibilità del FMI a livello internazionale e lo ha costretto a mettere dei limiti ai suoi interventi. […] Oggi la società civile può frenare gli abusi del passato. […] Personalmente rimango ottimista sul futuro e credo che i movimenti della società civile abbiano potenzialmente la capacità di indirizzare la globalizzazione e trasformarla in una forza fi nalizzata al benessere collettivo”.

Le ultime parole di La globalizzazione e i suoi oppositori riassumono in maniera esemplare il pensiero di Sti- glitz: “Oggi il sistema del capitalismo si trova a un bivio. […] Milioni di persone in tutto il mondo sono in attesa di vedere se sia possibile riformare la globalizzazione affi nché i suoi vantaggi possano essere ripartiti in modo più equo […]. Quelle che servono sono politiche per una crescita sostenibile, giusta e democratica. Sviluppo signifi ca trasformare le società, migliorare la vita dei poveri, dare a tutti la possibilità di successo e garantire a chiunque l’accesso ai servizi sanitari e all’istruzione [...]. L’Occidente deve fare la propria parte per riformare le istituzioni internazionali che governano la globalizzazione [...]. Non possiamo, non dobbiamo, rimanere in disparte relegandoci al ruolo di semplici e inerti spettatori”.

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