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Tale periodo è caratterizzato a livello sociale e politico da una “crisi” (anche economica1) responsabile dell’inquietudine dei “figli” del primo dopoguerra, tra cui il giovane Jean-Paul

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Capitolo I

1.1 Qualunque cosa valeva più di tutta quanta l’Europa.

La mauvaise foi (malafede) è uno dei capisaldi del pensiero di Jean-Paul Sartre il quale ne fornisce un’analisi completa nella sua opera filosofica più importante ed esaustiva L‘essere e il nulla (1943). L’origine di tale interesse è rintracciabile sin dagli albori del lavoro sartriano, nel mondo filosofico e letterario, come tema indissolubilmente legato al principio base di tutte le analisi del filosofo francese: la libertà umana. Ciò che ci proponiamo di fare in questo primo capitolo è di individuare l’inizio delle ricerche che hanno portato Sartre ad interessarsi ai “comportamenti ambivalenti”, tenendo conto del delicato momento storico che la Francia vive quando questo interesse ha inizio, cioè il lasso di tempo che va dagli anni ’20 ai ’40, tra le due guerre mondiali. Tale periodo è caratterizzato a livello sociale e politico da una

“crisi” (anche economica1) responsabile dell’inquietudine dei “figli” del primo dopoguerra, tra cui il giovane Jean-Paul. Numerose sono le testimonianze riguardanti il disagio sociale ma soprattutto culturale del momento storico in questione, vissuto come l’agonia di un «mondo che all’improvviso scopriva di esser diventato troppo piccolo per gli uomini che lo abitano»2. Jean-Paul Sartre, Claude Lévi-Strauss, Paul Nizan, Merleau Ponty, Simone de Beauvoir sono solo alcuni dei protagonisti “déracinés” 3 di questo periodo.

Ma a che rassomigliava il nostro mondo? Pareva il caos che i greci collocano all’origine dell’universo fra le nebbie della creazione, con la sola differenza che noi credevamo di scorgervi il principio della fine, di una vera fine, e non di quella che prelude al principio di un principio. Dinanzi a quelle estenuanti metamorfosi delle quali un numero minimo di testimoni si sforzava di trovare la chiave, si poteva soltanto osservare che la confusione portava alla

1 «Si tratta di una crisi a livello economico-politico: Dopo l’avvento al potere della sinistra nel maggio 1924, crisi monetaria e errori di gestione hanno contribuito ad affrettare il processo di degradazione politica, prima che Édouard Herriot, il 10 aprile 1925, venga costretto, specialmente da Poincaré, a dare le dimissioni. Si apre così un periodo straordinariamente instabile, un periodo di grandi delusioni sbriciolato in una serie di governi nati morti sino al 1926, prima che il ritorno di Poincaré stabilizzi il franco, fino alla grande crisi monetaria del 1929.»

Annie-Cohan Solal, Sartre, Il Saggiatore, Milano, 1986, p. 11.

2 Claude Lévi-Strauss, Tristi Tropici, Il Saggiatore, Milano,1978, p. 19. Il termine déracinés utilizzato da Moravia rimanda al titolo di un libro del 1897, Les déracinés, dello scrittore e politico francese Maurice Barres.

3 Sergio Moravia, p.8.

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morte naturale di quanto esisteva. Tutto assomigliava a quel disordine che conclude le malattie...4

Accomunati da un uguale senso di disagio e ribellione nei confronti, oltre che della società in senso più generale, anche dell’indottrinamento positivista-idealista tipico dell’ambiente accademico dell’epoca, così complesso nella sua razionalità da ridurre i propri

“professionisti” a semplici «cani da guardia del vocabolario e del percorso dello Spirito5», questi déracinés esprimono il desiderio di volgere lo sguardo altrove, per trovare nuove prospettive estranee a quelle lasciate loro in eredità:

“Dove si è cacciato l’uomo? Noi asfissiamo! Ci vanno mutilando dall’infanzia: non ci sono che mostri!”6.

Nel farlo ognuno tenterà di vivere la propria scommessa7. Claude Lévi-Strauss, ad esempio, tenterà la propria missione attraverso l’etnologia nelle zone inesplorate dell’America del Sud:

Pur ritenendosi umano, l’etnologo cerca di conoscere e di giudicare l’uomo da un punto di vista sufficientemente elevato e distaccato, per astrarlo dalle contingenze particolari a una data società o a una data civiltà.8

Il tema del viaggio per terre poco conosciute se non inesplorate (soprattutto orientali) è da considerare un topos dell’epoca tra i giovani intellettuali. La ricerca del radicalmente diverso, se non primitivo nel caso di Lévi-Strauss, suggerisce il desiderio di ritrovare profondità e concretezza (evidentemente perse) per riscoprire l’umanità nel senso più pieno e il viaggio per terre lontane è uno dei mezzi più frequenti per fuggire e appagare questa inquietudine:

«qualunque cosa valeva più di tutta quanta l’Europa»9 che, a confronto dell’Asia, eroina della saggezza, e dell’America, eroina della potenza, pareva una «vecchia donna agonizzante»10

4 Paul Nizan, p.67.

5 Paul Nizan, p. 71.

6 Jean-Paul Sartre, prefazione ad Aden Arabia, p. 5.

7 Massimo Barale, Filosofia come esperienza trascendentale Sartre, Felice le Monnier, Firenze, 1977, p.1.

8 Claude Lévi-Strauss, op. cit., p. 53.

9 Paul Nizan, p.84.

10 Ibidem, p. 86.

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che nulla più aveva da offrire. La preferenza tra Occidente e Oriente dà origine a un dibattito all’interno del mondo culturale e politico: tendenzialmente, la destra era europeista e la sinistra orientalista. L’importante era evadere per non doversi adeguare alle trame rigide di un

«mondo inflessibile»11 e di una «civiltà meccanicizzata»12 incentrata sul rigore della tecnica, l’esattezza della scienza e la pazienza della ragione. Essa, con i suoi ingranaggi, recideva larga parte parte dei “bisogni umani” delle nuove generazioni destinandole, sul piano sociale alla fatalità di una vita composta di maschere preposte dalla morale borghese a ruoli fissi disposti a seconda dell’estrazione sociale di appartenenza, sul piano culturale invece:

La borghesia ingrassa i suoi intellettuali nelle stie perché non siano tentati di amare il mondo. Così noi vivevamo alla piccola velocità del sonno (nessuno ignora che siano le grandi velocità a costare care) e ci muovevamo come ci avevano addestrati a muoverci, occupati nei giochetti di costruzioni che tutti quei funzionari ci avevano insegnato (...) Pagliacci e complici: ecco le arti dello Spirito! Di quando in quando ci pregavano di portare pazienza: presto il mondo sarebbe cambiato.13

Così testimoniava Paul Nizan nel suo Aden Arabia (1931), raccontando della sua esperienza di viaggio (fuga) nella quale aveva molto sperato ma che alla fine si risolse in una mera illusione: agli occhi di Nizan, Aden, contaminata dal morbo occidentale, ripropone in se stessa una miniatura di ciò che l’Europa colonizzata aveva da offrire. Nello Yemen dunque egli si ritrova faccia a faccia con tutto ciò che aveva cercato di fuggire, maschere ed ingranaggi sociali compresi, che anzi riesce a comprendere in maggiore misura proprio perché visibile in forma concentrata:

Il piccolo numero di uomini cacciatisi nelle cinghie di trasmissione di questa macchina ancora complessa, permette qui di afferrare il significato della vita europea tanto spesso dissimulata dalla moltitudine di attori e dalla interferenza delle loro trame. Comprendere le leggi di un siffatto macchinario, la sorgente della sua forza motrice, sembra una cosa veramente importante a un giovane che cominci goffamente e dopo un piccolo numero di vagabondaggi senza importanza, a intravedere la meta verso cui non

11 Paul Nizan p.74.

12 Claude Lévi-Strauss, op. cit., p. 39.

13 Paul Nizan, op,cit., p. 73.

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spetta che agli uomini di dirigere i propri passi. Queste persone recitano le proprie parti nel mezzo di piccoli drammi aneddotici che rappresentano, secondo il sistema del teatro delle ombre, i movimenti modello della vita dell’uomo civile: le parti sono guidate da abitudini e passioni debolmente risvegliate, della vita ridotta a un semplice gioco di abiti tristemente accettati.14

Queste frasi, sebbene non scritte da Sartre ma da un autore che può essere considerato per molti versi il suo doppio15, incarnano bene l’atmosfera rigida e inautentica che lo spingeranno, tra gli altri déracinés, a cercare una via per smascherare l’uomo dietro la macchina16. Poc’anzi abbiamo affermato che un’uguale insofferenza condurrà i figli della crisi a soluzioni diverse per «cercare di mettere qualcosa di reale sotto i denti»17: alcuni decideranno di optare per l’esilio volontario, altri sceglieranno l’impegno politico, sperando di mettere in atto una rivoluzione che ponga fine al «dolce vivere»18 borghese, superficiale, esageratamente razionale e noncurante del proprio stato di agonia. È di nuovo il caso di Paul Nizan, compagno di studi di Sartre sin dagli anni liceali ma, diversamente da lui, di umili natali: probabilmente per questa ragione l’autore di Aden Arabia avverte maggiormente l’ingiustizia sociale che sta dietro ai dislivelli della morale borghese, il peso, rispetto a chi in quegli ambienti c’era cresciuto. Nizan borghese lo era diventato grazie agli studi che lo avevano portato a un gradino e a un destino superiori rispetto a quelli del padre, semplice ferroviere. Per questa ragione insieme lui, insieme a molti intellettuali dell’epoca, entrerà a far parte del partito comunista, sempre di più infatti a partire dagli anni ’20 la lotta alla borghesia aveva acquistato toni politici di sinistra19. La critica alla quotidianità borghese è del resto una componente costante anche nell’opera di Sartre sin dagli esordi letterari20. Il filosofo, diversamente da Nizan, ne aveva conosciuto e vissuto il lato cerimoniale sin dall’infanzia e

14 Paul Nizan, pp.130-31, corsivo mio.

15 «Eppure eravamo legati al punto che ci scambiavano l’uno per l’altro.» Jean-Paul Sartre, prefazione di Aden Arabia, p. 17.

16 «Senonché hanno delle maschere quando si guardano negli specchi e non riconoscono la loro brutta cera dietro la cartapesta dorata. Ma noi le maschere le ignoriamo, noi conosciamo le nostre mutilazioni, nulla inganna il nostro appetito...». Paul Nizan, p. 186.

17 Ibidem, p.78.

18 Jean-Paul Sartre, Le parole, Il saggiatore, Milano,1964, p.105.

19 «Nel ’19, le elezioni generali vedono l’affermazione del Bloc National, che ha impostato la sua campagna elettorale in esplicita funzione antibolscevica e antiproletaria.» Giovanni Cera, Sartre tra ideologia e storia, Editori Laterza, Bari, 1972, p.21.

20 Apparsi nel 1923 ne la Revue sans titre: l’Angelo del morboso e Gesù la civetta, professore di provincia.

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per questa ragione critica la “borghesia” da “borghese”21 rivolgendosi non tanto all’aspetto storico-sociologico ma piuttosto a quello ideologico-morale22. Sartre non combatterà tanto la borghesia in quanto “classe” ma piuttosto in quanto “psiche”, focalizzando la propria critica contro di essa per il suo atteggiamento conformista23. La libertà invece, vera essenza dell'umanità, intesa come peculiare capacità dell’uomo di sfruttare la contingenza (carattere fondamentale dell’esistenza) è ciò che differenzia gli individui dalle macchine: è l’uomo a introdurre nuove possibilità al mondo, creando ex nihilo24 tutto ciò che con il passare del tempo si è arrivati a considerare necessario, compresi valori e principi. Nel novembre del 1926 Sartre fu invitato a rispondere a un’inchiesta sugli studenti di oggi de “Les Nouvelles Litteraires”: ciò che ebbe a dire in quella occasione rende chiaro come sin da allora fossero presenti in lui le idee che abbiamo appena delineato intorno alla necessità e alla libertà:

È il paradosso della mente, che l’uomo, il cui compito è creare il necessario, non possa innalzare se stesso fino al livello dell’essere, come quegli indovini che predicono l’avvenire agli altri, non a se stessi. È per questo che io vedo al fondo dell’essere umano, come al fondo della natura, la tristezza e la noia...Siamo liberi quanto vi pare, ma impotenti...Per il resto, la volontà di potenza, l’azione, la vita, sono soltanto vane ideologie. Non esiste in alcun luogo volontà di potenza. Tutto è troppo debole: ogni cosa tende a morire.

L’avventura soprattutto, intendo dire la fiducia in connessioni necessarie che dovrebbero esistere, è un’illusione. L’avventuriero è un determinista conseguente che immagina d’essere libero....Siamo più infelici, ma più simpatici.25

21 «La nostra apertura mentale la dovevamo a una cultura e a prospettive accessibili soltanto alla nostra condizione di giovani intellettuali piccolo borghesi.» Simone de Beauvoir, L’età forte, Einaudi, Torino, 1961, p.

18.

22 Cfr. Giovanni Cera, p 19.

23 La critica alla borghesia è presente sin dai primi anni ’20, per esempio l’Angelo del morboso del 1923, racconta la breve vicenda di Louis Gaillard insegnate della provincia con l’aspirazione della scrittura che desidera ardentemente conquistare una donna tisica, proprio a causa della sua malattia. Dopo averla conquistata l’abbandona crudelmente, lasciandola in preda ad un attacco di tosse, così si conclude il racconto: «si fece auscultare poco dopo da uno specialista che gli dimostrò che non era affatto contagiato; ruppe con tutti i vecchi amici e si sposò un’alsaziana dal colorito roseo, bionda, stupida e sana. Non scrisse mai più e, a cinquantacinque anni, fu decorato con la Legion d’Onore, inconsistente brevetto di “Borghesia”.» Jean-Paul Sartre, Novelle e racconti pensieri e progetti dagli écrits de jeunesse, Marinotti, Milano, 2007, p. 26.

24 Jean-Paul Sartre, La Trascendenza dell’Ego, Egea, Milano, 1992, p. 51.

25 Annie-Cohan Solal, p.86.

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«La politica lo annoiava»26. Non è questo il momento in cui Sartre si avvicina al marxismo, sebbene nel ’25 legga il Capitale e simpatizzi in questi anni per il partito comunista, non vi s’impegna in prima persona né tantomeno decide di militarci27. «Il nostro contributo», dice la de Beauvoir, «l’avremmo dato sotto forma di libri»28, «poiché per noi il mondo e l’uomo restavano ancora da inventare»29. Probabilmente nessuno meglio della de Beauvoir può restituirci fedeli testimonianze del percorso intellettuale del filosofo francese, lei, il

«Castoro»30, era l’amore «necessario»31 di Sartre, di cui, condivideva interessi e fini32.

1.2 I Saggi del XVI Arrondissement33

Sia Jean-Paul Sartre, che Paul Nizan, che Claude Lévi-Strauss che Simone de Beauvoir offrono testimonianza nelle loro memorie dell’atmosfera che si respirava all’École Normale e alla Sorbona, dove i «saggi del XVI Arrondissement» monitoravano i progressi che «lo Spirito compie nella storia ed erano convinti che la verità si acchiappa a volo come un uccellino»34. Nel periodo fra le due guerre è l’idealismo critico (oltre che il bergsonismo35 e il

26 Simone de Beauvoir, p.12 .

27 «Un tempo, ci corteggiavamo a vicenda. Dopo, mi sono decisamente staccato dal partito, ma con qualche rimorso. Insomma, accettavo di non essere comunista solo se potevo essere più a sinistra del comunismo.» Jean- Paul Sartre, Taccuini della strana guerra, vol.1, op.cit., p.41.

28 Simone de Beauvoir, op.cit., p. 12.

29 Ibidem, p. 122.

30 «Sartre mi attribuiva una doppia personalità; di solito ero il Castoro; ma a volte questo animale cedeva il posto a una giovane assai sgradevole: la signorina de Beauvoir; Sartre ricamava su questo tema delle variazioni e finiva sempre per deridermi». Simone de Beauvoir, op.cit, p. 16. L’appellativo di “Castoro” rispecchiava agli occhi di Sartre lo spirito operoso della de Beauvoir.

31 Ibidem, p.19.

32 “Noi non appartevamo a nessun luogo, nessun paese, a nessuna classe, a nessuna professione, nessuna generazione. Il nostro vero essere era altrove, esso aveva per confine l’eternità, e l’avvenire l’avrebbe rivelato:

noi eravamo scrittori. Qualsiasi altra definizione era soltanto apparente.” Ibidem, p. 17.

33 Paul Nizan, p.70.

34 Ivi.

35 «Je vous dirai: c’est Bergson qui m’a décidé à faire de la philosophie. (...) Je voulais écrire et la philosophie me paraissait une chose complétement abstrait.(...) Il me révélait, en outre, une existence absolue de notre subjectivité qu’était la durée: c’était l’existence. Aprés, j’ai trouvé la primitivité de sa conception de la durée et, en général, la primitivité de sa théorie du temps. Mais il m’avait déjà donné le goût de la philosophie.» Massimo Barale, Filosofia come esperienza trascendentale Sartre, op.cit. p.7. Bergson ha molto inciso sulle prime riflessioni di Sartre e di questa influenza è possibile ritrovare traccia soprattutto nei saggi filosofici che vanno dal

’36 al ’40.

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neokantismo) di matrice cartesiana36 ad avere la meglio in ambiente accademico e Léon Brunschvicg era il più importante rappresentante e custode di questa corrente37:

Sciorinano tanti giri di frase e massime e figure retoriche, che non so se, con l’aiuto di silenzi, nutriti dai segreti chiarimenti del sonno, di chiarimenti di conversazioni con passanti che si attardano sulle piazze o nelle caserme, spacci, officine, non so se saprò mai più ritrovare il senso giusto delle parole e delle semplici invenzioni degli uomini. Tra di essi un gran pensatore: Léon Brunschvicg uno che meglio degli altri sapeva nascondere il suo gioco e aveva più di un asso nella manica. Una precisione da orologiaio nei pensieri e una notevole disposizione nell’arte dell’illusionista (...) Rivenditorello di sofismi (...) e i discepoli, schierati attorno a lui, si tenevano pronti a risollevare dal suo cadavere la bandiera mercenaria dell’idealismo critico.38

Anche Claude Lévi-Strauss nei Tristi Tropici ricorda i cinque anni passati alla Sorbona con profonda delusione. Ciò che si evince dalla sua testimonianza è che le lezioni di filosofia si riducevano ad un gioco dialettico e a un esercizio mentale incentrato sulla capacità della ragione di superare le contraddizioni degli uomini, una specie di contemplazione estetica che la coscienza operava su se stessa39. L’idealismo critico rifiutava il materialismo e attribuiva assoluta centralità alla coscienza e al conoscere, per questa ragione fu respinta da molti intellettuali, perché rea di non tenere conto dell'empiricità e della concretezza del mondo.

Sartre fu diretto allievo di Brunschvicg40 ma con il passare del tempo se ne distaccherà. Nel farlo non seguirà né l’esempio di Lévi-Strauss, che cercherà il concret nella scienza, né quello di Nizan che sposterà la propria attenzione nella lotta di classe41. Anzi qualcosa dell’idealismo

36 Concentrato sul ruolo predominante della res cogitans rispetto al mondo esterno.

37 «Integrato con apporti kantiani, fichtiani e schellinghiani». Sergio Moravia, op. cit,, p. 10.

38 Paul Nizan, pp. 71-72.

39 Claude Lévi-Strauss, p. 50.

40 «Lui aveva amati la sua vita all’École Normale: non prese sul serio le rabbiose dichiarazioni di Nizan contro la Normale; non si disse che il turbamento di Nizan aveva dovuto essere profondo, per gettarlo nell’avventura di Aden.» Simone de Beauvoir, op. cit, p. 68.

41 «Per il nostro amore della libertà, la nostra opposizione all’ordine stabilito, il nostro individualismo, il nostro rispetto dell’artigianato, ci accostavamo agli anarchici. Ma a dire il vero, la nostra incoerenza sfidava qualsiasi etichetta. Anticapitalisti ma non marxisti, esaltavamo i poteri della pura coscienza e della libertà, e tuttavia eravamo antispiritualisti; sostenevamo la materialità dell’uomo e dell’universo disdegnando nel tempo stesso le scienze e le tecniche. A Sartre non importava nulla di queste contraddizioni, si rifiutava perfino di formularle...»

Ibidem, p. 36.

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critico resterà sempre nella metodologia di Sartre e nell’interesse che dimostrerà anche in seguito nei confronti della coscienza e dell’ontologia (lo si vede bene ne L’essere e il nulla).

Ciò non toglie che il filosofo francese prenderà consapevolezza nel tempo del carattere

“contingente” e non assoluto dell’esistenza, grazie ad alcune letture42 e all’incontro a partire dai primi anni ’30 con la fenomenologia di Husserl ed Heidegger.

Nella filosofia dell’idealismo critico, di cui Léon Brunschvicg è simbolo indiscusso in questo periodo presso la Sorbona, larga parte dell’individualità umana (compresa la sua componente pre-razionale) viene lasciata da parte o educata secondo le regole del determinismo, e la

“quotidianità” più autentica dell’esistenza viene dimenticata o mascherata per l’occasione secondo le direttive sociali. L’uomo, invece, è un ente che porta in sé il seme dell’irrazionalità, dell’imprevedibilità e della “possibilità” grazie al suo carattere fondamentalmente libero: tentare di annullare “consapevolmente” questo fattore attraverso la rigidità della sola ragione (razionalismo) o dei costumi (morale borghese), vuol dire per Sartre assumere un carattere ambiguo o meglio, di malafede.

L’originalità di Sartre stava nel conferire alla coscienza una gloriosa indipendenza pur accordando tutto il suo peso alla realtà; essa si dava alla conoscenza in modo perfettamente trasparente, ma, insieme in tutto l’irriducibile spessore del suo essere; egli non ammetteva nessuna distanza tra la visione e la cosa cosa vista, il che faceva sorgere spinosi problemi; ma la difficoltà non intaccava mai le sue convinzioni. A che cosa deve attribuirsi questo realismo ostinato, all’orgoglio o all’amore? Egli rifiutava che l’uomo in lui fosse ingannato dalle apparenze, ed era troppo appassionatamente attaccato alla terra per ridurla a un’illusione; la sua vitalità gli ispirava quest’ottimismo, in cui si affermavano con la stessa forza il soggetto e l’oggetto. È impossibile credere contemporaneamente ai colori e alle vibrazioni dell’etere, così egli rifiutava la Scienza: seguiva il cammino tracciato dai tanti eredi dell’idealismo critico; ma con gran violenza calpestava ogni pensiero dell’universale; gli uomini convenivano unanimemente di accettarle poiché esse gli mascheravano una realtà che li inquietava; lui voleva coglierla dal vivo; disdegnava l’analisi che non seziona mai altro che cadaveri; egli mirava a una conoscenza globale del concreto, e perciò all’individuo, poiché solo l’individuo esiste. Tra tutte le

42 «Alla fine degli anni ’30 resta assai colpito da Vers le concret, un altro libro di Wahl che «metteva in difficoltà l’idealismo scoprendo paradossi, ambiguità, conflitti non risolti nell’universo»». Sergio Moravia, op.cit. 11. Di Jean Wahl Sartre aveva già letto a quell’epoca Le malheur de la conscience dans la “Phénoménologie de l’Esprit” de Hegel.

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metafisiche, egli accettava soltanto quelle che vedono nel cosmo una totalità sintetica: lo stoicismo e lo spinozismo. 43

Riteniamo questa testimonianza della de Beauvoir tra le più importanti da noi riportate poiché mostra, aldilà del dato biografico, l’ideale pratico del filosofo francese: cogliere la vera essenza della realtà, avendo cura di non appiattire il rapporto soggetto-oggetto, ma soprattutto, non cadere nella rete delle facili apparenze o, peggio, delle “consapevoli illusioni”. Questo spirito è alla base del futuro studio sulla malafede del quale ora non possiamo direttamente passare ad illustrare la dinamica, senza averne prima ricercato traccia nel periodo che precede la stesura de L’essere e il nulla, dove come abbiamo detto, Sartre ne fornirà una completa analisi all'interno dello studio sull’essere. Continuiamo perciò la nostra ricerca a ritroso e veniamo alla vera svolta per il pensiero giovanile di Sartre e cioè l’incontro con la fenomenologia di Husserl (e in seguito Heidegger) e delle conseguenti sue prime opere psicologico-filosofiche e letterarie, soprattutto: Idee per una teoria delle emozioni (1938), La nausea (1938), Il muro (1939) e L’immaginario (1940).

1.3 Una psicologia della libertà44

Il periodo dal 1920 a 1930 è stato quello il cui le «teorie psicanalitiche»45 si sono maggiormente diffuse anche in ambiente accademico, tanto che lo stesso Sartre ne verrà coinvolto. Nel 1927 insieme a Nizan traduce, per l’editore Alcan, le bozze del testo francese del Trattato di psicopatologia di Karl Jaspers per il quale nutre interesse, mostrando invece distacco per la psicologia accademica positivista e analitica46. Del pensiero di Jaspers lo affascina soprattutto il concetto di comprensione (a sua volta ripreso da Dilthey):

Ciò che l’interessava soprattutto era la gente. Alla psicologia analitica e polverosa che s’insegnava alla Sorbona egli intendeva opporre una comprensione concreta, e quindi sintetica, degli individui. Questa nozione l’aveva incontrata in Jaspers (...) Jaspers opponeva alla spiegazione causale,

43 Simone de Beauvoir, op,cit. 26.

44 «Ma l’orgoglio appassionato che spinge a irrigidirsi e a rifiutare è così forte in me che le considero in modo astratto: certe volte mi dico, con molta soddisfazione, che non appartengo a questa schiera di uomini - perché voglio vivere su un altro piano, perché sono interessato da un’altra psicologia, quella della libertà». Jean-Paul Sartre, Taccuini della Strana Guerra, Acquaviva, 2002, Acquaviva delle fonti, vol 1, pp. 42-43.

45 Claude Lévi-Strauss, op. cit., p. 53.

46 Ibidem, p. 37

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adoperata dalle scienze, un altro tipo di pensiero che non riposa su alcun principio universale, ma che coglie delle relazioni singolari per mezzo di intuizioni, più affettive che razionali, e di un’irrefutabile evidenza, definiva e giustificava questa teoria basandosi sulla fenomenologia. Sartre ignorava tutto di questa filosofia, ma ne aveva tuttavia ritenuto il concetto di

“comprensione” e tentava di applicarlo.47

Poc’anzi abbiamo accennato alla presa di coscienza da parte del filosofo dell’inadeguatezza del determinismo idealista comprendere l’uomo, perché insufficiente a spiegarne la componente non razionale (o presumibilmente tale) e a rispettarne il carattere libero. Grosso modo questo distacco ha coinciso con la fine degli anni ’20.

Grazie a Jaspers Sartre si convince sempre più che non è possibile “spiegare”48 i moti dello spirito alla maniera in cui è possibile spiegare un fenomeno naturale, che è analizzabile secondo la logica della causa ed effetto. L’uomo è “di più” e le sue emozioni non possono essere staccate dall’individualità per essere analizzate al microscopio, né è sufficiente relegare tutto ciò che è inspiegabile nell’antro dell'inconscio49. Se “spiegare” è utilizzare griglie preposte dalla psicologia analitica, “comprendere” è interpretare in maniera sintetica, ed è certamente un metodo più affine al pensiero di Sartre di questi anni50. Non è un caso che in questo periodo insieme alla de Beauvoir si appassioni ai fatti di cronaca nera di portata psicologica51 che i giornali associano ad eccessi di follia passeggera, sempre (o quasi) accaduti in ambienti apparentemente normali, tra persone quiete e rispettabilmente...

borghesi52. Jean-Paul e Simone si focalizzano soprattutto sul prima53 (il decoro della famiglia

47 Simone de Beauvoir, p. 37.

48 Silvano Sportelli, Sartre e la psicanalisi, Dedalo Libri, 1981, Bari, p.16

49 «Qualsiasi perturbazione solleticava il nostro anarchismo: la mostruosità ci avvinceva. Una delle nostre contraddizioni era che negavamo l'inconscio, eppure Gide, i surrealisti, e nonostante le nostre resistenze, lo stesso Freud, ci avevano convinti che esiste in ogni essere un “infrangibile nòcciolo di buio” (André Bréton):

qualcosa che non riescono a scalfire né le abitudini sociali né i luoghi comuni del linguaggi, ma che a volte, scandalosamente esplode». Simone de Beauvoir, p.111.

50 In questo periodo Sartre si interessa anche molto alla Gestalttheorie che è accomunabile al pensiero di Jaspers in quanto rifiuta l’idea di scomporre l’individualità umana e abbraccia un metodo sintetico del conoscere.

51 L’interesse di Sartre per la psicologia è attestata, oltre che dalle sue letture (vedi Trattato di psicopatologia di Jaspers), anche dalle lezioni di psicopatologia clinica di G.Dumas presso il Sainte-Anne alle quali aveva assistito in giovinezza.

52 «Questa sera mi sento assai a mio agio, molto borghesemente nel mondo». Jean-Paul Sartre, La Nausea, Einaudi, Torino, 1948, p.12.

53 Un’ottima rappresentazione di questo stacco tra la quiete la tragicità all’interno della borghesia è offerto dalla novella La Camera presente nella raccolta Il Muro del ’39.

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di appartenenza o meglio la rete di apparenze dietro questa 54) e il dopo rispetto alla “follia”

del gesto tragico; entrambi trovano che le spiegazioni razionali e logiche dei medici poi espresse nelle aule dei tribunali, pubblica gogna della società, non fossero affatto esaustive per la maggior parte dei casi:

Sartre esaminava con cura tutti i pensieri prelogici che pullulano nel nostro mondo civile. Se ripudiava il razionalismo degli ingegneri, lo faceva in nome di una più giusta forma di intelligibilità: mentre la società , sovrapponendo alla logica e alla matematica le sopravvivenze di una mentalità magica, non faceva che manifestare il suo disprezzo della verità. 55

D’altro canto il tema della “contingenza”, da opporre al formalismo necessario e accademico, è in questo periodo un argomento centrale nel pensiero di Sartre che, all’inizio degli anni ’30, aveva pronta La Légende de la Verité, novella-bandiera degli sviluppi intellettuali del filosofo e delle sue nuove aspettative di ricerca sintetica, interamente incentrata sulla contingenza56. Ma la vera occasione per una tale ricerca, necessaria per poter dare «testimonianza di tutte le cose»57, verrà data al filosofo francese dall’incontro con la fenomenologia di Husserl che pure era presente in Jaspers ma che ancora non aveva impressionato Sartre. Prima di passare ad analizzare i fatti crediamo sia doveroso da parte nostra riportare altre frasi molto importanti della De Beauvoir a proposito di questi anni e delle direttive seguite congiuntamente dai due, da collocare prima o comunque a distanza molto ravvicinata alla famosa serata in cui Raymond Aron, compagno di studi di Sartre all’École Normale, gli parlò della fenomenologia:

Ma, in questo campo come in molti altri, se sapevamo da quali errori bisognava guardarsi, ignoravamo quali verità sostituire ad essi. Nella nozione di “comprensione” attinta in Jaspers, non trovavamo che una direttiva assai vaga; per cogliere sinteticamente gli individui nella loro

54 «Coi loro capelli ondulati e i loro collettini bianchi, come sembravano sagge, Christine e Lea, sulla vecchia foto che pubblicarono certi giornali! Come erano potute diventare quelle furie selvagge che offrivano alla pubblica vendetta le immagini prese dopo il dramma? Bisognava renderne responsabile l’orfanotrofio della loro infanzia, la loro servitù, tutto lo spaventoso sistema per fabbricare pezzi, assassini, mostri, che è stato congegnato dalla gente perbene». Simone de Beauvoir, p. 113.

55 Ibidem, pp.113-114.

56 Dopo esser stata rifiutata dalla casa editrice d’Europe, Sartre decide di metterla da parte e di impegnarsi nell’abbozzo della futura Nausea. Simone de Beauvoir, p. 91.

57 «...Sartre viveva per scrivere; la sua missione era di dar testimonianza di tutte le cose e di rielaborarle alla luce della necessità... » Ibidem, p. 12.

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singolarità occorrono schemi che noi non possedevamo. In quegli anni, i nostro sforzi miravano a dedurne e a inventarne; era il nostro lavoro quotidiano, e credo che ci arricchì più di qualsiasi lezione o di qualsiasi apporto venutoci dall’esterno. Sartre forgiò la nozione di malafede, che spiegava, secondo lui, tutti i fenomeni che gli altri riferiscono all’inconscio.

Ci applicavamo a snidarla sotto tutti i suoi aspetti: i trabocchetti del linguaggio, le menzogne della memoria, evasioni, compensazioni, sublimazioni. Ogni volta che scoprivamo una nuova griglia, un nuovo modulo, eravamo felici. Una delle mie giovani colleghe, nella sala dei professori esprimeva opinioni recise e stati d’animo estremi ; ma quando cercai di parlare con lei affondai nelle sabbie mobili; questo contrasto mi disorientò; un giorno ebbi un’illuminazione: “Ho capito, - dissi a Sartre -.

Ginette Lumière è un’apparenza!” Ormai applicavamo questo termine a tutte le persone che mimavano convinzioni e sentimenti di cui non avevano il corrispondente in loro stessi: avevamo scoperto, con un nome diverso, la nozione di ruolo. 58

Gli «schemi che non possedevamo» arriveranno a Sartre con l’ausilio della fenomenologia, grazie alla quale potrà strutturare in maniera personale e concreta gli studi sulla necessità e la libertà; crediamo però di poter affermare, ai fini della nostra analisi, che il concetto di malafede fosse presente sin dagli albori di questa struttura che prenderà corpo a partire dalle dissertazioni sull’immaginazione, l’immaginario e le emozioni, per poi trovare definitiva collocazione ne L’essere e il nulla.

“Ruolo”, “apparenza” e “mimare” sono le parole chiave per l’interpretazione delle frasi della de Beauvoir. Stando a ciò che quest’ultima testimonia, Sartre poneva come premessa che il soggetto in questione conoscesse le proprie intenzioni: Essere coscientemente falsi59, come è possibile? E perché? Alla prima domanda si potrebbe rispondere: perché l’uomo è un ente duale (necessità e libertà). Alla seconda si potrebbe invece rispondere: per fuggire una situazione difficile, il soggetto decide di indossare una maschera (opinioni recise e stati d’animo estremi). Non è possibile in questo momento spiegare esaustivamente il pensiero di Sartre circa questi concetti, che vedremo meglio in seguito: ora possiamo solo prendere atto del fatto che già a partire dall’inizio degli anni ’30 Sartre, distaccatosi dall’idealismo critico e dal determinismo e animato dal solo principio morale della libertà, riconosce alla natura umana una dualità che permette al soggetto di vivere quotidianamente grandi e piccole

58Simone de Beauvoir pp. 110-111.

59 «Ammiro come si possa mentire appoggiandosi sulla ragione». Jean-Paul Sartre, La nausea, op. cit,p. 21.

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contraddizioni “consapevoli” per fuggire dalle difficoltà e dalla paura di sentirsi soli senza una morale da applicare o una maschera da indossare. Per quanto non possa darsi per certo che le indagini sulla dualità umana e la malafede siano state ispirate in Sartre dal rifiuto alla società meccanicistica degli ingegneri60 borghesi, ciò non toglie che esistano buone ragioni per pensare che le abbiano largamente motivate.

1.4 L’inizio della malafede.

Ma veniamo all’incontro con la fenomenologia tedesca, era il 1932:

Raymond Aron trascorreva l’anno all’Istituto francese di Berlino, e, mentre preparava una tesi di storia, studiava Husserl. Quando venne a Parigi ne parlò a Sartre. Passammo insieme una serata al Bec de Gaz, in rue Montparnasse; ordinammo la specialità del locale (...) Aron indicò il suo bicchiere: “Vedi, mio piccolo compagno, se sei fenomenologo, puoi parlare di questo cocktail, ed è filosofia!” Sartre impallidì, o quasi, dall’emozione;

era esattamente ciò che desiderava da anni: parlare delle cose come si toccano, e che questo fosse filosofia. Aron lo convinse che la fenomenologia rispondeva esattamente alle sue preoccupazioni: superare l’opposizione tra idealismo e realismo, affermare a un tempo la sovranità della coscienza e la presenza del mondo quale ci si offre. Su Boulevard Saint-Michel comprò l’opera di Lévinas su Husserl (...) Provò un colpo al cuore trovandovi delle allusioni alla contingenza. 61

A quel punto Sartre decide di impegnarsi seriamente nello studio di Husserl e di Heidegger e nel 1933, in accordo con Aron, riesce a prendere il suo posto all’Istituto Francese di Berlino.

L’entusiasmo che la fenomenologia ha suscitato in lui è espresso negli scritti successivi al ’33.

60 «Insieme, sbranavamo la borghesia. In Sartre e in me, questa ostilità restava individualista, e perciò borghese;

non differiva gran che da quella che Flaubert aveva per i droghieri e barrès per i barbari; non era un caso che per noi, come per Barrès, l'ingegnere rappresentasse l’avversario preferito; egli imprigiona la vita nel ferro e nel cemento, tura diritto davanti a sé, cieco insensibile, sicuro di sé quanto delle sue equazioni, scambiando spietatamente i mezzi per i fini; in nome dell’arte, della cultura e della libertà, noi condannavamo in lui l’uomo universale. Peraltro non avevamo alcuna simpatia nemmeno per l’estetismo barresiano: la borghesia ci era nemica e ci auguravamo la sua liquidazione». Simone de Beauvoir,, p. 28.

61 Simone de Beauvoir, op.cit., p. 117. «Il pensiero di Husserl era stato fatto conoscere in Francia intorno al ’30 da Gurvitch, Elbert, Koyré e soprattutto Levinas. Nel 1929 Husserl aveva esposto alla Sorbona quella specie di prima elaborazione delle Meditazioni cartesiane che è nota con il nome di Discorsi parigini. Pur avendo ascoltato le lezioni husserliane, Sartre non sembrò allora troppo colpito dalle dottrine professate dal grande filosofo tedesco». Sergio Moravia, p.12.

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A partire da La Trascendenza dell’Ego62 Sartre cerca di mette a frutto le nuove scoperte filosofiche tentando di mettere in crisi la concezione “egologica” della coscienza, largamente professata in ambito accademico:

Per la maggior parte dei filosofi l’Ego è un “abitante” della coscienza (...) Noi vorremmo mostrare qui che l’Ego non è né formalmente, né materialmente nella coscienza: è fuori, nel mondo; è un essere del mondo come l’Ego dell’altro.63

Di fondamentale importanza è inoltre demolire l’idea che esista un “Io” primario e indipendente dalla coscienza, che per se stessa è invece prima e autosufficiente e soprattutto completa. L’io (il cogito cartesiano) può tuttalpiù essere considerato come la coscienza

“riflessa” e di secondo grado64 rispetto a quella “irriflessa” e di primo grado65. «Il Campo trascendentale», afferma Sartre, «viene così purificato»66, poiché la coscienza viene liberata dal ruolo di substrato e contenitore di un Io superiore. Grazie alla fenomenologia, attraverso il principio d’intenzionalità husserliano e L’Esser-ci heideggeriano, essa è tornata a vivere nel mondo: non c’è più “vita interiore” nel senso in cui Brunschvicg opponeva “vita interiore” a

“vita spirituale”67, perché non c’è più niente che sia oggetto e che possa al tempo stesso appartenere all’intimità della coscienza68 e questo perché essa è sempre coscienza di qualcosa.

62 «Pubblicato nel 1937, esso risale in gran parte all’epoca dello stage berlinese». Ibidem, p. 29.

63 Jean-Paul Sartre, La Trascendenza dell’Ego, Egea, 1992, Milano, p. 17.

64 «La riflessione pura che non è tuttavia necessariamente la riflessione fenomenologica si attiene al dato senza sollevare delle pretese sul futuro. È ciò che si può constatare quando qualcun, dopo aver detto nella collera: “Ti detesto”, torna in sé e dice: “Non è vero, non ti detesto, l’ho detto nella collera. Si scorgono qui due riflessioni:

l’una, impura e complice, che opera un passaggio all’infinito sul campo e costituisce precipitosamente l’odio attraverso l’‘Erlebnis come il suo oggetto trascendente,- l’altra pura, meramente descrittiva, che rende meno severa la coscienza irriflessa restituendole la sua istantaneità». Jean-Paul Sartre, La trascendenza dell’Ego, op.

cit., p. 42.

65 Ci riserviamo di scoprire nel secondo capitolo a quale grado la malafede appartenga.

66 Ibidem, p. 63.

67 Qui Sartre si riferisce a Vie intérieure et vie spirituelle di Léon Brunschvicg (comunicazione al Congresso Internazionale di Filosofia di Napoli del maggio 1924). Con questo riferimento all’opera del suo vecchio maestro Brunschvicg il filosofo intende, riportando in auge questa opposizione, abbattere l’idea secondo la quale la coscienza reca in sé una propria natura autonoma dal mondo, un proprio spazio intimo da scoprire considerato alla stregua di un contenitore vuoto entro il quale l’individuo ripone la propria autentica individualità. Per Sartre ciò non è possibile in quanto una coscienza totalmente isolata dal mondo e che possa avere per oggetto solo se stessa non può esser-ci.

68 «Che cos’è una tavola, una roccia, una casa? Un insieme di “contenuti di coscienza”, un ordine di questi contenuti. Oh, filosofia alimentare! Nulla, d’altra parte, sembrava più evidente: la tavola non è forse il contenuto attuale della mia percezione, la mia percezione non è lo stato presente della mia coscienza? Nutrizione, assimilazione. L’assimilazione, diceva Lalande, delle cose alle idee, dalle idee tra loro e degli spiriti tra loro».

Jean-Paul Sartre, La Trascendenza dell’Ego, op.cit, p. 63.

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Quest’ultimo principio, l’intenzionalità husserliana, è espresso chiarissimamente in Un’idea fondamentale della fenomenologia di Husserl: l’intenzionalità, del ’39, dove Sartre si scaglia contro la «filosofia alimentare»69 (incentrata sulla conoscenza) del suo tempo, empiro- criticista e neo-kantiana. In questo scritto il filosofo ribadisce che non è possibile dissolvere gli oggetti nella coscienza poiché conoscere è un “esplodere verso” di quest’ultima rispetto al mondo, o meglio, il mondo e la coscienza si danno reciprocamente e contemporaneamente poiché, come abbiamo poc’anzi affermato, avere coscienza significa avere sempre coscienza di qualcosa70. Essa non è quindi una sostanza a parte rispetto al mondo, così come non lo sono, per esempio, i suoi stati d’animo, che la psicologia analitica vorrebbe ridurre a corpi estranei all’individuo per poterli analizzare come cadaveri: la coscienza non è opaca e immodificabile alla maniera degli oggetti, essa non ha un “di dentro” ma è piuttosto un perenne darsi all’esteriorità, un “trascendersi” continuo. Ma se non abbiamo una vita interiore, come possiamo identificarci con noi stessi? Vedremo in seguito come ciò ponga serie difficoltà al concetto di “sincerità”.

Essere è esplodere nel mondo, è partire da un nulla di mondo e di coscienza per palesarsi d’improvviso coscienza-nel-mondo. Se la coscienza cerca di riprendersi, di coincidere alla fine con se stessa, al caldo, chiuse le imposte, si annulla. 71

In questo caso il termine “annullamento” è accostabile al verbo “mimare” che abbiamo incontrato nella testimonianza della de Beauvoir a proposito della malafede. Una coscienza che consapevolmente si ritrae su se stessa, che simbolicamente non esce di casa, che trova conforto nei comportamenti rigidi, negli oggetti, nei ruoli è una coscienza in malafede perché si nega la libertà:

Non in un ipotetico rifugio scopriremmo noi stessi: ma per la strada, per la città, in mezzo alla folla, cosa tra le cose, uomo tra gli uomini.72

69 Jean-Paul Sartre, Un’idea fondamentale della fenomenologia di Husserl: l’intenzionalità in Che cos’è la letteratura, Il Saggiatore, 1963, Milano, p. 279.

70 Ibidem, p. 280.

71 Ivi.

72 Jean-Paul Sartre, Un’idea fondamentale della fenomenologia di Husserl: l’intenzionalità, op.cit, p. 281.

(16)

Spostiamo ora l’attenzione sui saggi composti tra il ’36 e il ’40 che risentono a loro volta dell’approccio fenomenologico: L’Immaginazione, Disegno di una teoria delle emozioni 193973 e L’Immaginario 1940.

È per reazione alle manchevolezze della psicologia e dello psicologismo che si è costituita una trentina d’anni fa, una disciplina nuova, la fenomenologia.

Il suo fondatore, Husserl, è stato innanzitutto colpito da questa verità: c’è incommensurabilità fra le essenze e i fatti, e chi inizia la sua indagine dai fatti non giungerà mai a trovare le essenze.74

Sartre vuole andare al di là della psicologia analitica che intende studiare l’individuo per parti scomponibili, come se fosse una macchina, isolandone gli stati emotivi come dati a sé.

Un’analisi trascendentale è necessaria sia in campo psicologico che filosofico poiché atta a liberare dalle teorie fuorvianti (siano esse prodotte dal razionalismo, dal materialismo o dallo spiritualismo) che allontano l’uomo dalla concretezza o “senso della terra” come direbbe Nietzsche: è necessario capire le condizioni di possibilità degli stati emotivi così come dell’immaginazione, prima di poter parlare del loro funzionamento. Attraverso l’ausilio della fenomenologia Sartre può mettere finalmente in pratica un’analisi sintetica sull’uomo da concentrare in prima istanza sul mondo dell’affettività, in contrasto con la tradizione psicologica classica, partendo dal presupposto che le emozioni non sono da considerarsi accidenti isolati che irrazionalmente s’impossessano della coscienza. A detta del filosofo, esse non esistono semplicemente perché l’esperienza lo insegna75, non capitano in maniera caotica, come il metodo positivista vorrebbe far credere basandosi sui dati singolari, trattando l’uomo alla stregua di una macchina di cui si possono smontare i pezzi, né tantomeno è possibile costringerli nella logica della causa-effetto. A coloro che riducono l’emozione ad un disordine

73 In realtà sin dai tempi della Trascendenza dell’Ego Sartre aveva annunciato l’uscita prossima di un trattato sistematico di psicologia fenomenologica che doveva chiamarsi Psyché e doveva avere per oggetto l’affettività.

Disegno di una teoria delle emozioni è l’unica parte di quest’opera ad essere pubblicata.

74 Jean-Paul Sartre, L’immaginazione -Idee per una teoria delle emozioni, Bompiani, 2007, Milano, p. 160

75 Ibidem, p. 158.

(17)

fisiologico ( come per esempio William James76) Sartre preferisce piuttosto le teorie di Janet77:

In molte sue descrizioni lascia intendere che il malato si getta nella condotta inferiore per non assumere la condotta superiore. Qui, è il malato stesso che proclama il suo insuccesso ancor prima d’aver intrapreso la lotta, e la condotta emotiva viene a mascherare l’impossibilità di assumere la condotta adeguata. 78

In realtà, a dispetto di chi la designa come uno “stato”, l’emozione ha un suo carattere funzionale79 e per questa ragione sarebbe più corretto definirla come “condotta”. È vero, sostiene Sartre, che le emozioni non ci sono sempre chiare e non ne abbiamo consapevolezza piena, ma questo non basta a spiegarle, come vorrebbe la psicanalisi, come fenomeni inconsci che realizzano simbolicamente ciò che la censura ha vietato80. La psicanalisi cade inoltre in profonda contraddizione, in quanto da una parte si avvale della logica causa-effetto e dall’altra ricorre alla “comprensione” e alla nozione d’inconscio, ponendo quest’ultimo come antro oscuro della coscienza umana. Invece, secondo Sartre, tenendo presente che è sempre la coscienza a far-si, l’emozione è una trasformazione del mondo. «È la coscienza che si fa essa stessa coscienza, commossa»81 per le situazioni e le azioni praticabili o necessarie si fanno difficili:

Allora tentiamo di cambiare il mondo; cioè di vederlo come se i rapporti delle cose con le loro potenzialità non fossero regolati da processi deterministici, ma dalla magia.82

76 William James distingue all’interno delle emozioni due gruppi: il primo detto di “fenomeni fisiologici” e l’altro di “fenomeni psicologici” (emozioni vere e proprie): Fondamentalmente il secondo altro non sarebbe che la coscienza attiva delle manifestazioni del primo gruppo. Cfr. Jean-Paul Sartre, L’immaginazione -Idee per una teoria delle emozioni, op.cit., p. 168.

77 Sartre predilige le teorie di Pierre Janet perché questo psicologo francese, pur non avendo il coraggio di arrivare fino in fondo alle proprie teorie, combattuto «tra un finalismo spontaneo e un meccanicismo di principio» (Ibidem, p. 173), intuisce che l’assunzione di una condotta emotiva particolare, come può essere quella di una crisi isterica, potrebbe rappresentare in verità un atteggiamento di fuga volontaria dell’individuo dinanzi a una situazione di per sé difficile.

78 Ibidem, p. 173.

79 Ibidem, p. 178.

80 Cfr.Ibidem, p. 180.

81 Ibidem, p. 183.

82 Ibidem, p. 188.

(18)

Anche gli stati psichici sono allora una via di fuga come la malafede? La differenza, stando a ciò che Sartre afferma in questo saggio, è che per essere in malafede il soggetto dovrebbe avere ben chiaro quale sia il suo desiderio reale. È possibile allora affermare che chi eccede in un moto emozionale o tenta di vivere la quotidianità come tale, pur avendo la capacità riflessiva per comprendere la realtà, assuma una condotta ambigua. Il filosofo descrive il caso di chi riceve un regalo sgradito e per il quale decide, per salvare le apparenze, di “assumere”

una falsa gioia. Si tratterà in questo caso di una condotta inautentica e falsa. Il soggetto in questione si propone di recitare una commedia così come farebbe un attore, con la sola differenza che la commedia è recitata con il presupposto che si tratti di finzione e che il pubblico lo sappia. Nel caso invece di chi ha ricevuto il regalo sgradito e finge che gli piaccia si tratta di malafede poiché consapevolmente finge per ingannare chi ha donato. Sebbene il confine tra ambiguità e condotta emotiva sia sottile, per Sartre è più che possibile tracciarlo, in quanto l’emozione è un fenomeno di credenza e la coscienza cade vittima del suo stesso inganno83. Accanto al fenomeno di malafede ecco comparire dunque quello di autoinganno:

Proprio perché vive il nuovo aspetto del mondo credendovi, è trascinata dalla sua credenza, esattamente come nel sogno e nell’isteria. La coscienza dell’emozione è prigioniera, ma non si deve intendere con ciò che un qualsiasi esistente al di fuori di essa l’avrebbe incatenata. È prigioniera di se stessa, nel senso che non domina questa credenza che si sforza di vivere, e ciò avviene proprio perché la vive e perché viene assorbita dall’atto di viverla.84

Parallelamente alla stesura di Idee per una teoria delle emozioni Sartre scrive delle novelle poi raccolte ne Il muro, nelle quali ricorrono le teorie elaborate intorno alle emozioni, alla fenomenologia e alla malafede. Nel primo racconto, Il Muro, assistiamo ad un dialogo tra due condannati a morte, Tom e Pablo, che aspettano di essere giustiziati all’alba:

Tom si piscia nei pantaloni senza accorgersene e dice:

Non è vero,- disse furente,- non sto pisciando, non sento nulla....

e poi aggiunge:

Non so che cosa sia, - disse Tom con aria truce,- ma non ho paura.

83 Jean-Paul Sartre, L’immaginazione -Idee per una teoria delle emozioni, op.cit., p. 199.

84 Ibidem, p. 200.

(19)

Vi giuro che non ho paura. 85

In un solo breve dialogo assistiamo ad un caso di stato psichico “autoingannevole” e allo stesso tempo a una condotta di malafede. Concentriamoci sul primo: probabilmente il fatto che Tom non abbia più controllo del suo corpo è frutto dello stato psichico di terrore al quale è sottoposto sapendo di dover morire a breve dinanzi ad un plotone di esecuzione. Il corpo, direttamente controllato dalla coscienza, cambia a sua volta i rapporti con il mondo e nel caso di Tom, l’agitazione nervosa nella quale la coscienza si rifugia, è tale da non permettergli di essere consapevole neanche dei suoi bisogni fisiologici. Viceversa, la frase “Vi giuro che non ho paura”, ripetuta due volte, suggerisce che egli sappia in realtà di essere spaventato ma che lo neghi con forza per dimostrare di avere coraggio nonostante tutto. In seguito, nelle ore che precedono la condanna, Tom tenta di immaginare il plotone di esecuzione che tra qualche ora lo fucilerà e ciò lo pone in stato di forte angoscia. Egli sa che sarà senza via di scampo, costretto, tra gli uomini pronti a far fuoco davanti e un muro per impedirgli di scappare dietro:

«Penso che vorrò rientrare nel muro, spingerò il muro con la schiena con tutte le mie forze ed il muro resisterà, come negli incubi. Tutto questo posso immaginarlo. Ah! Tu sapessi come posso immaginarlo»86. Queste frasi oltre a fornirci una metafora dell’angoscia esistenziale che l’uomo87 vive e cerca di fuggire nella vita, motivando così le condotte di malafede e autoinganno, ci suggeriscono l’altro oggetto di ricerca fondamentale per Sartre in questi anni:

l’immaginazione e l’immaginario. Ne L'Immaginazione del ’36 il filosofo, secondo l’uso comune nei saggi di questo periodo, prima passa in rassegna le teorie classiche sull’immagine e l’immaginazione e poi le confuta. La tradizione, infatti, aveva relegato la facoltà immaginativa ad un rango inferiore rispetto alla percezione in quanto le immagini sono meno veritiere e concrete rispetto al dato certo dell’analisi scientifica. Invece il compito dell'immaginazione non è, a detta di Sartre, quello di imitare la realtà per poi conservarne delle copie nell’intimità, visto che non esistono immagini in una coscienza88 poiché questa non è un contenitore, non ha un interno rispetto ad un esterno ma è continuamente oltre se stessa:

85 Jean-Paul Sartre, Il Muro, Einaudi, 1939, Torino, p. 20.

86 Ibidem, p. 18

87 «Gli uomini normali credono ancora ch’io sia dei loro. Ma non potrei restare neppure un’ora in loro compagnia. Ho bisogno di vivere là, dall’altra parte di questo muro. Ma là, non sanno che farsene di me»., Ibidem, p. 53.

88 Jean-Paul Sartre, L’Immaginario: psicologia fenomenologica dell’immaginazione, Einaudi, 2007, Torino p.26.

(20)

Una coscienza percettiva appare a se stessa come passività. Viceversa, una coscienza immaginativa si da a sé come coscienza immaginativa, cioè come una spontaneità che produce e conserva l’oggetto in immagine. È una specie di contropartita indefinibile del fatto che l’oggetto si presenta come un nulla.

La coscienza appare a sé come creatrice, ma senza porre come oggetto questo carattere creativo. Solo grazie a questa qualità vaga e sfuggente la coscienza d’immagine non si presenta come un pezzo di legno che ondeggia sul mare, ma come un’onda tra le onde. Essa si sente interamente coscienza e omogenea alle altre coscienze che l’hanno preceduta e a cui è sinteticamente legata.89

L’immaginario è forse la base più viva della “spontaneità” umana e permette all’individuo di autodeterminarsi nel mondo. Ciò che è importante ai fini della nostra ricerca, è capire perché sia necessario per l’uomo essere dotato di immaginazione. Prima di arrivare a capire cosa significhi immaginare e quale rapporto sussista con la veridicità del mondo, Sartre si pone il problema: che cos’è la coscienza nella sua natura intima affinché degli immaginari possano darsi in generale90? La coscienza, abbiamo detto, è indivisibile e concerne due piani di riflessione (uno primario irriflessivo ed un altro secondario e riflessivo) e la sua natura è quella di trascendersi continuamente. La coscienza irriflessa è la prima ad essere coscienza di qualcosa di estraneo, sino a quel momento, e per farlo essa deve trascendersi, diventare altro da sé: la descrizione di questo atto è compito della coscienza riflessa. Ricordato ciò è grazie all’analisi dell’immaginazione e dell’immaginario se Sartre può ancora una volta dimostrare il carattere duale dell’uomo, composto di necessità e trascendenza. Infatti, attraverso l’analisi sintetica dell’immaginazione e dell’immaginario, il filosofo dà prova di come la coscienza debba e possa costantemente distaccarsi dal mondo per introdurre in esso nuove prospettive a partire da ciò che non è o che la coscienza non ha mai incontrato sino a quel momento:

Affinché una coscienza possa immaginare, è necessario che per sua stessa natura sfugga al mondo, che possa ricavare da sé una posizione di arretramento rispetto al mondo. In una parola occorre che sia libera. Così la tesi d’irrealtà ci ha fornito la possibilità di negazione come sua condizione.

O r a , q u e s t ’ u l t i m a è p o s s i b i l e s o l o m e d i a n t e l ’

“annullamento” (“neantisation”) del mondo come totalità, e questo

89 Jean-Paul Sartre, L’Immaginario: psicologia fenomenologica dell’immaginazione, op.cit., pp. 25-26.

90 Ibidem, p. 4.

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annullamento si è rivelato come l’opposto della stessa libertà della coscienza.91

Oltre al fatto che l’immaginario può divenire “consapevolmente” un luogo di fuga92, il tema della malafede93 e dell’immaginario sono accomunati dalla possibilità di ricerca che il loro studio comporta in vista della dimostrazione del carattere duale dell’uomo94. Sartre, pone in evidenza che l’uomo è l’unico capace di introdurre al mondo qualcosa di totalmente diverso da ciò che è e dal quale il diverso o meglio il possibile ha origine: il nulla95. Se la coscienza non fosse libera e capace di mettere in atto questo processo di néantisation del reale che si presenta come necessario, l’individuo, incapace di immaginare la diversità annullando l’essere che è, non potrebbe ingannare consapevolmente se stesso e gli altri (malafede) o autoingannarsi inconsapevolmente (emozioni).

1.5 La Nausea.

È necessario pensare a tutte le opere di Sartre, siano esse filosofiche letterarie o teatrali, come facenti parte di un unico sistema di pensiero. I principi enunciati teoricamente e sistematicamente nelle opere filosofiche si concretizzano nei restanti lavori attraverso la messa in scena di situazioni particolari ma frequenti della quotidianità e dalle quali Sartre trae direttamente ispirazione 96 . Ciò che colpisce nello stile letterario del filosofo è la prospettiva attraverso la quale queste situazioni vengono considerate, per cui l’attenzione si focalizza sulle reazioni che i protagonisti vivono quando mettendo tra parentesi convenzioni sociali valori e principi morali, si ritrovano a dover fare i conti con l’esistenza nuda. Per

91 Ibidem, p. 275.

92 «Così, contrariamente a quanto si potrebbe credere, il mondo immaginario si dà come un mondo senza libertà.

D’altronde non è neanche determinato, ma è il rovescio della libertà, è fatale. Così, non è concependo altri possibili che chi dorme si rassicura, si trae d’impaccio, ma producendo immediatamente eventi rassicuranti nella storia stessa». Jean-Paul Sartre, L’immaginario, op.cit., p.255.

93 La cui analisi non trova prima di L’essere e il nulla alcuna collocazione precisa nelle opere filosofiche ma è comunque accennata in questi saggi e negli scritti letterari di questi anni.

94 «Il fenomenologo prende atto che ogni discorso, quale che sia il suo oggetto (sia tale oggetto l’uomo stesso nella sua dimensione di evento naturale, siano eventi naturali di altro tipo), è anche e fondamentalmente maniera in cui l’uomo mette in questione se stesso». Massimo Barale, p. 65.

95 Ne parleremo più approfonditamente nel secondo capitolo.

96 «Riservava la sua simpatia ai taumaturghi che, esclusi dalla Città, dalla sua logica, dalle sue matematiche, errano solitari nei luoghi selvaggi, e per conoscere le cose non credono che ai propri occhi. Pertanto, non concedeva che all’artista, allo scrittore, al filosofo, a quelli che egli chiamava gli “uomini soli, il privilegio di cogliere al vivo la realtà». Simone de Beauvoir, p. 39.

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