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CAP.VI. IL PALIOTTO DI TERAMO, STORIA CONSERVATIVA.

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CAP.VI. IL PALIOTTO DI TERAMO, STORIA CONSERVATIVA.

1.Schema costitutivo del paliotto di Teramo

Prima di proseguire nell'analisi della storia conservativa del paliotto sarà bene riepilogare brevemente la composizione strutturale dello stesso.

Particolare attenzione sarà riservata alla terminologia utilizzata per distinguere le varie componenti; gli stessi termini saranno utilizzati nei paragrafi successivi.

Il paliotto di Teramo è costituito da una base di legno di quercia costituito da 4 componenti. Su di esso sono assemblate le varie parti che costituiscono il manufatto.

Troviamo allora trentacinque cornici ottagonali irregolari composte da 8 elementi in rame dorato che serrano al loro interno delle lamine di fondo in argento dorato.

Nel punto di incrocio fra quattro cornici sono inseriti smalti romboidali cinti da sottili listelli argentei, mentre per tutto il perimetro del paliotto, dove solo ad incontrarsi sono solo due cornici, sono inseriti smalti triangolari, cinti dallo stesso tipo di listelli dei precedenti.

A riempimento dello spazio fra i lati lunghi delle cornici ottagonali sono posti degli spessori in legno sopra i quali sono inseriti altri listelli argentei dello spessore di circa mezzo centimetro.

Sulle lamine di fondo sono infine montati gli sbalzi in argento che costituiscono le scene narrative e quelle iconiche.

Il tutto è serrato da una cornice perimetrale.

(2)

2. Il restauro di Domenico Santacroce del 1734.

Un importante intervento sull'opera risale al 1734; così recita infatti l'iscrizione in argento sbalzato posta al centro del lato superiore della cornice perimetrale in argento:

RESTAURAVIT OMNESQUE CAELATAS

CORONAS D. DOMINICUS ART.

SANTACROCE

1

TERAMNENSIS DE

INTEGRO FECIT. AN DNI. MDCCXXXIV

Ad essere interessate dall'intervento furono omnesque caelatas coronas, cioè tutte le ghirlande a rilievo, ovvero i listelli a coprigiunto fra gli ottagoni, più la grande cornice perimetrale dove si trova appunto l'iscrizione commemorativa (fig. 65).

La documentazione sull'intervento, che fornisce informazioni accessorie di grande interesse relative al restauro settecentesco, è stata rinvenuta nell'Archivio Diocesano di Teramo; si tratta del contratto stipulato tra il Capitolo della Cattedrale Aprutina e Domenico Santacroce

2

(figg.66.a./b./c./d.), l'argentiere-restauratore, e di un resoconto di spese contenuto in uno dei libri di conti della cattedrale

3

(figg.67.a./b./c/d), più sintetico ma altrettanto significativo.

Inoltre i documenti fanno luce su molti altri particolari di questo momento così delicato della storia conservativa del nostro antependium, simbolo della devozione teramana

4

.

“Il contratto”, stipulato fra il restauratore Domenico Santacroce e il canonico della

1 Oltre a questo intervento non abbiamo altre notizie riguardanti la carriera di questo artigiano o altre opere da lui interamente realizzate.

2 Archivio Diocesano di Teramo, Libri acrorum et obligationum 1694-1857, Libro degli obblighi penes acta della curia vescovile aprutina 1720-1738, Folio 168 v, 169 r, 169 v. Vedi appendice documentaria n°1.

3 Archivio Diocesano di Teramo, Capitolo aprutino 1582-1794, Libro delle memorie, ove sono registrate le massarie, case, botteghe, terreni,cenzi de dinari, del grano, del mosto, e di ogni altro havere dell'antica santa chiesa cattedrale aprutina, e l'introito et esito dell'economato della medesima chiesa, esercitato dal can. d. filippo bonvivere dall'anno 1726. Vedi appendice documentaria n°2.

4 Ricordiamo la significativa lettera scritta nel 1798 da M. Delfico per scongiurare l'alienazione del

paliotto durante l'invasione francese, Vedi appendice documentaria n°3.

(3)

cattedrale Filippo Bonvivere nel 1734, è articolato in dieci punti che descrivono con chiarezza i lavori da eseguire sull'opera, e raccomandano che, tutto il lavoro venga fatto a regola d'arte.

Il “resoconto di spese” è sempre redatto dal canonico della cattedrale, Filippo Bonvivere, e riguarda gli anni 1734-1735. Esso è relativo a quelle spese davvero sostenute, dunque non solo attesta il pagamento al Santacroce, confermandoci che il lavoro fu davvero portato a termine secondo i patti, ma riferisce anche sui materiali utilizzati e su lavori non indicati nel “contratto” perché aggiunti in corso d'opera o non di pertinenza dell'argentiere.

Iniziamo con l'analizzare il primo documento, “il contratto”.

Il 1° dei dieci punti indica:

Primo, che si levi tutto l'argento lavorato, qual'è intorno intorno la tavola due dita circa, che è la cornice, e quella di debba pesare, come anche li festoncini delle figure.

Questo indica chiaramente che il paliotto nel 1734 presentava un'altra cornice, d'argento e lavorata, forse a sbalzo come la successiva, e larga circa due dita (forse 2- 3 cm); questa doveva essere rimossa, pesata e probabilmente fusa, come anche i vecchi listelli ( li festoncini delle figure) fra le cornici ottagonali. La pesatura rispondeva ad una preoccupazione di tipo economico; verificare il peso, dunque la quantità, dell'argento disponibile permetteva di evitare sprechi e possibili sottrazioni in fase di lavorazione della nuova cornice.

Per quanto riguarda la fattezze dei manufatti originali, cornice e festoncini, non abbiamo indicazioni in proposito ma questo è ben comprensibile data la sua rimozione e fusione; una eventuale descrizione avrebbe significato un riconoscimento di valore non solo materiale ma anche storico o quantomeno estetico, che chiaramente non si è verificato.

Un diverso interesse si manifesta subito nel 2° punto che da una indicazione su come

dovrà essere la nuova cornice:

(4)

Secondo, che deve fare una cornice ad arabeschi ben lavorati, cioè nella parte superiore della tavola, e nelli suoi lati, che faccino ottima proporzione.

Ciò significa che la nuova cornice doveva essere decorata ad arabeschi, cioè a decorazione fitomorfa stilizzata

5

, ed era prevista su soli tre lati, il superiore e i due laterali, prospettando una situazione che perdura ancora oggi (cfr. Tav. I).

Nel 3° leggiamo infatti:

Terzo, che nella parte inferiore levatagli l'antica cornice come nel primo caso, si debba far di rame ben lavorata, et accomodata.

Dunque il lato inferiore non doveva essere in argento, come quello originale, ma in rame: probabilmente per risparmiare ma senza che si vedesse; infatti ben lavorata, significa decorata, sbalzata, come quella in argento, mentre accomodata è interpretabile come resa simile, omogenea, coerente agli altri tre lati della cornice;

verosomilmente allora anche la cornice di rame poteva presentare, oltre ad una decorazione ad arabeschi, anche l' argentatura della sua superficie.

Il 4°, il 5° e il 6° punto non si riferiscono alla realizzazione di nuovi elementi, ma più propriamente a interventi di restauro.

Il 4°punto riguarda gli sbalzi in argento, ovvero le varie scene e figure nelle formelle:

Quarto, che si debbiano pulire, et accomodare tutti li bassi rilievi, che sono nella tavola in tutti li Sacri Misteriy, a pulire bianchissimi, ed imbrunire le parti, che vogliono imbrunite.

5 Sulle tipologie e sulla diffusione dell'arabesca cfr. Alois Riegl, Problemi di stile, Milano 1963, pp.

256-257.

(5)

Dunque una pulitura profonda più la lucidatura degli argenti, bianchissimi, cioè a specchio: una delle caratteristiche di questo materiale, una volta lustrato al massimo, è appunto quella di acquistare un chiarore tale da apparire bianco. Il processo di brunitura

6

doveva invece aver riguardato singole parti al fine di creare effetti di naturalismo, di bicromia nel contrasto col chiarore dell'argento, o per far risaltare gerarchicamente alcune parti delle figure a sbalzo. Durante il restauro del 2002 tracce di brunitura sono state trovate solo sul manto del Cristo Benedicente centrale, come ancora oggi si può notare

7

.

Pulire ed accomodare tutti li basso rilievi è da intendere non solo come sistemarli, da un punto di vista strutturale, ma renderli omogenei anche cromaticamente tramite la pulizia e lucidatura degli stessi.

Il 5° punto cambia soggetto e parla delle lamine di fondo:

Quinto, che tutti li piani dorati delli detti Misteriy si debbano anche pulire, e lustrare senza togliere, ò scastrarli restando sempre nel loro color naturale di oro.

L'accortezza di una pulitura e lucidatura non approfondite, anzi mantenendo il loro colore naturale, doveva essere stata dettata dalla volontà di preservare ed evidenziare i particolari effetti di policromia che dalle differenti lavorazioni delle superfici metalliche scaturivano: il chiarore bianchissimo degli argenti più la brunitura di alcune parti (4° punto) e infine l'oro dei fondi.

L'indicazione di non rimuovere i piani di fondo dalla loro sede è giustificabile sia da ragioni di costo del lavoro, sia dalla consapevolezza del complesso sistema di incastri che caratterizzava le varie parti del paliotto.

Il 6° si occupa degli smalti:

6 La brunitura (talvolta detta anche bronzatura) è la colorazione superficiale di un metallo praticata con vari metodi ed avente lo scopo di fornire una protezione contro l'ossidazione oltre che di migliorarne l'aspetto.

7 Da colloquio orale con Sante Guido, che nel 2002 eseguì le operazioni di restauro sul paliotto,

oltre al manto del Redentore centrale non vi sono altre tracce di brunitura sui restanti sbalzi

d'argento.

(6)

Sesto, che li triangoli, quali sono nell'angoli de Sacri Mistery si debbano tutti ben fermare, e togliere li chiodetti di ferro, ed mettere quelli d'argento, ma senza guastar li smalti, ò il corpo di detti triangoli, e ripogli ancora tre, ò quattro, che sono già levati, ò caduti.

Di primo acchito sembrerebbe quindi che ad essere interessati siano i soli smaltini a decorazione fitomorfa, quelli triangolari lungo il perimetro del paliotto, ma visto che si specifica quali sono negll'angoli de sacri misteriy, si potrebbe pensare che questo intervento comprenda in anche i rombi a smalto traslucido. In ogni caso, l'operazione che su di essi si doveva compiere era di consolidamento e di ricollocazione di alcuni di essi, tre, o quattro, che si erano staccati dall'opera. Viene inoltre specificato di togliere i chiodi di ferro per sostituirli con altri d'argento, di nuovo raccomandandosi di non guastare, con l' operazione di inserimento dei chiodini, il corpo degli smalti, cioè il loro bordo argenteo. Non sappiamo se i chiodi in ferro fossero ossidati o meno ma di sicuro il “ferro dolce” quattrocentesco doveva aver perso la sua originale tenuta rendendo necessaria una sostituzione degli stessi.

Il punto 7°dichiara:

Settimo, che tutto sia fatto a regola dell'arte, a professione di buono orefice, et argentiere

Si tratta di una formula che normalmente veniva introdotta nei contratti del tipo e il fatto che venga inserita in questo punto, e non alla fine del contratto, deve farci riflettere.

L'elenco dei punti che fin qui abbiamo trattato, ordinati e distinti con precisione, dovevano infatti rispecchiare il reale ordine di svolgimento dei lavori, almeno nelle intenzioni.

Così dal 1° al 6° punto si illustrano gli interventi da eseguire: togliere la vecchia

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cornice e i vecchi listelli, fare una nuova cornice sbalzata lavorata ad arabeschi, farne un'altra nel lato inferiore ma di rame sbalzato e argentato, accomodare i bassorilievi, pulirli e imbrunirli, pulire i piani dorati, stabilizzare gli smalti, e dunque fare tutto questo a regola d'arte e a professione di buon argentiere. In pratica, al punto 7°, le nuove parti decorative e i lavori manutentivi si immaginano conclusi e la raccomandazione è necessaria poiché da riferirsi all'esecuzione dei lavori fin qui richiesti.

Il punto successivo si riferisce infatti al montaggio di parte delle decorazioni realizzate.

Il punto 8° dice:

Ottavo, che prima di mettersi il nuovo argento lavorato, si debba pesare acciò si veda quanto ce né sia di più, o di meno e laminare ed santa pace.

Qui si dice innanzi tutto che prima di montare le nuove parti argentee lavorate, dunque finite, e pronte per essere applicate, dovevano essere pesate per capire quanto ce né sia di più, o di meno, rispetto all'argento rimosso, e pesato, del 1° punto.

La misura si rendeva necessaria per tenere sotto controllo la quantità, e il costo, di

materiale prezioso utilizzato ed evitare eventuali frodi. Probabilmente quindi il

vecchio argento fu riutilizzato per realizzare la nuova cornice ma, al momento della

redazione del contratto, era impossibile determinarne se sarebbe bastato. Una volta

calcolato il peso del nuovo argento lavorato si poteva provvedere alla sua

applicazione sul paliotto; il termine laminare infatti non significa solo ridurre un

materiale in lamina ma, specie nei secoli passati, indicava l'azione di rivestimento di

un materiale con una lamina metallica. Quest'ultima osservazione mi induce a

pensare che in questo punto ci si riferisse all'applicazione della sola cornice ad

arabeschi, che essendo realizzata in lamina d'argento sbalzato assume struttura fisica

grazie alla cornice lignea sottostante, sulla quale è appunto applicata. Inoltre la

questione dei listelli, i festoncini, verrà trattata in questo documento in un punto

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apposito.

A caratterizzare il ruolo del punto 8° come quello terminale di una serie di passaggi svolti, interviene anche la particolare affermazione finale, che ha il sapore di una formula conclusiva, ed santa pace.

Ed infatti il punto 9°dice:

Nono, che per tutto questo lavoro si deve pagare ducati ventisei di Regno.

Cioè, per tutto il lavoro che abbiamo appena descritto la somma da pagare corrisponde a ventisei ducati di Regno. Come vedremo in seguito, il denaro, anche se qui non specificato, era destinato intermente a Domenico Santacroce.

Il contratto con questa precisazione finale sembrerebbe concluso ma, come anticipato, un ultimo punto, il 10°, interviene a proposito dei nuovi listelli, i festoncini:

Decimo, che si debbano levare, pesare e far nuovi tutti li festoncini delli ottangoli, cioè delle figure, e poi farli nuovi più delicati, mà ripieni di dentro, e tutti ? ben lavorati, e per detto lavoro da farsi darci il colo all'argento da lavorarsi mezz'ottava per oncia secondo l'arte.

Qui si spiega, ripetendo l'affermazione del 1° punto, che bisogna rimuovere e pesare e fare nuovi i festoncini delli ottagoni, cioè i listelli, raccomandandosi che siano più delicati dei precedenti e che siano ripieni di dentro.

Le ultime due indicazioni sembrerebbero a primo acchito di ordine prettamente estetico; in realtà solo la prima lo è.

La necessità da parte dei committenti di specificare l'indicazione di gusto più

delicati, è da intendersi in relazione, e dunque in opposizione, alla decorazione dei

vecchi listelli del paliotto, poco consona al gusto dell'epoca. Ricordo l'ipotesi di

(9)

Sante Guido secondo il quale la vecchia decorazione dei listelli era a perline, sulla base del confronto con la tipologia rinvenuta, in occasione dell'ultimo restauro, sotto la cornice inferiore del paliotto, quella aggiunta negli anni '60 del Novecento(fig.71)

8

.

La specifica ripieni di dentro, per essere interpretata correttamente, deve essere messa in relazione con l'affermazione seguente, e per detto lavoro da farsi darci il colo all'argento da lavorarsi mezz'ottava per oncia. Questo significa che, verosimilmente, i listelli non erano sbalzati, dunque “vuoti dentro” come la cornice ad arabeschi, ma erano “pieni”, dunque realizzati per mezzo di fusione a stampo, e darci il colo all'argento potrebbe riferirsi proprio all'operazione di colatura del materiale fuso negli stampini, che doveva essere lavorato mezz'ottava per oncia secondo l'arte, forse il residuo massimo di matrice, ovvero di impurità presente nell'amalgama che componeva l'algento fuso consentito dalle normative del tempo

9

. Rimane da chiarire perché il 10° punto si trovi apparentemente fuori posizione.

Per comprenderlo dobbiamo capire le ragioni che hanno portato a commissionare questo intervento di restauro.

Probabilmente a quest'altezza cronologica, il 1734, il paliotto si presentava in uno stato conservativo piuttosto precario, gli smalti caduti e la necessità di renderli stabili, con nuovi chiodi lo dimostra bene. Possiamo immaginare ragionevolmente che anche le parti decorative fossero mal ridotte o deformate, con grande probabilità mancanti, forse per gli urti che un'opera mobile come la nostra sicuramente aveva subito nei secoli.

Anticipo brevemente che se dal “contratto” ciò non è intuibile, la presenza di lacune emerge con maggiore chiarezza grazie alla terminologia utilizzata in due passaggi del

“resoconto di spese”.

8 Guido S., Mantella G., Prestigiose commesse cattedrali per Magister Nicolaus Aurifex, in Nicola da Guardiagrele orafo tra Medioevo e Rinascimento. Le opere. I restauri. Todi 2008, pp. 220.

9 Come spiegato nel Dizionario di Chimica e Fisica applicato alle arti di Giovanni Pozzi, Milano 1882, p.93, per realizzare una amalgama d'argento è necessario: aggiungere il mercurio, il quale sia la metà, in peso, della matrice (cioè del materiale originario da cui era estratto l'argento)...

venti in ventiquattro ore sono sufficienti onde amalgamare l'argento, che si ritrova nella

mescolanza al punto, che il residuo della medesima contiene l'ottava parte di una mezz'oncia

d'argento.

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Ciò ci induce a pensare che il motivo per cui la questione dei nuovi listelli è stata lasciata per ultima derivava dal fatto che i vecchi listelli da pesare erano in numero esiguo e non era possibile, al momento della stipula del contratto fare previsioni, neanche approssimative, di costo, come invece la rimozione della grande cornice perimetrale, probabilmente integra, permetteva.

La questione, almeno dei pagamenti, doveva essere rimandata ad un secondo momento, e non compresa nei 26 ducati di regno (9°punto). Questo aspetto verrà approfondito e convalidato nell'analisi del “resoconto di spese”.

Più in generale ciò che emerge dal “contratto” è sicuramente il tipo di atteggiamento, di rispetto, specialmente per l'epoca, che si stava riservando al paliotto; a conti fatti l'intervento si attuava su due livelli, conservativo, di manutenzione, e di aggiornamento linguistico, cioè di gusto. Come anticipato il paliotto, nel 1734, doveva trovarsi in condizioni precarie, possiamo immaginarlo decoeso nelle sue parti, gli smalti cadevano e si presentavano mobili, gli sbalzi probabilmente necessitavano di un fissaggio al fondo dorato; anch'esso però non doveva godere di grande stabilità visto che ci si raccomanda di non scastrarlo dal fondo(5°punto).

Le parti rifatte da capo sono, non a caso, quelle a giuntura delle componenti che formano il paliotto, quindi i listelli, che stanno fra le cornici ottagonali, e la grande cornice perimetrale, che serra, dunque contiene in tutti e quattro i lati, il manufatto.

Certo, vista la necessità di un risanamento generale sopratutto nelle parti decorative, i committenti scelsero di utilizzare un modello consono ai canoni estetici dell'epoca, dunque la decorazione ad arabeschi per la cornice perimetrale e quella a foglioline lanceolate per i listelli.

Possiamo avanzare l'ipotesi che, così mal ridotto, forse il paliotto non venisse esposto da tempo.

Il fatto, non comune, che sulla nuova cornice è stata impressa una scritta commemorativa, con il nome del restauratore e relative indicazioni sull'intervento, ci costringe a verificare che ad esso si stava dando volutamente importanza, rilievo.

Con un'iscrizione si tramanda ai posteri un avvenimento importante, lo si caratterizza

come momento memorabile.

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Gli anni '30 del Settecento per la Cattedrale Aprutina significarono più in generale cambiamento; Monsignor Tommaso Alessio de' Rossi, committente di questo restauro, diede il via a un' importante opera di ammodernamento della chiesa in stile barocco. La ristrutturazione iniziò nel 1739, ma già dal 1731 prendeva forma

10

. Probabilmente allora insieme al piano di rilancio della cattedrale aprutina si stava cogliendo l'occasione per affermare anche quello dell'antico paliotto. L'iscrizione si poneva necessaria così per celebrare la riesposizione dell'oggetto, la riabilitazione della sua funzione liturgica, il suo ritorno nella vita e nei riti religiosi teramani.

Ad illuminare in parte gli altri interventi sull'antependium interviene il secondo documento che abbiamo chiamato “resoconto di spese”. Tale testimonianza si mostra a tratti molto generica ma diventa molto precisa quando si tratta di giustificare alcune spese fatte per accomodare il paliotto. Lo scopo di questo documento, le cui pagine non sono numerate, è quello di giustificare le spese non comprese nella manodopera del Santacroce e che riguardavano più strettamente i materiali ed eventuali spese extra, forse non preventivate fin dall'inizio. Si tratta di sei voci di spesa non strettamente sequenziali e separate da altre non riguardanti il paliotto, ma possiamo ragionevolmente pensare che l'ordine di trascrizione rispecchi anche quello reale dei pagamenti.

La dichiarazione si apre con le seguenti parole, 1°voce:

Per aver fatto in quest'anno ex integro raccomodare il Paliotto d'argento di questa cattedrale aprutina, detta volgarmente la tavola d'argento, con esserci stato fatto di nuovo il fustone intorno, rifatti anco molti argenti mancanti e imbrunita in tutto, ho pagato a D. Domenico Santacroce

10 In Francesco Savini, op. cit. A p. 19 è riportata la deliberazione della seduta del 24 agosto del

1731 in materia di rinnovamento della cattedrale e presente nell'Archivio Capitolare di Teramo,

vol. n. 50, p. 124.

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Argentiero ducati ventisei, secondo l'accordo fatto con medesimo avanti monsignore vescovo Illustrissimo De Rossi, come tutto apparisce dalla scrittura fatta negli atti di questa cancelleria vescovile.

Il canonico Filippo Bonvivere rimanda subito la questione del pagamento dei ducati ventisei, il cui beneficiario è qui esplicitato essere il Santacroce, alla scrittura fatta negli atti di questa cancelleria vescovile, cioè al “contratto”, che abbiamo precedentemente analizzato.

In ogni caso ripercorre brevemente alcuni interventi realizzati sull'opera.

Per primo ci dice che il paliotto si doveva ex integro raccomodare, cioè interamente stabilizzare, rafforzare, sistemare dal punto di vista strutturale; ricorderemo ciò che abbiamo affermato sulle precarie condizioni di salute dello stesso. Poi si dice con esserci stato fatto di nuovo il fustone intorno, cioè la cornice perimetrale (quella presente ancora oggi) e rifatti anco molti argenti mancanti. Quest'ultimo passaggio è il primo che ci introduce al problema delle parti mancanti che non sono da identificare con le figure a sbalzo, come si potrebbe pensare, ma con i listelli, trattati nel 10° punto del “contratto” (in parte ancora oggi presenti sul paliotto).

Per quanto riguarda l'affermazione imbrunita in tutto credo si possa intendere che, come già affermato nel 4° punto, non tutte letteralmente, ma solo alcune parti però su tutta la superficie del paliotto, dovevano ricevere il trattamento. Oggi la brunitura è visibile sul manto del Redentore Centrale ma non si può escludere per questo che anche altre figure la avessero; dobbiamo tener presenti le numerose operazioni di pulitura e spolveratura ordinarie e straordinarie che il paliotto ha subito dal 1734, che potrebbero aver rimosso la patina scura.

Subito dopo è la 2°voce di spesa del libro contabile. Qui si dice:

e più spesi per questo lavoro carlini 7, e grana 6, e mezo,

cioè per una libra, e meza di chiodi, per punte da soffitto

numero 200, per bollette d'impannata n°550. per l'ottone per

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altri chiodetti, per carta, per biacca, per una tanica di souevo, per trementina, e per conchiglia d'oro.

Subito salta all'occhio la totale mancanza di qualunque accenno a chiodi in argento, quelli citati al 6° punto del “contratto” e con i quali gli smalti dovevano essere messi in sicurezza.

In effetti molti chiodi sono nominati nel breve passaggio sopra citato e l'unico elemento discriminante potrebbe essere la differente unità di misura che che li caratterizza. I primi chiodi nominati, e forse primi non a caso, sono infatti indicati con il loro peso, una libbra e mezza per l'appunto, a differenza delle seguenti tipologie in cui è riportato il loro numero. L'argento, in quanto materiale prezioso, è di norma misurato in peso e questo ci potrebbe far pensare che la libra e mezzo nominata si riferisca proprio al peso dei chiodi argentei, utilizzati almeno per i triangolini smaltati.

Meno problemi dovrebbe porre l'identificazione delle 200 punte da soffitto (fig.68.a,b), interpretabili ragionevolmente con quella tipologia a testa piatta utilizzata, proprio nelle travi dei soffitti, per giungere più componenti in legno

11

. Secondo questa visione allora le 200 punte potrebbero essere state utilizzate per fissare la base lignea delle cornici ad arabeschi alla struttura, lignea anch'essa, del paliotto. Se in un veloce calcolo dividiamo il perimetro del paliotto, pari a circa 7m, per per il numero di chiodi, 200, vediamo come essi si distribuirebbero lungo la cornice in un intervallo di 3,5 cm, rendendo ragionevole la nostra ipotesi. Purtroppo non è possibile verificare la presenza, ancora oggi, di questo tipo di chiodi, non essendo visibili sull'opera perché celati fra la cornice perimetrale e la tavola del paliotto.

Altra tipologia di chiodi menzionati sono le bollette d'impannata, verosimilmente dei piccoli chiodini a testa tondeggiante

12

(fig. 69.a,b), dunque simili a quelli che, come

11 Chiodi da solaio o tavolato, voce, in Enciclopedia del negoziante ossia gran dizionario del commercio dell'industria del banco e delle manifatture, tomoIII, Venezia 1841, p. 217.

12 Bulletta, voce, in Enciclopedia del negoziante ossia gran dizionario del commercio dell'industria

del banco e delle manifatture, tomoIII, Venezia 1841, p.218.

(14)

visibile già dalle foto del 1905 (fig.69.a), fermano gli sbalzi alla tavola sottostante.

Ciò lascerebbe pensare che siano stati utilizzati proprio a tal fine. Se questo è vero allora quell'accomodare tutti li bassi rilievi che abbiamo trovato ne “l'accordo” si riferisce alla necessità di fissarli, assicurarli, al fondo, probabilmente in seguito ad una precaria stabilità degli stessi. Come indicato nell' Enciclopedia del negoziante

13

questa tipologia di chiodi, tipica del mondo della tappezzeria, era usato anche dai magnani, cioè dagli stagnini, dai fabbri, per attaccare tutte le opere leggere, quindi parti metalliche piccole di peso non eccessivo. Si potrebbe obbiettare che un soggetto in argento sbalzato sia da considerare relativamente pesante; è vero, ma ricordo che gli sbalzi erano sorretti da un numero elevato di chiodi, come si può notare lì dove le asole per il fissaggio sono a vista (fig.70).

Come indicato nella Enciclopedia, le bullette, venivano solitamente misurate in peso, forse perché molto piccole. Questo ci costringe a prendere in considerazione l'ipotesi che la libra e mazza prima incontrata si riferisse a questa tipologia piuttosto che ai chiodini d'argento. Io però escluderei questa ipotesi poiché le bullette sono indicate in modo molto preciso dal loro numero, 550, rendendo quindi non necessaria una doppia indicazione di misura.

L'ottone non sappiamo a cosa possa essere servito, di contro non verifichiamo nel documento la presenza di rame, quello che doveva essere utilizzato per la cornice inferiore del paliotto (“contratto”3° punto) .

Possiamo avanzare due ipotesi: la prima è che il rame, come l'argento, non sia trattato in questo documento perché inserito nei 26 carlini pattuiti ne “il contratto” o che, in un momento successivo al “contratto”, si sia scelto di sostituire il rame con l'ottone, in questo caso l'ottone qui menzionato sarebbe servito per realizzare la nuova cornice inferiore.

Segue la carta, di cui è difficile individuare l'uso, e la biacca. Normalmente questo termine porta alla mente il materiale utilizzato in pittura ma in in questa sede è difficile immaginarne l'utilizzo. Sempre sull' Enciclopedia del negoziante del 1841 la

13 Ibidem.

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biacca è però inserita come componente principale di un tipo di cementi per metalli

14

. È difficile dire con esattezza a cosa sia servito questo collante, se davvero di questo si tratta, certo le parti metalliche da applicare erano molte e forse un mastice era necessario proprio per l'adesione del metallo a parti in legno, non saldabile per sua natura con nessun metallo.

Il souevo, cioè il sego, è un grasso di origine animale, molto utilizzato in passato per varie funzioni. Spesso però è indicato come componente di alcune cere

15

. Così, ed in relazione all'operazione di pulizia che aveva investito il paliotto (“contratto” 4°

punto) , si potrebbe pensare che questa “cera” sia stata utilizzata per la lucidatura finale.

Forse allora non è un caso che subito dopo si parli di trementina, antenata della nostra acquaragia; questo materiale potrebbe essere stato usata per sgrassare gli argenti, sempre in relazione all'operazione di pulitura e prima della lucidatura degli stessi, (“contratto” 4° punto), secondo un procedimento che oggi si attua con la benzina rettificata

16

.

Fra gli altri elementi di cui è possibile individuarne l'utilizzo vi è senz'altro la conchiglia d'oro.

Questo materiale è utilizzato per dorare le superfici secondo una particolare tecnica che prevede l'applicazione diretta della polvere aurea per mezzo di un pennello appena intinto in acqua demineralizzata. Oggi tracce di questo materiale sono riscontrabili solo sul mantello brunito del Redentore Centrale

17

(tav. II). La presenza di questo materiale ci costringe a porci un problema; ovvero se le stelline in oro fossero già presenti in origine sul manto o se vi siano state inserite solo a partire dall'intervento di Santacroce.

14 Cementi per metalli, voce, in Enciclopedia del negoziante ossia gran dizionario del commercio dell'industria del banco e delle manifatture, tomo III, Venezia 1841, p. 83.

15 Cere, voce, in Enciclopedia del negoziante ossia gran dizionario del commercio dell'industria del banco e delle manifatture, tomoIII, Venezia 1841

16 Cfr. il paragrafo 5 in questo capitolo.

17 Come verificato da Sante Guido durante le operazioni di restauro nel 2002, in S.Guido, G.

Mantella, Nicola da Guardiagrele Orafo tra Medioevo e Rinascimento, cit. p. 244.

(16)

Il secondo blocco di informazioni riguardano la parte di falegnameria; tali operazioni, in linea con lo spirito generale dell'intervento, non furono invasive. Così è scritto alla 3°voce di spesa:

e più ho pagato carlini tre, e mezo à mro Lorenzo Lenzi falegname per haver lavorato il sud.

o

fustone di legno, e le due stanghe, per poter facilmente portare la pred.

a

tavola d'argento.

Questo passaggio ci permette di conoscere così il nome del falegname che modellò il corpo ligneo della cornice perimetrale, il fustone di legno. Questi realizzò anche due lunghe travi, le due stanghe, che dovevano essere inserite, per facilitare il trasporto del paliotto, all'interno di due strutture a “c” in ferro, presenti sul retro dello stesso e visibili

18

ancora oggi.

Tali strutture, secondo Sante Guido, che restaurò il paliotto nel 2002 e che ebbe modo di analizzarle da vicino, sarebbero originali, come la base di legno sul quale sono montate. Questo significa che nel 1734 non viene elaborato un nuovo sistema di trasporto, come si potrebbe dedurre dalla lettura della 3° voce di spesa, ma che, più semplicemente, viene ripristinato il precedente. La necessità di rifare le travi per il trasporto avvalora così l'ipotesi di un lungo inutilizzo dell'antependium nei tempi precedenti al restauro.

Nella voce successiva, la 4° del nostro libro dei conti, siamo sempre entro l'anno 1734; qui viene detto:

Ho pagato carlini tre e à mro Caietano Scarapelli, per tre travi di mollesco? Di palmi dodici l'uno, che esso diede per le due stanche accomodate da mr.

o

Lorenzo Lenzi falegname, per portare con facilità il retroscritto paliotto di argento, e

18 La presenza di queste due strutture in metallo mi è stata segnalata dal restauratore che intervenne

sull'opera nel 2002, Sante Guido durante un colloquio orale.

(17)

l'altro servì per il fustone di d.

o

paliotto, e gli ho pagato un carlino per una tavola che fu secata in più staielle per riempire le cornici di mezo del medesimo.

Così a maestro Caietano Scarpellini furono pagati tre carlini e mezzo per la fornitura di tre travi, due sonoo quelle prima nominate per il trasporto del paliotto, mentre la terza fu lavorata per realizzare la cornice perimetrale del paliotto, il fustone. A Lorenzo Lenzi, che già avevamo incontrato nel precedente punto, fu pagato invece un carlino e mezzo per la fornitura di una tavola che fu secata in più staielle, cioè in più listelli. Questi dovevano sia fare da supporto ai nuovi listelli argentei, sia da riempimento dello spazio presente tra due cornici ottagonali cioè, per riempire le cornici di mezzo del medesimo

19

(del paliotto).

Con questo punto si conclude la lista degli interventi pagati entro il 1734; nella pagina successiva a quella in cui si trova il punto appena trattato, sono infatti riportati un altro paio di pagamenti ma in data 1735.

la 5° voce di spesa dice:

E più ho spesi grana quindici, per una chiave, e due carlini per il credenzone, ove si conserva il paliotto di argento in sacristia

Questa voce di spesa si riferisce alla sistemazione della credenza, dell'armadio a muro, dove sappiamo, grazie all'edizione del Pannella

20

, era conservato il paliotto ancora nel 1890.

Questo punto ci dimostra non solo che già nel 1734, e probabilmente negli anni precedenti, quella era la sede “feriale” del paliotto, ma sopratutto che a questa data il credenzone andava sistemato e addirittura necessitava di una chiave.

Se, come abbiamo affermato, il paliotto versava, prima del restauro, in uno stato di

19 Cioè divisa in piccoli listelli.

20 G. Pannella, op.cit.

(18)

precarietà, precario allora doveva essere anche il suo alloggio; esso andava sistemato in qualche sua parte non definita e, sopratutto ora che il paliotto era stato riparato e reintegrato dei suoi argenti mancanti, necessitava di una messa in sicurezza, di una chiave che serrasse le ante di questo grande armadio.

Alla pagina seguente del libro dei conti, e sempre entro l'anno 1735, è riportata la 6°

e ultima voce di spesa:

Ho pagato ducati dieci à D. Domenico Santacroce, oltre li ducati ventisei pattuiti, per risarcimento del paliotto di argento, havendo fatto in d.

o

paliotto altro lavoro fuori dal pattuito.

Un po' come era avvenuto per il 10° punto de “il contratto” rimaniamo spiazzati da questa inaspettata voce di spesa, che sembrerebbe rimettere in discussione la portata degli interventi subiti dal paliotto. Contratto e resoconto di spese vanno infatti interpretati parallelamente.

Ricordiamo brevemente ciò che avevamo detto nel “contratto”a proposito della successione dei vari punti. Il punto 9°, quello del pagamento dei 26 ducati, è un punto fermo nel documento, il momento conclusivo di una serie di interventi da compiere sul paliotto, che quindi richiedevano di essere pagati. In questo senso il 10°

punto è da considerarsi indipendente dal 9° proprio perché bisognoso di una valutazione economica successiva e personale.

Proprio in relazione a ciò credo che l'ultimo punto del “resoconto di spese” sia la soddisfazione di quel preventivo che non poteva essere inserito ne “il contratto”;

infatti la somma pagata è di ben dieci carlini, poco meno della metà dei 26 ducati pattuiti per tutti gli interventi del primo documento. I famosi festoncini, cioè i nuovi listelli, erano infatti di argento fuso, ripieni di dentro, ed il prezzo così alto sarebbe giustificabile proprio in relazione all'utilizzo di materia argentea e forse di una tecnica più complessa e dispendiosa di quella a sbalzo.

Ma in questo ultimo resoconto di spesa è inserito un periodo, a mio avviso

(19)

fondamentale per capire la portata degli interventi sul paliotto. La frase oltre li ducati ventisei pattuiti, per risarcimento del paliotto di argento costituisce un brevissimo, ma ugualmente significativo, resoconto dell'intervento. Riportare velocemente alla memoria il tipo di operazione a cui ci si stava riferendo era necessario a causa della lontananza fisica di questa voce rispetto alle altre del 1734.

Dunque i 26 ducati pattuiti erano per il “risarcimento” del paliotto, dove risarcire, si intende per colmare una lacuna, completare; ciò ci permette di riallacciarci all'incipt del “resoconto di spese” del 1734, quando il canonico Bonvivere dice rifatti anco molti argenti mancanti, cioè risarciti, completati, i listelli argentei coprigiunti.

Solo a questo punto possiamo affermare che in tutto il documento non viene mai nominato l'argento, quello per la realizzazione della nuova cornice perimetrale.

Questo può significare che il peso del materiale della vecchia cornice, coincidesse alla perfezione o fosse addirittura in eccesso, rispetto a quello della nuova cornice, o anche che l'argento in più, non potendo essere previsto nel “contratto” fosse stato compreso insieme ai dieci carlini dei per la realizzazione dei listelli.

3. Il paliotto di Teramo: alcune asportazioni sull'opera nella prima testimonianza di Giacinto Pannella.

Nel paragrafo precedente abbiamo lasciato il nostro paliotto completamente restaurato. Abbiamo detto che, oltre a una totale operazione di pulitura e lucidatura delle sue parti metalliche, era stato messo in sicurezza, dotato di una nuova cornice perimetrale e di nuovi listelli coprigiunto.

In sostanza, a restauro ultimato, il paliotto era integro in tutte le sue parti e non presentava lacune di nessun genere.

Dal punto di vista dello stato conservativo dell'opera, la prima notizia interessante, dopo il 1734, risale al 1890 anno della monografia di Giacinto Pannella

21

sul paliotto di Teramo; infatti nello scritto, per mezzo di un dettagliato elenco, è anche testimoniata la presenza di lacune, che riporto di seguito, commentando le singole voci passo per passo (cfr. nella lettura dell'elenco sottostante la fig.72).

21 G. Pannella, op.cit.

(20)

1. Quadretto IX

22

. Ha preso il volo lo Spirito Santo accorso quasi colomba al battesimo di Gesù.

Ovvero nella scena del Battesimo di Cristo verifica la mancanza della colomba dello Spirito Santo, di norma posta in corrispondenza della testa di Gesù (fig.72, formella 16 ).

2. Quadretto X. Ne manca il soggetto principale, Gesù che dice: Vade retro, Satana.

Dunque nella scena de Le tentazioni di Cristo nel deserto si rileva la mancanza proprio della figura di Gesù. Come ancora riscontrabile (fig.72, formella 17 ).

3. Quadretto XIII. È scomparsa la faccia d'uomo, o d'angelo che fosse, cui non ha salvato l'occhio S. Matteo continuamente affisso verso di essa.

Ovvero manca il simbolo dell'evangelista Matteo, rappresentato dall'angelo, come ancora riscontrabile (fig.72, formella 3 ).

4. Quadretto XIX. Non v'è più Erode, soggetto principale. Per amore dell'arte ci spiace assaissimo la scomparsa anche di questa buona lana

23

(sic.) .

Ovvero manca la figura di quello che noi abbiamo indicato come Caifa o Pilato nella scena appena sotto le Tentazioni nel deserto, come ancora oggi riscontrabile (fig.72, formella 23 ).

5. A piè del Crocifisso, quadretto XXVI, vedesi spazio che qualche Maria, od altro personaggio, doveva occupare.

Probabilmente allora, come oggi, in corrispondenza della base del crocifisso le lamine non erano perfettamente coese, e lasciavano intravedere parte di fondo ligneo.

Questo ha fatto pensare al Pannella che vi era in origine posto qualche genere di personaggio (fig.72, formella 28 ).

6. Tra i quadretti XXIX e XXX si è scrostato un intero smalto triangolare

24

.

Cioè, fra la Resurrezione di Cristo e il San Marco evangelista lo smaltino triangolare fitomorfo ha perso la quasi totalità della superficie smaltata, come ancora oggi

22 La numerazione dei “quadretti”riportata dal Pannella fa riferimento ad uno schema presente nella monografia in questione. Ho ritenuto tale schema inadatto a questa sede e, per ragioni di

chiarezza, ho preferito utilizzarne un altro che riutilizzerò anche nei paragrafi seguenti, al fine di illustrare i vari passaggi delle asportazioni e delle integrazioni sul paliotto.

23 Probabilmente si intendeva buona lamina.

24 Nella foto del paliotto iccd del 1905 lo smalto invece risulta presente.

(21)

riscontrabile (fig.72, tra formella 31 e 5 ).

7. Sono state staccate 25 lastre d'argento cesellate dal Santacroce fra gli scompartmenti.

Cioè 25 listelli coprigiunto fra le cornici ottagonali. Non specifica quali siano, probabilmente le stesse mancanti anche nella foto ICCD del 1905

25

(nella fig.72 evidenziate in rosa), ma l'affermazione indica che per il Pannella, nato a Teramo, da genitori teramani, nel 1847 era chiaro quali parti del paliotto fossero da riferire all'intervento di Domenico Santacroce. Questo ci porta a pensare che ancora in questa generazione fosse presente una forte memoria storica riguardo al paliotto.

8. Otto piccole lastre cesellate poste come fasce, o anella, nella cornice tanto per nascondere le commettiture, quanto per proseguirsi con bell'effetto le divisioni della tavola.

Ovvero 8 piccole fascette poste lungo il perimetro della cornice (non specifica se tutta o solo parte di essa) poste nei punti di inserimento dei chiodi, (cfr ipotesi fig.72) probabilmente, come nel caso dei listelli, sono quelle mancanti anche sui tre lati superstiti e visibili nella foto ICCD del 1905 (fig. 73-74)

9. Per quanto minutamente avessimo osservato il Paliotto, pure non abbiano potuto vedervi marca o bollo alcuno. O non v'è stato impresso mai, o è andato perduto con le cornici antiche.

Non vi erano quindi state riscontrate tracce di bolli. Questo punto ci conferma quanto il Pannella conoscesse bene il paliotto e quanto la sua analisi fosse stata fatta osservandolo davvero da vicino.

Allora se l'autore non segnala esplicitamente la mancanza della cornice inferiore nel 1890 che, come vedremo tra poco, manca invece nelle foto ICCD del 1905 e anche in quelle dell'Archivio Alinari de1929, probabilmente significa che a fine Ottocento era ancora presente. Infatti molte lacune osservate dal Pannella, come abbiamo già detto, sono verificabili per mezzo delle prime foto dell'opera in nostro possesso.

Prima di arrivare al secolo XX, bisognerebbe cercare di capire in che momento della

25 In realtà sulle foto ICCD noi ne abbiamo contate solo 24. La possibilità di un conteggio sbagliato,

o di una errata trascrizione da parte del Pannella, è senz'altro più verosimile della possibilità che

nel frattempo solo uno dei listelli sia stato integrato.

(22)

vita del paliotto le parti mancanti sono cadute, o sono state asportate.

Chiaramente è una domanda a cui, in questo momento, non c'è una vera e proprio risposta, ma possiamo proporre comunque alcune riflessioni.

Il Pannella, che scrive negli anni '80 dell'Ottocento, in vari punti dell'elenco sopra citato si esprime con un certo tono ironico: l'angelo del Battesimo che prende il volo, l'occhio vigile di San Matteo che non ha salvato il suo simbolo e, in fine, le lastrine del Santacroce che si dice siano state staccate e non cadute o perse.

Sembra insomma che nella seconda metà dell'Ottocento, quando scrive il sacerdote, qualche notizia su alcune vicende dell'opera circolassero. Forse l'autore, essendo un uomo di chiesa, aveva modo non solo di frequentare assiduamente gli ambienti della cattedrale, ma di essere al corrente delle vicende, perché no, dei pettegolezzi, magari narrati da qualche vecchio parroco. L'utilizzo del termine staccate ci costringe infatti a prendere in considerazione l'ipotesi che alcune parti mancanti fossero state asportate volutamente e che il sacerdote lo desse come fatto noto.

Come dicevamo è molto difficile far luce su questo aspetto ma c'è una fase della storia di Teramo, anzi di tutto il meridione d'Italia, particolarmente delicato per tutte le opere d'arte d'oreficeria sacra; vale la pena accennarne qualcosa.

Come noto, negli anni 1798-1799 vi fu l'invasione del Regno di Napoli da parte dei francesi . In periodi storici delicati come questo, sia da parte degli invasi che degli invasori, si avanzavano continue richieste di denari per rimpinguare le casse dello stato e finanziare le guerre. A farne le spese erano spesso le opere d'arte, soprattutto quelle realizzate in materiale prezioso e in tal senso i tesori delle cattedrali costituivano da sempre un ghiotto bottino.

Anche al tesoro del duomo di Teramo toccò, proprio nel 1798, una sorte simile; ce lo

testimonia una lettera scritta da un'importante personaggio di allora, Melchiorre

Delfico, a nome della città tutta. La lettera è rivolta ad un ignoto destinatario,

sicuramente qualche ufficiale borbonico, pregato di risparmiare il paliotto teramano

dalla lista degli argenti che dovevano essere fusi al fine di contribuire alla causa

nazionale contro il nemico francese.

(23)

Chiaramente la richiesta fu accolta, visto che il paliotto brilla ancora sull'altare maggiore della cattedrale, ma deve essere stato in un momento delicato come questo, di fame di argenti e di denari, che le parti mancanti potrebbero essere state asportate.

In ogni caso, a far pendere l'ago della bilancia per l'idea di una rimozione volontaria delle parti vi sono due fattori: primo, non bisogna dimenticare che i listelli argentei (quelli asportati), anche se piccoli, erano fusi a stampo, quindi avevano un perso sostanziale, secondo, le asportazioni si sono verificate sopratutto in zone perimetrali, come se, dovendo scegliere, si fosse deciso di lasciare almeno le decorazioni centrali, quelle nella parte più rilevante del paliotto.

Lo stesso discorso potrebbe farsi sulle due figure a sbalzo mancanti, il Cristo tentato e il Caifa/Pilato sottostante; ma qui siamo davvero nel campo delle ipotesi e non ce la sentiamo di confermare oltre questa idea.

4. Lo stato conservativo nelle foto ICCD 1905

Come abbiamo più volte anticipato, le lacune testimoniate dal Pannella sono tutte riscontrabili sulle foto ICCD del 1905, e successivamente confermate in quelle Alinari del 1929, dove troviamo una situazione conservativa identica

26

(cfr. figg. 72 e 74); allora i 25 listelli mancanti, così come le 8 fasce ad anella cesellate, di cui egli non specifica la posizione, potrebbero essere quelli che sulle foto in questione risultano avulsi.

In ogni caso le asportazioni dal 1890 al 1905/1929 continuano. Dall'osservazione delle foto in questione, e come anticipato, si evince che rispetto alla situazione descritta dal Pannella quindici anni prima, mancano anche i listelli di quattro smaltini triangolari della parte inferiore del paliotto della totalità della cornice inferiore.

Dobbiamo quindi verificare che nel frattempo lo stato conservativo dell'opera era peggiorato.

26 In questo lavoro abbiamo riportato la sola foto ICCD 1905 a causa della pessima qualità delle foto

dell'Archivio Alinari del 1929 in nostro possesso. In ogni caso la situazione conservativa che

emerge dalle due campagne è pressoché identica.

(24)

5. Un restauro novecentesco, il 1964

Dopo le testimonianze fotografiche degli anni 1905/1929, bisogna aspettare il 1964 per avere altre notizie sullo stato di conservazione del paliotto; questo è infatti l' anno della pubblicazione della seconda monografia sull'opera, Il paliotto di Teramo, di B.

Giani

27

.

Nell'apparato iconografico presente in questo lavoro il paliotto ricompare restaurato in molte sue parti (fig.75,76).

Non siamo in grado di dire quando esattamente questo intervento fosse avvenuto, vista la totale mancanza di materiale documentario in proposito, ma sicuramente il 1964 ne costituisce il terminum ante quem.

Gli interventi di restauro hanno riguardato la cornice inferiore del paliotto, rifatta integralmente in ottone a profilatura liscia a cui sono state aggiunte, nel punto di inserimento dei chiodi, fascette sbalzate ad anella sul modello di quelle presenti nei restanti lati della cornice perimetrale.

Sono state inoltre reinserite le 8 fascette ad anella mancanti, sulla cornice perimetrale originale e i 24 listelli mancanti, sempre sullo stesso modello degli originali.

Non sono stati invece integrati i piccoli listelli a perline intorno al 3°, 4°, 7° e 8°

smalto triangolare della parte inferiore del paliotto.

Tutte le parti mancanti sono state integrate in maniera mimetica; infatti solo alla visione ravvicinata di un occhio esperto è possibile notare che i nuovi pezzi si caratterizzano per una minore qualità esecutiva.

Il criterio mimetico di integrazione è particolarmente visibile nel confronto “prima- dopo”del listello collocato fra la Strage degli innocenti e il Battesimo di Cristo (figg.77.a,b) e di quello posta fra l'Ultima cena e l'Orazione nell'orto (figg.78,a,b). In entrambi i casi prima del restauro in questione (come visibile dalle foto ICCD del 1905) la lastrina è frammentata mentre, nel 1964, la ritroviamo integra, cioè sostituita con una completamente nuova, o integrata in modo da non rendere visibile la giunzione, quindi la differenza, tra parti originali e parti nuove.

27 B.Giani, op.cit.

(25)

Questa attenzione mimetica non si è tradotta sempre in un lavoro qualitativamente apprezzabile. Come ravvisabile nei “nuovi” listelli, cioè quelli reinseriti integralmente, fra la Discesa al Limbo e la Resurrezione , fra l'Ascensione e la Pentecoste (fig.79), e fra la Crocefissione e il San Francesco che riceve le stimmate(fig.80), il livello qualitativo dello sbalzo e l'accuratezza della messa in opera, rispetto alle originali, sono davvero ridotte

28

( fig. 81).

Putroppo non è stato possibile reperire altre informazioni relative a questo restauro vista la totale assenza di documentazione presso gli Archivi di Soprintendenza e in generale presso gli altri archivi consultati per le ricerche

29

.

6. Il paliotto di Teramo: il restauro del 2002

In vista della mostra che si sarebbe tenuta nel 2008 a Roma dal titolo Nicola da Guardiagrele, Orafo tra Medioevo e Rinascimento

30

, il paliotto di Teramo fu la prima delle opere di Nicola da Guardiagrele ad essere interessata da un progetto di restauro che avrebbe coinvolto gran parte del corpus della sua produzione.

Il restauro fu finanziato su proposta della A.R.P.A.I. di Vicenza

31

nel 2002 ed eseguito dal restauratore Sante Guido.

La direzione dei lavori fu della Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici e Storici dell’Abruzzo, mentre l'Istituto Centrale del Restauro ha seguito le fasi dell'intervento e della campagna di indagini scientifiche in collaborazione con ENEA-La Casaccia.

I lavori, che hanno coinvolto una squadra di 4 operatori, sono stati iniziati nei primi giorni del mese di febbraio e si sono conclusi in tempo per le celebrazione liturgiche del giorno dei SS Pietro e Paolo il 29 giugno. In tale giorno il Paliotto era regolarmente posto sull'altare maggiore della cattedrale teramana, come da espressa richiesta dell'allora vescovo Sua Eccellenza Antonio Nuzzi.

28 Le immagini x, x, x, non sono state tratte dalla monografia di Giani del 1964 a causa della loro scarsa qualità, ma sono state tratte da S.Guido, G. Mantella, Nicola da Guardiagrele Orafo tra Medioevo e Rinascimento. Le opere. I restauri. Todi 2008,

29 Cioè l'Archivio Diocesano di Teramo e l'Archivio di Stato di Teramo.

30 S. Guido, G. Mantella, Nicola da Guardiagrele. Orafo tra Medioevo e Rinascimento, op.cit.

31 a.r.p.a.i. Associazione per il restauro del patrimonio artistico con sede a Vicenza.

(26)

Non esiste una vera e propria pubblicazione su questi restauri; la relazione finale e la documentazione delle fasi dell'intervento sono di proprietà dello sponsor e sono state a suo tempo depositate in duplice copia, ma non sono a momento disponibili.

Le informazioni qui riportate sono state possibili grazie alla disponibilità del restauratore sopra citato, che mi ha concesso un colloquio sull'argomento, permettendomi di ripercorrere le varie fasi del restauro.

Così prima di procedere restauro vero e proprio del paliotto è stata eseguita una campagna di documentazione grafica e fotografica

32

e, prima di iniziare lo smontaggio, sono stati messi in sicurezza tutti i frammenti di smalto in fase di distacco. Dopo tale procedura è iniziato lo smontaggio di alcune componenti dell'opera.

I primi ad essere rimossi, a causa del loro precario stato di conservazione; sono stati gli smalti; essi si presentavano infatti con la pellicola vetrosa decoesa rispetto alla lastrina di fondo e pesantemente attaccati da ossidi di ferro, per la presenza di chiodini.

Poi è stata la volta degli sbalzi in argento, dei listelli coprigiunto e solo di alcuni dei fondi dorati delle formelle; la loro rimozione infatti, visto il delicatissimo sistema di incastri che le caratterizzava, avrebbe rischiato irreversibili deformazioni delle lamine. Le cornici ottagonali e quella perimetrale non sono state invece rimosse.

Asportate tali componenti, la base di legno di fondo si è rivelata molto ben conservata e quasi totalmente priva di attacchi di insetti xilofogi, a differenza delle asticelle che fungevano da spessore tra le cornici ottagonali, dove tali attacchi avevano compromesso gran parte del materiale legnoso.

Un altro elemento documentabile solo dopo lo smontaggio è che tutti i fondi di argento dorato presentano una lavorazione del fondo a risparmio; questi sono infatti ritagliati con cesoie in corrispondenza delle superfici coperte dagli sbalzi e fissati su di esso con chiodi. Lo stesso vale per la doratura che si interrompe qualche millimetro prima di tale taglio, risparmiando così non solo materiale argenteo ma anche aureo; questo metodo ha permesso in conclusione un risparmio di argento di

32 Sante Guido, Giuseppe Mantella, Il restauro, scheda inserita all'interno di Kermes op.cit. p. 42.

(27)

quasi il 90%

33

.

Dopo la rimozione degli smalti è emersa inoltre un'altra particolarità: la presenza, dietro di essi di uno spessore isolante di sughero, inserito presumibilmente durante il restauro del 1734, isolante sia dagli agenti atmosferici che dagli urti probabilmente subiti da un'opera mobile quale era il paliotto. La presenza di tale sughero è stata definita dal restauratore come caso insolito, anzi unico. Le parti in sughero, caratterizzate da importanti attacchi biologici, si sono mostrate però troppo compromesse per essere riutilizzate e sono state sostituite con del nuovo sughero stagionato, escluso dunque da eventuali fenomeni di deformazione e trattato con idonei prodotti di inibizione di eventuali futuri attacchi di insetti xilofagi.

Tutta la tavola del paliotto è stata interamente sottoposta ad un trattamento contro gli attacchi biologici.

Con lo smontaggio degli sbalzi sono stati asportati circa 600 chiodi di ferro ossidati e logori al punto di non assolvere più la loro funzione, oltre ad un limitatissimo numero di chiodini in argento

34

; tali chiodi sono stati rimossi e interamente sostituiti, in fase di rimontaggio delle componenti, con chiodini di argento realizzati ex novo sul modello di quelli ritrovati sul paliotto (fig. 83).

L'ossido di ferro aveva intaccato la superficie degli sbalzi e anche della lamina degli smalti in corrispondenza degli agganci; assicurati alla tavola del paliotto tramite graffette ad “L” in ferro che furono interamente sostituite con altre della stessa forma ma realizzate in argento.

Gli sbalzi presentavano due tipologie di problematiche: la presenza di Rame verde (efflorescenze saline) e di solfuro d'argento. Per quanto riguarda la prima, subito dopo lo smontaggio, è stato rilevato che se sul fronte, cioè la parte a vista degli sbalzi, era sviluppato solo sul 5% delle superfici, mentre sul retro, esonerato dalle

33 Informazione ottenuta tramite colloquio orale con Sante Guido e ravvisabile dall'osservazione delle fotografie del paliotto in fase di restauro e e privato degli sbalzi. Su questo argomento cfr. il paragrafo 1.3.3, capitolo I in questa tesi.

34 Secondo il restauratore i chiodini, sia quelli in ferro che quelli in argento, sarebbero da far risalire

al restauro settecentesco. L'antico restauratore, Domenico Santacroce, avrebbe così iniziato a

montare chiodini di argento ma, verificata la loro scarsa tenuta, sarebbe passato poi a quelli in

ferro.

(28)

operazione di pulizia ordinaria avvenuta nei secoli, saliva fino al 45%.

Anche il solfuro di argento generava dei problemi conservativi e, insieme al rame verde, doveva essere rimosso.

Il solfuro di rame poneva al restauratore un grande problema conservativo poiché, in quanto prodotto instabile, va rimosso, pena il logoramento ulteriore della materia.

L'argento infatti, non essendo una lega, non produce la cosiddetta patina nobile, cioè quella innocua e naturale che, ad esempio, genera il bronzo. La sostanza nera, che il solfuro d'argento produce non è in nessun caso da considerarsi patina naturale ma elemento dannoso per la salute del materiale.

Previa analisi con spettrofonometria XRF

35

, tutte le parti in argento sono state poi sottoposte ad un procedimento di pulitura sintetizzabile nelle seguenti fasi:

1) eliminazione della polvere depositata;

2) sgrassamento con l'utilizzo di un tamponcino con benzina rettificata;

3).lavaggio in acqua demineralizzata con tensioattivo neutro al 2%;

4). al fine di eliminare i sali di rame il materiale è stato immerso per 10-20 minuti in una soluzione di un complessante dello ione rame in forma neutra al 2%;

5). nuovo lavaggio in acqua demineralizza;

6). al fine di eliminare il solfuro di argento le superfici sono state pulite con una soluzione di sodio bicarbonato ed acqua deionizzata più un nuovo risciacquo con acqua demineralizzata;

7). asciugatura;

8). al fine di isolare l'argento dall'atmosfera ed inibire future formazioni di prodotti di alterazione del metallo, è stata applicata sulle superfici una resina nitrocellulosica protettiva e totalmente reversibile.

Per diminuire il rischio di una asciugatura incompleta, a causa della quasi totale

35 La tecnica XRF (X-Ray Fluorescence) consente di individuare gli elementi chimici costitutivi di

un campione, grazie all’analisi della radiazione X da esso emessa (la cosiddetta fluorescenza X

caratteristica) in seguito ad eccitazione atomica con opportuna energia. L’analisi è assolutamente

non distruttiva in quanto non richiede alcun tipo di preparazione del campione e non altera in

nessun modo il materiale analizzato.

(29)

chiusura sul retro della lamina sbalzata, un' eccezione è stata fatta per la pulitura del sale di rame del Cristo flagellato, non immerso totalmente nel liquido ma pulito tramite tamponi.

La pulitura degli smalti è avvenuta seguendo una procedura simile a quella degli argenti ma che, chiaramente, ha previsto la sostituzione, solo per la rimozione di sale di rame, della procedura “a bagno” con l'utilizzo di tamponcini.

A causa del precario stato di conservazione e dei numerosi distacchi degli strati vetrosi, gli smalti sono stati previamente consolidati con resina acrilica al 3%.

Tutte le parti sono state rimontate grazie alla realizzazione di circa 900 chiodi in argento di differenti forgia e dimensione.

Tale metallo è stato scelto per la sua durabilità nel tempo a differenza del ferro e per la compatibilità cono i materiali costitutivi. Le operazioni di rimontaggio sono state necessarie circa 3 settimane vista la delicatezza dell'intervento.

A fine lavoro il tutto è stato nuovamente interessato dalla stesura di un ulteriore strato di protettivo reversibile.

Dopo le operazioni di restauro l'opera è stata collocata in via definitiva sul moderno altare maggiore.

Le operazioni di pulizia e lucidatura hanno però restituito un'opera dalla resa estetica profondamente diversa da quella a cui la popolazione teramana era abituata. Prima del restauro il paliotto era ricoperto da una patina opaca che impediva in sostanza di distinguere la cromia derivata dalla presenza di oro, argenti e smalti.

Questo nuovo paliotto non ha quindi subito conquistato ed inevitabile è sorta una controversia sulla legittimità di una pulizia così approfondita.

Il dibattito si è concretizzato nell'uscita di un articolo su una rivista locale Il Messaggero d'Abruzzo, dal titolo Paliotto, sul restauro è giallo

36

. In esso si criticava in sostanza l'effetto di luminescenza che derivava dalla nuova pulitura, tanto riflettente da essere stato ribattezzato “effetto carta argentata”.

36 Paliotto, sul restauro è giallo, in Il Messaggero d'Abruzzo del 13/11/2008.

(30)

7. Il paliotto di Teramo fra Otto e Novecento: primi provvedimenti di tutela sull'opera

In conclusione a questo capitolo sulla storia conservativa del paliotto, non possiamo non includere alcune notizie, seppur frammentarie, sulle vicende riguardanti più strettamente la tutela dell'oggetto in quanto bene culturale.

I passaggi di questa storia si snodano fra la fine dell'Ottocento e i primi anni del Novecento; siamo nel pieno delle grandi campagne di catalogazione del patrimonio artistico che stavano investendo il Regno d'Italia proprio in quegli anni.

Come abbiamo già ricordato nel capitolo II di questa tesi

37

, il paliotto, nell'anno 1874, fu preda degli interessi di alcuni antiquari romani

38

. Il pericolo di una vendita fu in fine scongiurato, ma da quel momento in poi qualcosa cambiò e una serie di piccole ma importanti azioni furono messe in atto per proteggere il prezioso manufatto.

Così abbiamo visto che con una nota dell' 8 marzo 1890, l'oggetto, conservato sempre presso la sagrestia della cattedrale, fu affidato alla custodia del canonico Giuseppe Cimini. Egli si impegnava a non rimuovere l'opera dalla sua sede e di non apporvi modificazioni, senza il consenso del Ministero della Pubblica Istruzione

39

. Questa è la prima ingerenza, a noi documentata, dello stato italiano, ai fini di tutelare l'opera da eventuali pericoli; la consegna dell'oggetto al Cimini significava infatti precisare, tramite una nota ufficiale, chi fosse il consegnatario, il responsabile del prezioso oggetto, chi fosse il referente per il Ministero.

Come specificato in una successiva lettera datata 1 aprile 1890

40

, il provvedimento non sarà una sicura garanzia della sicura custodia, ma è un vincolo almeno per i consegnatari onesti, i quali non avevano prima che si iniziasse il catalogo generale vincolo di sorta.

37 Cap. II, paragrafo 2.

38 Archivio di Stato di Teramo, fondo Questura, fascicolo II, busta 17/1. Appendice documentaria, n°4.

39 Archivio di Stato di Teramo, Inventario del Comune di Teramo, fascicolo 13, busta 442.

Appendice documentaria, n°5.

40 Archivio di Stato di Teramo, Prefettura (versamento 95) Serie I, categoria 14, anni 1889-1918,

busta 98, fascicolo 1-5. Appendice documentaria, n°6.

(31)

In questa lettera, scritta dall'allora Ministro della Pubblica Istruzione Finelli alla Regia Prefettura di Teramo, la necessità di affidare in custodia l'oggetto al canonico si pone come un vero e proprio atto di tutela. Lo scritto prosegue dicendo che le leggi veglianti in queste province sono poco note e dimenticate; e quel vincolo (di non apportare modifiche al bene e di non rimuoverlo dalla sua sede), serve a farle conoscere o a ricordarle.

Questa è una questione che non si esaurirà in poche battute e infatti, ben due anni dopo, il 29 agosto 1892

41

, il nuovo ministro della Pubblica Istruzione scrive ancora al Prefetto di Teramo spiegando la necessità di rivolgersi a Francesco Savini, membro della Commissione Conservatrice dei Monumenti, per dare consegna legale del paliotto al rettore della cattedrale di Teramo. Questa accortezza si rendeva necessaria, come spiegato nel documento, non tanto perché se ne possa decidere la vendita, ma anche per evitare il pericolo d'inopportuni restauri. L'indicazione viene immediatamente accolta, come si evince dalla lettera scritta il 31 agosto dello stesso anno dal prefetto a Francesco Savini

42

.

Gli anni introno al 1897 sono anche i primi in cui troviamo traccia delle prime vere schedature del paliotto.

Contemporaneamente prende forma anche una polemica fra sindaco e amministratore della cattedrale di Teramo in merito alla questione della proprietà dell'antependium.

La prima lettera in tal senso risale al 24 gennaio del 1897. in essa il sindaco di Teramo afferma che il paliotto è di proprietà del comune

43

La polemica è contestualizzabile grazie a una lettera del 27 febbraio 1897, scritta dal Ministro dell'Istruzione Pubblica al prefetto di Teramo. Qui si capisce che poco tempo prima, l'ispettore dei monumenti Antonio de Nino aveva redatto una scheda di catalogo relativa al paliotto, nella quale si specificava che l'opera fosse di proprietà della cattedrale di Teramo

44

. Il ministro prega così il prefetto di Teramo di far

41 Archivio di Stato di Teramo, Prefettura (versamento 95) Serie I, categoria 14, anni 1889-1918, busta 98, fascicolo 1-5. Appendice documentaria, n°7

42 Ibidem Appendice documentaria n°8

43 Archivio di Stato di Teramo, Inventario del Comune di Teramo, busta 442, fascicolo 20.

Appendice documentaria, n°9

44 Archivio di Stato di Teramo, Prefettura (versamento 95) Serie I, categoria 14, anni 1889-1918,

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