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Valutazione retrospettiva dell'efficacia dell'approccio fisioterapico nella gestione multimodale dell'osteoartrosi del cane.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di laurea magistrale in Medicina Veterinaria

Valutazione retrospettiva dell'efficacia dell'approccio

fisioterapico nella gestione multimodale dell'osteoartrosi del

cane.

ANNO ACCADEMICO 2016 - 2017

Candidato: Relatore:

Giulia Strata Prof.ssa Gloria Breghi

Correlatore:

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“Eh, sì, tutti son buoni a farsi forti al dolore degli altri,

eccetto chi lo deve sopportare.”

(William Shakespeare)

“Dying is nothing, but pain is a very serious matter.”

(H.J.Bigelow)

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RIASSUNTO

: il presente lavoro è stato svolto al fine di valutare in modo retrospettivo i progressi clinici ottenuti in un gruppo di cani affetti da artropatia degenerativa e sottoposti a un protocollo fisioterapico riabilitativo della durata minima di due mesi, mirato alla gestione del dolore e al recupero della funzionalità motoria.

Parte dei pazienti era, inoltre, da tempo sottoposta a terapia farmacologica, a scopo analgesico e antinfiammatorio.

La valutazione retrospettiva si è basata sull’analisi della documentazione clinica di ciascun paziente, e sulle informazioni ottenute dai questionari compilati dai proprietari degli animali. Sono state selezionate 21 cartelle cliniche da includere nello studio in base all’età, al grado di limitazione funzionale presente e alle tecniche fisioterapiche impiegate.

I risultati di questo lavoro confermano l’efficacia dell’approccio fisioterapico che si dimostra utile nel migliorare le condizioni cliniche dei soggetti trattati.

Parole chiave

: osteoartrosi canina, dolore, fisioterapia.

SUMMARY:

This study was conducted in order to assess, in a retrospective way, the clinical progress of a group of dogs affected by degenerative arthrophaty who were undergone a physiotherapeutic protocol (minimun of 2 months), aimed at pain management and recovery of motor function.

A proportion of patients was also already treated with painkillers and anti-infiammatories. The retrospective assessment was based on the analysis of the clinical documentation of each patient and on the questionnaires compiled by the owners.

21 medical records were selected and included in this study, based on age, degree of motor function reduction and physiotherapeutic protocol used.

The results of this trial confirmed the efficiency of the physiotherapeutic approach, which results useful to improve the medical conditions of the treated patients.

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INDICE

Introduzione………...1

1. OSTEOARTROSI………3

1.1 Definizione……….3

1.2 Prevalenza……….3

1.3 Eziologia………...4

1.4 Strutture articolari………..5

1.5 Patogenesi e modificazioni anatomiche………..6

1.6 Diagnosi………...…7

1.6.1

Esame clinico……….7

1.6.2

Diagnostica per immagini ed esami collaterali……….9

2. DOLORE OSTEOARTROSICO………11

2.1 Generalità………11

2.2 Caratteristiche e conseguenze del dolore articolare

nell’osteoartrosi……….12

2.3 Diagnosticare il dolore osteoartrosico………..14

3. GESTIONE MULTIMODALE DELL’OSTEOARTROSI CANINA……..21

3.1 Generalità………21

3.2 Approccio chirurgico………..21

3.3 Approccio conservativo………22

3.3.1 Terapia medica………..23

Antinfiammatori non steroidei………23

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Tramadolo……….26

Corticosteroidi……….27

Paracetamolo………..28

Gabapentin………28

Amantadina………..29

Amitriptilina……….29

Palmitoiletanolamide (PEA)………30

3.3.2 Disease Modifying Osteoarthritic Agents: DMOA…………30

Acidi grassi omega-3………31

Condroitinsolfato………31

Acido ialuronico………..32

Glucosaminoglicano

polisolfato

(PSGAG)

e

Glucosamina………..32

Acido DL alfa-lipoico (ALA)………..32

Quercetina………..32

3.3.3 Gestione non farmacologica………33

Riduzione del peso corporeo……….33

Modificazioni dell’ambiente domestico e delle attività

quotidiane………..34

Approccio fisioterapico...35

Agopuntura………40

Terapia con cellule staminali………...41

Terapia con PRP: Platelet Rich Plasma………..42

4. ESPERIENZA PERSONALE………..43

4.1 Scopo del lavoro……….43

4.2 Materiali e metodi……….43

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4.2.2 Procedure………..44

4.3 Risultati……….56

4.4 Discussioni………..62

Legenda abbreviazioni...66

Bibliografia………...68

Ringraziamenti………..73

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1

Introduzione

Negli ultimi decenni, grazie ai progressi della medicina veterinaria, nonché all’aumentata attenzione dei proprietari nei confronti della salute e del benessere dei loro animali domestici, si sta assistendo a un generale incremento dell’aspettativa di vita del cane22.Parallelamente,

sono sempre di più i soggetti in cui sono riconosciuti i sintomi di dolore di tipo persistente o cronico di varia origine 15, 6, 45. L’osteoartrosi è considerata la causa di dolore cronico di maggior

riscontro nel cane37, 43 ed è responsabile dello sviluppo progressivo di limitazioni motorie che

possono risultare anche molto invalidanti, fino a ridurre drasticamente la qualità di vita dell’animale affetto, specialmente in età geriatrica.

La terapia fisiatrica si è rivelata, negli ultimi decenni, una componente molto importante della gestione multimodale dell’osteoartrosi canina, in virtù dei benefici da essa apportati in termini di analgesia e recupero della funzionalità motoria.

L’utilizzo di scale del dolore (Pain Score) può rappresentare un ausilio efficace per la valutazione dell’intensità e delle conseguenze psicomotorie del dolore, oltre che per la quantificazione dell’efficacia della terapia analgesica messa in atto. Attualmente esistono solamente due scale multiparametriche per la valutazione del dolore persistente che siano state validate, ossia decretate sufficientemente efficaci, sensibili al cambiamento ed affidabili: la Canine Brief Pain Inventory (CBPI) e la Helsinki Chronic Pain Index (HCPI) 11, 18.

In relazione a quanto affermato, il presente studio ha avuto come obiettivo la valutazione dell’efficacia analgesica e riabilitativa di una terapia fisiatrica della durata di due mesi applicata a un campione di 21 cani anziani affetti da osteoartrosi. I soggetti da includere nello studio sono stati selezionati in modo tale da ottenere un campione omogeneo per età, sintomatologia e protocollo fisioterapico applicato, e in base all'assiduità con cui tale protocollo è stato seguito, a partire da un numero molto più elevato di casi clinici a disposizione. La valutazione è stata effettuata confrontando i punteggi ottenuti attraverso la compilazione della Helsinki Chronic Pain Index pre e post trattamento fisiatrico.

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2

Questo studio ha permesso inoltre di indagare, nel contesto della realtà clinica presa in considerazione, quali siano i segni di dolore osteoartrosico più frequentemente riscontrati, e l’età alla quale mediamente i pazienti affetti da artropatia degenerativa sviluppano limitazioni motorie tali da rendere necessario un intervento fisiatrico per la loro gestione.

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3

1. OSTEOARTROSI

1.1 Definizione

L’osteoartrosi (OA), definita anche artropatia degenerativa3, DJD (dall’inglese Degenerative

Joint Desease), ed ancora osteoartrite22, 3, è un processo distruttivo progressivo ed

autoperpetuantesi che può colpire tutte le articolazioni mobili sotto carico3. Tale artropatia è

caratterizzata da deterioramento e perdita della cartilagine articolare, riduzione dello spazio articolare, sclerosi ossea subcondrale e neoproduzione ossea periarticolare (osteofitosi).

Si riscontrano inoltre sinovite, alterazioni delle caratteristiche del liquido sinoviale, inspessimento della capsula articolare e calcificazione di entità variabile dei tessuti periarticolari3, 22.

Le suddette alterazioni si manifestano clinicamente con dolore articolare, riduzione dell’ampiezza dell’escursione articolare (ROM: dall’inglese Range Of Motion) e rigidità nel movimento22, 34. L’OA si considera dunque una patologia che interessa primariamente tutte le

componenti articolari e secondariamente anche le strutture periarticolari, compresi muscoli, tendini e legamenti.

1.2 Prevalenza

L’OA rappresenta la prima causa di dolore cronico del cane22.

Nonostante la sua elevata prevalenza, rimane ad oggi una patologia sottodiagnosticata e scarsamente trattata6.

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4

L’OA può manifestarsi in cani di tutte le taglie ed età, tuttavia tende ad essere più frequentemente riscontrata, da un punto di vista clinico, in cani adulti-anziani, di taglia grande e peso corporeo elevato22.

1.3 Eziologia

Tradizionalmente le artropatie degenerative sono suddivise in primarie e secondarie.

L’OA primaria è considerata storicamente una forma di “logoramento articolare” associato all’usura dell’articolazione originariamente sana, quale conseguenza dell’invecchiamento (dunque dell’uso prolungato) o di un eccessivo impiego atletico3. Più recentemente sono state

tuttavia riconosciute come rilevanti, specialmente per quanto riguarda il cane adulto/anziano, ulteriori concause di OA quali traumi, artropatie immunomediate, artropatie infettive, artropatie da dismetabolismi, da cristalli e da farmaci.

L’OA secondaria può essere oggi ricondotta a quella che può colpire il cane giovane conseguentemente ad artropatie congenite e/o dello sviluppo35.

E’ possibile inoltre differenziare le artropatie degenerative da un punto di vista biomeccanico considerandole come conseguenza di un carico anomalo su un’articolazione normale (es: trauma), oppure di un carico normale su un’articolazione alterata (es: displasie)22.In entrambi

i casi, un’importante fattore di rischio per lo sviluppo di artropatia degenerativa è rappresentato dall’obesità, condizione che accentua il carico articolare accelerando il processo degenerativo ed aggravando la sintomatologia clinica22, 34. In conclusione, dunque, ad oggi è

possibile parlare di fattori predisponenti (predisposizione genetica in base alla razza di appartenenza), cause scatenanti (come artropatie congenite, traumi, ecc.) e cause aggravanti (quali l’obesità, l’invecchiamento e lo stress fisico)5, 31.

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1.4 Strutture articolari

La cartilagine articolare è un tessuto che si compone di cellule definite condrociti, e di una matrice extracellulare, della cui produzione e mantenimento sono responsabili i condrociti stessi, in quanto cellule metabolicamente attive39.La matrice extracellulare risulta a sua volta

composta da una rete di collagene, la quale conferisce un supporto strutturale essendo una proteina fibrosa, e da aggregati di proteoglicani e acido ialuronico.La cartilagine articolare sana mantiene la sua rigidità e il suo turgore grazie alla pressione esercitata dalle molecole d'acqua contenute nella matrice extracellulare, attratte osmoticamente dagli aggregati di proteoglicano-ialuronato27, 22.Essa agisce da superficie di scivolamento, facilitando i movimenti

articolari, e come un ammortizzatore, moderando le forze applicate alle ossa lunghe durante la locomozione21.

L’osso subcondrale è un sottile strato osseo che congiunge la cartilagine articolare con l’osso spongioso sottostante. Le caratteristiche della giunzione osteocondrale consentono la conversione delle sollecitazioni di taglio in forze compressive, potenzialmente meno dannose per l’osso subcondrale. Anche l’osso spongioso sottostante, essendo dieci volte più deformabile dell’osso corticale, svolge un ruolo fondamentale nella distribuzione delle forze agenti sull’articolazione22, 40.

Le cavità articolari sinoviali sono delimitate da una capsula articolare, costituita da uno strato più esterno di tessuto connettivo fibroso, che contribuisce a stabilizzare l’articolazione, e da uno strato più interno, definito membrana sinoviale. La membrana sinoviale è composta da cellule denominate sinoviociti, le quali hanno molteplici funzioni, tra cui: attività di fagocitosi, produzione di acido ialuronico e produzione di enzimi litici. Tra lo strato fibroso e quello sinoviale decorrono vasi sanguigni, linfatici e nervi.

Il liquido sinoviale è un dialisato del plasma che deriva dal ricco apporto vascolare della membrana sinoviale21. Questo fluido contiene elettroliti e piccole molecole in proporzione

simile al plasma, ed un’elevata quantità di acido ialuronico, il quale ne determina la viscosità, dunque la capacità di ammortizzamento degli urti e di parziale assorbimento dell’energia

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6

generata dal movimento.Il liquido sinoviale ha inoltre la funzione di nutrire i condrociti della cartilagine articolare, nonché di incrementare volume ed elasticità della matrice extracellulare22, 42.

1.5 Patogenesi dell’artropatia degenerativa e risultanti modificazioni

anatomiche

La cascata di eventi patologici che esita nelle alterazioni anatomiche e funzionali tipiche dell’osteoartrosi è dovuta ad una serie di stimoli biochimici e meccanici che agiscono principalmente a carico di cartilagine articolare, sinovia e liquido sinoviale.

Sintetizzando il complesso circolo vizioso autoperpetuante coinvolgente numerosissimi mediatori biochimici, è possibile affermare che l’instaurarsi di una condizione di infiammazione non purulenta di bassa entità (low-grade inflammation) a carico della sinovia e della cartilagine articolare conduce alla liberazione, all’interno del liquido sinoviale, di vari enzimi distruttivi e citochine, rilasciati da sinoviociti e condrociti35, 11, 34. A causa della conseguente distruzione e

diluizione di acido ialuronico e proteine, la viscosità del liquido sinoviale diminuisce, con conseguente riduzione delle sue importanti azioni di lubrificazione e di nutrimento della cartilagine articolare42. Si verifica inoltre un’elevata affluenza di neutrofili e macrofagi,

responsabili di un’elevata produzione di radicali liberi, i quali danneggiano ulteriormente le componenti del liquido articolare ed alterano la capacità di biosintesi di proteoglicani da parte dei condrociti35. La cartilagine articolare va incontro a condromalacia, progressivo

sfrangiamento, fissurazione ed erosione5.Successivamente si verifica coinvolgimento dell’osso

subcondrale che diviene sclerotico, levigato ed eburneo27. Lo spazio articolare risulta

irregolarmente ridotto ed i capi articolari incongruenti.La membrana sinoviale infiammata va incontro ad iperplasia ed ipertrofia, mentre la capsula articolare diviene distesa, inspessita e più fibrosa, perciò limita le possibilità di escursione dell’articolazione. Si osserva lo sviluppo di esostosi ossee periarticolari, definite osteofiti, interpretabile come un tentativo dell’organismo di limitare l’instabilità articolare e compensare l’aumentata tensione a cui le inserzioni della

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capsula articolare sono sottoposte.La crescita ossea può infine estendersi fino ai tessuti molli periarticolari: capsula, legamenti e muscoli.

Nelle forme non trattate, l’esito finale di questo processo infiammatorio-degradativo-proliferativo è l’anchilosi fibrosa od ossea3, 35, 22.

1.6 Diagnosi di osteoartrosi

Per formulare la diagnosi di artropatia degenerativa è necessario correlare i dati ottenuti da segnalamento, anamnesi, visita ortopedica, diagnostica per immagini ed eventuali esami collaterali.

1.6.1 Esame clinico

L’osteoartrosi è una patologia articolare che causa dolore e discomfort, pertanto occorre saperne riconoscere le manifestazioni comportamentali oltre che i segni clinici più evidenti. Per questo motivo l’anamnesi risulta di essenziale importanza per indirizzare le indagini diagnostiche9.

La maggioranza dei cani affetti da osteoartrosi non esprime la propria condizione di disagio vocalizzando, dunque può risultare difficile per il proprietario comprendere che il proprio cane avverte dolore. Tuttavia è possibile individuare alcune alterazioni del comportamento e delle abitudini del cane che sono interpretabili come segni clinici di dolore causato da osteoartrosi22.

Le manifestazioni di discomfort riportate dai proprietari di cani osteoartrosici sono numerose, ed includono:

• difficoltà ad alzarsi e rigidità nel movimento, specialmente dopo prolungato riposo e dopo esercizio fisico intenso;

• andatura “a passi corti” causata dalla ridotta escursione articolare; • difficoltà nel salire e scendere rampe di scale;

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• riluttanza a compiere esercizio fisico, scarsa resistenza allo sforzo e scarso interesse per il gioco;

• letargia, depressione o aggressività; • diminuita ricerca di interazioni sociali; • inappetenza;

• difficoltà nell’assumere una posizione confortevole per il riposo, vocalizzazioni, insonnia, ricerca di posti caldi e morbidi dove coricarsi;

• difficoltà nel posizionarsi per l’urinazione e la defecazione; • abitudine a lambire o mordere le zampe dolenti.

22, 11.

Alla visita clinica è possibile rilevare anomalie di appiombo e deambulazione più o meno evidenti a seconda della gravità del quadro infiammatorio ed algico3. In tutti i casi, il cane

cercherà se possibile di sottrarre al carico le articolazioni artrosiche34.Sarà pertanto utile

osservare l’animale durante la deambulazione: qualora un solo arto del bipede anteriore e/o posteriore risulti affetto, si rileverà zoppia lieve o moderata; qualora invece siano affetti entrambi gli arti del bipede anteriore o posteriore (es. OA conseguenza di displasia delle anche o dei gomiti), il peso del cane risulterà spostato sul bipede sano.Si potrà osservare inoltre atrofia muscolare a carico degli arti affetti, in quanto parzialmente sottratti all’uso22.

Portate a termine queste prime fasi di valutazione del paziente, occorre effettuare una visita ortopedica completa, osservando tutte le singole articolazioni e sottoponendole a movimenti di flessione, estensione e stress collaterale, alla ricerca dei segni caratteristici dell’articolazione affetta da OA: aumentato volume e deformità articolare, ROM ridotto, crepitii, manifestazioni di dolore da parte del paziente (es. reazione aggressiva o sottrazione alla manipolazione, espressioni facciali)22. E’ consigliabile esaminare per primi gli arti che si ritengono sani, in modo

tale da non rendere il paziente scarsamente collaborativo provocando subito dolore.

E’ inoltre sempre auspicabile associare alla visita ortopedica una visita neurologica completa, per escludere eventuali cause neurologiche di dolore e difficoltà deambulatoria34.

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1.6.2 Diagnostica per immagini ed esami collaterali

Le procedure diagnostiche strumentali di maggior rilievo che possono seguire la visita clinica sono: esame radiografico, tomografia computerizzata, risonanza magnetica, artroscopia, prelievo ed analisi del fluido sinoviale.

Attraverso l’esecuzione di un esame radiografico è possibile rilevare alcuni dei segni caratteristici di osteoartrosi: restringimento dello spazio articolare, sclerosi dell’osso subcondrale, formazione di osteofiti, deformità generale dell’articolazione ed eventuale anchilosi, possibile calcificazione dei tessuti periarticolari21. Tuttavia l’esame radiografico non

consente di rilevare precocemente i segni di flogosi e degenerazione a carico della cartilagine articolare, né permette di effettuare una valutazione efficace dello stato dei tessuti molli periarticolari.Occorre inoltre tenere sempre presente che in questo tipo di patologia articolare la gravità dei segni radiografici non riflette sempre l’intensità della sintomatologia clinica riscontrata del paziente22.

La tomografia computerizzata (TC) rende possibile lo studio accurato dell’articolazione in particolare per quanto riguarda la presenza di osteofiti e il distacco di frammenti ossei.

La risonanza magnetica (RMN) risulta invece efficacie in particolare per la valutazione delle strutture tendinee e muscolari periarticolari.

L’artroscopia è sicuramente la tecnica diagnostica più utile per diagnosticare precocemente l’insorgenza dell’artropatia, ancora prima che i segni di degenerazione individuabili con un esame radiografico facciano la loro comparsa. Infatti, sebbene si tratti di una tecnica costosa, la cui esecuzione richiede grande esperienza e professionalità al fine di ridurre il rischio di danni iatrogeni, la valutazione endoscopica diretta delle strutture articolari permette di visualizzare lo stato effettivo della cartilagine articolare, nonché di effettuare biopsie qualora necessario. In corso di artroscopia viene inoltre prelevato un campione del fluido sinoviale, la cui analisi citologica conduce a diagnosticare, in presenza di osteoartrosi, un’infiammazione asettica, con prevalenza di elementi cellulari mononucleati. Il fluido sinoviale estratto da un’articolazione

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artrosica è caratterizzato da viscosità ridotta, torbidità aumentata e lieve xantocromia, a causa del ridotto contenuto di acido ialuronico, dell’elevato numero di cellule infiammatorie e del verificarsi di microemorragie 22, 8, 3.

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2. DOLORE OSTEOARTROSICO

2.1 Generalità

Negli ultimi decenni, grazie ai progressi della medicina veterinaria, nonché all’aumentata attenzione dei proprietari nei confronti della salute e del benessere dei propri animali domestici, si sta assistendo ad un generale incremento della qualità e dell’aspettativa di vita del cane22. Parallelamente, sono sempre di più i soggetti in cui vengono riconosciute patologie

fonti di dolore di tipo persistente o cronico, che i proprietari sono sempre più desiderosi di lenire, motivati dal profondo legame affettivo che li lega ai loro animali domestici, considerati oggi veri e propri membri della famiglia 15, 6, 45. Il medico veterinario è pertanto chiamato al

riconoscimento, alla quantificazione ed al trattamento mirato del dolore, preso in considerazione non più solo come “sintomo” ma come “malattia” vera e propria, oggetto di studio della branca medica definita algologia11, 43, 13, 45.

E’ ormai da lungo tempo appurato che il cane, alla stregua di tutti i mammiferi, è in grado di provare dolore in modo analogo all’uomo, in quanto processa gli stimoli nocicettivi attraverso meccanismi del tutto sovrapponibili a quelli che avvengono nell’organismo umano 18.Anche la

soglia del dolore risulta la stessa nell’uomo e nel cane, ma la natura “non verbalizzante” di quest’ultimo fa sì che la sua sofferenza si manifesti piuttosto attraverso modificazioni psicomotorie di difficile interpretazione da parte del proprietario, qualora non correttamente educato dal medico veterinario.

Come stabilito dal Farm Animal Welfare Council nel 2009, la libertà dal dolore è uno dei cinque diritti riconosciuti a livello mondiale come necessari per la tutela del benessere animale18, 43 e,

come affermato dall’International Association for the Study of Pain (IASP), l’impossibilità di esprimere la propria sofferenza mediante verbalizzazione non può essere considerata una giustificazione per non fornire un trattamento analgesico adeguato al paziente che sta provando dolore6.

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Partendo proprio dalla definizione di “dolore” fornita dalla IASP 6, esso può essere descritto

come la percezione cosciente di una sensazione fisica spiacevole, spesso associata a sentimenti emotivi negativi, conseguente all’integrazione a livello corticale delle informazioni sensoriali derivanti da danni reali o potenziali a carico dei tessuti periferici 18. Il “dolore nocicettivo” è

infatti il risultato dei processi fisiologici di trasduzione (trasformazione di uno stimolo meccanico, termico o chimico in un evento elettrico di depolarizzazione da parte di recettori specializzati definiti “nocicettori”), trasmissione (trasmissione del segnale elettrico al midollo spinale ed alla corteccia somatosensitiva), modulazione (eccitatoria o inibitoria del segnale durante il suo tragitto dal midollo al cervello) e integrazione (dell’informazione a livello corticale, con conseguente percezione cosciente del dolore)11, 22.

Sulla base della sua eziopatogenesi, il dolore può essere classificato come transitorio, tissutale/infiammatorio, neuropatico, funzionale, oppure da cause sconosciute11.

2.2 Caratteristiche e conseguenze del dolore articolare nell’osteoartrosi

Il dolore articolare è il segno clinico più frequentemente associato ad osteoartrosi 23, 22, e questa

è considerata la causa di dolore cronico di maggior riscontro nel cane37, 43.

Il dolore osteoartrosico può essere classificato come dolore misto, in quanto di natura sia infiammatoria sia neuropatica11.Infatti, da un punto di vista patogenetico, questo tipo di dolore

è sostenuto, fin dal suo esordio, dall’infiammazione dei tessuti articolari, che si accompagna alla liberazione di numerosissimi mediatori algogeni da parte delle cellule residenti (sinoviociti), delle cellule circolanti (neutrofili) e delle terminazioni nervose locali, con conseguente attivazione del percorso nocicettivo; sono coinvolte in questo processo molecole come: prostaglandine, leucotrieni, sostanza P, bradichinina, istamina, serotonina, citochine, interleuchine e neuromediatori23. Le vie nocicettive in questo contesto vengono attivate anche

da stimoli meccanici: distensione periostale (che si verifica per la formazione di osteofiti), eccessiva distensione della capsula articolare (dovuta all’aumento di volume del fluido sinoviale), spasmi muscolari (conseguenza dell’instabilità articolare e del carico anomalo

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gravante sulla capsula articolare, sui legamenti e sull’osso subcondrale), ipertensione midollare (causata dall’alterazione del flusso ematico a livello delle trabecole dell’osso subcondrale sclerotico) e microfratture ossee11,22.

I normali meccanismi di attivazione e scarica dei nocicettori periferici sinoviali e ossei vengono alterati da queste stimolazioni chimiche e meccaniche abnormi e prolungate, fino all’instaurarsi di fenomeni di sensibilizzazione centrale e periferica, mediante l’aumento del numero dei nocicettori, la riduzione della loro soglia di attivazione, l’incremento della modulazione eccitatoria e la riduzione di quella inibitoria 23, 19, 6.

Con l’aggravarsi dell’osteoartrosi, alla componente algica infiammatoria viene a sommarsi una componente neuropatica, dovuta agli stiramenti e alle compressioni che le fibre nervose possono subire a causa della distensione della capsula articolare, della formazione di osteofiti e dei fenomeni degenerativi articolari11.

Un’ulteriore fattore di aggravamento del dolore osteoartrosico, responsabile dell’instaurarsi del cosiddetto “circolo vizioso del dolore”, è il ridotto utilizzo dell’arto dolente da parte del cane: ciò comporta infatti una riduzione significativa delle masse muscolari, con conseguente aumento dell’instabilità articolare e del carico anomalo gravante sulle strutture articolari e periarticolari11. Il rilascio di mediatori infiammatori ed algogeni in questo modo si perpetua ed

intensifica, così come la sensazione di dolore percepita dall’animale mano a mano che la patologia articolare progredisce22.

Un altro tratto distintivo del dolore che accompagna l’osteoartrosi è la sua persistenza: in genere questo tipo di dolore non raggiunge l’intensità di quello acuto (che può conseguire per esempio a un intervento chirurgico invasivo o a un trauma), tuttavia si rivela debilitante in quanto responsabile di forti modificazioni dello stile di vita del cane, nonché di disturbi del sonno, dell’umore, dell’appetito, della defecazione e dell’urinazione. Il dolore non trattato, inoltre, genera una condizione di stress permanente che può condurre a uno stato di immunosoppressione generalizzata, con ripercussioni importanti in termini di suscettibilità alle infezioni e di recidiva e metastatizzazione di tumori 11, 22. Si deduce dunque che la gestione del

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dolore osteoartrosico non può essere tralasciata per garantire al cane che ne è affetto una migliore qualità di vita e per salvaguardarne a lungo termine le condizioni mediche generali.

Oggi, fortunatamente, si sta diffondendo sempre più una cultura di “ortopedia preventiva” mirata a prevenire, diagnosticare e trattare precocemente le patologie ortopediche che condurrebbero altrimenti allo sviluppo di artrosi. Ciò consente di evitare, laddove possibile, inutili ed invalidanti sofferenze all’animale, nonché l’impatto economico di una terapia antalgica “a vita” al proprietario43.

In tutti i casi, la responsabilizzazione ed il coinvolgimento del proprietario del cane nel percorso diagnostico e terapeutico sono di importanza cruciale per riuscire a gestire con successo i pazienti affetti da dolore osteoartrosico43.

2.3 Diagnosticare il dolore osteoartrosico

Sulla base della diagnosi di osteoartrosi (effettuata, come precedentemente descritto, mediante attenta analisi anamnestica, specifica visita ortopedica, tecniche di diagnostica per immagini ed indagini complementari), è possibile presumere la presenza di dolore di tipo “misto” e “persistente”.

Tenendo sempre conto delle variabili individuali legate al livello di tolleranza del dolore del singolo paziente, nonché alla possibile concomitante presenza di altre patologie algogene, si può partire comunque dal presupposto che il dolore di natura artrosica viene classificato come “severo” dal punto di vista della sua intensità (in una scala che comprende dolore “lieve”, “moderato”, “severo”, “atroce”)11, 7.

Si ritiene che la valutazione del dolore di tipo cronico persistente non possa avvalersi in maniera efficace dello studio di parametri clinici e di laboratorio (tra cui frequenza cardiaca, pressione arteriosa, frequenza respiratoria, diametro pupillare, cortisolemia e glicemia), considerati di ausilio durante la valutazione della presenza di dolore acuto, sebbene con

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alcuni limiti legati allo stress psicologico subìto dall’animale (il quale si trova in un ambiente non familiare durante l’ospedalizzazione, e spesso vive con timore la presenza del medico veterinario) nonché ai numerosi fattori che possono influire sui livelli ematici di sostanze endogene quali il cortisolo ed il glucosio, agendo sull’asse neuroendocrino ipotalamo-ipofisi-surrene9,1. Il dolore cronico evolve infatti in tempi molto più lunghi, e generalmente non

raggiunge livelli di intensità tali da provocare le reazioni simpatiche e neuroendocrine che caratterizzano il dolore acuto; pertanto si traduce in manifestazioni più subdole, riconducibili principalmente a modificazioni comportamentali e dello stile di vita dell’animale11.

Pur rimanendo l’anamnesi il caposaldo dell’individuazione del dolore osteoartrosico, ulteriori mezzi di cui il medico veterinario può disporre, parallelamente alla visita ortopedica specifica, per confermare e quantificare la presenza di dolore sono le scale del dolore e la risposta alla terapia analgesica.

L’utilizzo di scale del dolore (Pain Score) può rappresentare un ausilio efficacie nella valutazione dell’intensità e delle conseguenze psicomotorie del dolore, della sua evoluzione e dell’efficacia della terapia analgesica messa in atto, nonostante l’elevata soggettività delle reazioni comportamentali riscontrate nella pratica ambulatoriale2. Occorre infatti ricordare che le

manifestazioni comportamentali in presenza di uno stato algico sono influenzate notevolmente dalle caratteristiche del soggetto in esame, quali età, razza, indole, emotività ed esperienze pregresse; queste possono indurre l’animale a nascondere i segni di dolore in presenza del medico veterinario, oppure, al contrario, ad esacerbare le proprie reazioni 11. Tra le varie

tipologie di Pain Score utilizzate in medicina veterinaria, le “scale multiparametriche di gradazione numerica” (dall’inglese Numerical Rating Scale, NRS) sono quelle che consentono uno studio maggiormente oggettivo e completo del dolore22, 18. Le NRS sono strutturate in

forma di questionari che comprendono varie categorie di valutazione, ciascuna delle quali, una volta applicata, dà origine ad un punteggio: la misura del dolore percepito dall’animale sarà ottenuta dalla somma dei punteggi di tutte le categorie11.

Per quanto riguarda nello specifico la valutazione del dolore persistente e della qualità di vita, sono stati messi a punto appositi questionari atti a misurare l’impatto negativo del dolore sulle

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16

attività quotidiane dell’animale; si tratta perciò di questionari destinati esclusivamente ai proprietari dell’animale18. Attualmente esistono solamente due scale multiparametriche per la

valutazione del dolore persistente che siano state validate, ossia decretate sufficientemente efficaci, sensibili al cambiamento ed affidabili: la Canine Brief Pain Inventory (CBPI) e la Helsinki Chronic Pain Index (HCPI) 11, 18. L'importanza di poter disporre di una scala del dolore validata a

livello internazionale, che consenta di effettuare una valutazione completa ed oggettiva, risiede non solo nella possibilità di monitorare l’evoluzione del dolore nel singolo paziente, ma anche, e soprattutto, nella possibilità di partire da una base comune per tutti gli studi algologici, rendendoli tra loro realmente confrontabili.

Ultima, ma non meno importante, specialmente laddove risulti particolarmente difficile la valutazione del dolore attraverso i mezzi già descritti, la risposta alla terapia analgesica rimane un indicatore fondamentale che consente di dedurre la presenza di dolore se, una volta effettuato il trattamento analgesico, l’animale torna ad assumere abitudini che precedentemente erano state perse22, 18, 6, 30.

(23)

17

Helsinki Chronic Pain Index (HCPI)

OWNER QUESTIONNAIRE: HCPI-E2

Date _________ Questionnaire no. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 _________

Name of Dog _________________________ Diagnosis____________________________ Owner _____________________________ Owner signature:___________________________

Tick only one answer – the one that best describes your dog during the preceding week

1. The dog’s mood is:

Very alert alert neither alert, indifferent very indifferent

nor indifferent

2. The dog plays:

Very willingly willingly reluctantly very reluctantly does not play at all

3. Rate how often your dog vocalizes pain (audible complaining, whining, crying out etc.):

Never hardly ever sometimes often very often

4. The dog walks:

With great with ease neither with ease, with difficulty with great

ease nor with difficulty

5. The dog trots (moving diagonal limbs at the same time; “jogging”):

With great with ease with some with great ease difficulty difficulty

6. The dog gallops (high speed running):

With great with ease with some with great ease difficulty difficulty

Kliinisen hevos- ja pieneläinlääketieteen laitos PL 57 (Viikintie 49), 00014 Helsingin yliopisto

Eläinlääketieteellinen tiedekunta Puhelin (09) 1911 (vaihde), faksi (09) 191 57298, www.vetmed.helsinki.fi

difficulty

does not trot at all

does not gallop at all

(24)

18

7. The dog jumps (eg. into car, onto sofa…)

2(2)

With great with ease with some with great does not jump

ease difficulty difficulty at all

8. The dog lies down:

With great with ease neither with ease, with difficulty with great

ease nor with difficulty difficulty

9. The dog rises from a lying position:

With great with ease neither with ease, with difficulty with great

ease nor with difficulty difficulty

10. The dog moves after a long rest:

With great with ease neither with ease, with difficulty with great

ease nor with difficulty difficulty

11. The dog moves after major activity or heavy exercise:

With great with ease neither with ease, with difficulty with great

ease nor with difficulty difficulty

Thank You for your help!

Veterinarian’s note: ___________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________

This canine Chronic Pain Index has been developed at the University of Helsinki, Finland For information about the HCPI, please contact Anna Hielm-Björkman, DVM, PhD at

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19

Canine Brief Pain Inventory (CBPI)

Description of Pain:

Rate your dog’s pain.

1. Fill in the oval next to the one number that best describes the pain at its worst in the last 7 days.

2. Fill in the oval next to the one number that best describes the pain at its least in the last 7 days.

3. Fill in the oval next to the one number that best describes the pain at its average in the last 7 days.

4. Fill in the oval next to the one number that best describes the pain as it is right now.

Description of Function:

Fill in the oval next to the one number that describes how during the past 7 days pain has interfered with your dog’s:

5. General Activity

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20

Description of Function (continued):

Fill in the oval next to the one number that describes how during the past 7 days pain has interfered with your dog’s:

5. Ability to Rise to Standing From Lying Down

6. Ability to Walk

7. Ability to Run

8. Ability to Climb Up (for example Stairs or Curbs)

Overall Impression:

11. Fill in the oval next to the one response best describes your dog’s overall quality of life over the last

7 days?

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21

3. GESTIONE MULTIMODALE DELL’OSTEOARTROSI CANINA

3.1 Generalità

Tradizionalmente, l’approccio terapeutico più largamente impiegato nella gestione del paziente con osteoartrosi consiste nell’impostare una terapia medica farmacologica antinfiammatoria e analgesica, finalizzata alla riduzione del dolore36. Oggi, tuttavia, si assiste a un’evoluzione nel

trattamento del dolore osteoartrosico, grazie all’approfondimento delle conoscenze riguardanti la fisiologia della nocicezione e i meccanismi patogenetici citologici e molecolari alla sua base, allo sviluppo di principi attivi farmacologici più sicuri nell’impiego e all’affermarsi di una più matura visione etica del benessere animale22. Si sono resi ormai evidenti, infatti, i molti vantaggi

di un approccio terapeutico “di combinazione”, o “multimodale” e i risultati nettamente superiori ottenibili attraverso la sua adozione.Mettendo in atto diversi interventi ad azione sinergica è possibile lavorare contemporaneamente sulle cause scatenanti la degenerazione artrosica, sui meccanismi patogenetici responsabili del suo aggravamento e autoperpetuazione e sulla sintomatologia clinica36, 4.

Si tratta dunque di una gestione più complessa, che può essere comprensiva di un approccio chirurgico e conservativo, quest’ultimo sia farmacologico sia non farmacologico.

3.2 Approccio chirurgico

La chirurgia consente di operare sulle cause primarie scatenanti la degenerazione artrosica, qualora questa consegua all’azione di forze normali su un’articolazione alterata.

E’ possibile intervenire sull’articolazione interessata a scopo preventivo oppure curativo. L’intervento chirurgico preventivo è mirato al riassetto della corretta biomeccanica articolare prima ancora che l’artropatia inneschi il processo artrosico; un intervento specifico precoce può

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22

essere infatti determinante in presenza di artropatie dello sviluppo (es. displasia di gomito, displasia di anca) e dell’età adulta (es. rotture legamentose, fratture) per proteggere l’articolazione interessata dall’altrimenti inevitabile degenerazione artrosica36. Qualora, invece,

si sia già sviluppata una condizione di degenerazione artrosica grave, potrebbe essere utile, se non addirittura necessario, mettere in atto procedure chirurgiche “curative” o “di salvataggio”, come l’artroscopia con esecuzione di lavaggio articolare e debridement, il replacement articolare, l’ostectomia e l’artrodesi14.

I metodi di intervento chirurgico non saranno discussi in maniera approfondita in questa tesi, in quanto focalizzata sulla valutazione dell’efficacia della componente conservativa della gestione multimodale del paziente con osteoartrosi.

3.3 Approccio conservativo

Questo tipo di approccio si pone l’obiettivo fondamentale di rompere il cosiddetto “circolo vizioso del dolore” (per cui si rimanda al capitolo 2), consentendo un certo grado di recupero funzionale e un incremento del benessere dell’animale affetto da osteoartrosi. La terapia conservativa si propone pertanto di ridurre il dolore e lo spasmo muscolare a esso conseguente, indurre un miglioramento della funzionalità articolare e rinforzare la muscolatura limitando l’instabilità articolare14. La riduzione della severità dei segni clinici permetterà al soggetto di

riacquisire le proprie abitudini comportamentali e intraprendere nuovamente uno stile di vita attivo, con conseguente miglioramento della propria qualità di vita.

E’ importante che il medico veterinario sia di supporto al proprietario del cane affetto da osteoartrosi, in quanto la gestione di questa patologia potrà essere impegnativa e si dovrà protrarre per tutta la durata della vita dell’animale; è pertanto consigliabile la rivalutazione periodica regolare del soggetto, sia per monitorare le condizioni mediche dell’animale sia per guidare e incoraggiare il proprietario durante il percorso terapeutico intrapreso34.

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23

L’approccio conservativo si compone di un’ampia gamma di possibili interventi, volti ad “aggredire” la patologia osteoartrosica da diverse angolazioni e con diverse modalità. Per semplificare la spiegazione delle varie componenti dell’approccio conservativo, è possibile suddividerle in due categorie: gli interventi medici farmacologici e quelli non farmacologici.

3.3.1 Terapia medica

Ad oggi, la terapia medica dell’osteoartrosi canina si articola in due parti: la “terapia sintomatica”, definita “pain-oriented”, finalizzata alla riduzione dell’infiammazione e del dolore, e la “terapia di fondo”, definita invece “disease-oriented”, atta a contrastare i meccanismi patogenetici alla base della degenerazione artrosica36.

Per quanto concerne la terapia farmacologica “pain oriented”, è di fondamentale importanza tenere conto delle caratteristiche del dolore che accompagna l’osteoartrosi, ossia dei processi specifici che sottendono al suo sviluppo. Solo attraverso l’impostazione di un protocollo analgesico “orientato al meccanismo” sarà infatti possibile agire in modo mirato in diversi punti delle vie del dolore, con efficacia e sicurezza di impiego11.

Essendo il dolore osteoartrosico di tipo “misto”, occorrerà somministrare almeno due differenti categorie di farmaci, in modo tale da contrastare le due diverse componenti di questa tipologia di dolore. Sarà pertanto necessario ricorrere a farmaci cosiddetti “antinocicettivi” per agire sulla componente infiammatoria persistente, ma anche a farmaci “antidisnocicettivi” per contrastare la componente neuropatica.

Antinfiammatori non steroidei

Tra i farmaci antinocicettivi utilizzati nella gestione del dolore osteoartrosico, gli antinfiammatori non steroidei (FANS) ricoprono un ruolo essenziale grazie alla loro efficacia, facile reperibilità, sicurezza (laddove correttamente utilizzati) e semplicità di somministrazione. Si tratta infatti di principi attivi disponibili per la maggior parte anche in formulazione orale, vantaggiosa per l’impiego domestico a lungo termine19, 26. I FANS bloccano la cascata dell’acido

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24

rilasciato in seguito a danno tissutale) inibendo le ciclossigenasi (COX), enzimi responsabili della produzione di prostaglandine, prostacicline e trombossano; avendo questi mediatori un ruolo determinante nella genesi dell’infiammazione, del dolore e della piressia, la loro ridotta formazione è la causa degli effetti antinfiammatori, analgesici e antipiretici ascrivibili a questa categoria farmacologica12.Pur essendo ancora oggetto di studio, attualmente è riconosciuta la

presenza di due isoforme principali di ciclossigenasi, definite rispettivamente COX-1 e COX-2; queste, presenti in diverse percentuali nei differenti tessuti, non sono solamente coinvolte nei processi sopra descritti, bensì risulta che abbiano un ruolo essenziale nella normale fisiologia di molti apparati.I FANS si comportano, inoltre, da agenti antiiperalgesici in quanto, riducendo la produzione dell’isoforma COX-2 della ciclossigenasi, inibiscono lo sviluppo dei fenomeni di sensibilizzazione sia periferica (“iperalgesia primaria”) sia centrale (“iperalgesia secondaria”), agendo dunque sulle vie del dolore sia a livello del processo di trasduzione che di quello di modulazione 11. Le principali limitazioni nell’impiego dei FANS sono legate alla possibile

comparsa di effetti collaterali, causati dall’inibizione delle ciclossigenasi laddove queste risultano essenziali per il corretto funzionamento d’organo. L’insorgenza di effetti avversi, tuttavia, risulta piuttosto rara, e le conseguenze di scarsa gravità, se questi farmaci sono somministrati attenendosi ai principi di seguito elencati19.

• Impiegare la minima dose efficace, con il massimo intervallo posologico.

• Evitare l’assunzione in concomitanza con altri FANS o corticosteroidi, i cui effetti avversi potrebbero sommarsi compromettendo l’integrità d’organo (in particolare a livello gastrointestinale).

Osservare un adeguato periodo di sospensione (definito “wash-out”) qualora fosse necessario sostituire un principio attivo con un altro.

• Somministrare FANS solo in soggetti adeguatamente monitorati, in particolare per quanto concerne la funzionalità renale, affinché ne sia garantita la normale escrezione. • Prestare attenzione alla somministrazione in soggetti nefropatici, epatopatici,

cardiopatici, affetti da patologie gastrointestinali o coagulopatie; tenere conto che per la gestione di alcuni pazienti, specialmente geriatrici, con dolore artrosico severo e molto invalidante, la scelta eticamente preferibile potrebbe essere comunque rappresentata dalla somministrazione del farmaco, sebbene con le adeguate

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25

precauzioni (es. associazione con farmaci gastroprotettori e mantenimento di una buona perfusione renale, eventualmente mediante fluidoterapia).

• Monitorare regolarmente il soggetto in terapia con FANS mediante visita clinica e test di laboratorio specifici per la valutazione della funzionalità epatorenale, specialmente nel caso di terapie di lunga durata e in pazienti a rischio.

• Esporre ai proprietari le principali manifestazioni cliniche indicative dell’insorgenza di effetti collaterali, in modo tale da velocizzarne il riconoscimento e la gestione medica in caso di comparsa (es: inappetenza, vomito, diarrea, ematemesi, melena, mucose itteriche, abbattimento, oliguria/anuria).

Scegliere un protocollo terapeutico multimodale consente di somministrare i principi attivi prescelti abbassando la soglia della minima dose efficacie, grazie all’azione sinergica dei farmaci utilizzati, e dei trattamenti non farmacologici ad essi parallelamente impiegati. Ciò determina, di conseguenza, una generale riduzione del rischio di insorgenza di effetti avversi.

Occorre tenere sempre in considerazione che l’efficacia antidolorifica dei singoli FANS varia notevolmente da un paziente all’altro, così come l’insorgenza di effetti collaterali e reazioni idiosincrasiche; può essere molto utile, pertanto, informarsi preventivamente in modo dettagliato attraverso il proprietario dell’animale circa i principi attivi già assunti in passato dal paziente, la loro rispettiva efficacia e l’eventuale comparsa di effetti collaterali, nell’ottica di selezionare il FANS più adeguato nell’impostazione del proprio protocollo farmacologico11.

Tra i principi attivi ad oggi maggiormente impiegati nella gestione dell’infiammazione artrosica si annoverano: carprofen, meloxicam, firocoxib, robenacoxib, mavacoxib, cimicoxib, tepoxalin41.

Oppioidi

Si tratta di una classe di farmaci la cui elevata azione analgesica è determinata dalla riduzione dell’attività neuronale mediante meccanismi sia pre-sinaptici che post-sinaptici. Ciò si concretizzerebbe nell’inibizione della trasmissione degli impulsi nocicettivi attraverso le corna dorsali del midollo spinale, nella soppressione dei riflessi nocicettivi spinali, nell’attivazione delle vie inibitorie discendenti che sfruttano i sistemi di neurotrasmissione serotoninergico e

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26

noradrenergico, e nella modulazione della percezione del dolore a livello dei centri integrativi corticali.

Sebbene rappresentino il gold standard dell’analgesia in presenza di dolore acuto, gli oppioidi potrebbero trovare applicazione anche nella gestione delle fasi di riacutizzazione del dolore persistente da osteoartrosi. Tuttavia il loro impiego in soggetti affetti da dolore a lungo termine in medicina veterinaria è ad oggi ancora poco comune, principalmente a causa della loro durata d’azione complessivamente breve, dello scarso numero di formulazioni non parenterali efficaci disponibili e delle limitazioni legali alla loro prescrizione. Il loro utilizzo in corso di dolore persistente rimane pertanto per lo più limitato alle terapie palliative, in particolare nella gestione del dolore oncologico 19, 11, 12.

Tramadolo

Il tramadolo è un analgesico sintetico impiegato in medicina umana, che determina i suoi effetti riducendo il reuptake di neurotrasmettitori ad azione inibitoria, quali la serotonina e la noradrenalina.Inoltre il suo metabolita 0-desmetiltramadolo si comporta da oppioide debole, legandosi ai recettori oppioidi µ11.

Sebbene recenti studi farmacodinamici abbiano dimostrato in modo soddisfacente gli effetti benefici del tramadolo somministrato per via parenterale sulla modulazione del dolore, attualmente mancano prove sperimentali che sanciscano l’efficacia della formulazione orale, sicuramente più adeguata alla somministrazione in caso di dolore a lungo termine. Ad oggi è stato dimostrato soltanto un aumento statisticamente significativo della soglia nocicettiva meccanica28 e la sua efficacia in particolare laddove somministrato per via orale nell’ambito di

un protocollo multimodale di gestione del dolore20.

Il tramadolo non determina marcata depressione cardiovascolare né respiratoria e sembra non determinare, se non in maniera molto limitata, problemi di tolleranza e di abuso. Essendo, inoltre, contrariamente agli oppioidi, un farmaco non controllato e dal prezzo contenuto, è considerato un composto valido da prescrivere per trattamenti domiciliari a breve termine, in presenza di episodi di dolore acuto.

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27

Per la gestione del dolore persistente del cane, il tramadolo può essere somministrato in modo intermittente qualora il controllo mediante l’uso di altri analgesici (es. FANS) risulti insufficiente19.

Poiché i dati riguardanti la tossicità e gli adattamenti posologici sono ancora carenti nel cane, ne viene comunque sconsigliata la somministrazione a lungo termine, a meno che non siano state già scartate per necessità tutte le altre opzioni terapeutiche. 12

Corticosteroidi

I corticosteroidi sono impiegati nella gestione di vari stati patologici dell’apparato locomotore (es. artriti, osteoperiostiti, sinoviti, tenosinoviti, bursiti) in virtù della loro azione antinfiammatoria che determina la conseguente riduzione dello stimolo dolorifico e la ripresa della funzionalità delle parti lese. Essi, infatti, modulando la trascrizione genica, riducono la sintesi di mediatori pro-infiammatori quali, ad esempio, ciclossigenasi, lipossigenasi e citochine. I Corticosteroidi sembrano svolgere, inoltre, un’azione antifibroblastica e antiproliferativa, caratteristica che li rende efficaci nella prevenzione delle deformazioni articolari e tendinee che possono conseguire alla fase riparativa del processo infiammatorio12.

Per quanto concerne il loro impiego in presenza di osteoartrosi, accanto alla loro somministrazione per via orale o parenterale, è riportata in letteratura la somministrazione di glucocorticoidi mediante iniezioni intrarticolari, trattamento generalmente riservato ai casi di OA severa con refrattarietà ad altri trattamenti analgesici. Da alcuni studi sembra risultare, tuttavia, che tale utilizzo mirato abbia un effetto preventivo sullo sviluppo delle alterazioni degenerative osteoartrosiche, il che aprirebbe la strada a un loro possibile ricorso anche negli stadi precoci della patologia25. A causa della molteplicità e complessità delle loro azioni

farmacologiche e metaboliche, i corticosteroidi non sono però privi di effetti collaterali, pertanto sono numerosi i casi in cui il loro impiego è controindicato o richiede particolare cautela. In primis occorre tenere presente che la concomitante somministrazione di corticosteroidi e FANS accresce notevolmente la comparsa di ulcere gastrointestinali a causa dell’inibizione sinergica della produzione di Prostaglandine operata da queste due classi

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farmacologiche, pertanto tale associazione va preferibilmente evitata o, al limite, strettamente monitorata11, 26, 30.

Paracetamolo

L’acetaminofene, o paracetamolo, è il farmaco ad azione analgesica più utilizzato in tutto il mondo in medicina umana. Sebbene non definitivamente chiarito, il meccanismo d’azione principale mediante il quale questo principio attivo determina analgesia sembra essere l’inibizione della ciclossigenasi a livello del sistema nervoso centrale; si ritiene che possa essere responsabile, inoltre, di altri meccanismi tra cui l’attivazione dei recettori cannabinoidi e l’interazione con i sistemi serotoninergici e oppioidergici.

Nel cane il paracetamolo può essere impiegato come analgesico orale utile per alleviare il dolore osteoartrosico nei soggetti con disfunzione renale in cui non è possibile ricorrere ai FANS, nonostante sembri non raggiungere lo stesso livello di efficacia di questi ultimi. Infatti, mentre nel gatto questo farmaco risulta estremamente pericoloso a qualsiasi dosaggio in quanto responsabile in questa specie di metaemoglobinemia, ematuria e necrosi epatica, il cane non sembra evidenziare predisposizione per l’epatotossicità, pertanto questa sostanza appare sicura se utilizzata con dosaggi corretti.

Il paracetamolo a uso veterinario è disponibile in commercio in associazione con tramadolo o codeina (oppiaceo) 11, 26.

Gabapentin

Il gabapentin è un farmaco originariamente registrato nell’uomo come anticonvulsivante, dotato tuttavia di proprietà analgesiche dovute alla sottoregolazione dei canali del calcio voltaggio-dipendenti presinaptici situati nel corno dorsale del midollo spinale, con conseguente riduzione del rilascio di neurotrasmettitori eccitatori (es. sostanza P e glutammato). Sembra essere responsabile anche di effetti antiallodinici e antiperalgesici, mediante meccanismi d’azione oggi non ancora perfettamente noti11.

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In virtù delle sue proprietà analgesiche, anti-ipersensibilizzanti e antidisnocicettive, in medicina veterinaria ne viene suggerito l’impiego nella gestione del dolore da osteoartrosi22. La sua

somministrazione nell’ambito di un protocollo multimodale consente inoltre la riduzione dei dosaggi degli altri farmaci, contribuendo alla diminuzione del rischio di insorgenza di effetti avversi. Così come nell’uomo, l’effetto collaterale principale nel cane è la sonnolenza, che tuttavia è solita risolversi spontaneamente nel giro di qualche giorno di somministrazione19.

Amantadina

Analogamente alla ketamina, l’amantadina è un antagonista dei recettori N-metil-D-aspartato (NMDA), agisce cioè inibendo il legame del glutammato con questi recettori a livello di sinapsi midollare, riducendo così le afferenze nocicettive.

Questo principio attivo fu sviluppato inizialmente come antivirale a uso umano, tuttavia è risultato in seguito efficace anche in medicina veterinaria nella riduzione del dolore persistente, sia di natura infiammatoria sia neuropatica, associato a iperalgesia e allodinia. E’ risultata pertanto particolarmente utile la sua somministrazione in soggetti affetti da dolore osteoartrosico scarsamente responsivo ai FANS, nell’ambito di un protocollo farmacologico multimodale in associazione a oppioidi e gabapentin. Rispetto alla ketamina, l’amantadina non è un farmaco controllato, pertanto è possibile e priva di limitazioni la sua somministrazione domiciliare, nella formulazione orale11, 22, 29.

Amitriptilina

Questo principio attivo fa parte della categoria farmacologica degli antidepressivi triciclici (Tri-Cyclic Antidepressant, TCA) ed esplica il suo effetto antalgico sulla base di tre meccanismi:

• inibizione della ricaptazione di serotonina, noradrenalina e dopamina, con conseguente incremento della loro concentrazione nel vallo sinaptico a livello midollare e implementazione dell’attività dei sistemi inibitori discendenti del dolore;

• sedazione;

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30

Sebbene questo farmaco sia comunemente utilizzato in medicina veterinaria per la gestione di patologie comportamentali, più recentemente è stato suggerito il suo impiego come adiuvante nella terapia del dolore osteoartrosico refrattario ai FANS, specialmente con componente neuropatica. I principali effetti avversi dell’amitriptilina sono costipazione e ritenzione urinaria, ma raramente potrebbero verificarsi anche effetti collaterali più severi a carico di sistema nervoso, apparato cardiovascolare, funzione ematopoietica, apparato gastrointestinale e sistema endocrino.

Palmitoiletanolamide (PEA)

Questo lipide naturale, normalmente sintetizzato dall’organismo animale e presente in numerose fonti alimentari anche vegetali, agisce come un bioregolatore modulando la risposta tissutale ai danni, sia acuti sia cronici, di natura infiammatoria e algica. La PEA determina, infatti, una down-regulation di cellule immunoinfiammatorie (mastociti) e nervose non neuronali (astrociti e microglia) direttamente coinvolte nello sviluppo dei fenomeni di sensibilizzazione centrale e periferica. Essa, inoltre, potenzia l’azione analgesica e antinfiammatoria dei composti endocannabinoidi endogeni inibendone la degradazione e incrementandone l’affinità per i recettori specifici. La somministrazione esogena di questo composto ne ottimizza la biodisponibilità, garantendo un ottimale controllo endogeno delle vie dell’infiammazione e del dolore. Numerosi studi preclinici e clinici, sia in medicina umana sia in medicina veterinaria, ne hanno dimostrato l’efficacia nel controllo del dolore persistente e refrattario agli analgesici tradizionali (es. FANS e oppioidi), dei quali rende possibile peraltro una riduzione del dosaggio11.

3.3.2 Disease Modifying Osteoarthritic Agents: DMOA

Si tratta di sostanze che costituiscono la cosiddetta “terapia di fondo” o “disease-oriented”, mirata a intervenire sui meccanismi patogenetici alla base dell’osteoartrosi, al fine di limitarne l’evoluzione, preservando e migliorando le condizioni della cartilagine articolare e del fluido sinoviale36, 34, 41. Questo recente approccio terapeutico ha preso avvio dall’affermarsi di una

nuova concezione della patologia osteoartrosica, coinvolgente l’organo articolazione nella sua globalità, in cui ai fatti di natura degenerativa si associano alterazioni di tipo infiammatorio e ossidativo. Proprio a causa della molteplicità e complessità dei meccanismi molecolari

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31

responsabili dello sviluppo di questa artropatia, un approccio terapeutico completo ed efficace deve essere comprensivo di un elevato numero di target, diversificati tra loro 22.La terapia di

fondo dell’osteoartrosi canina è rappresentata, dunque, da principi attivi condroprotettori, la cui azione mira al riequilibrio metabolico della cartilagine e da sostanze con attività antidegenerativa, antinfiammatoria e antiossidante. A queste categorie appartengono anche i cosiddetti nutraceutici: sostanze di estrazione naturale (vegetale, animale, microbiologica) somministrate per via orale come supplementi nutrizionali36. Queste sostanze non sono

classificate come farmaci: in Italia, così come nell'intera comunità europea, il termine nutraceutico non è definito da alcun organo legislativo e i prodotti che rientrano in questa categoria fanno parte degli integratori alimentari. Il loro utilizzo è sempre più largamente diffuso, tuttavia non tutte le sostanze appartenenti a questa categoria sono state sottoposte ad adeguata sperimentazione scientifica e talune mancano di indicazioni precise inerenti il dosaggio. Essendo comunque tutte molecole estremamente sicure e prive di effetti collaterali, la loro somministrazione si può ritenere in ogni caso consigliabile nell’ambito di un protocollo multimodale, purché si associno a sostanze dall’azione farmacologica e dall’efficacia comprovate, laddove le condizioni cliniche dell’animale lo richiedano22, 4.

Di seguito saranno prese in considerazione le sostanze non farmacologiche maggiormente impiegate nell’ambito della gestione multimodale dell’osteoartrosi canina.

Acidi grassi omega-3

La loro integrazione nella dieta determina una riduzione della componente infiammatoria dell’OA grazie all’incremento del contenuto in acido eicosapentaenoico (EPA) a livello delle membrane fosfolipidiche cellulari. Esso compete, infatti, con l’acido arachidonico come substrato per le ciclossigenasi, dando origine a prostaglandine la cui attività proinfiammatoria e proalgica risulta ridotta11, 24

Condroitinsolfato

Essendo uno tra i principali glicosaminoglicani (GAG) componenti la cartilagine articolare e responsabili del trattenimento dell’acqua al suo interno, si ritiene che la sua integrazione con la

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32

dieta potrebbe essere utile per compensare la precoce perdita di GAG che si verifica in corso di degenerazione osteoartrosica11, 24, 30.

Acido ialuronico

Rappresenta il principale responsabile delle proprietà viscoelastiche del liquido sinoviale, ma la sua concentrazione tende a diminuire con il progredire dell’artropatia e a ciò consegue la riduzione di tali proprietà. Somministrandolo si ripristina temporaneamente la lubrificazione articolare adeguata. Esso sembra, inoltre, avere proprietà antinfiammatorie (pertanto anche antalgiche), condroprotettive e di stimolazione della sintesi endogena di altro acido ialuronico11.

Glucosaminoglicano polisolfato (PSGAG) e Glucosamina

Questi composti esercitano un’azione condroprotettiva inibendo numerosi enzimi catabolici coinvolti nel processo di degenerazione osteoartrosica (es. metalloproteinasi, elastasi, ialuronidasi). Inibiscono inoltre la sintesi di prostaglandine e di radicali liberi, stimolano la sintesi di glucosaminoglicani (di cui la glucosamina stessa è precursore) e di acido ialuronico11, 24, 30.

Acido DL alfa-lipoico (ALA)

Si tratta di una sostanza appartenente alla classe dei tioli (o mercaptani) in grado di ottimizzare le riserve energetiche e antiossidanti delle strutture mio-teno-legamentose di contenimento articolare, pertanto utile in tutte le condizioni di instabilità articolare, frequentemente causa dello sviluppo di osteoartrosi36.

Quercetina

Questo composto appartiene invece alla classe dei bioflavonoidi e su di esso sono ad oggi disponibili significative evidenze sperimentali e dati biochimici. In virtù delle sue spiccate proprietà antinfiammatorie, antiossidanti, citoprotettive e condroprotettive, è particolarmente indicata nei soggetti con osteoartrosi36.

In conclusione, per quanto concerne la gestione medica dell’osteoartrosi canina, si può affermare che oggi non sia più lecito pensare a una monoterapia farmacologica, visti i numerosi

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