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Ai miei genitori

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Academic year: 2021

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INDICE

Capitolo 1- FASE INFORMATIVA – 1.1 La tipologia scolastica

1.1.1 Quadro Storico dal dopoguerra ad oggi 1.1.2 La tipologia scolastica romana

1.1.3 La tipologia europea 1.2 Il contesto territoriale

1.2.1 L’evoluzione storica della Città 1.2.2 L’economia

1.2.3 Il nome

Capitolo 2 – DOCUMENTO PRELIMINARE ALL’AVVIO DELLA PROGETTAZIONE (DPP) – 2.1 PREMESSA

2.2 METODO DI LAVORO

2.2.1 Il significato odierno della Triale Vitruviana

2.2.2 La “Legge Quadro in Materia di lavori pubblici” e il concetto di Valore

2.2.3 Il documento preliminare all’avvio alla progettazione 2.2.4 Le fasi Operative

2.3 GLI OBIETTIVI DEL PROGETTO 2.3.1 Considerazioni Generali 2.3.2 Inchiesta

2.3.3 I Risultati Ottenuti 2.3.4 Obiettivi Generali 2.3.5 Obiettivi Particolari

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2.4.2 Il piano regolatore vigente 2.4.3 Le norme

2.5 L’ANALISI FUNZIONALE 2.5.1 Premessa

2.5.2 Definizione delle Funzioni / Attività

2.5.3 Definizione delle Aree Funzionali Omogenee (A.F.O) 2.5.4 Definizione degli Ambiti Spaziali Omogenei (A.S.O) 2.6 LE CLASSI DI ESIGENZA

2.7 REQUISITI

2.8 SCHEDE RELATIVE AGLI A.S.O. 2.9 MODELLI DI AGGREGAZIONE

Capitolo 3 – ELABORATI PRELIMINARI DELLA PROGETTAZIONE – 3.1 Le scelte effettuate

RINGRAZIAMENTI BIBLIOGRAFIA

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CAPITOLO 1 – FASE INFORMATIVA

1.1

La Tipologia Scolastica

1.1.1 QUADRO STORICO DAL DOPOGUERRA AD OGGI

Il progetto degli edifici per l'infanzia e per la scuola dell'obbligo appartiene alla tradizione della ricerca architettonica d'eccellenza. In esso convergono ed entrano in gioco le questioni nevralgiche dell'architettura civile: il rapporto con il luogo, i caratteri distributivi, l'indagine tipologica, le relazioni fra spazi collettivi e unità minime di associazione, le modalità di aggregazione fra le parti, la questione della flessibilità, dell'ergonomia, la definizione di un sistema costruttivo, il controllo bio-climatico, la ricerca iconografica, il conseguimento di un'economia finale.

Nel dibattito architettonico italiano il tema riveste una posizione importante e si evolve a grandi linee in tre fasi, soprattutto dal secondo dopoguerra agli anni ottanta. La discussione verte su programmi d'intervento e modalità operative, sollevando questioni più ricche e complesse, comunque diverse, rispetto alle altre tipologie.

Il primo periodo muove dalla fine degli anni quaranta e si prolunga fino ai primi degli anni sessanta in stretta relazione con l'attività legislativa e le politiche di riforma. L'obiettivo è definire i nuovi caratteri dell'edificio scolastico nell'Italia repubblicana e antifascista riconfigurandone lo statuto progettuale. Al centro del dibattito vi sono la visione dello spazio scolastico come luogo privilegiato della vita associata, la scuola come centro di quartiere, il passaggio dal funzionalismo fisico al funzionalismo psicologico, il suo tradursi in spazio non autoritario nella successione dalla "scuola caserma" (schema a corridoio) all' "unità funzionale" (l'aggregato di aule distribuito senza corridoi né portici). La riproducibilità di un sistema costruttivo capace di ottimizzare gli investimenti e diffondere ovunque la qualità architettonica costituisce un altro importante filone di confronto. L'argomento più discusso è il concetto di "unità funzionale", il corpo di fabbrica minimo che ospita le aule con l'aggiunta di un ambiente per le esercitazioni e l'attività assembleare. Più

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una posizione centrale suggerendo la sostituzione della "scuola per ascoltare" con la "scuola per scoprire". Alimentati dall'entusiasmo per la costruzione della nuova democrazia e da un clima permeato di idealismo, questi assunti assumono a tratti un risvolto ambiguo. Dal "concorso per scuole all'aperto" -bandito nel 1949 dal Ministero della Pubblica Istruzione- alla Triennale di Milano del 1960, dedicata al mondo della scuola, la questione sembra ridursi a un problema della forma: il tipo a padiglione è meglio di quello a corridoio, in sintesi il quadrato è preferibile al rettangolo. È opinione comune che lo spazio lineiforme introduca una sequenza di gerarchie che nella nuova scuola devono essere evitate. Prevalgono i concetti di "scuola casa" e "scuola all'aperto" nel doppio significato d'apertura alla società e all'ambiente naturale. Il movimento dell'architettura organica domina culturalmente il dibattito ed ampio spazio è dato ai modelli stranieri, come la scuola di Darmstadt di Hans Scharoun (1951), che associa all'unità funzionale la nozione comportamentale dei distretti e indica con l'individualizzazione delle parti e il modellamento dei percorsi (la strada-scuola) le strategie progettuali per rafforzare pedagogicamente lo spazio comunitario. La fluidità fra interno ed esterno costituisce un altro requisito di questa genesi, poiché permette di rispondere ai movimenti e ai problemi percettivi che riguardano gli spazi transizionali di soglia: traiettorie dei passaggi, tipo e qualità delle vedute, uso dei materiali, dosaggio della luce, traguardi percettivi.

Figura 1 – Scuola di Darmstadt,1951

Gli architetti che in questa fase si distinguono per il contributo al dibattito attraverso le loro opere sono Ciro Cicconcelli, Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni.

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Figura 2 – Ludovico Quaroni

Cicconcelli s'impegna alacremente nel settore dell'edilizia scolastica, redige il progetto vincitore del concorso del 1949, diffonde nel 1952 i principi scharouniani della scuola di Darmstadt, cura Scuole materne, elementari e secondarie, inserito in "Architettura pratica" di Pasquale Carbonara, nel 1960 pubblica sul famoso numero 245 di Casabella -interamente dedicato alla scuola- i resoconti della ricerca fra il dopoguerra e il 1958, anno in cui è varato il fallimentare piano decennale.

Fra il 1955 e il 1963 Ridolfi e Frankl disegnano gli asili del quartiere Canton Vesco ad Ivrea e di Poggibonsi.

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Figura 3 – Asilo di Ivrea – Ridolfi

Figura 4 – Asilo di Ivrea

Queste opere riassumono le linee principali della ricerca ridolfiana (il recupero della tradizione artigiana, l'esaltazione dell'architettura povera) coniugandole con i temi al centro del dibattito, l'utilizzo del padiglione a pianta quadrata e il concetto di scuola all'aperto.

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Figura 5 – Asilo Poggibonsi

Figura 6 – Asilo Poggibonsi

Nella "Comunità" di Adriano Olivetti - appaltatore illuminato di un altro celebre asilo nido realizzato fra il 1939 e il 1941 da Figini e Pollini - la vita infantile si evolve leggera e gioiosa in un ambiente a forte domesticità, immerso nel verde, fra portici e pensiline, gazebi metallici e balaustre traforate per andare oltre con lo sguardo, osservare il cielo, vedere la strada. L'attenzione di Ridolfi al benessere psicologico prodotto dalla percezione verso l'esterno, si era già avuta con il disegno degli infissi nelle case a Torre in viale Etiopia a Roma (1954-58), che permettevano anche ai bambini di osservare il mondo "fuori la casa". A Poggibonsi il tema si amplifica oltremodo, con la grande finestra-parete che misura l'intera altezza dei padiglioni, mentre nell'ambiente del refettorio la messa in scena delle trame composte dai telai di legno che sorreggono il tetto, conferisce alla retorica del materiale povero una forte identità spaziale. Ridolfi e Frankl realizzano nel 1960 una scuola media a Terni in controtendenza rispetto all'evoluzione del dibattito. Il progetto esplora la dialettica fra consistenza materica dell'involucro e modellazione dei telai strutturali, ma alla fine

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di una scuola, ma la scala d'intervento e la pietra dei rivestimenti dialogano armonicamente con la chiesa prospiciente di San Francesco.

Figura 7 – Scuola Media Terni

Ma è la scuola elementare di Ludovico Quaroni del 1959, sempre ad Ivrea, che meglio di altre compendia i caratteri della ricerca teorica di quegli anni, tanto da essere assunta come modello per l'allestimento di un'aula e di una sala comune alla Triennale di Milano del 1960. Si tratta di un esempio che ancora oggi possiede una certa dose di attualità per l'integrazione socio-funzionale (nel complesso scolastico era prevista anche una parte a negozi), l'equilibrio fra gli elementi e la chiarezza figurativa, l'uso della luce zenitale come componente dello "spazio-scuola", il senso di leggerezza evocato dalla soluzione delle coperture quadrate traforate e dalla grande pergola che delimita l'area d'intervento. Il processo scompositivo di natura organica, - che caratterizza la maggior parte delle proposte di questa fase - nel progetto quaroniano si addolcisce, mescolandosi alle memorie razionaliste, in particolare - come ha messo in luce Manfredo Tafuri - fondendosi con "le modulazioni tipicamente neutriane" nella definizione di un continuum spaziale fra interno ed esterno.

Con la scuola media al quartiere Le Vallette di Torino (1963-64), Gabetti e Isola sperimentano le possibilità conformative di aggregazione fra unità funzionali. "Continuamente sfuggente alla rigidità della forma evocata, questa architettura si esprime attraverso un procedimento contrappuntistico di pronuncia e di negazione, di ordine e di necessità, non procrastinabile, di "rompere le righe", in cui il movimento non cessa di ordire alle spalle dello schema".

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La seconda fase si articola fra gli inizi degli anni sessanta e metà degli anni settanta. Con il varo della suola media unica nel 1962 è nominata una Commissione nazionale di studio sull'edilizia per la nuova scuola media, si analizza lo stato delle cose e si prospettano i nuovi investimenti, abbandonando il conteggio per aule e sostituendolo con il concetto di "posto alunno".

Nel 1967 con la legge 641 la costruzione degli edifici si affida alla stesura di piani quinquennali. "Ginepraio burocratico", com'è definita da Fausto Ermanno Leschiutta, la legge genera un decentramento paradossale delle responsabilità che determina problemi nel reperimento dei finanziamenti. La procedura dello "stralcio progettuale" dissemina il territorio nazionale di edifici incompleti o non terminati che presto diventano ruderi. Ma il problema principale è la mancanza di una normativa tecnica e di standard funzionali adeguati. Nel 1968, in concomitanza con il Primo censimento nazionale dell'edilizia scolastica si istituisce la scuola materna statale. Intanto anche le facoltà di architettura cominciano a impegnarsi con più intensità sul tema della scuola moderna e a Roma, Firenze, Milano e Torino esso diviene oggetto di studi e ricerche.

Nel 1970 sono approvate le Nuove Norme, con gli obiettivi di omogeneizzare la qualità su tutto il territorio nazionale e adeguare i cantieri ad un processo tecnologico più avanzato. Intanto, già dai primi anni sessanta, attraverso il coinvolgimento dell'industria delle costruzioni, si va approfondendo la ricerca sulla prefabbricazione come sistema indispensabile per razionalizzare il processo edilizio. La prefabbricazione è considerata uno strumento basilare per conseguire gli obiettivi della qualità diffusa e della flessibilità. La nozione di flessibilità è vista sia in termini evolutivi che di adattabilità. La scuola è pensata non più solo come una struttura spaziale ma anche come un luogo di variazioni a componente temporale. Lo studio di nuovi sistemi costruttivi libera e approfondisce i temi dell'aula modificabile, delle unità didattiche accorpabili, dell'intercambiabilità, concetti già indagati alla fine degli anni Quaranta sebbene in un regime costruttivo tradizionale. Gradatamente in questi anni si assiste a una de-specializzazione planimetrica dell'edificio rispetto alle proposte più individualizzate elaborate nel dopoguerra. Ciò coincide non solo con il passaggio dal cantiere tradizionale a procedure di costruzione più industrializzate, ma anche con la crescente standardizzazione di queste ultime dopo un periodo di grande

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panorama edilizio italiano si combina con la produzione di alcuni progetti di alta qualità nei quali il rischio dell'indifferenza planimetrica è costantemente annullato da una complessità spaziale e da uno standard elevato, non paragonabile con l'edilizia comune. Gli architetti più coinvolti in questa sperimentazione sono Luigi Pellegrin e Gino Valle. Il primo realizza più di quaranta scuole in varie zone d'Italia, alcune di esse notevoli per dimensioni e linee concettuali. Pellegrin asserisce che la compattezza produce economia e che lo spazio interno può inoltrarsi fluido fra pause ed eventi di vario genere. La sua opera oppone la "scuola della scoperta" alla "scuola cattedratica dell'ascoltare" e rileva la valenza paesistica dell'edificio scolastico alla piccola e alla grande scala. Valenza doppia, come se il manufatto da un lato debba dotarsi di una forte riconoscibilità, per qualificare gli interstizi del territorio urbano, dall'altro trattare lo spazio interno come sequenza percettiva programmata con l'introduzione di scatti altimetrici, sfondamenti, compressioni e dilatazioni prospettiche. Sebbene un eccesso di affabulazione compositiva e un uso non sempre chiaro nelle relazioni sintattiche, nell'unione fra le componenti e nella coesione dei campi materici siano i limiti più evidenti di un percorso che costituisce un caso a sé nel panorama del dibattito nazionale, l'opera di Pellegrin, a tratti, contiene soluzioni d'impianto e partiti iconografici di indubbia attualità, come nella scuola prefabbricata del 1974-75.

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Nella scuola media prefabbricata di Pistoia (1965) si assiste alla polemica reintroduzione del corridoio ma anche alla brillante idea di inserimento di una piscina coperta e vetrata nell'atrio.

Figura 9 – Scuola Media Prefabbricata

La scuola elementare prefabbricata di Cutro (1968), realizzata dalla ditta Bortolaso, è l'esito di un'indagine sulla flessibilità negli spazi collettivi attraverso l'utilizzo di arredi mobili.

Figura 10 – Scuola elementare di Cutro

Nella scuola materna prefabbricata di 3-6-9- aule, tecnologia e modularità sono gli ingredienti per ottenere un manufatto ampliabile (3-6-9 aule) e dividere distributivamente gli spazi sempre con gli arredi.

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Figura 11 – Scuola 3-6-9 aule

Nella scuola elementare prefabbricata per 15 aule a Segrate (1971), l'uso del colore e della luce sono particolarmente curati, per conferire un carattere di domesticità agli spazi polivalenti dedicati alla didattica, ricorrendo anche ad altezze limitate e materiali cosiddetti "caldi".

Figura 12 – Scuola elementare di Segrate

Nell'ambito dell'edilizia scolastica prefabbricata di qualità esemplare è l'opera di Gino Valle. In seguito all'approvazione della nuova normativa per l'edilizia scolastica (18-12-1975) si appronta un nuovo programma di scuole prefabbricate con la ditta Valdadige basato su struttura modulare a maglia rettangolare, distribuzione delle aule periferiche intorno ad un atrio centrale a doppia altezza, rivestimento esterno con pannelli in cemento armato prefabbricato orizzontali.

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Figura 13 – Scuola Prefabbricata Valdadige

La logica della costruzione per fasi, l'attenzione alla flessibilità evolutiva, scartano l'uso del contenitore unico. Il programma, al contrario, si basa su un intervento realizzato per parti, con diversi elementi disposti sul terreno. Valle definisce quattro tipi di contenitori per attività omogenee (corpo didattico, corpo palestra, corpo mensa e centrale termica) secondo una logica scalare che offre varietà nelle combinazioni planimetriche lasciando al contempo ampi margini di flessibilità. I corpi possono essere costruiti su terreni di varia natura e sono in grado di adeguarsi a diversi programmi. Malgrado la neutralità morfologica, gli spazi collettivi sono dotati di un forte carattere spaziale poiché nitidi e vitali. L'uso del colore -tecnica di individualizzazione spaziale tipica dell'edilizia scolastica- permette poi di ammorbidire la rigidità modulare e di esaltare alla scala paesistica le stereometrie degli elementi.

Nello scenario delle ricostruzioni post-terremoto in Friuli -in cui si inseriscono le scuole prefabbricate di Valle- va segnalata vicino Udine la scuola elementare a Faedis (1977-80) di Umberto Riva, con un impianto a basso gradiente di standard ma a forte strutturazione unitaria. In questo caso il richiamo al paesaggio industriale circostante è risolto con la simulazione morfologica dei sistemi di copertura dei corpi di fabbrica che ospitano le classi.

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Figura 14 – Scuola a Udine di Riva

Figura 14 – Scuola a Udine

Con il complesso scolastico di Ponte Lago Scuro (Ferrara), replicato a scala più estesa nella scuola nel PEEP "Emilia sud" (Parma, 1967-76), Leonardo Benevolo, Carlo Melograni e Tommaso Giura Longo, fondono armonicamente rigore tipologico e attenzione ai valori d'uso, mettendo a punto un interessante modello d'intervento in cui il tema dello spazio compenetrato è liberato da inutili derive personalistiche.

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Figura 15, 16, 17, 18 – Scuola a Ponte Lago Scuro

Lo studio si focalizza sul disegno e l'aggregazione delle unità didattiche, corpi edilizi a forma di "L" organizzati su corridoi e disimpegni di varia estensione. Nell'economia dell'impianto, questa soluzione morfologica, la varietà distributivo-altimetrica che la contraddistingue e il disegno unitario degli spazi aperti, favoriscono un rapporto più serrato fra interni ed esterni. Interessante appare anche la scelta di non chiudere il lotto con un recinto impenetrabile, soluzione che non separa fisicamente la vita della scuola da quella del quartiere e che, anzi,

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dell'intervento piccole aree di sosta ed elementi architettonici come parti di arredo urbano. Negli anni settanta si afferma la cosiddetta Tendenza. All'attività teorico-edilizia di Aldo Rossi e Giorgio Grassi va riconosciuta una forte capacità di lettura della realtà urbana e il merito di rivalutare il concetto di permanenza della forma. Il carattere del manufatto architettonico si affida al rigore tipologico che ne determina la sua forza evocativa. Ma la riduzione del progetto dell'edificio scolastico alle sole matrici tipologiche parzializza la ricerca, ne blocca gli esiti tecnologici, sospende l'indagine sul rinnovamento funzionale e sullo spazio compenetrato che cedono il passo alla gerarchia fra le parti e all'ordinarietà dei sistemi paratattici. Con un sovrappiù di semplificazione, che è la chiave del monumentalismo, l'opera architettonica punta alla degustazione metafisica. Malgrado ciò le tre scuole realizzate da Aldo Rossi in questo periodo diverranno vere e proprie icone dell'architettura italiana. Rossi critica le scuole che propongono forzosi modelli d'uso e che "condizionano con la loro autonomia formale e spaziale le esperienze del bambino non liberando la sua fantasia". Il restauro ampliamento della scuola elementare De Amicis a Broni (1969-70), la scuola elementare di Fagnano Olona (1972-76), la scuola elementare di Broni (1979-81) codificano un paesaggio architettonico di pochi segni, uno spazio dove ciascuno, non solo l'alunno, può allontanarsi dal frastuono del mondo.

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Nel caso di Fagnano Olona la scuola è come una piccola città costruita intorno a una piazza centrale dove le diverse destinazioni d'uso assumono precise forme evocative. A Broni il concept rossiano è ancora più rigoroso e riduttivo: democratizzare lo schema del palazzo con distribuzione interna a portico, trasformare la piazza in quattro corti, ridurre l'edificio scolastico vero e proprio a un'architettura essenziale, primigenia. La ricetta del successo appare semplice: precisione tipologica, ricercata semplicità, recupero della memoria popolare nella configurazione degli spazi aperti (la piazza e la corte come parti aggreganti non condizionanti). Nonostante l'ipoteca storicista e il freno all'indagine sul rinnovamento dello spazio interno, negli anni successivi pochi altri (e non più in Italia) sapranno reinventare tipologie e depurare il materiale edilizio come Aldo Rossi, autore di scuole italiane conosciute anche in Giappone.

A questo filone appartiene anche il progetto per la scuola elementare a San Nazzaro di Luigi Snozzi (1973-78), parte di un sistema civico comprendente il municipio (progettato insieme alla scuola), il cimitero e la chiesa. Il complesso si contraddistingue per la chiarezza insediativa dell'insieme e per l'equilibrata integrazione paesistica.

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La terza fase percorre gli anni ottanta in un clima di frammentario sperimentalismo per lo più centrato sulla memoria storica come elemento conduttore del progetto. Mentre proseguono le esperienze progettuali che vedono nell'edificio scolastico l'irrinunciabile aggregato per la costituzione di nuovi poli civici ( scuola media a Pieve Emanuele-Milano di Guido Canella, 1982), il manierismo storicista condiziona la forma delle parti e torna a dislocare i caratteri dell'edificio scolastico sulle facciate del contenitore. Metafora archeologica e mimesi stilistica delineano le istruttorie progettuali.

Figura 23 – Scuola a Pieve Emanuele

Così accade nell'asilo nido-scuola materna a Santa Severina (1980), dove Alessandro Anselmi scompone il programma funzionale in frammenti di forme evocative ad alto tasso simbolico, stravolgendo con originalità l'immagine canonica della scuola per infanzia, tanto da far dire allo stesso autore "ho l'impressione di aver creato un sito archeologico".

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Figura 24 – Asilo nido – Scuola materna a Santa Severina

Qualche anno dopo nella scuola media a Putignano (1985) di Mario Carmassi, la metafora archeologica si articola e diviene più complessa: il concetto di evoluzione della materia e il richiamo planimetrico alla stratificazione dei reperti sono gli strumenti di qualificazione e alterità spaziale ottenuti simulando purovisibilmente il rudere e ruotando le giaciture dei volumi.

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ai margini delle nostre metropoli che portano ancora nel vivo del loro paesaggio le sagome posticce acquistate al supermarket degli stili: timpani, colonne, capriate e capriatine, serliane e tralicci porticati dietro ai quali la serialità delle aule si cela separata nello standard mediocre, al cui interno il classicismo dell'architettura logica diviene sopraffazione illogica della vita dell'alunno. Ma "come strumento della progettazione -sostiene Tafuri- l'imitazione della storia è sterile, non può offrire che soluzioni e indicazioni scontate. La nuova soluzione implica invece un salto, un ridimensionamento radicale dei dati del problema, un'avventura rischiosa".

Esaurita la temperie storicista della Tendenza con la ricostruzione post-terremoto in Campania (Scuola media a Napoli, di Salvatore Bisogni, 1986), negli ultimi venti anni subentra progressivamente un disinteresse sul tema dell'edilizia scolastica.

Figura 26 – Scuola media a Napoli, S. Bisogni

Gli studi negli enti statali preposti (ministeri, centri studi, università) si riducono drasticamente e l'attività di progettazione e di sperimentazione tecnologica riveste un ruolo marginale nella pubblicistica. La ragione è semplice: crisi economica, minori investimenti sul welfare, contrazione delle nascite, scarse occasioni di nuova edificazione. Oggi si interviene sul già costruito o si punta ad economie di spesa dismettendo piccole unità e razionalizzando le risorse attraverso la concentrazione dei servizi in plessi scolastici esistenti o da ingrandire. Così lo stock degli edifici per l'istruzione primaria e per l'infanzia, già da molti anni è oggetto di ristrutturazioni, ampliamenti, adeguamenti funzionali e tecnologici, sia per conformarsi ai nuovi indirizzi legislativi, sia per la necessità di una consistente riqualificazione di un patrimonio edilizio usurato dal tempo e dall'incuria.

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Interventi spesso poco programmati, di tipo conservativo, in rari casi ampliamenti. La competizione concorsuale registra lo stato delle cose: molti bandi per la manutenzione e l'adeguamento di scuole esistenti, diverse occasioni di ampliamento, sporadiche richieste di progettazione di nuovi poli scolastici. Per quanto riguarda Il problema dell'adeguamento degli edifici scolastici alle nuove normative, un controllo superficiale degli interventi ha prodotto danni di una certa rilevanza: si pensi solo all'applicazione delle norme antincendio con la costruzione di parecchi, brutti corpi scala o ai provvedimenti per l'abbattimento delle barriere fisiche, con la messa in opera di indispensabili rampe d'accesso che in molti casi, però, deturpano con la loro greve fattura gli spazi antistanti le scuole.

Last but not least il problematico rapporto tra edificio scolastico, paesaggio e forma urbana: il decentramento dei complessi ai margini dei nuclei abitati, l'occupazione da parte del solo edificio di sedimi di dimensioni ridotte rispetto alle partizioni urbane, la decisione di arretrare i manufatti dall'allineamento dei nuovi isolati, sono le ragioni che, per legge o per convenienza fondiaria, hanno escluso la scuola dall'architettura della città e hanno separato con rigidezza le classi dai playgrounds all'aperto. Compito del legislatore e del progettista responsabile è recuperare la valenza urbana dell'edificio e del complesso scolastico, sia nelle relazioni fra le parti all'interno degli elementi edilizi, sia nelle relazioni scalari esterne fra gli elementi stessi e fra questi e il territorio, come alcuni degli interventi finora descritti hanno tentato di fare in vari modi.

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Analizziamo brevemente l’orientamento delle scuole della capitale, sede del ministero dell’istruzione.

Dalla Controriforma agli inizi del Novecento, a Roma, la realizzazione di scuole si è ispirata prevalentemente al tipo edilizio del palazzo. Le aule affacciavano su un cortile porticato di forma quadrata, talvolta era presente un secondo cortile e i due blocchi entravano in relazione con la chiesa dell'ordine religioso che gestiva l'istruzione. La scuola-palazzo, improntata su concetti di convenienza, solidità ed igiene, ha costituito il modello tipologico principale per i programmi edilizi nel primo periodo post-unitario. In seguito, con l'applicazione delle norme del 1888, comincia a diffondersi lo schema a corridoi.

Agli inizi del Novecento il programma per l'istruzione voluto dal sindaco Nathan e portato avanti dall'ingegnere Mario Moretti con la realizzazione di sedici interventi, aspira sempre a un decoro civile, capace di rappresentare adeguatamente l'istituzione pubblica, anche se modellistica e standard tipologico non lasciano molto spazio alla sperimentazione architettonica. L'edificio scolastico semplifica il proprio impianto, gli apparati decorativi si riducono, ma il manufatto continua a rivestire un ruolo importante nello scenario urbano. Le aule si affacciano solitamente verso la strada o il cortile interno con tre grandi finestre. Il ritmo ternario è il tracciato iterativo che regola l'iconografia della facciata. Negli anni a seguire anche le scuole di Vincenzo Fasolo, Ignazio Guidi, Innocenzo Sabbatini e Roberto Marino esaltano la valenza scenica del contenitore, continuando a ricalcare le forme storico-monumentali del passato e a mantenere una stretta relazione con il tessuto urbano, sebbene la scuola-palazzo cominci a disarticolarsi per sottolineare i rapporti con i differenti pesi del costruito esistente.

In un mix di valori mediterranei e stilemi razionalisti, durante gli anni trenta le valenze comunicative dell'edificio scolastico si adeguano alle richieste di propaganda imposte dal regime fascista. Il corpo scale è portato all'esterno e diviene un elemento architettonico significante. Due esempi al quartiere Appio Tuscolano, la testata su largo Volumnia della scuola elementare Cagliero (1935), la scomposizione volumetrica della scuola elementare M. Guglielmotti (ora A. Manzoni) realizzata nel 1932 da Ignazio Guidi (Ufficio Architettura del Governatorato di Roma) in via Vetulonia. Guidi progetta e realizza ad Ostia anche la scuola elementare G. ed E. Garrone (1934), un grande fabbricato di tipo

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"concentrazionario", con pianta mistilinea e schema a corridoio, e con ritmo a cinque aperture nei prospetti delle aule. Ancora Guidi, con la scuola elementare Giacomo Leopardi, è impegnato a misurare l'impianto a padiglioni con l'orografia e le qualità paesistiche del luogo, il rilievo panoramico di Monte Mario.

Le sanzioni economiche, la militarizzazione della vita scolastica, gli eventi bellici, la stasi edilizia nella seconda metà degli anni quaranta, riducono la costruzione di edifici o ne limitano la qualità architettonica per ragioni di economia. I pochi realizzati nel secondo dopoguerra si presentano bloccati, anonimi contenitori con schemi rigidi al cui interno l'aula è semplicemente una stanza e la cattedra si innalza ancora sopra una pedana.

Completata l'urbanizzazione dei quartieri semicentrali, la città si espande nelle aree periferiche non ancora costruite, ma bisogna aspettare gli anni sessanta per trovare i primi edifici che si rifanno alle esigenze della nuova psico-igiene e della moderna pedagogia. Fra gli architetti più impegnati su questa linea si distinguono Alberto Gatti e Diambra de Sanctis, che avevano già tracciato sulle pagine di Casabella-Continuità la loro idea di scuola ponendosi anche il problema del rapporto con il disegno delle nuove unità abitative. Una scuola "formativa ed attiva", "centro del progresso civile" e del "contatto umano e intellettuale non solo degli alunni ma anche degli adulti", luogo del "rapporto fra l'uomo associato e lo spazio", "cellula di un'ampia rete che la dimensiona", caratterizzata dalla "fluidità ed elasticità dell'impianto", dalla "fusione fra gli ambienti e gli spazi esterni". Gatti asseriva che "il carattere architettonico dell'edificio scolastico del passato ispirato a forme monumentali e pseudo-tradizionali con una distribuzione monotona basata sul criterio della serie di elementi indifferenziati, composti in astratte simmetrie deve essere sostituito da un'architettura di forme libere".

Questi assunti si concretano dapprima con la scuola media statale G. Moscati (1966) alla Garbatella e le scuole elementare e media (1967) a Spinaceto, poi, con tre edifici realizzati al Laurentino, la scuola materna e elementare E. Ferrari (1978-81), la scuola materna e elementare Europa (1978-83) e la scuola media C. A. Dalla Chiesa (1978-83). Altro progettista molto impegnato nell'edilizia scolastica è Franco Finzi. La sua attività si inscrive nel realismo operativo che contraddistingue gli uffici tecnici comunali, dove egli lavora per molti anni alla progettazione e alla realizzazione di un numero consistente di scuole. Un mondo più legato alla tradizione costruttiva locale come garanzia di un risultato

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edifici scolastici da realizzare nei nuovi quartieri, sono affrontate con sensatezza, secondo una visione modellistica ma pragmatica, in grado di aderire al genius loci di un vasto territorio comunale in cui la morfologia diversificata si delinea nell'alternanza di pianori e rilevati più o meno ripidi. Si individuano due impianti possibili: la tipologia a gradoni, che si conforma ai terreni in pendenza dando luogo a una quinta architettonica coesa ed espressiva, e una tipologia più introversa, "compatta su base quadrata lungo le diagonali"8, a suo tempo già adoperata dal Guidi con la scuola in via Vetulonia. La prima contrassegna già dal 1966 la scuola media statale De Coubertin a Ponte Milvio ma si offre ad una percezione urbana più confacente con la scuola elementare del 5° Circolo didattico (1972-78) presso via Baldo degli Ubaldi, progettata con Giulio Ruggeri.

Figura 27 – Scuola a Baldo di Finzi - Ruggeri

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Il secondo modello è applicato paradigmaticamente nella scuola media statale G. B. Vico e nella scuola materna ed elementare statale Chiodini (1972) in via G. Zanardini10 presso i Prati Fiscali. Come l'architettura di Innocenzo Sabbatini riuscì a conferire un carattere unitario ai grandi interventi dell'Istituto Case Popolari negli anni venti e trenta, così le scuole di Finzi, pur evolvendosi nella macerazione dei linguaggi, si distinguono per l'unità della concezione, più o meno discutibile, che sottolinea la permanenza dei caratteri insediativi e delle tecniche costruttive adottate. Dei molti edifici realizzati da Finzi occorre segnalare ancora la scuola elementare statale Parco di Veio (1965) sulla Cassia, la scuola materna Don G. Morosini (con G. Ruggeri, 1970) a Borghesiana-Finocchio, la scuola materna e media statale G. Parini (con G. Ruggeri, 1975) in via delle Azzorre ad Ostia, la scuola media G. Borghi a Prima Porta (1975), la scuola elementare statale Monte Arsiccio (con G. Ruggeri, 1975) ad Ottavia, la scuola materna A. Nuzzo, la scuola elementare statale E. Montale a Settecamini (con G. Ruggeri, 1975) ed ultima la scuola media Pablo Neruda, (con G. Ruggeri, 1990) in via Casal del Marmo, ancora ad Ottavia.

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Figura 31 – Scuola elementare Arsiccio

Nel 1970 è bandito un Concorso per una scuola elementare e una scuola media (25+24 aule) nell'area di via Damiano Chiesa. Fra le proposte emergono gli impianti che si pongono il problema del rapporto con la città attraverso l'analisi della morfologia urbana e la semplificazione linguistica con il recupero del codice razionalista (Purini, Calzolaretti, Rebecchini), o più tendenti a un deciso grado zero (Tonelli). Gli esiti del concorso registrano la crisi dello spazio compenetrato come modello di organizzazione interna e il rilancio del corridoio e della strada assiale come schemi distributivi sui quali è ancora possibile una riflessione progettuale.

Luigi Pellegrin e Mario Ridolfi realizzano edifici per l'infanzia e l'istruzione anche a Roma. Il primo, con la scuola statale elementare e materna Besso (1974) ad Ottavia, rinuncia definitivamente a sperimentare soluzioni innovative nelle unità didattiche incrementando, al contrario, il grado di fluidità spaziale delle destinazioni d'uso nelle zone comuni (biblioteca, palestra, atrio, connettivi di distribuzione etc.) sino a metterne in crisi i requisiti funzionali. Il secondo disegna una scuola materna per il quartiere di Spinaceto, un progetto turbato dalle successive modificazioni della forma del lotto. Come a Canton Vesco, piuttosto che interrogarsi sul significato che devono assumere la scala e l'immagine dei servizi sociali nell'ambito della nuova città d'espansione, Ridolfi ripiega su un'architettura autonoma, tradizionalista, ispirata all'edilizia rurale della campagna circostante. Nel campo dell'edilizia prefabbricata, è doveroso ricordare le architetture per l'infanzia di Sergio Lenci, con il ciclo dei piccoli asili e la scuola per bambini ciechi. In questi padiglioni,

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più che le soluzioni funzionali e linguistiche è interessante lo studio sulla qualità materica dei pannelli di rivestimento, indagine in linea con le ricerche più avanzate di allora condotte a Roma da progettisti come Alfredo Lambertucci, Mario Fiorentino, Luisa Anversa e Carlo Chiarini.

Fra le realizzazioni più significative dell'ultimo ventennio occorre segnalare le scuole per l'Infernetto e l'Axa e i complessi per Tor Bella Monaca. Le prime sono progettate dallo Studio Transit Design, autore delle nuove stazioni del prolungamento della linea B. La scuola elementare statale all'Infernetto (1979) e la scuola media statale Platone (1979) in via Stesicoro si presentano come due blocchi compatti che hanno in comune la scala d'intervento, l'organizzazione a triplo corpo di fabbrica con schema distributivo a corridoio centrale e l'ordine gigante delle facciate risolto con un impianto tripartito a grandi portali. L'uso del colore -come nelle infrastrutture per il trasporto citate- tenta di risolvere il rapporto gerarchico fra i volumi, l'introduzione di piccoli patii nell'edificio dell'Infernetto (che appare il più convincente), disimpegna il problema dello spessore consistente dell'edificio. Queste scuole appaiono ben dimensionate per dialogare alla grande scala con il territorio dell'entroterra costiero, ma presentano dei limiti nell'innovazione tipologica e nello studio delle sub-componenti edilizie, come per le estese tamponature sul fronte delle aule, grossolane e distanti per fattura dalle contemporanee applicazioni in Europa. Fra il 1984 e il 1993 si realizzano tre edifici scolastici nel quartiere di Tor Bella Monaca (B. Campanini, D. Ciaffi, F. De Micheli, F. W. Facilla, R. Giuffrè). L'impianto della scuola media Sandro Pertini (succursale, comparto 7) è impostato su una spina distributiva a "L" sulla quale s'innestano diverse aggregazioni volumetriche per conseguire un effetto plastico alla scala dell'insieme. Architettura tradizionale risolta come "gioco di masse", allo stesso modo della scuola media nel comparto 4 in via dell'Archeologia; soluzioni rese più unitarie con il tono monocromatico che si ispira ai colori dell'architettura rurale dell'agro romano e mediante l'innesto di volumi vetrati ruotati sul coronamento del piano delle facciate o poste sulle soglie a contatto con il terreno, come per le serre nell'asilo nido e scuola materna nel comparto.

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qualità realizzativa rispetto all'edilizia pubblica. Piccole città nella città, le case generalizie dei vari ordini religiosi, le enclave culturali delle principali comunità estere hanno ospitato dal dopoguerra in poi edifici per l'istruzione di ogni ordine e grado. Fra essi negli anni cinquanta: la scuola S. Giovanni Battista (1954) in via del Casale di S. Pio V al quartiere Aurelio (V.F.e L. Passarelli, T. Rebecchini, F. Falchetti) e la scuola e pensionato Maria Adelaide in via delle Sette Chiese (1956-57) di M.Vitale.

Alternativa di lusso e minaccia di punizione, anche il collegio rientra in questa categoria, alla maniera della scuola media istituita nel collegio Serafico Internazionale di Terra Santa (1960) in via di Boccea, dello studio Paniconi e Pediconi13 o del collegio Marymount presso la casa generalizia della Congregazione sulla Cassia (1966), intervento ancora attuale e di pregevole qualità ideato da V.F. e L. Passarelli, F. Ferlito e B. Remoti14. Sempre sulla Cassia bisogna richiamare alla memoria la scuola angloamericana Overseas (1961) progettata da Pietro Maria Lugli, una scuola all'aperto che si riallaccia con raffinatezza alle soluzioni distributive porticate presenti nelle scuole-palazzo del centro storico. Il complesso, pur avendo subito modifiche e aggiunte, è uno degli interventi più interessanti specialmente nelle relazioni fra unità didattiche, sistemi distributivi e spazi aperti.

Per finire due parole sul ruolo dell'edificio scolastico nella panorama della qualità architettonica complessiva nella capitale. L'Indagine sugli elementi qualitativi significativi della Roma contemporanea, finalizzata alla stesura del nuovo Piano regolatore di Roma, ha selezionato attraverso "giudizi di valore", di una qualità specifica dei singoli manufatti e della loro aggregazione in rapporto con gli spazi aperti e le attrezzature (forma urbana), circa 65 edifici scolastici da inserire nella Carta della Qualità. Gli esempi menzionati in questo paragrafo fanno parte di questa selezione.

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1.1.3 LA TIPOLOGIA EUROPEA

A conclusione di questa breve rassegna, può essere utile accennare ad alcuni edifici realizzati in Europa negli ultimi trenta anni. Senza entrare nel merito delle politiche scolastiche o dei diversi standard, se valutiamo comparativamente la sola qualità del costruito, nel complesso emerge uno scarto considerevole con il panorama italiano. All'estero si è investito e sperimentato di più, la ricerca tipologica e le indagini tecnologiche sono state più avanzate, i legami fra architetture e paesaggi urbani concettualmente più intensi, maggiore la vitalità delle forme architettoniche, più evoluta la nozione di vita associata proposta. In Italia il rapporto fisico-concettuale fra scuola e città e la ricerca tecnologica sono stati condizionati negli ultimi anni dalla graduale perdita dei saperi relativi all'analisi della forma urbana, e, già da prima, da un'industria nazionale delle costruzioni che in passato ha investito molto in "prefabbricazione pesante", poco o nulla in quella leggera. Il componente prefabbricato pesante, oltre a porre molti vincoli, si è dimostrato poco apprezzato dalle utenze, mentre il perfezionamento dei sistemi di "montaggio a secco"con semilavorati e subcomponenti leggeri, negli ultimi dieci anni ha introdotto possibilità progettuali che erano negate all'architettura industrializzata tradizionale.

L'inserimento urbano e le scelte costruttive: questi fattori, fra altri anche più determinanti, hanno influenzato negativamente la realizzazione di scuole in Italia, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: edifici separati dal contesto per l'incapacità di interfacciarsi con esso, siano gli spazi aperti della stessa area d'intervento che i tessuti delle città consolidate o della dispersione; architetture connotate da una certa "pesantezza" costruttiva, pensate per durare e dunque prodotte con tecniche tradizionali, ma che in realtà versano già in stati critici di conservazione, perché concepite o costruite male, o perché semplicemente non amate dagli utenti per la mancanza di una congrua identità, e dunque oggetto di trascuratezza, persino di atti vandalici.

Cominciamo la rassegna oltralpe. Singolare il caso di Vienna, metropoli in grande crescita; per infrastrutturare il nuovo urbanizzato occorrono nuove scuole e il fabbisogno è stimato in circa cento unità. L'assessore allo sviluppo urbano Hannes Swoboda, avvia un programma che unisce abilmente politica e cultura, "con il risultato che gli edifici scolastici della Vienna

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Richter, un manufatto industriale, ascrivibile alla tradizione della scuola-macchina europea.

Figura 32 - scuola in Waidhausenstrasse di Helmut Richter

Figura 33 - scuola in Waidhausenstrasse di Helmut Richter

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Nel progetto ci sono precisi riferimenti culturali. Anzitutto la Petersschule di Hans Meyer, non solo per lo sbalzo di 25 metri del traliccio nella zona della sala comune, -soluzione che per audacia è paragonabile alla pensilina realizzata da Meyer a Basilea nel 1926- ma anche per la razionalizzazione del processo costruttivo e la coerenza logica fra le parti. Quindi la suggestione della glasarchitektur, del "cristallo scintillante", trasparente, leggero, strumento di apertura e leggerezza, infine l'impianto tipologico che meglio si adatta all'edilizia scolastica, il pettine, schema distributivo che caratterizza anche l' edificio scolastico a Vienna di ARTEC, altro esempio di come semilavorati e subcomponenti leggere (in questo caso lamiere di zinco) introducono possibilità progettuali in facciata che erano negate all'architettura industrializzata tradizionale e di come colore e luce possano riscattare l'economia di fondo dell'intervento raccontando meglio lo spazio interno.

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un complesso che si muove su un terreno di soluzioni plastiche e figurative più conformi alla tradizione, esaltate da una speciale attenzione al tema del percorso e della percezione.

Figura 37 – Scuola di Piechl a Vienna

In Svizzera c'è da sempre una tradizione colta dell'architettura scolastica. Negli anni settanta la scuola elementare a Saleggi (Locarno, 1969-79) di Livio Vacchini e la Scuola media a Morbio Inferiore (Canton Ticino, 1972-77) di Mario Botta sono entrate a pieno titolo nella manualistica specializzata fra gli esempi più riusciti. La prima per la dialettica fra semplicità, linearità e complessità che investe i tre corpi strutturati su un impianto a griglia, connessi da percorsi ben calibrati rispetto alle vedute; la seconda per la qualità paesistica degli spazi aperti legata agli "stimoli conoscitivi" che il nuovo intervento suggerisce e per la ricerca tipologica sull'unità funzionale a quattro aule.

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Il più recente Complesso scolastico Pré-Picot a Ginevra (F. Ambrosetti, L. Chenu, P. Jéquier, 1987-96)19 lavora nel solco della scuola di Botta rincorrendo negli spazi interni l'"Idea della massima trasparenza e luminosità" ma disarticolando le parti con l'obiettivo di una "mobilità pedagogica" da attribuire allo spazio interno, dove le differenze di scala stimolano la percezione infantile dei rapporti di misura variabili fra i corpi e gli ambienti. La qualità costruttiva ed ergonomica del complesso può essere riletta nel disegno degli infissi, le finestre a ghigliottina ad apertura totale senza ingombro dello spazio nelle aule. La ricerca sul "valore d'uso" delle finestre e del colore nelle aule è affrontata, con grande senso di responsabilità anche da Diener & Diener nella scuola Vogesenschulhaus (Basilea,1992-96)21 . Ampie vetrate che affacciano verso gli edifici evitano l'effetto "vetrina" sulla città grazie alla ripartizione tritonale all'interno dell'aula, soluzione che attenua questo effetto. Basilea, centro nevralgico della modernità elvetica, offre altri tre interessanti esempi prodotti negli ultimi dieci anni: la scuola Kaltbrunnen di Wymann & Selva (1995-96), l' ampliamento dell'edificio scolastico Dreirosen (1990-96) di Morger & Degelo, l'edificio scolastico Ackermätteli di Ackermann & Friedli (1995-96) nel popolare quartiere di Klybec. La recente costruzione di edifici scolastici in Germania è in parte coinvolta nel processo di riparazione ed espansione urbana della nuova capitale. La scuola a Berlino Kreuzberg (Gino Valle con Mario Broggi & Michael Burckhardt, 1986-93), realizzata nell'ambito dell'IBA in seguito a un concorso del 1983, affronta il tema della ricostituzione dell'isolato urbano reintegrando l'estensione lineare del prospetto sulla Friedrichstrasse e risolvendo con un impianto a pettine il rapporto fra gli spazi aperti del complesso e la rete dei percorsi e dei collegamenti urbani. Nello stesso periodo Andreas Brandt e Rudolf Bottcher realizzano una scuola elementare nel quartiere Neukölln in seguito a un concorso bandito nel 1988 per 18 aule e numerosi servizi. Il progetto è risolto con una tipologia bassa e introversa, distribuita a scacchiera, e riprende la ricerca sulla fluidità spaziale fra interno ed esterno avviata da Jacobsen con la scuola elementare e media a Gentofte (Danimarca) a metà degli anni cinquanta, associando ad ogni classe un corrispondente spazio a cielo aperto. Più di recente il gruppo LRO Architekten nella scuola e palestra ad Ostfildern (2002), riconsegna all'area d'intervento e agli interni del nuovo edificio, la loro identità intesa come appartenenza alla struttura e ai segni del territorio urbanizzato. Ispirazioni formali e

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come la costruzione di un campo da gioco sul tetto della palestra. Gunther Behnisch progetta e realizza molte scuole. Negli anni sessanta con il Centro scolastico a Haigerloch (1965) e la Scuola a Oppelsbohm (1969) esplora rispettivamente le potenzialità associative degli spazi aperti e le tipologie aggregative a pianta centrale di unità didattiche che escono dagli schemi dello spazio scatolare. La tendenza a disarticolare i volumi si accentuerà fino alla decostruzione più radicale, come nell'asilo di infanzia a Luginsland (1990) o nella scuola "Geschwister scholl" (Francoforte, 1994).

In Olanda il lavoro di Herman Hertzberger costituisce un importante punto di riferimento per l'impegno e il rigore spesi nella ricerca di nuove tipologie e nell'indagine sui materiali leggeri, senza perdere di vista l'obiettivo centrale del tema, la dimensione pedagogica e sociale che investe lo spazio architettonico, la sua ricaduta nella formazione del bambino, il fatto che la scuola prima di un edificio è una piccola città. Tre esempi: De Eilanden primary school in Amsterdam (1984)25 , dove la nuova costruzione si fa largo nel centro urbano mediando le diverse tensioni al contorno, selezionando nel suo conformarsi le vedute più suggestive, coinvogliando nella sala assembleare a doppia altezza il senso di appartenenza di una piccola comunità al suo mondo, un pianeta fatto di luci e colori, di percorsi articolati e calibrati con lo studio dei movimenti. Nella scuola ad Almere (1992) colpiscono la misura della scala d'intervento e l'equilibrio fra le parti, lo sforzo di reificare una soluzione tipologico-distributiva ordinaria attraverso l'unità del sistema di copertura e la dislocazione "a coppie"dei vari servizi nelle zone vestibolari delle aule. La copertura come tema architettonico unificante -grande segno che tiene insieme le parti - è affrontato anche nella scuola media internazionale del Montessori College a Oost (1992-00)26, in cui l'insolita presenza del balcone sulle facciate denuncia la tipologia mista (scuola-collegio), collabora al controllo climatico delle facciate e attenua la grande scala dimensionale dell'intervento conferendo un maggiore senso di domesticità a un edificio alto ben cinque livelli fuori terra. Particolare attenzione alla qualità delle scuole materne si rileva in Francia. Il Centro per la prima infanzia a Torcy (Marne-la Vallée,1986-90) di Henri E. Ciriani può essere letto come un'esperienza tradizionale in continuità con i principi del Movimento Moderno che vedono nella pianta libera lo strumento più idoneo per conquistare lo spazio compenetrato e la fluidità fra interni ed esterni. Modello d'intervento irriproducibile e al contempo discutibile per la sua estensione in altezza, il centro è dotato di interessanti spazi "aperti ma al coperto"

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che derivano dalla sottrazione di massa edilizia facendo del vuoto un irrinunciabile materiale del progetto. Il vuoto unisce i vari ambienti delineando diversi ambiti, moltiplica le vedute, prolunga gli usi all'esterno, impedisce la visione per preservare la bellezza interna. L'uso attento del colore, per il quale Ciriani si è sempre distinto, completa il ciclo di appropriazione del luogo-scuola.

Pensare l'architettura scolastica in termini di spazio interno prima che di monumentale immagine di facciata è una preoccupazione di Pierre-Louis Falci. Dentro la scuola materna nella Zac di Bercy a Parigi (1989)27, lo spazio assume una duplice configurazione modulandosi alla scala del bambino e dell'adulto. Il corridoio diventa una strada luminosa per tutti, le classi sono concepite come piccole unità domestiche dove le scale snodano i percorsi fra i vari luoghi di pertinenza del bambino.

Un altro centro per l'infanzia che ha avuto lauti consensi di critica è la Scuola materna a Penafiel (Portogallo, 1984-92) di Alvaro Siza28. Il progetto si riallaccia alle figurazioni ridolfiane dell''asilo di Canton Vesco, per la riproposizione, con tre diversi lucernai, di volumi archetipi a falda che segnano lo skyline dell'edificio. Ma l'aspetto più interessante del progetto di Siza è il rapporto che si viene ad instaurare fra il nuovo sito e la città con il modellamento del podio su cui poggia l'edificio, una collina trasformata in substructio e modellata per ospitare scale e rampe di connessione con il tessuto urbano adiacente. Lo spazio interno, pur semplice nella sua figurazione, svela una complessità profondamente meditata: "Ho osservato i movimenti dei bambini durante le ore di classe e durante le pause. E questo ha cambiato molte cose rispetto al semplice rettangolo del progetto originario. Una delle mie principali preoccupazioni è stata quella di ottenere un grande spazio, dove tutti potessero sostare o giocare e dove fosse possibile anche tenere un'assemblea o proiettare un film la sera. Uno spazio che potesse nello stesso tempo aiutare a fornire appoggi per una libera organizzazione in piccoli gruppi. I bambini, o una parte di loro, amano infatti formare piccoli gruppi, sedersi per terra per giocare, ecc (…) È naturalmente pericoloso cercare di accidentare tutto per rispondere a tutti i movimenti o tutte le attitudini. È il pericolo di disegnare troppo".

La cultura architettonica spagnola assimila negli anni ottanta le ricerche tipologiche consumate in Italia nel decennio passato con lo studio dei rapporti tra forma urbana ed

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precedente, sebbene in continuità con le esperienze moderniste più evolute, ma è con l'indagine del giovane Campo Baeza che i rapporti fra tipo, norma e storia sembrano evolversi. Nelle tre scuole a Madrid, pubblicate da Casabella nel 198730 , Baeza concettualizza le invarianti distributive dell'impianto lineare che nella scuola Repubblica del Brasile (Madrid, 1985) si affidano al segno del muro rettilineo come spina distributiva e in quella di San Sebastian de Los Reyes (Madrid, 1984) puntano all'unità morfologica. Con l' asilo nido di Aspe, (Alicante, 1978-84) il tema del recinto è una risposta elementare e possibile all'alternativa tra storicismo e sperimentalismo modernista. Un altro filone di ricerca spagnolo lavora sul vuoto alla dimensione dell'unità didattica nella riproposizione del patio come spazio regolatore dell'intervento. La composizione "per fasce" del sedime di progetto nella scuola a Barcellona (1984-86) di Franc Fernández e Moisés Gallego valorizza l'inserimento dello spazio cavo, come nella scuola a Vilassar de mar (Barcellona, 1983-85)31 di Jordi Bosch e Joan Taurrùs sebbene nella retorica di una conclamata dimensione storicista.

A Santiago de Compostela Giorgio Grassi realizza fra il 1992 e il 1994 la scuola "Carme de Abaixo" in cui l'edificio scolastico si arrocca come un castello su un percorso lineare. Benché destinate all'insegnamento superiore, può essere utile infine rammentare alcune opere che negli ultimi anni hanno ottenuto riconoscimenti nella pubblicistica specializzata, edifici con soluzioni iconografiche e suggestioni materiche più vicini all'estetiche riduzioniste ad "alta emotività" del panorama contemporaneo. Fra essi la scuola professionale a Lloret de Mar di Ferrater & Giubernau32 (Francia, 1993-96), la Scuola secondaria a Zusmarshausen (Lamott Archi tecten, Augsburg, 2002)33 e la scuola superiore di design e moda a Utrecht (Olanda, Erick van Egeraat, 1994-97).

Scuole ecologiche e quartieri sostenibili in Germania – Novembre 2003

Il Comune di Mozzate (Co), guidato dall’ l’intenzione di realizzare una nuova scuola elementare e incoraggiato dall’esito del concorso per la riqualificazione “sostenibile” di un’area presente nel suo territorio, ci ha commissionato un viaggio nel quale poter visitare scuole e quartieri esemplari dal punto di vista bioecologico per capire in che misura fosse possibile realizzare un esempio simile in Italia. Al viaggio hanno partecipato il viecesindaco e gli assessori deputati, un ingegnere dell’ufficio tecnico, un insegnante ed un

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rappresentante dei genitori, oltre ai progettisti vincitori del concorso sopra citato; data la natura dei partecipanti, il viaggio è stato anche una occasione di incontro informale tra gli attori della politica locale, che ha compreso interessanti momenti di discussione. Le scuole sono state le opere al centro del programma, ed hanno riguardato esempi pubblici e privati di diverso ordine e grado, la cui visita è stata realizzata in maniera approfondita grazie all’estrema disponibilità di docenti e dirigenti scolastici, oltre che degli stessi studenti. Siamo stati a Stoccarda e a Francoforte, dove abbiamo visitato edifici progettati dall’architetto Eble (che ha all’attivo numerose scuole e che è un pioniere dell’architettura ecologica tedesca e di cui abbiamo visitato anche un edificio per uffici), e dallo studio di Peter Hubner, uno dei progettisti più coinvolti nei processi partecipati con studenti di ogni età, che ha inviato un suo architetto per accompagnarci nella nostra vista; l’architetto Böwer ci ha invece seguito nella sua scuola di Ihiringen e in un altro paio di scuole a Friburgo, mentre una volta in Italia l’architetto Bracchi ci ha illustrato la “sua” scuola elementare di Maslianico (Como). La visita a nuovi quartieri urbani sostenibili si è svolta a Stoccarda e ancora a Friburgo (dove abbiamo avuto l’occasione di confortarci con un paio di rappresentanti istituzionbali del Comune), e durante la sera abbiamo avuto la possibilità di ammirare l’incantevole centro storico di Tubinga, oltre che quello di Stoccarda e di Friburgo.

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1.2.1 L’EVOLUZIONE STORICA DELLA CITTA’

Collesalvetti e le sue frazioni hanno una lontana origine etrusco-romana, anche se recenti scavi hanno trovato tracce di presenza umana in epoca preistorica.

La storia medievale di Collesalvetti è collegata al progressivo impaludamento del sinus pisanus, uno stagno che si estendeva nella zona conosciuta nel Medioevo come Piano di Porto e Colline, caratterizzato allora dalla presenza di numerosi comunelli e pievanie, ubicate sotto la Pieve di San Lorenzo in Piazza (oggi distrutta). Al Pian di Porto sorgeva il porto pisano.

Il progressivo impaludamento e insabbiamento portarono all’abbandono del porto pisano e alla conseguente realizzazione del porto di Livorno.

In seguito ad un piano di generale bonifica, ad opera dei Medici, finalizzato a favorire il popolamento delle campagne, cominciò lo sviluppo di questo territorio. L’uso delle terre a fini agricoli e il popolamento della pianura fu possibile solo dopo accurate operazioni di controllo dei corsi d’acqua, con una politica di bonifiche per “colmata” proseguita dai Lorena, continuata nei primi anni del secolo e oggi resa di nuovo attuale dalle recenti alluvioni a cui il territorio è stato soggetto.

La storia più remota di Collesalvetti (o più semplicemente Colle, come era chiamata nel Medioevo) è legata alla vicinanza con Pisa: il Colle, di proprietà di una famiglia della nobiltà pisana, possedeva una torre fortificata, distrutta nel corso di varie guerre. Uscita Pisa sconfitta dalla lunga guerra con Firenze, Colle fu villa medicea (la più modesta, usata come residenza di caccia). Trasformata in casa di fattoria, fu il centro propulsore della Fattoria Granducale - medicea prima, lorenese poichè nel momento della massima espansione comprendeva oltre venti poderi. Il paese, è poi cresciuto attorno alla fattoria fino a divenire comunità autonoma, in epoca relativamente tarda, cioè nel 1808, sotto il dominio francese. A questa nuova comunità, voluta dai francesi, fu assegnato un territorio piuttosto ampio, sottratto alle comunità di Pisa, Livorno, Rosignano, e che comprendeva, oltre a Collesalvetti, le località di Castell’Anselmo, Colognole, Nugola, Guasticce, Vicarello, Parrana (San Giusto e San Martino) e Gabbro.

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Nel 1808 la popolazione era di 3598 abitanti.

Oggi nel territorio del Comune è compresa Stagno, di più recente costituzione, mentre non comprende più la frazione del Gabbro.

1.2.2 L’ECONOMIA

L’agricoltura determinò la fortuna del Comune fino a tutto il secolo scorso. Ma nel secondo ‘900 con la crisi dell’agricoltura si andò affermando una nuova vocazione industriale e terziaria del territorio, con un generale sviluppo dell’attività aeroportuale, portuale e industriale.

1.2.3 IL NOME

Il nome originario di Collesalvetti sembra che fosse Colle, risalente all’epoca romana. L’aggiunta di Salvetti si fa risalire al XII secolo, dal nome del proprietario dei terreni. Il paese di Collesalvetti in origine consisteva in un casale collocato in cima a un colle. Nel 1200 fu trasformato in feudo, fortificato e sottomesso alla dinastia di Pisa, fino a quando non passò sotto il dominio fiorentino. I Medici cominciarono le bonifiche della zona e la sua valorizzazione.

Attualmente Collesalvetti conta 3500 abitanti.

Gli altri insediamenti più consistenti sono Vicarello, divisa e collegata a Collesalvetti da insediamenti di tipo artigianale e commerciale e Stagno, la frazione più popolata con oltre 5000 abitanti e sede della raffineria Agip Petroli, alla periferia di Livorno. Stagno si porta nel nome la sua storia, iniziata come paludosa porta d’accesso al Porto Pisano. Qui si poteva esercitare una proficua attività di caccia e pesca. Si parla di sette ponti, uno dei quali è legato particolarmente all’importante Ospedale di San Leonardo di Stagno. Il suo completamento fu sollecitato con lettere di almeno sei Papi, rivolte ai fedeli di tutta Italia. Di sicuro sappiamo che nel 1250 era aperto ai viandanti, ma neppure cento anni dopo, nel 1333 fu di nuovo disastrato da una rovinosa alluvione.

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un ponte sulla zona del Fosso Reale, verso il 1830, di grosse pietre quadrate del tutto analoghe a quelle rinvenute sulla via Emilia all’altezza delle Paludi Pontine, pietre certamente usate in epoca romana per costruzioni murarie. Sono state trovate inoltre urne cinerarie e strati selciati di una strada molto antica.

Di certo si sa che Vicarello non fu mai un castello.

Nel 1285 fu invece sede comunale, separato dal comune di Collesalvetti.

Nel 1409 i due abitati risultano uniti dal punto di vista giuridico e amministrativo. Nugola e Guasticce sono le atre due frazioni con un nucleo consistente di popolazione, mentre il resto degli abitanti sono divisi in piccoli insediamenti collinari.

Di Nugola (già Nuvola o Nubilia) si hanno notizie a partire dal XI secolo. In particolare vi è un atto di vendita di terreni stipulato nel 1058. Nel 1553 nacque ufficialmente la fattoria di Nugola, istituita dal duca Cosimo di Firenze e la consorte Eleonora di Toledo. A corredo della fattoria venne costruita una cappella dedicata ai santi Cosma e Damiano. A quel tempo Nugola contava appena 69 abitanti, che nel 1745 avevano però già superato le 500 unità, grazie al buon andamento economico della fattoria. Nel 1820 la chiesa venne ampliata fino ad assumere la configurazione attuale.

Guasticce, il cui nome rimanda all’origine palustre del territorio, risanato dai Medici, entrò a far parte del Comune di Collesalvetti nel 1808, anche se recenti ritrovamenti di palafitte fanno pensare che la zona fosse abitata anche in tempi remoti, cosa che non sorprende se pensiamo che la scelta di terreni lacustri come luogo di dimora rappresentava nell’antichità un sistema di difesa e di organizzazione.

Su Castell’Anselmo, ridente frazione collinare, si hanno notizie risalenti al X secolo. Nell’anno 1432 Castell’Anselmo fu praticamente distrutta dall’esercito fiorentino. In località Torretta Vecchia sulla S.S. n. 206 (l’antica via consolare Emilia Scauri) sono stati portati alla luce i resti di un edificio termale romano di notevole importanza, databile al I secolo d.C.. Per quanto riguarda Parrana San Giusto (Vecchia) e Parrana San Martino (Nuova), originariamente indicavano due ville con annesse chiese, una dedicata a San Giusto e l’altra a San Martino, entrambe sotto la Pieve di San Lorenzo in Piazza, in diocesi di Pisa.

La firma della pace tra la repubblica Pisana e il regno d’Aragona (25 aprile 1327) vede tra gli ambasciatori pisani un tal messer Jacopo de’ Gualandi di Parrana.

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CAPITOLO 2 – IL DPP

2.1

Premessa

Prima di passare alla progettazione vera e propria del completamento del complesso scolastico è posta l’esigenza di definire il quadro conoscitivo di base, costituito da tutte quelle nozioni di carattere pratico, tecnico, funzionale e normativo che costituiscono il documento preliminare all’avvio della progettazione (Dpp), al fine di ottenere un risultato che sia rispondente alle esigenze attese dai committenti e dagli utilizzatori.

Il seguente documento è stato redatto sulla base di colloqui svolti dal sottoscritto, con la direzione dei lavori pubblici del Comune di Collesalvetti e tramite lo studio della bibliografia presente sull’argomento.

2.2

Metodo di Lavoro

2.2.1 IL SIGNIFICATO ODIERNO DELLA TRIALE VITRUVIANA

La complessa articolazione che al giorno d’oggi ha assunto “il costruire”, nell’accezione più ampia del termine, ha reso necessario un approccio interdisciplinare del problema per avere una conoscenza integrale delle problematiche e delle tematiche, che bisogna afforntare per poter progettare correttamente, e per fare in modo che un edificio, un organismo o anche un solo componente risponda ai criteri base individuati da Marco Vitruvio Pollione a chiusura del capo III del primo libro del “De Architectura” :

“haec autemita fieri debent ut habeatur ratio firmitatis, utilitatis, venustatis”.

La proverbiale capacità di sintesi della lingua latina ha contribuito a diffondere e a rendere eterno il pensiero del più grande trattista dell’architettura classica.

Anche se i contenuti sono profondamente cambiati dall’età di Vitruvio ad oggi, la triade vitruviana risulta essere ancora oggi attuale, tanto che vi si ricorre ogni qualvolta si vogliano indicare le caratteristiche che deve possedere un edificio. Lo stesso Vitruvio spiega

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traduzione letterale:

• FIRMITAS: sarà rispettata se le fondamenta poggeranno in profondità, su strati solidi e se la scelta dei materiali sarà accurata, senza badare a spese.

• UTILITAS: allorché la distribuzione degli spazi (risponda) ad un uso corretto ed agevole e rispetti opportunamente l’esposizione cardinale in base alla funzione specifica dei locali.

• VENUSTAS: quando l’aspetto esteriore dell’opera sarà gradevole e raffinato, nel rispetto delle giuste proporzioni e nella simmetria delle sue parti.

Mentre il significato dei primi due requisiti non è sostanzialmente cambiato da Vitruvio ad oggi, perché estremamente legati alla sfera razionale, la Venustas si è profondamente modificata, perché essendo legata alla sfera irrazionale ed emotiva, risulta essere di più complessa determinazione, considerando inoltre, che oggi non esistono più quei canoni di bellezza e perfezione presenti al tempo di Vitruvio. Si ha quindi, che questo terzo requisito è quello che trasforma una costruzione correttamente seguita in un’”opera di Architettura” capace di suscitare emozioni dalla sua contemplazione.

2.2.2 LA “LEGGE QUADRO IN MATERIA DI LAVORI PUBBLICI” E IL CONCETTO DI VALORE

La “legge quadro in materia di Lavori Pubblici” 109/1994 e successive modifiche ed integrazioni, nota anche come Legge Merloni, dall’allora Ministro dei Lavori Pubblici, venne emanata dopo che venne alla luce nei primi anni novanta una serie di eventi, che hanno profondamente scosso il mondo politico e l’opinione pubblica. La Legge 109/94 ha il fine di applicare “procedure improntate a tempestività, trasparenza e correttezza” per porre fine ai meccanismi della corruzione definendo in maniera molto precisa le attività di progettazione, da articolare secondo 3 livelli: Preliminare, definitiva ed esecutiva. In particolare il progetto esecutivo prevede la redazione di elaborati tali che: “ ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, quantità, dimensione e prezzo, che siano indicati i materiali da utilizzare, le tecnologie da adottare, gli interventi di minimizzazione dell’impatto ambientale, e comunque tutti i lavori da effettuare con la definizione di un capitolato speciale d’appalto prefazionale e descrittivo”.

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Tale legge non si limita a definire puntualmente i contenuti dei progetti, ma introduce per la prima volta il concetto di responsabilità del progettista, cui si impone una copertura assicurativa proporzionale all’entità dell’opera. Ma l’innovazione più significativa è contenuta nell’Art. 15 del regolamento di attuazione della legge quadro10 - 109/94 e successive

modificazioni e integrazioni – e nell’Art. 11 del capitolato generale d’appalto dei lavori pubblici, dove viene introdotto il concetto di Analisi del Valore, come strumento operativo della gestione del valore ( Value Management ), per verificare se un progetto, un processo, un prodotto o un servizio siano in grado di esplicare o meno le funzioni primarie corrispondenti al soddisfacimento delle esigenze esplicite ed implicite del committente/utilizzatore/utente e di offrire le prestazioni attese in rapporto alle risorse disponibili e ai costi globali programmati.

Il concetto di valore, ideato da L.D.Miles nel 1943, è legato all’utilità che viene attribuita alla funzione esaminata, assunta tra quelle esplicate dal componente che viene preso in considerazione, in rapporto al costo globale11dello stesso. Si ha quindi, che il concetto di

valore è connesso al servizio reso dall’opera o dal componente analizzato, riferito alle funzioni da esso esplicate non solo al momento dell’entrata in servizio, ma considerando tutto il suo ciclo di vita.

2.2.3 IL DOCUMENTO PRELIMINARE ALL’AVVIO DELLA PROGETTAZIONE (D.P.P.)

Per precisare tutti gli input necessari alla progettazione, il sopraccitato regolamento prevede che il responsabile del procedimento (Project Manager) rediga o faccia redigere il documento preliminare all’avvio della progettazione (D.P.P.) comprendente, oltre agli obiettivi che si intendono raggiungere con l’opera e alle prestazioni attese, l’elenco dei vincoli, delle norme e delle procedure tecniche da rispettare, le classi di esigenza da soddisfare, i requisiti tecnici, nonché i tetti economici per la produzione e la gestione per tutto il ciclo di vita ipotizzato dell’opera.

In questo approccio il Dpp rappresenta sia una linea guida alla progettazione fino alla scala del dettaglio della scelta dei materiali e dei componenti, che una lista di controllo per le verifiche della completezza del progetto e della rispondenza funzionale degli elementi in esso riportati. Si ha quindi un grosso vantaggio per i progettisti in quanto riescono a dare

(45)

requisiti, che ora avviene nella fase di programmazione e meta-progettazione che si conclude con la redazione del documento preliminare all’avvio della progettazione (Dpp). Si ha quindi, in perfetta simbiosi con il pensiero di Vitruvio, una visione globale che non ammette di poter affrontare gli aspetti: funzionale, tecnologico, economico-gestionale ed operativo l’uno disgiunto dall’altro.

Il Dpp assume quindi nella fase di meta-progettazione un ruolo fondamentale perché sintetizza tutte le indicazioni per una corretta stesura del progetto, per la realizzazione e la gestione dell’opera.

I contenuti di tale documento sono: Situazione iniziale.

Obiettivi generali da perseguire e strategie per raggiungerli. Esigenze e bisogni da soddisfare.

Regole e norme tecniche da rispettare.

Vincoli di legge relativi al contesto in cui l’intervento è previsto. Funzioni assicurate all’opera.

Requisiti tecnici da rispettare.

Impatto dell’opera sulle componenti ambientali.

Fasi di progetto da sviluppare e loro sequenza logica, nonché tempi di svolgimento. Livelli di progettazione, elaborati grafici e descrittivi da redigere.

Limiti finanziari da rispettare, stima dei costi e delle fonti finanziarie. Sistema di realizzazione da impiegare.

Al fine di rendere più semplice e completo il procedimento è necessario che il Dpp sia il risultato non dell’attività di una sola persona ma di un gruppo di lavoro che supporti il responsabile di procedimento.

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2.2.4 LE FASI OPERATIVE.

Le fasi da affrontare reiterativamente nel tempo sono:

Fase informativa: vengono ripresi ed analizzati gli obiettivi del progetto, le condizioni al contorno, le esigenze degli utilizzatori/utenti e le funzioni che il soddisfacimento di esse comporta.

Fase creativa: mediante l’analisi funzionale si evidenziano le funzioni necessarie per raggiungere gli obiettivi del progetto.

Fase analitico-selettiva: le proposte vengono vagliate sulla base della loro relativa rispondenza ai requisiti previsti per l’opera.

Fase di sviluppo: la soluzione progettuale che si è rilevata migliore viene sviluppata nel dettaglio e della validità della stessa se ne danno le motivazioni in una relazione dettagliata. Fase di presentazione: al termine delle eventuali iterazioni ed approfondimenti delle fasi precedenti, si passa alla presentazione dei risultati.

2.3

Gli Obiettivi del Progetto

2.3.1 CONSIDERAZIONI GENERALI

Mi è stato chiesto di procedere in via previsionale al completamento del complesso scolastico del Comune di Collesalvetti.

Il mio lavoro di indagine al riguardo si è suddiviso in due sezioni: le richieste del Comune e quelle dei bambini che occupano la sede attuale della scuola elementare del Comune di Collesalvetti.

Al momento dell’incarico, il Comune di Collesalvetti: ” sezione Lavori Pubblici” è stato molto chiaro nelle richieste:

Figura

Figura 1 – Scuola di Darmstadt,1951
Figura 2 – Ludovico Quaroni
Figura 3 – Asilo di Ivrea – Ridolfi
Figura 5 – Asilo Poggibonsi
+7

Riferimenti

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