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Ricordando Mascetti. Adesso servono certezze

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Academic year: 2022

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18 SETTEMBRE 2022 - NUMERO 28 - ANNO 1 - Direttore responsabile: RAFFAELE TOMELLERI - Aut. Trib. di Verona n° 41356 del 20/01/1997 - Le Cronache srl - Via Frattini 12/c - 37121 Verona - Telefono 0459612761 - E-mail: [email protected] - Stampa in proprio - Tutti i diritti RISERVATI

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Adesso servono certezze

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ARLIAMONE

LE RICERCHE DI UN VERONESE SCOMPARSO

Cinque punti in 6 partite, siamo in media, lo dice la classifica. Ma la classi- fica insegna anche che non c’è tempo da per- dere. Perchè le altre, qualche segnale lo hanno dato. La Salerni- tana che sfiora il suc- cesso a Torino, il Lecce che espugna Salerno...

Sì, nel “calderone-sal- vezza” ci sono anche loro, come (giusto dirlo) c’è anche il Verona. Diffi- cile pensare oggi a una stagione sulla falsariga delle ultime, dobbiamo essere onesti anche con Cioffi. Chiamato a un compito complicato e per niente favorito dalle scelte di mercato. Detto questo, oggi servono cer- tezze, quelle che arri- vano di solito da un se- gnale. Arriverà?

SERIE A. O GGI , IL TEST DI F IRENZE ( ORE 15)

Ricordando Mascetti

L’Hellas chiamato oggi a un’altra sfida molto impegnativa, dopo il ko dell’Olimpico. A Firenze, trova una squadra arrabbiata, che cerca riscatto, dopo lo scivolone di Coppa: Cioffi attende risposte

Damiano Cunego Maurizio Sarri

L’airone di Cerro torna in pista, alla Contri Autozai dove insegnerà ciclismo. Ma soprattutto, insegnerà che cosa vuol dire sacrificio, impegno, passione. Bravo.

No, mister, il dito medio, no...

Passiper qualche espressione colorita, fa parte dello slang toscano, ci sta. Ma il dito medio no, quello non è slang,è solo maleducazione...

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“Le sfide tra Fiorentina e Verona, le guardo sem- pre. Sono due squadre che mi sono rimaste nel cuore. In vista di dome- nica il Verona sta abba- stanza bene mentre la situazione a Firenze non è certo delle migliori”.

Chi parla è Franco Superchi, uno dei più forti portieri degli anni

’70. Per lui

undici stagioni in viola, impreziosite dalla vittoria da protagonista dello scudetto del 1969, e quattro

anni in gialloblù, prima di chiudere la carriera con la maglia della Roma.

“Quello scudetto fu una cosa decisamente ina- spettata. A inizio stagio- ne pensavamo addirittu- ra che saremmo retro- cessi. Rispetto all’anno prima se ne erano andati giocatori come Albertosi, Brugnera e Bertini - i pezzi migliori - è la paura di finire in serie B era concreta. Ci guardammo in faccia con Pirovano, il nostro capitano, e pren- demmo l’impegno di dare il massimo per cer- care almeno di salvarci.

E invece, arrivò un incre- dibile successo. Per me fu una gioia ancora più grande perché, andati via Albertosi e Boranga, quella era per me la mia prima stagione da titola- re”.

Lasciata Firenze, quattro anni con la maglia dell’- Hellas. “A Verona - ricor- da - non ci volevo venire.

Anche perché l’anno pri- ma mi avevano promes- so un’altra cosa. Mi vole- va Chiappella all’Inter ma la Fiorentina non era

d’accordo. Sarti e Alber- tosi, andati via da Firen- ze, vinto lo scudetto con l’Inter e il Cagliari, e non volevano succedesse la stessa cosa. Allora, però, se non accettavi la desti- nazione smettevi di gio- care. Comunque a Vero- na sono stati quattro

anni stupendi, anche se di mezzo c’è stata una retrocessione. Di essere venuto al Verona non mi sono mai pentito”.

DOPO FIRENZE, LO SCUDETTO CON LA ROMA. “Con la Roma ho coronato un sogno,

quello di vincere uno scudetto con la squadra della mia città. Andai in giallorosso con un com- pito ben preciso: quello di fare da secondo a Tancredi ma senza cre-

argli difficoltà e senza mettermi in competizione con lui. Ci furono dei momenti in cui avrei potuto anche rubargli il posto ma io rimasi tran- quillo come promesso. E alla fine fui premiato con una presenza nell’ultima partita con il Torino quando festeggiamo lo scudetto. Fu una soddi- sfazione enorme parteci- pare alla festa, anche perché quando si vince il successo è di tutta la squadra, anche di chi ha giocato meno”.

LA NAZIONALE AZZURRA. Il rapporto tra Superchi e la Nazio- nale azzurra non è mai sbocciato. Per la concor- renza e non solo.

“In quegli anni c’erano Zoff e Albertosi, che per me era in quel momento il miglior portiere al mondo. Nel ’70 potevo andare in Messico come terzo ma scelsero Lido Vieri. Lui giocava nell’In- ter e Italo Allodi, allora direttore sportivo, fece valere il maggior blasone del club nerazzurro”.

Ma oggi c’è un altro Superchi?. “Guardo i portieri in tv ma li vedo usare troppo i piedi e poco le mani, e sono spesso fuori posizione.

Giocando così io non sarei nemmeno entrato nello spogliatoio”. E se lo dice lui c’è da credergli.

SERIE A. S OTTO DUE BANDIERE E NRICO B RIGI

Così Superchi “para” anche la nostalgia

“A Firenze ho vinto uno scudetto straordinario. Verona? Quattro anni davvero molto belli”

Fiorentina-Verona, un ri- gore di Casarsa. Superchi

ci prova...

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I POSTER DE “L A C RONACA ”: I L G IGANTE E IL F ILOSOFO ( FOTO M ICHELE B IZZI )

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Chi è quello vicino al gio- vanissimo Gianni Ri- vera? Sì, quello a sinistra. “Ma è Cesare Maccacaro, il “rosso” di Bussolengo...”. Fine anni

‘50, nell’Alessandria de- butta in serie A un ragaz- zino dal ciuffo a

spazzola. “Un fenomeno”

dicono tutti. Si chiama Gianni Rivera, ha 16 anni, tocca la palla da dio, è nato per giocare a calcio.

L’Alessandria è squadra rognosa, gioca per la pa- gnotta, la salvezza come unico obiettivo. Ma là, al Moccagatta, è dura per tutti. E da quando gioca il

“bambino”, arrivano sem- pre osservatori da tutta Italia.

Nell’Alessandria gioca, molto bene, anche un veronese di Bussolengo, rosso di capelli. Si chiama Cesare Macca-

caro, cresciuto nel Ve- rona, dove, con la maglia numero 9, è stato tra i protagonisti della promo- zione in serie A (storica, la prima) e dove ha pure segnato, alla Juve, il primo gol gialloblù nella massima serie.

Dal Verona al Genoa, poi l’Alessandria, dove nel frattempo retrocede a centrocampo, mediano grintoso e generoso. In quel ruolo resterà anche al Catanzaro, 8 stagioni da protagonista. E in quel ruolo, con la maglia grigia, tiene a battesimo uno dei più grandi gioca- tori del calcio italiano...

UOMINI&STORIE. V ERONESI FUORI P ORTA

Il “rosso” di Bussolengo, protagonista con l’Hellas della promozione in A, nel ‘57-’58

Cesare Maccacaro, primo da sx in basso, vicino al giovanissimo Rivera, con la maglia dell’Alessandria

LA SCHEDA

Cesare Maccacaro è nato a Bussolengo

il 2 aprile 1937.

Ha giocato nel Verona, nel Genoa,

nell’Alessandria e nel Catanzaro.

E’ stato allenatore del mitico Somma

che vinse una Coppa Italia

Dilettanti

Ecco Maccacaro “chioccia” di Rivera

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Tutti gli avevano prono- sticato una retrocessione scontata, si trattava solo di capire quando questa sarebbe stata matema- tica. “Il Chievo? In serie A ci starà al massimo un anno”, dicevano i soliti

“esperti”, in servizio per- manente. “Dove vuoi che vada?”.

Non avevano fatto i conti con Gigi Delneri e la sua

“banda” scatenata. “Ca- pimmo subito, la prima giornata a Firenze, che ci potevamo stare anche noi” ha sempre detto Delneri. Firenze, una svolta. “Anche noi era- vamo curiosi di capire

com’era la serie A e la Fiorentina ci avrebbe dato la prima risposta”.

Il Chievo vinse 2-0 a Fi- renze, diede spettacolo, l’Italia cominciò ad ammi- rare un calcio diverso,

“avanti di vent’anni”, con fuorigioco, pressing, in- tensità. E cominciò, so-

prattutto, a fare il tifo per quella squadra-simpatia, che divenne la seconda squadra di tutti.

“Se quell’anno non ci avessero fermato - ha sempre detto Delneri - potevamo davvero lot- tare per lo scudetto”.

Clamoroso l’arbitraggio di Cesari, in Milan-Ve- rona 3-2. Il Chievo arrivò quinto, sfiorò la Cham- pions (ci andò proprio il MIlan, guarda un po’...) ma incantò l’Italia che cominciò a parlare di “fa- vola”. E i “mussi volanti”

divennero una leggenda, non solo in Italia, ma in tutta l’Europa.

UNA FOTO, UNA STORIA. C’E RA U NA V OLTA IL C HIEVO ...

La matricola al debutto stupisce l’Italia con un gioco spettacolare: e tutti tifano Chievo

Lorenzi, Franceschini, Eriberto, Corradi, Lupatelli, D’Anna; in basso, Lanna, Perrotta, Moro, Corini, Marazzina

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AROLA

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“Se quell’anno non ci avessero fermato, potevamo

anche lottare per lo scudetto”

Gigi Delneri

I “mussi volanti “incantano la serie A

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Racconta che di notte leggeva Garcia Mar- quez, “Cent’anni di soli- dutine”. Non dormiva, Marco Tardelli. Passava di camera in camera, fino a quando finiva in quella di Bearzot. “Parla- vamo un po’, poi lui mi faceva ascoltare un po’

di jazz e quando s’ad- dormentava, uscivo tor- navo nella mia. A legge- re. A pensare alla parti- ta”. A quanti non l’avreb

bero voluto al Mondiale.

A quanti li stavano “mas- sacrando” di critiche.

“Così decidemmo di non parlare e di affidare le nostre comunicazioni a Dino Zoff, che risponde- va a monosillabi”.

Ricorda tutto, di quei giorni, compagni per una vita, compagni che non ci sono più. “Scirea, Paolo... Rossi era di una simpatia unica. A volte sembrava starsene su

una nuvoletta tutta sua, me era di una semplicità e di una umiltà uniche”.

La notte della vittoria?

“Altri andarono a festeg- giare. Io rimasi a parlare con Scirea, Cabrini, poi arrivò anche Zoff. Erava- mo felici, certo, ma c’era anche un filo di malinco- nia. Perchè sapevamo che quello era stato il momento più bello della nostra vita. Ed era già passato...”

L’ANNIVERSARIO. U NA F OTO I NDIMENTICABILE : 11 LUGLIO 1982

“”Il rigore di Cabrini? Noi eravamo sereni,

nessuno gli disse niente”

Marco Tardelli PAROLA MIA

Tardelli e un urlo lungo quarant’anni

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Guardate questa foto, è l’attimo che precede la tragedia. Tommy Sim- pson, campione inglese, uno dei big dell’epoca, viene sorretto, spinto, da alcuni tifosi. Ha lo sguar- do già perso nel vuoto, gli occhi sbarrati, guarda avanti senza vedere più niente. Qualche pedala- ta più avanti, crollerà a terra, sulla rampe del terribile Mont Ventoux, la montagna maledetta.

Senza vegetazione, un caldo infernale, in una delle tappe più tragiche della storia del Tour de France e del ciclismo.

Simpson perde i sensi,lo adagiano sui bordi della strada, cercano di soc- correrlo, in ogni modo.

Arriva anche il medico del Tour, prova col mas- saggio cardiaco, poi la respirazione bocca a bocca, l’ossigeno. Nien- te. Morirà poco dopo,

senza aver ripreso cono- scenza. Vittima, proba- bilmente di un tubetto di amfetamina, che si era procurato “perchè dove- va fare un’impresa”, rive- lò il suo gregario Lewis.

Simpson era un campio- ne, aveva vinto la San- remo e due volte il Lom- bardia. Ma quel Tour doveva essere quello della sua consacrazione.

Fu quello della sua incredibile fine.

L’ANNIVERSARIO. U NA F OTO I NDIMENTICABILE : 13 LUGLIO 1967

Simpson sul Ventoux lo sport nella tragedia

“Aveva litigato col manager, che voleva di più da lui”

Colin Lewis,

gregario

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I POSTER DE “L A C RONACA ”: FEDERER APPENDE LA RACCHETTA AL CHIODO

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