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Lezione n. 6

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Academic year: 2022

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Lezione n. 6

L’IMPORTANZA DELLA DIRETTA

Negli Stati Uniti Nel 1921 per la prima volta il pubblico sperimentò quello che né il cinema né i giornali gli avevano mai dato, la contemporaneità: la diretta permetteva di sapere le cose esattamente nel momento in cui succedevano. David Sarnoff , proprio il marconista diventato presidente della Rca, organizza come già riferito la radiocronaca in diretta dell'incontro di pugilato Jack Dempsey-Georges Carpentier per il campionato del mondo dei pesi massimi. In Italia? Arriviamo sei anni dopo . L’Unione radiofonica italiana da poco costituita Il 19 giugno 1927 mette in onda la prima radiocronaca sportiva in diretta: è il Gran premio di galoppo da San Siro.

Dal teatro Dal Verme, il 12 luglio, la stazione di Milano trasmette in diretta la Tosca interpretata da Beniamino Gigli.

Con la convenzione del 15 dicembre il governo accorda all'URI la concessione del servizio delle radio audízioni circolari per venticinque anni.

1. Linguaggio sportivo radiofonico

La prima radiocronaca di una partita di calcio è però del 1928 : il 25 marzo, si trasmette Italia-Ungheria, risultato 4 a 3. Il primo radiocronista non fu, come tutti credono, il celeberrimo Nicolò Carosio, ma Giuseppe Sabelli Fioretti, giornalista e filatelista sportivo, padre di Claudio, che scrive tra l'altro sul Magazine del Corriere della Sera.

Siccome il calcio è insito nella cultura del nostro paese, può essere molto interessante verificare l’evoluzione di “chi racconta calcio” durante i mutamenti e le ricollocazioni del sistema radio-televisivo. Come è variato il modo di descrivere un incontro, come la trasformazione (e la sempre più perfezione) della messa in onda delle immagini ha influito sul modo di commentare? La rilevanza del fatto sportivo nel linguaggio radio televisivo è evidente a tutti e per questo val la pena ripercorrere alcuni passaggi storici .

I personaggi italiani che più hanno caratterizzato le varie stagioni radiofoniche sono Nicolò Carosio, Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Nando Martellini e in generale la storia di “Tutto il Calcio Minuto per minuto” fino ad oggi inserendo anche un capitolo sulla radiocronaca satirica della Gialappa’s Band e di Catersport con una evidentissima evoluzione del linguaggio usato della quale parleremo poi a lungo.

Nicolò Carosio è stato il narratore di imprese epiche come le due vittorie nei campionati del mondo del 1934 e del 1938, è il giornalista che è stato protagonista più di altri nel passaggio e nella convivenza tra radio e televisione è, se vogliamo, il metronomo dei cambiamenti nei media.

Enrico Ameri è stato per anni la voce principale di “Tutto il Calcio...” che dal 1960 scandiva le domeniche di milioni di italiani quando non esisteva ancora la diretta televisiva e l’utilizzo dei telefoni cellulari, mentre Sandro Ciotti è stato la spalla di Ameri per tutta la durata della carriera, memorabile era la frase che ripeteva, con la sua inconfondibile voce roca, ogni qual volta veniva segnato un gol sul campo destinato al suo commento: «Scusa Ameri, intervengo da...». La trasmissione è in onda ancora oggi su Radiouno con un team di radiocronisti molto preparati capeggiati da Riccardo Cucchi.

La radiocronaca satirica nasce negli anni ottanta sulle frequenze di Radio Popolare Milano con Bar Sport grazie all’idea della Gialappa’s Band (ora a Rai dire Gol) e del trio Ardemagni, Lauro e Ferrentino che ora

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presentano Catersport su Radiodue, le due trasmissioni sono una sorta di intrattenimento sportivo e aggiungono alla radiocronaca battute spiritose e siparietti musicali.

una mappa di percorso della storia del telecronista e dell’evoluzione della TV nazionale, privata e digitale.

2. Linguaggio sportivo televisivo

La storia della telecronaca calcistica viaggia parallelamente alla storia della televisione in generale, inizia con Nicolò Carosio (come avevo già anticipato) che racconta le gesta dei calciatori dai primi anni cinquanta fino al 1970 quando gli subentra Nando Martellini.

Si tratta di un gran maestro, un signore per eleganza e signorilità, un tecnico un personaggio che mi ha onorato di essere stato mio maestro.

Martellini è il testimone diretto delle vittorie nel campionato europeo del 1968, del fantastico cammino fino alla finale nel mondiale messicano del ’70 e della vittoria nel “mundial” spagnolo dell’82.

Il passaggio dalla radiocronaca alla telecronaca è complesso e difficile .

Si creano diverse scuole di pensiero . Prevale per anni quella dello stile distaccato, della signorilità ed essenzialità del commento. Lo spiega lo stesso Nando Martellini quando sostiene in una lunga intervista che il buon telecronista deve sottolineare, interpretare spiegare ma mai essere invadente, rispettare pause e lasciare alla potenza delle immagini il giusto spazio. Bruno Pizzul è il successore di Martellini come commentatore principale della RAI fino al 2002 quando il trio Cerqueti, Bizzotto e Civoli si alterna in cabina di telecronaca sino alla leadership di Civoli.

All’inizio degli anni ottanta si sviluppano, parallelamente alla RAI, le TV private con Tele Capodistria e Fininvest sopra tutte. Per far spazio alla pubblicità muta anche il modo di commentare, nel gergo del telecronista si aggiungono: «5 secondi di pausa per noi, un gol dagli sponsor, time-out». Aumentano i soldi destinati alle squadre per la trasmissione delle partite e si inizia a avere una consistente forma di

concorrenza duopolistica tra RAI e Fininvest (che nel frattempo ha cambiato nome in Mediaset). I commentatori più importanti delle reti Mediaset sono Longhi e Piccinini.

Con l’avvento del digitale satellitare (prima Telepiù e Stream, ora SKY), grazie agli abbonamenti degli spettatori e agli introiti pubblicitari, SKY può offrire una più ampia garanzia di fondi da distribuire alle squadre per la trasmissione delle partite; anche il “bouquet” è molto più ricco di quello delle televisioni via cavo: Champions League, campionati esteri e mondiali 2006.

Inoltre c’è una possibilità unica nel panorama televisivo italiano che è “Diretta Gol” cioè la trasposizione in TV del programma radiofonico “Tutto il Calcio minuto per minuto”.

I commentatori sono molto preparati ed esperti in calcio estero e tattica di gioco, fra tutti Fabio Caressa e Massimo Marianella.

Quello che ha rilevanza è comunque capire l’importanza del passaggio che la radiocronaca prima (poi la telecronaca) rappresenta per il linguaggio radiotelevisivo. Così dopo aver toccato l’argomento che approfondiremo assieme nei dettagli andiamo ad approfondire il concetto di DIRETTA argomento

strettamente connesso alle radio e telecronache che PERò non esauriscono il campionario considerando ad esempio alcune storiche trasmissioni che mutarono anche il ruolo del trasmittente e del ricevente NON FURONO telecronache. Ma andiamo con ordine

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Radiogiornali e telegiornali sono sempre in diretta da studio ma la cultura della presenza, della

testimonianza diretta che è insita nella natura del giornalismo portano come abbiamo visto a collegare laddove possibile i riceventi con il posto ove avviene l’avvenimento da seguire.

All’atto della costituente , immediato dopoguerra, 1946, la Rai , RADIO AUDIZIONI ITALIANE, nuova

denominazione dell’Eiar fascista, fa la diretta radiofonica dello storico insediamento della costituente. Lo fa con un linguaggio estremamente simile a quello usato sino a poco prima dalla radio del regime . Linguaggio epico, ridondante come del resto si era abituati al tempo del fascismo. Inevitabile secondo i tempi, direbbe qualcuno. Ma così non è. Il linguaggio ubbidisce a precisi input e quando questi cambiano cambia anche il linguaggio. Un documento importante e raro, provenienza dalle teche rai, dimostra come appena un anno prima l’epica e retorica radiocronaca della seduta della costituente si potesse usare un linguaggio differente.

E’ una testimonianza importantissima perché sembra fuori dal tempo. Si tratta della diretta di Radio Milano libera sulla cattura di Mussolini.

Un tono discorsivo, quasi dimesso, comunicativo nella sua voluta mancanza di enfasi. Dunque la diretta radiofonica tenta di percorrere all’alba di una nuova era nuovi percorsi che saranno però presto

abbandonati. Si tornerà all’aulico, all’immaginifico, all’epico per diversi anni. Sino a che ,almeno, la televisione non interverrà a mostrare immagini che di immaginifico non hanno nulla e che denunciano la semplice realtà dei fatti.

Gli anni 60 in Italia ,come abbiamo visto rappresentano una sorta di prova generale e di contraddizione continua tra un linguaggio che sembra aver fatto il suo tempo ed un ruolo della televisione e della radio ancora da definire.

In particolare il via in Italia lo da quel primo straordinario evento mediatico rappresentato dalle olimpiadi del 1960.

Ma un anno prima era avvenuta una cosa che passata quasi inosservata ea destinata qualche anno dopo a cambiare radicalmente il rapporto tra la radio e la televisione ed i suoi utenti,. Nessuno si rese conto di questa cosa perché in quel momento sembrava completamente distaccata da quella realtà. Anche se radio e televisione riportarono con dovizia di particolari quello strano avvenimento del mondo della telefonia.

Siamo nel 1959 quando viene inaugurata la teleselezione. La teleselezione consentirà alla gente di dialogare senza mediazione, di chiamare senza prenotazione ma tra non molto, consentirà di …partecipare i qualche modo all’attività ed alla realizzazione dei programmi radio televisivi istaurando un collegamento diretto sino a poco tempo prima impensabile. Una sorta di ritorno immediato del messaggio, una verifica importante ma anche una pressione dal ricevente al trasmittente che prima era difficile immaginare

Gli anni 60 sono anni difficili: la Rai in regime di monopolio finisce per perdere almeno a livelli di dirigenti, il contatto con la società e con le sue istanze. Investita della sua funzione di grande mezzo culturale, ricordate il maestro alberto manzi?) si colloca in un empireo lontano dal sentire comune. Non così però i suoi

giornalisti che per la stragrande maggioranza provengono da esperienze della carta stampata e soprattutto da una dura selezione professionale. Così quando nel 1966 Firenze è stravolta dalla storica alluvione si avverte che qualcosa nel linguaggio, nella percezione del ruolo, nel mondo di comunicare da quelle olimpiadi del 60, in soli 6 anni, è radicalmente cambiato. Ci sono stati , è vero, i beatles, la minigonna, il boom economico e la crisi successiva, gli urlatori, i primi contestatori: il 68 è alle porte ma in quel 66 Marcello Giannini da Firenze in diretta racconta con toni pacati, discorsivi, trasmettendo pathos e fragilità, la tragedia che sta avvenendo.

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La diretta sta mutando il linguaggio, la società italiana sta attraversando un periodo di recessione dopo il boom economico, la giovane democrazia è alle prese con una serie di problemi che certo non spingono l’acceleratore sull’enfasi e i toni mutano. Ma siamo giunti alla vigilia di un altro momento epocale della storia della televisione destinato a fare da spartiacque sia per la metodologia di trasmissione sia per la tecnica di fruizione.

Per la prima volta un’intera nazione si organizza in una lunga veglia televisiva per quella che sembra destinata a restare la più lunga diretta ma soprattutto la più seguita diretta della storia della televisione italiana. La lunga diretta dello Sbarco sulla Luna

Siamo nel luglio del 1969 e l’uomo si appresta a sbarcare sulla luna. Quasi 20 ore di diretta televisiva con diverse ore di utilizzo del nuovo satellite. Una Rai che sbarca nel futuro ad appena 15 anni dalla prima trasmissione ufficiale: un impresa quasi leggendaria sotto i profilo tecnico.

La diatriba su “Ha toccato- non ha toccato tra il conduttore della diretta di 20 ore Tito Stagno , forse il personaggio in assoluto più conosciuto della storia della televisione italiana dei primi 30 anni , e l’inviato Ruggero Orlando, resterà a lungo nella storia. Ma nonostante si parlasse di un avvenimento

Ma recentemente si è parlato di una cosa che assume per noi un notevole rilievo sotto il profilo di una riflessione che possiamo fare assieme.

Qualcuno ha ipotizzato anche con qualche prova a suo dire scientifica che lo sbarco sulla luna non avvenne mai. Che pressato dalla corsa per la conquista dello spazio che era anche un confronto ideologico

importante il sistema televisivo americano avrebbe organizzato una gigantesca recita . Qui non stiamo ad analizzare sotto i profilo tecnico le cose che abbiamo visto. Ciò che ha rilevanza per noi è un ‘altra cosa. Vi dico solo , per aver parlato con esperti e tecnici e con lo stesso Tito Stagno che c’è una considerazione di fondo che va fatta. Se fosse stata una messa in scena di queste proporzioni avrebbe avuto bisogno di almeno 1500 complici dagli ideatori, agli attori, ai tecnici alle presunte funi, ai cameraman e così via. Ed è umanamente impossibile che con il passare degli anni nessuno si sia lasciato sfuggire qualcosa, nessuno abbia ceduto alla tentazione di un intervista o di un libro che sarebbe stato il più grande best seller del secolo .

In periodi di Guerra fredda poi, con i potenti telescopi che anche l’ unione sovietica aveva, un bluff come quello sarebbe stato smascherato immediatamente dato che lo sbarco avvenne ovviamente sulla faccia visibile della luna e quindi certamente seguibile da parte dei tecnici urss.

La verità è che l’uomo andò veramente sulla luna con una missione quasi suicida, che gli Stati Uniti rischiarono tantissimo e furono molti fortunati considerando il livello tecnico dell’epoca ma che la cosa si rivelò molto meno produttiva di quanto auspicato. A Parte l’immagine sulla Luna non furono trovati i metalli preziosi che speravano. Ma quello che ha rilevanza oggi e come una buona fetta dell’opinione pubblica una decina di anni dopo iniziò a dubitare della veridicità di quella diretta. Dunque alla fine degli anni 70 si comincia a pensare che l’equazione l’ha detto la tv = è vero non funzioni più. L’utente comincia a prendere coscienza che l’ammirazione e la sorpresa per il mezzo televisivo potrebbe indurre il trasmittente a

manipolare la realtà sino al punto di presentarne un’altra. Una tv che ti fa vedere quello che vuole e non quello che è. O addirittura che crea un evento che non esiste, ne esalta uno di livello mediocre, ne soffoca un altro che meriterebbe.

Del resto in Unione Sovietica, la televisione di Stato seguendo il fulgido esempio di quanto accadeva alla radio negli anni del totalitarismo europeo, ha nel 61 dedicato ore di trasmissione no stop all’impresa di Yuri

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Gagarin primo uomo nello spazio, tacendo ( ora si sa ) l’insuccesso precedente e la morte del primo vero cosmonauta sovietico che tentò di andare nello spazio. Dedicò lo spazio di una notizia 48 ore dopo in occasione dello sbarco sulla Luna. Un anno prima la tv sovietica aveva dato notizia che le truppe dell’Urss avevano gloriosamente salvato da un golpe capitalista il popolo fratello Cecoslovacco mostrando immagini di carri armati sovietici a Praga festeggiati dalla popolazione. Quei filmati, quella gente festante attorno ai carri, furono organizzate con attori assoldati o costretti a partecipare per mostrare al popolo sovietico la gioia di un popolo finalmente liberato dal suo sogno di libertà. Solo molto più tardi si potranno avere le immagini vere

La tv della dittatura, dunque, si dirà ma non c’è grande differenza con un’operazione avvenuta pochi anni fa nel democratico e libero occidente. L’invasione dell’Iraq , armato di potenti armi di distruzione di massa create da una campagna mediatica ma mai esistite . La guerra in diretta è un’illusione. Il comando

americano gestisce il flusso di immagini fa passare quelle che vuole, le organizza e non a caso la vita dei free lance è divenuta complicatissima e spesso sono esposti a rischi enormi ed ostacolati da tutti.

Le televisioni ufficiali sono costrette a prendere immagini ghiotte ma distribuite a tutti. Come la caduta della statua di Saddam davanti ad una popolazione oceanica e festante. Peccato che come per la cecoslovacchia poi si sia saputo che l’oceanica e festante adunata , sapientemente ripresa, era costituita da un gruppo assoldato ,che gli effetti erano falsi e vedendo alla luce di queste affermazioni il filmato se ne ha piena conferma. Però l’immagine doveva comunicare la gioia di un popolo liberato.

E si propongo un’altra riflessione per inciso. Delle finte feste di Praga e di Beirut si è riusciti ad avere notizia in tempi più o meno brevi. Ma alla fine tutto è venuto a galla. Pensate che se lo sbarco sulla Luna fosse stato finto a 40 anni qualcuno non avrebbe già parlato?

La falsificazione anche della diretta dunque non può essere una regola: non tutto è buono e non tutto è cattivo quello che appare. Occorre solo sapere che anche l’occhio della telecamera,anche la diretta, può non essere la verità assoluta e concludere che solo una pluralità di voci, di diversa estrazione e di diversa

formazione politica ed ideologica, in una società libera, possano consentire al ricevente l’immagine o il suono di avere quel codice di decodifica in grado, dopo aver osservato più fonti, di contribuire alla formazione di un parere personale senza cercare la verità assoluta ben sapendo che tutto può essere manipolato ma che se sullo stesso avvenimento ci sono più fonti, più pareri, più immagini allora ci si potrà formare un parere sereno personale ed il più vicino possibile alla verità. Nella speranza che la buona fede sia il principio guida, come dovrebbe essere, di chi fa informazione.

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Lezione n. 7

TECNICA DEL LINGUAGGIO

L ’escursus storico che abbiamo affrontato assieme ci è servito per dare una spiegazione AD ALCUNI

FENOMENI E comprenderne meglio l’evoluzione . ma ricorderete che la premessa con la quale siamo partiti era capire come e se il linguaggio radiotelevisivo influenzi quello comune e viceversa. Dunque torniamo per un attimo proprio all’apertura del nostro corso: il linguaggio

Elemento costitutivo del linguaggio parlato è la parola formata da un insieme di fonemi.

Nel linguaggio parlato una stessa frase può essere pronunciata in differenti modi; questa può essere modificata dalla coloritura espressiva, cioè da una serie di varianti facoltative individuali, non necessariamente intenzionali.

A tale proposito si parla genericamente di tono di voce. Converrà perciò distinguere:

 il volume, cioè l’intensità del suono emesso, dal bisbiglio all’urlo;

 l’altezza, o tono in senso stretto, cioè la gamma tonale che va dal grave all’acuto per lo stesso timbro di voce;

 il timbro, cioè quella caratteristica fisiologica propria di ogni individuo (soprano, baritono, tenore ecc.)

 il ritmo, è la cadenza regolare o irregolare con cui vengono dette le singole parole di un periodo (insieme di frasi), cioè la maggiore o minore velocità con cui vengono pronunciate e intercalate da pause di lunghezza e frequenza variabile;

Tutti questi elementi del linguaggio parlato prendono il nome di qualificatori verbali .

Una stessa frase può essere detta con voce rotta dall’emozione, oppure piangendo o ridendo, in tal caso si parla di differenziatori verbali. Vengono invece detti identificatori verbali i suoni, mugolii o mugugni, spesso intercalati alla parola, che hanno avuto una precisa codificazione scritta nei fumetti (eh, uhm, ahi, aaah, mhmm). Tutto ciò per capire bene che nel linguaggio semplice,quello da punto a punto, il più agevole, una volta stabilito il codice essenziale di comprensibilità ( ad esempio la lingua italiana) poi intervengono diversi altri fattori.

Cominciamo allora ad esaminare le caratteristiche del linguaggio radiofonico:

La caratteristica principale è quella di possedere un’illimitata libertà di espressione anche se in misura minore rispetto al cinema e alla televisione.

Anche se con una certa difficoltà è possibile rappresentare stati d’animo; spetterà poi ai soggetti recettori esercitare, con profitto, la notevole libertà d’interpretazione. Sotto questo profilo il linguaggio radiofonico si avvicina di più al linguaggio letterario piuttosto che a quello filmico o televisivo. A chi ascolta è lasciato un largo margine di fantasia e di interpretazione. Ciò implica, d’altro canto, una maggiore partecipazione attiva del radioascoltatore, per la messa in moto dei processi interiori.

Il linguaggio radiofonico assume dunque particolari caratteristiche: vediamo di riassumerle in breve per concetti

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 l’unicità della sensazione (quella auditiva. In apparenza può sembrare un limite, in realtà favorisce i processi di attività fantastica ed emotiva);

 l’immediatezza, cioè la capacità di percepire direttamente concetti e idee che attengono al mondo psicologico o dello spirito;

 la simultaneità, che consente la percezione del messaggio “in contemporanea” da parte di un gran numero di persone;

 l’essenzialità, cioè la necessità di evitare qualunque ridondanza letteraria o stilistica;

 l’irripetibilità, pesante limite della comunicazione radiofonica;

 la relatività, altro limite del linguaggio radiofonico perché i significati delle parole sono relativi alle conoscenze di ciascuno, e questo ci conduce all’importante problema della comprensibilità . Lo abbiamo già affrontato in apertura di corso ma ora lo approfondiamo un aspetto importante:

1. L’interpretazione del messaggio

Con il termine comprensibilità si è soliti indicare la capacità da parte dei soggetti recettori di interpretare correttamente i messaggi del soggetto trasmittente, laddove il codice linguistico sia univoco. In altre parole la comprensibilità risulterà massima solo se promotore e recettori avranno adottato lo stesso codice linguistico. Anche se può apparire banale tuttavia il punto focale del processo di comunicazione è tutto incentrato sulla comprensibilità. Per quanto riguarda il nostro paese, purtroppo, i sondaggi statistici

effettuati su larghi strati della popolazione, al fine di rilevare il grado di comprensibilità di vocaboli in uso dai politici, dagli economisti e dai giuristi, hanno dato risultati sconcertanti. Alcune parole di uso frequente come legislatura, mozione, emendamento, potere esecutivo, rimpasto, inflazione, dicastero hanno dato valori bassissimi di comprensibilità e tali valori sono risultati costanti indipendentemente dall’età, dal sesso, dal grado d’istruzione delle persone. La parola laico è stata compresa solo dal 49 % degli intervistati.

Un test su parole usate in materia d’economia, effettuati su casalinghe con istruzione non superiore alle elementari, ha dato solo il 5,2 % di risposte esatte. Lo stesso test, effettuato su operai di Milano con licenza Scuola media inferiore, hanno dato solo il 6,6 % di risposte esatte. Sempre lo stesso test, effettuato su impiegati romani con licenza Scuola superiore o laurea ha dato il 15 % di risposte esatte .Insomma a partire dalla politica che come abbiamo visto investe e condiziona profondamente la percezione del linguaggio radiotelevisivo manca il codice comune. Questo sta ad indicare che esiste un notevole squilibrio tra i codici di coloro che parlano e quelli di coloro che ascoltano, e siccome ci vorrà del tempo per elevare

culturalmente coloro che ascoltano, è necessario che coloro che parlano cambino i loro codici cioè attuino dei processi di semplificazione del loro linguaggio. Nella comunicazione radiofonica, come in quella televisiva, la comprensibilità può venire meno anche per cause tecniche (ad esempio per colpa di interferenze di altre stazioni) oppure a causa della riduzione del livello di attenzione.

2. Rifiuto del messaggio

Può accadere che, alle volte, il messaggio non venga correttamente interpretato o addirittura non venga interpretato affatto, perché il soggetto recettore rifiuta la notizia se questa è contrastante con le sue idee o convinzioni (per es. politiche o religiose); Ricordate che fu Umberto Eco a dire che la produzione di

significato dipende da una “cooperazione interpretativa” che si realizza tra i due poli di una comunicazione e che esiste il problema della decodifica aberrante, che si determina quando le intenzioni del ricevente non coincidono con quelle del mittente,-

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A tal riguardo, osserva Tinacci Mannelli che se il rifiuto non è totale, si possono verificare due tipi di distorsione: il soggetto recettore sceglie del messaggio sgradito solo quei punti che concordano con le sue opinioni preesistenti, prescindendo dal suo contesto, oppure seleziona in esso quella parte che pensa di poter rifiutare più agevolmente. Secondo il sociologo Kappler l’ascoltatore è portato a prestare maggiore attenzione alle notizie che riflettono le sue opinioni e meno attenzione alle altre.

3. Formazione del linguaggio radiofonico

Nella formazione del linguaggio radiofonico distinguiamo:

il momento creativo cioè l’ideazione e la preparazione del testo e quello espressivo Momento creativo

Nella fase ideativa la scelta degli argomenti non può prescindere dal mezzo espressivo. Anche se è possibile trattare per radio ogni tipo di argomenti, anche i più visivi, tuttavia chi si propone di attuare un programma radiofonico avrà cura di orientare le scelte su quei temi che possano suscitare risonanze profonde. Chi scrive per la radio deve fare finta di essere come uno dei tanti radioascoltatori. Al linguaggio radiofonico mancano i segnali mimici, cioè i segnali non linguistici come l’espressione del viso, i gesti, gli atteggiamenti che sono invece sfruttati nel linguaggio filmico e in quello televisivo. Ne consegue che chi scrive per la radio deve supplire in qualche modo a queste mancanze con opportune integrazioni testuali o come abbiamo visto sonore le quali, attraverso il solo processo auditivo, siano in grado di ricreare le situazioni volute. Una riflessione va fatta sui programmi di informazione, sul momento creativo di un giornale radio o di un’inchiesta radiofonica.

sottostare ad alcune regole fondamentali che un famoso direttore del Giornale Radio così enunciava:

“…bisogna tener conto che il lettore dei giornali stampati può saltare le notizie che non lo attraggono, mentre l’ascoltatore della radio è costretto ad ascoltarle tutte di fila per non perdere quelle che lo interessano..”

“Per questo le notizie debbono essere redatte con

 Chiarezza, che vuol dire sfrondare il testo dalle parole inutili, essere semplici, concisi;

 Sobrietà, che vuol dire evitare i troppi incisi, le digressioni, gli aggettivi superflui, i superlativi;

 Incisività, che vuol dire essere precisi, penetranti. Ricordarsi che l’ascoltatore, al contrario del lettore, non può tornare indietro e rileggere quello che, lì per lì, non ha capito; Occorre poi ricordare che si stanno leggendo notizie alla radio o alla televisione e quindi è indispensabile fare l’esatto contrario di quanto ci hanno insegnato a scuola a proposito delle ripetizioni di vocaboli. In una corretta informazione radiotelevisiva il soggetto deve essere ripetuto ad ogni inizio di frase.

Occorre, infatti, non solo avere riguardo degli ascoltatori che si sono messi in ascolto quando il testo era già in lettura, ma anche di quelli ai quali il soggetto, per una qualsiasi ragione, può essere sfuggito”.

Bisognerebbe anche limitare l’uso di parole straniere laddove esista un corrispondente termine italiano o quando il termine straniero non sia ancora entrato nell’uso corrente. Per esempio è inutile parlare di wellfare se poi solo il 4 % degli ascoltatori è in grado di conoscerne il significato.

Come hanno più volte osservato insigni operatori dell’informa-zione, il giornalismo italiano, sia della carta stampata sia della radiotelevisione, è affetto da una sovrabbondanza di frasi convenzionali e luoghi comuni

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che andrebbero eliminati a tutto vantaggio della comprensibilità. “L’uomo è stato portato all’ospedale dove è giunto ormai cadavere” invece di “L’uomo è morto mentre lo trasportavano all’ospedale”, più semplice e quindi più comprensibile. “Un automobilista di passaggio” e che cosa se no? fermo? Perché continuare a usare l’aggettivo conoscitiva ogni volta che si parla di indagine? Un’indagine può solo essere conoscitiva, perciò l’aggettivo è inutile. E che dire del coltello che è sempre acuminato, dell’intervento che è sempre delicato, del gesto che è sempre insano, della località che è sempre ridente, dello scherzo che è sempre di pessimo gusto, dell’asfalto che non è mai semplicemente bagnato ma è sempre reso viscido dalla pioggia. Il delinquente non viene portato in prigione o in carcere ma associato alle carceri.

Chi redige un testo culturale deve evitare lo stile erudito-didattico, ma entrare subito in argomento, senza inutili preamboli, facendo in modo di sviluppare in chi ascolta una serie di attese sempre più interessanti.

Attualmente l’ascolto della radio avviene mentre si svolgono altre attività (guida di un veicolo, esecuzione di lavori domestici) perciò il livello di attenzione non è molto elevato. Di questo debbono tener conto i

programmisti nel saper condensare i programmi culturali in tempi estremamente brevi e realizzati possibilmente sotto forma di dialoghi in modo da utilizzare più di una voce.

Momento espressivo

E’ ovviamente quello nel quale il programma è generato e potrà essere contestualmente trasmesso oppure registrato per una trasmissione differita. Per quanto riguarda le voci abbiamo due scuole di pensiero: quella che predilige lettori professionisti (Radio Vaticana e vecchia RAI ) e quella, ormai da anni affermatasi, di lasciare la più ampia libertà alle voci di chiunque, anche non professionista della dizione. I giornali radio ormai sono letti dagli stessi giornalisti che hanno redatto le notizie e vengono tollerate pronunce imperfette, con cadenze regionali e non sempre fonogenicamente gradevoli. Non costituisce proprio il massimo del godimento ascoltare voci di alcuni giornalisti con r mosce e s strisciate, e di altri che sembra vogliano vincere la medaglia d’oro alle olimpiadi della velocità, per non parlare dei farfugliatori e dei masticatori delle finali delle parole.

Il momento espressivo è caratterizzato da un sapiente gioco dei tre elementi fondamentali voci, suoni e rumori, che costituiscono la regia del programma, regia che imprime al programma un suo proprio ritmo e quindi uno stile. E’ il caso di cui abbiamo già parlato di Sceneggiati e programmi di prosa radiofonici.

Lo stile risulta particolarmente evidente negli sceneggiati e nei lavori di prosa nei quali un buon uso dei piani sonori danno all’ascoltatore sensazioni di gran realismo. Distinguiamo i primi piani, riservati ai dialoghi e a un eventuale narratore, e i secondi piani, utilizzati per dare l’impressione che la scena si svolge in lontananza; in alcuni casi è usato anche il primissimo piano, per esprimere i pensieri di un personaggio o le sue impressioni nel sogno o durante un incubo, con eventuali effetti di alonatura. Si usano anche le

dissolvenze e le assolvenze che corrispondono rispettivamente all’idea di un allontanamento o

avvicinamento dell’ambiente sonoro. Spesso vengono utilizzati entrambi gli effetti (e si ha quella che viene chiamata dissolvenza incrociata) per indicare il passaggio da un ambiente all’altro.

Gli sceneggiati sono sempre registrati e sottoposti a un lavoro di edizione (editing ) nel corso del quale vengono inserite musiche e rumori e effettuate tutte le operazioni di montaggio. Anche le trasmissioni di approfondimento dell’informazione e le trasmissioni culturali vengono talvolta sottoposte all’editing.

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4. La radio e il telefono

Nel gennaio 1969 una fortunata trasmissione dette l’avvio a un nuovo modo di “fare la radio”. Gli ascoltatori chiamavano al telefono i conduttori della trasmissione ponendo domande o esponendo i propri desideri o problemi. Lo studio si collegava con una serie di esperti (psicologi, sociologi, medici, ecc.) che rispondevano alle domande. L’idea di far partecipare il pubblico ad una trasmissione mediante collegamento telefonico non era del tutto originale, perché era stata già utilizzata in altre trasmissioni, ma questa volta il successo fu superiore ad ogni aspettativa. Da allora il telefono è diventato, per l’ascoltatore, lo strumento per

intervenire nelle trasmissioni più varie, da quelle di varietà come i quiz a quelle più serie come la rassegna stampa del mattino. La formula si è dimostrata vincente ed è attualmente utilizzata anche in numerose trasmissioni televisive. Il boom fu con il famoso gioco dei fagioli di Raffaella Carrà

5. I programmi musicali

La maggior parte di tutta la produzione radiofonica è costituita da programmi musicali. Come acutamente osserva Umberto Eco “la radio ha messo a disposizione di milioni di persone un repertorio musicale che un tempo era patrimonio di poche classi elette.” Prima dell’invenzione della radio solo le classi sociali più agiate potevano permettersi di frequentare i teatri nei quali, nei secoli trascorsi, venivano rappresentate opere liriche e talvolta concerti di musica sinfonica.

Ebbene, possiamo affermare che la radio e anche la televisione hanno effettuato una vera e propria democratizzazione della musica permettendo anche alle classi medie e popolari di accedere alla cultura musicale dalla quale erano escluse.

Ma grazie alla radio anche le classi colte traggano beneficio: sono, per esempio, messe in condizione di conoscere tutti quei brani, storicamente meno eseguiti nei teatri e nelle sale di concerto perché ritenuti di scarso interesse, che permettono tuttavia di approfondire le conoscenze del repertorio (diffusione del repertorio).

La radio e la televisione stimolano poi la promozione di manifestazioni musicali e quindi costituiscono un incoraggiamento all’ascolto diretto dei concerti.

Se poi consideriamo il campo della musica cosiddetta leggera, radio e televisione, ma in particolar modo la radio, sono attualmente considerati i principali strumenti per la conoscenza delle novità e i veicoli più importanti, in quanto più penetranti, per la pubblicità delle novità discografiche.

Ne è nata una forma di sudditanza nei confronti dei discografici di cui la radio ha subito l’iniziativa mentre invece avrebbe dovuto svolgere una funzione pilota e non di adattamento, per di più in ritardo, alle nuove tendenze. Tuttavia al di là di alcuni atteggiamenti critici rivolti a questa presunta mancanza di rinnovamento, rimane il fatto che la televisione e soprattutto la radio si pongono come straordinari strumenti di

informazione musicale.

6. Modificazioni della radio dopo l’avvento della TV

Con l’arrivo del servizio televisivo si verificano notevoli mutamenti nei comportamenti degli utenti. In pochissimi anni la televisione si estende a quasi tutto il territorio nazionale; i prezzi dei televisori calano sensibilmente e di conseguenza cresce il numero dei telespettatori. Alla fine degli anni ’50 tuttavia il numero degli abbonati alla radio è ancora di gran lunga superiore agli abbonati alla televisione, ma anno dopo anno si assiste a un travaso delle utenze in progressivo aumento. La radio da strumento di ascolto di gruppo

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(famiglia) diviene strumento di ascolto individuale. Il gruppo familiare è raccolto davanti al televisore ma i giovani rifiutano il gruppo e preferiscono andare ad ascoltare la loro radiolina personale. Gli adulti ascoltano la radio in automobile recandosi in ufficio o tornando dal lavoro. La televisione si pone perciò come

strumento accentrante e la radio come strumento decentrante. I programmi radiofonici subiscono forti cambiamenti nel tentativo di mantenere gli utenti. Vengono messi in opera programmi differenziati che si rivolgono agli anziani, alle casalinghe, ai giovani. Soprattutto a favore di questi ultimi si sviluppano

programmi musicali condotti dal disc-jokey secondo uno stile introdotto da Radiomontecarlo ma seguito a ruota dai programmi Rai. I programmi di varietà vengono collocati in orari meridiani nei quali la televisione non trasmette. Altra trasmissione da esaminare sono i dibattiti

Sono una delle forme più classiche della radiofonia e della televisione dove vengono più spesso chiamati con il termine inglese talk show . Dibattere un tema può apparire facile ma nella realtà implica un impegno organizzativo notevole. Occorre effettuare la scelta di un tema che sia di attualità e conseguentemente scegliere i partecipanti, tra persone competenti a trattarlo. Personaggio chiave del dibattito è il moderatore, che deve possedere forte personalità per condurre la discussione in termini comprensibili, evitando che i partecipanti parlino contemporaneamente dandosi sulla voce; spesso deve ripetere, con parole più semplici, quelle tesi spesso espresse dai partecipanti in forma involuta e con l’uso di termini difficili, ma soprattutto deve evitare che i partecipanti vadano fuori tema. Il moderatore non dovrebbe mai esprimere proprie opinioni, né far sue quelle di qualche partecipante, ma dovrebbe riuscire a mantenere una posizione neutrale e riassumere frequentemente le varie posizioni, dando un ritmo ma anche una progressione al dibattito, in modo da giungere a una conclusione nei tempi stabiliti.

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Lezione n. 8

EVOLUZIONE DEL LINGUAGGIO TELEVISIVO

Con la fine del monopolio RAI , avvenuta nel 1975, e la conseguente moltiplicazione dei canali e quindi dell’offerta televisiva, il linguaggio della televisione cambia profondamente. La vecchia televisione (quella dal 1954 al 1975) aveva un palinsesto nel quale i singoli programmi si presentavano come blocchi omogenei al loro interno e ben distinti gli uni dagli altri, distribuiti secondo un criterio di ripetitività settimanale con appuntamenti ricorrenti. Un programma di approfondimento giornalistico come TV7 era ben diverso da una trasmissione culturale come “L’approdo”, così come uno sceneggiato non poteva essere confuso con un film.

Ciascun programma era annunciato da una “speakerina” e preceduto da una sigla - talvolta c’era anche la sigla in chiusura – la quale costituiva un carattere identificativo del programma stesso. I registi, nelle inquadrature, facevano largo uso di primi piani e piani medi per rispettare le esigenze del piccolo schermo [43] e i movimenti di camera erano assai limitati, anche perché una sola delle tre telecamere era

motorizzata

Nella nuova televisione, che comincia alla fine degli anni ’70, ma che si sviluppa soprattutto negli anni ’80 e

’90, la gran parte dei programmi perde quei caratteri forti di delimitazione, tipici della vecchia televisione, le sigle si contraggono, gli annunci si fanno sempre più rari, più generi vengono accorpati in un unico

programma che prende la forma di un contenitore , il quale nasce come una grande cornice atta a

contenere un po’ di tutto. “Domenica in…”, iniziato nel 1976 e tutt’oggi ancora trasmesso, anche se col titolo leggermente modificato, viene indicato come il primo programma contenitore

Con il nuovo linguaggio televisivo il palinsesto non è più strutturato per appuntamenti settimanali ma è organizzato per appuntamenti quotidiani. La pubblicità che nella vecchia televisione aveva una collocazione oraria ben precisa e una durata ragionevolmente lunga, viene spezzettata in inserti di breve durata e trasmessa non solo tra un programma e l’altro, ma anche all’interno dei programmi stessi, i quali vengono frequentemente interrotti.

Il linguaggio televisivo cambia anche:

 Nel ritmo delle riprese, che diviene più veloce, facendo ricorso a sequenze più brevi, e quindi a una narrazione più spedita;

 Nelle inquadrature, che sfruttano un numero maggiore di telecamere, comprese quelle come la steadycam per le carrellate veloci, o la flycam che consente riprese dall’alto;

 Nel montaggio, nel quale è facile osservare salti bruschi dai dettagli ai totali.

1. Il serial e la serie

Nel 1981 la RAI acquista i diritti di un serial americano di successo chiamato “Dallas” ma commette il grave errore di accorpare più puntate scegliendo gli episodi ritenuti migliori, per di più sovvertendo la sequenza delle puntate originali, e di trasmetterlo settimanalmente (secondo i vecchi canoni) nel tentativo di trasformare il serial in uno sceneggiato televisivo. Fu un fiasco. Qualche tempo dopo, scaduti i diritti della RAI, Canale 5 acquistò il programma e lo trasmise due volte la settimana rispettando le durate e la sequenza originale e fu un successo.

Gli anni ’70 e ’80 sono, per l’appunto, caratterizzati dalla presenza massiccia, sui canali pubblici e privati, di fiction televisiva costituita dalla serie e dai serial

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A differenza del serial che è un racconto diviso in numerose puntate, la serie è un modello di fiction costituita da più telefilm - aventi analogo soggetto e stessi interpreti - ciascuno dei quali racconta un episodio completo. Vanno ricordati “Magnum P.I.”, “Quincy”, “Tenente Colombo” ecc.

La tv commerciale la pressione della concorrenza, la pressione anche del mondo esterno che chiede alla televisione di essere il tramite della comunicazione consumistica di massa fanno irrompere la pubblicità nel sistema

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Lezione n. 9

IL LINGUAGGIO DELLA PUBBLICITA’

qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi oppure la prestazione di opere o di servizi Origini storiche: la comparsa di messaggi promozionali nella televisione è datata 3 febbraio 1957 (Carosello) con la formula del racconto breve, due minuti di spettacolo cui seguiva un rapido advertising, che diventò un appuntamento di grandissimo richiamo popolare.

Ogni sera, dopo il telegiornale, al suono di trombe e mandolini, dietro un sipario inventato dallo scenografo Giulio Coltellacci, si susseguono le piazze e le fontane più celebri d'Italia disegnate dalla matita di Artioli.

Carosello rappresenta una storia di costume e, nello stesso tempo, di linguaggio e di creatività, creatore di un vero è proprio star-system (Macario, Peppino De Filippo, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Nino Taranto, Dario Fo, Raimondo Vianello, Carlo Giuffrè, Renato Rascel, Paolo Panelli, Totò); il programma pubblicitario stimolò la fantasia di più di un autore (Age e Scarpelli, Gillo Pontecorvo, Lina Wertmuller, Dino Risi, Ermanno Olmi, Pupi Avati, i fratelli Taviani, Sergio Leone, Ugo Gregoretti, Federico Fellini). Esistevano dei divieti:

sesso, adulterio, lusso eccessivo, oggetti superflui, e nessuna creazione di troppi desideri e odio di classe.

L'obiettivo pubblicitario era il tentativo di dare una giustificazione artistica a una forma di comunicazione merceologica, e l'esito fece nascere un gusto ed un linguaggio per nulla banali. C’è un linguaggio nuovo che avanza, dei colpi di genio e di creatività che segnano il linguaggio comune e che soprattutto invertono un trend. Erede della radio la tv ne aveva preso in prestito anche un linguaggio spostato verso l’espressione verbale. La pubblicità lo muta in modo evidente

Il cambiamento: all'inizio degli anni '80, con lo sviluppo delle emittenti private commerciali, la televisione andava trasformandosi su un modello commerciale fondato non sulla produzione di programmi, troppo costosi e sui quali il margine di concorrenzialità con la Rai era ancora a sfavore, ma sulla produzione di pubblico, ottenuta attraverso un intelligente sfruttamento della risorsa pubblicitaria. Fare televisione diventava da quel momento un business come un altro, con le sue regole, i suoi obiettivi, le sue strategie.

Silvio Berlusconi, proprietario di Canale 5 e Italia1 e Retequattro, da un punto di vista delle opportunità, fu il primo ad avere il merito di capire che il motore pubblicitario era il vero centro propulsivo della televisione privata: la vendita degli spazi pubblicitari, fattore essenziale per acquisire risorse, non poteva essere delegata ad altri, che avrebbero finito per controllare l'impresa televisiva; l'investimento sui programmi, in una dimensione che non fosse condannata a rimanere localistica, era talmente elevato che, per finanziarsi, doveva necessariamente ricorrere alla pubblicità nazionale.

La nuova televisione: con l'obiettivo primario di "produrre pubblico", cambia la logica della costruzione dei palinsesti secondo un preciso ordine marketing oriented; i network sviluppano una strategia del tutto opposta a quella della prima fase dell'emittenza locale riqualificando le tecniche di scrittura del palinsesto, e cercando di rendere effettivamente catturabile il maggior numero di spettatori potenziali. L'allungamento degli orari di trasmissione, e il massiccio aumento dei generi di acquisto furono i primi livelli sui quali venne impostato il cambiamento. La seconda intuizione fu quella di organizzare gli appuntamenti dei programmi in senso orizzontale e quotidiano, replicando lo stesso schema per fasce orarie durante tutti i giorni della settimana, e con l'acquisto di programmi seriali e a basso costo per fidelizzare fasce di pubblico. Nell'offerta della televisione commerciale i programmi, ancor prima di sedurre il pubblico, devono essere di gradimento per gli investitori, i quali selezionano target che la televisione tende a creare ed a offrire agli inserzionisti. Si vanno definendo anche le strategie di creazione di un brand di impresa, che renda l'immagine

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dell'emittente legata ad una certa politica di palinsesto, che identifichi un determinato pubblico (avviene, ad esempio, con la riforma della Rai che mise in risalto reti e testate con la creazione della sfera, del cubo e della piramide).

Con la nascita delle televisioni tematiche, si offrono agli inserzionisti nuove opportunità, in primo luogo dei target molto più definiti, con promozioni commerciali che raggiungono un pubblico non numeroso, ma con qualità più definite. La pubblicità mirata avrà ancora più spazio negli anni futuri, quando nascerà la

televisione interattiva che permetterà di ottenere dagli utenti moltissime informazioni (derivanti dalle scelte che compiono sulla piattaforma e dai dati che rilasciano per usufruire dei servizi a valore aggiunto), e costruire così dei target precisi su cui veicolare pubblicità addirittura personalizzata.

Ecco di seguito le principali imprese di produzione italiane di filmati pubblicitari, in ordine di fatturato (stime '99 in MLD di lire):

Film Master, 87 Brw & Partners, 69 Filmgo, 27

Nemo Production, 22 Motion Picture House, 19 Mercutio Cin, 15

Cineteam, 13 Videco , 11 Herald, 10

Central Milano, 10

Le case di produzione italiane operano in un mercato nazionale molto frammentato, ma competono con sempre maggiore autorevolezza sul mercato internazionale per aggiudicarsi le commissioni dei clienti stranieri importanti come Swatch, da sette anni cliente di Filmgo, o Coca-Cola, per cui BRW ha programmato una campagna a livello internazionale. E ancora Philiphs, Microsoft, Rover e Canon, clienti di Film Master che hanno dato ampia visibilità della società all'estero.

Il business degli spot

L'attuale mercato televisivo in chiaro, distinto da quello a pagamento, è dominato da due operatori dominanti, RAI e Rti-MEDIASET, che raccolgono rispettivamente il 35% e il 61% della pubblicità televisiva nazionale. Alle reti minori resta meno del 5% delle risorse. Per abbattere tale barriera è opportuno attendere l'avvento del digitale terrestre che moltiplicherà i canali e ridistribuirà, almeno teoricamente, le risorse del mercato nel rispetto della normativa antitrust prevista dalla Legge 249/97. Ecco di seguito il fatturato da pubblicità delle emittenti nazionali (incluse le televendite. Valori espressi in MLD di lire):

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1998 1999 2000 %,00

RAI Spa 1.678 1.851 2.070 35

Rai uno 971 1.069 1.073

Rai due 480 529 729

Rai tre 227 253 269

Rti Spa 2.899 3.185 3.582 61

Canale cinque 1.645 1.815 2.091

Rete quattro 753 853 965

Italia uno 501 517 526

Tv Internazionale Spa 29 62 96 1.6

Mtv Italia Srl 37 33 19 0.3

Europa Tv Spa 23 24 31 0.5

Prima Tv Spa - 5 6 0.1

Television Br. S. Spa 4 4 6 0.1

Rete A Spa 25 25 25 0.4

Elefante Tv Spa 9 12 12 0.2

Home S. Europe Spa 15 17 17 0.3

TOTALE 4.710 5.205 5.852 100

1. Spot pubblicitari

Lo spot rappresenta un messaggio della durata media di 30 secondi inteso a promuovere la vendita o il noleggio di un prodotto o di un servizio, a sostenere una causa o un'idea o a generare qualche altro effetto nei confronti dell'inserzionista. La durata può essere anche inferiore a quella media, e solitamente viene utilizzata in un secondo blocco di passaggi da utilizzarsi in un periodo temporale successivo a quello della

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messa in onda integrale (cioè, quando il messaggio è divenuto familiare). La tecnica narrativa utilizzata è spesso quella del racconto, realizzato sia con tecnica elettronica che cinematografica, e i protagonisti possono essere attori noti e non noti (che spesso divengono famosi proprio grazie alla pubblicità creando un proprio star-system). Esistono piccole imprese di produzione, a cui si rivolgono le agenzie di pubblicità, che sono specializzate nella realizzazione di questo tipo di prodotto.

La pubblicità ha influenzato la produzione televisiva favorendo la nascita della neotelevisione, anche dal punto di vista dei linguaggi. Il suo ritmo, il montaggio, l'uso delle immagini, le emozioni e suggestioni che cerca di evocare, hanno permeato la maniera neotelevisiva di concepire il programma.

Ristabilendo il normale rapporto immagini-parole, tipico dei testi audiovisivi, la pubblicità ha fatto riscoprire alla televisione, sempre più fatta di parole, la forza comunicativa dell'immagine come veicolo forte di contenuti non subordinati, anzi assolutamente capaci di indipendenza e autonomia dalle parole.

Provate a chiudere gli occhi e a pensare a qualche immagine pubblicitaria, a qualche slogan. Quanti ve ne vengono in mente? Innumerevoli, certamente. La pubblicità non è più solamente sui giornali, sui mezzi pubblici, alla radio, in televisione, per strada… Oggi ce la ritroviamo, letteralmente, ovunque: sui biglietti dell’autobus, sul telefonino, sulle e-mail che inviamo e riceviamo ed in tanti altri luoghi che sarebbe impossibile elencare tutti.

Del resto, in una economia basata sui consumi, come quella in cui viviamo, la pubblicità rappresenta il motore che muove tutto il sistema, attraverso la sua forza comunicativa, la sua capacità di persuadere. Non è sufficiente, infatti, descrivere semplicemente un prodotto, come potrebbero fare i mezzi di informazione:

la pubblicità ha il compito di sollecitare, nel pubblico cui si rivolge, la consapevolezza di un ‘bisogno’, reale o indotto, che possa essere poi soddisfatto attraverso l’acquisto del prodotto reclamizzato. Il messaggio pubblicitario è frutto di molti studi e riflessioni, forse più accurati e più costosi degli articoli dei giornali o dei programmi televisivi ai quali fa da contorno.

Le immagini, in questo tipo di comunicazione, hanno sicuramente la prevalenza sul linguaggio: esse devono essere ambigue, allusive, evocative, capaci cioè di veicolare messaggi che influiscano sulle emozioni del pubblico. Il ‘consiglio per gli acquisti’ deve colpire il consumatore nelle sue fragilità, nelle sue debolezze, ma anche nelle sue aspirazioni al cambiamento, al miglioramento.

Ad esempio, per gli adolescenti potrebbe funzionare l’osservazione: ‘non hai amici perché il tuo alito è cattivo’. Una volta che il pubblico più giovane si sia riconosciuto nel problema, gli si offre prontamente la soluzione: ‘prova con questa caramella…’ E poi lo si rassicura sulla scelta: ‘Molte persone prima di te l’hanno fatto’, oppure ‘test clinici lo dimostrano’, oppure ‘è raccomandato da…’.

Se una volta la pubblicità faceva largo uso di imperativi, del tipo: ‘Compra questo’, ‘Indossa quell’altro’,

‘Scegli quest’altro ancora’, recentemente la comunicazione è diventata molto più soft, con suggerimenti quasi sussurrati, che evocano emozioni positive, amore, felicità, passioni, armonia con la natura, ecologia, perfino immortalità… riflessioni profonde e sociali

Ciò nonostante, sarebbe sbagliato generalizzare: la pubblicità infatti cambia completamente a seconda del pubblico cui si rivolge: oggi le scelte dei ‘creativi’ tengono conto del ‘target’, cioè del gruppo ristretto di consumatori che si vogliono sollecitare. Un prodotto molto costoso, acquistabile ad esempio da donne di elevato livello sociale, proporrà personaggi che si muovono in ambienti di lusso, ben vestiti, circondati dai simboli del potere e del successo: macchine sportive, ville con piscina, alta tecnologia, luoghi inaccessibili ai più.

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A questo scopo possiamo osservare l’uso sempre più frequente di slogan espressi in lingue straniere, soprattutto inglese e francese. Quale è il vantaggio, ci si potrebbe chiedere, dal momento che non tutti conoscono queste lingue? Il vantaggio della lingua straniera consiste nel poter mirare direttamente ad un target di persone acculturate, soprattutto giovani, che magari aspirano ad una posizione sociale più elevata e che pertanto possono essere favorevoli all’acquisto di quel prodotto come status symbol, per essere meglio accettati dal gruppo sociale cui desiderano appartenere.

Accanto a questi slogan altamente raffinati, destinati ad un pubblico di consumatori di fascia medio-alta, la pubblicità si occupa, ovviamente, anche della gente comune, di quella che compra ad esempio detersivi , mozzarelle, caffè, ecc. e che va ogni tanto a prendersi un aperitivo (economico) al bar. Ma accanto a questa evoluzione esiste una stile pubblicitario in grado di attraversare tempi e mutamenti. Un cult la cui incisività l’ha reso famoso in tutto il mondo è lo spot della Lagostina , linea . Osvaldo Cavandoli grande disegnatore morto a milano esattamente un anno fa, la inventa nel 1970

Immagine, essenzialità, linguaggio innovativo. Tanto attuale che una recentissima campagna pubblicitaria portoghese 39 anni dopo ha un successo incredibile acquistando l’idea.

La psicologia della pubblicità in questi ultimi cinquanta anni è molto cresciuta ed opera con sondaggi di opinione e studi sulle motivazioni che sono alla base dell’acquisto di un prodotto. Ciò permette di studiare gli atteggiamenti dei consumatori nei riguardi di una determinata merce, gli interessi che essa solleva, le motivazioni per cui la si acquista o le si preferisce un altro prodotto. L’obiettivo di questi studi è quello di conoscere i gusti dominanti dei consumatori per cambiare il prodotto in base ai nuovi trend, oppure tentare di cambiare i gusti dei potenziali acquirenti, per adattarli all’immagine del prodotto.

Le tecniche di comunicazione utilizzate sono persuasive, suggestive, seduttive, a volte anche in modo occulto, o subliminale (vedi i frequenti nudi femminili, apparentemente fuori dal contesto, che però servono per far associare, a livello inconscio, il prodotto al proprio desiderio sessuale). Un discorso a parte meritano i così detti ‘testimonial’, ovvero quei personaggi famosi, che si prestano a pubblicizzare il prodotto, talvolta dichiarandosene utilizzatori abituali. Questo tipo di pubblicità funziona moltissimo, perché per convincere è necessario, tra l’altro, che la fonte dell’informazione sia conosciuta, autorevole e, soprattutto, credibile:

quasi come una garanzia scritta.

Negli ultimi anni l'innesto sempre più massiccio dei segni iconici ha fatto sì che nel messaggio pubblicitario il registro visivo finisse con il prevalere nei confronti del registro verbale.

Da un lato abbiamo, come oggetto di indagine, delle vaste configurazioni semantiche che incominciano ad interessarci a livello degli iconogrammi; dall’altro si possono elaborare definizioni di una possibile retorica visiva.

Si tratta in altre parole di indagare i codici iconografici, i linguaggi del gusto, degli stili e delle sensibilità visivi che, associati ai riferimenti insiti nel nome del prodotto, contribuiscono a crearne l’immagine. Scelto il nome, la strategia pubblicitaria si sviluppa nel senso della sua espressione grafica: Ai sensi figurali di tipo iconico si affianca una serie di relazioni extra-linguistiche connesse alla pura percezione visiva, per cui il logotipo del nome viene ad assumere una maggiore o minor pertinenza in relazione ai contrasti cromatici, ai primi piani e agli sfondi, al corpo stesso del carattere scelto.

L’immagine pubblicitaria ha trovato uno dei suoi primi chiosatori in Barthes, il quale ipotizza che in essa si possano rintracciare figure significanti comuni alla pittura, al racconto e al sogno; tali figure, o "miti"

culturali, si organizzano a formare "mitologie" il cui principio unificante è la natura ideologica. Ciò che il

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fruitore di messaggi assimila, afferma Barthes, è il messaggio letterale e insieme quello culturale, quello ideologico e quello etico, e in tale meccanismo risiede la forza dell’immagine di massa. La dimensione dell’immagine assume dunque un peso decisivo nella comunicazione in generale; in ambito pubblicitario essa risulta strettamente correlata agli altri codici comunicativi in ogni tappa del processo creativo.

Anche la nomenclatura dei prodotti industriali si basa sulla prevalente associazione visiva:

la scelta dei caratteri tipografici, talora anche la riproduzione d’una firma (per esempio Liebig o Gillette), la presenza d’un emblema figurato, d’un marchio, fa corpo inscindibile col nome, ne costituisce per così dire il vero ‘significato’. Nell’etichetta, nell’insegna, nel marchio di fabbrica, l’elemento linguistico è dunque intimamente legato con quello visivo o tattile, extra-linguistico". La tecnica si chiama del naming.

Il richiamo affettivo, di fondamentale importanza per stabilire un legame fra il prodotto e il destinatario, è dato dalla visualizzazione, attraverso il nome, della figurazione dell’etichetta: così molti nomi evocano direttamente l’etichetta o il marchio, spesso invece è lo stesso slogan a suggerire il nome dando luogo a un conglomerato sintattico. Il nome commerciale o pubblicitario è dunque un "cartellino" appeso alla merce che, attraverso la quotidiana riproposizione, si fissa negli occhi e nella mente del consumatore.

Lo studio della confezione – la progettazione di ogni suo particolare funzionale ed estetico – assume nella comunicazione pubblicitaria un’importanza determinante poiché costituisce il veicolo dell’impatto del prodotto sul consumatore insieme al nome industriale, con cui è in stretto rapporto.

Un altro esempio di questo tipo di meccanismo è quello dell’immagine di Anitra WC, prodotto per la pulizia del water. Anche in questo caso è la confezione, dalla forma funzionale e gradevole, a esprimere la qualità del prodotto e a indirizzare il senso della comunicazione pubblicitaria: la linea sinuosa del beccuccio sollecita il rinvio al nome del prodotto, in un gioco di reciproco rafforzamento fra packaging e naming.

La pianificazione pubblicitaria ha l’obiettivo primario di creare intorno al prodotto una griglia di rinvii simbolici, psicologici e culturali che, per essere efficaci, devono inserirsi nel contesto sociale di destinazione sollecitando una ricezione immediata e facilitando la decodificazione del messaggio veicolato; l’operazione richiesta è dunque di natura semiologica, di attribuzione di senso e di costruzione di allusioni. Si tratta in definitiva di attribuire al prodotto un’identità, un nome sociale, una rappresentatività. In questo senso la confezione,

Sempre più frequentemente il linguaggio della visione è utilizzato in pubblicità come tramite principale o esclusivo del messaggio, che viene ad articolarsi attraverso una serie di immagini che costruiscono una situazione o un racconto.

Se la parola è in grado di fornire rappresentazioni mediate dalla descrizione e si configura dunque come strumento prevalentemente razionale, l’immagine – che come l’elemento verbale utilizza concatenazioni di segni, ossia di grafie e figure che veicolano un significato altro da loro - possiede al massimo grado la capacità di ricostruire situazioni reali o immaginarie nelle quali il rapporto con l’oggetto è concreto e immediato, carico di un’emotività che rende il messaggio pubblicitario qualcosa di estremamente "vicino"

alla sensibilità di chi lo recepisce.

La definizione, per la contemporaneità, di "civiltà dell’apparenza" non pare essere dunque casuale:

l’immagine è il motore principe di ogni scambio comunicativo, e ciò vale a maggior ragione per i rapporti che hanno luogo fra società e mondo produttivo,

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Dall’articolazione dei modi e mezzi della comunicazione, che sfrutta l’artificio retorico mediante il quale l’elemento verbale e quello comunicativo assumono valore e senso, deve emergere l’immagine aziendale e delinearsi il profilo di una corporate identity socio-culturale che vede la sua completa realizzazione

nell’incontro fra messaggio e consumatore.

L’intreccio dei diversi codici, in particolare del visivo e del verbale, può essere osservato con profitto nella pubblicità televisiva, la quale permette di verificare che, se spesso le pratiche applicate entro i vari codici rispondono a leggi corrispondenti, gli effetti che ne derivano possono essere diversi a seconda che prevalga l’uno o l’altro o che invece si realizzi il loro equilibrio formale e strutturale.

Conclusioni

La lingua della pubblicità è stata definita "una lingua centrifugata". Fra le tante, sembra una delle definizioni più calzanti per un tipo di messaggio che spesso si avvicina alla perdita totale di senso, e comunque se ne fa portatore in modo decisamente anomalo.

La lingua della pubblicità è nel suo complesso caratterizzata da un fenomeno che abbiamo definito di iconicizzazione, un processo che trova la sua completa realizzazione nella pubblicità televisiva ma che sta diffondendosi rapidamente anche in altre forme della comunicazione sociale.

Nel registro pubblicitario televisivo si rileva un altro fenomeno connesso con il rapporto fra parola e immagine: l’immagine sembra indebolire il linguaggio diminuendone la valenza figurale.

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