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1. Stato dell’Arte

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Academic year: 2021

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1. Stato dell’Arte

La storia della chirurgia degli ultimi quindici anni è stata caratterizzata dall'avvento della chirurgia laparoscopica. Le procedure mini-invasive, basate sull'utilizzo di una videocamera miniaturizzata e di strumenti specifici per l’uso endoscopico, hanno permesso di eseguire le differenti procedure chirurgiche addominali senza ricorrere ad estese incisioni. I vantaggi che tale evoluzione ha portato sono stati notevoli: un ridotto sanguinamento intra-operatorio, un ridotto dolore postoperatorio, un minore impatto psicologico delle operazioni, un minore decorso post-operatorio e indubbi vantaggi estetici per il paziente. Tale tecnica ha però richiesto ai chirurghi di adattarsi a operare con un ristretto campo di vista operatorio e con una minore libertà di movimenti rispetto a quanto erano abituati nella chirurgia tradizionale. Ciò è dovuto al fatto che si è passati da un accesso chirurgico basato su di una ampia incisione addominale a piccole incisioni (di 10÷12 mm di lunghezza) dalle quali far passare il sistema di visione e gli strumenti laparoscopici.

Nell’ultimo decennio l’innovazione tecnologica e la ricerca scientifica in campo biomedico hanno fatto ulteriormente progredire la chirurgica minimamente invasiva. In particolare, le piattaforme robotiche chirurgiche, sviluppate a partire dalla fine degli anni novanta, delle quali il sistema da Vinci è il membro più famoso e conosciuto, sono nate con la finalità di restituire ai chirurghi parte della destrezza e della libertà di movimento che si erano perdute nel passaggio dalla open-surgery alla chirurgia laparoscopica. A questi obiettivi si aggiungeva anche lo sviluppo di sistemi di imaging di qualità sempre crescente che, nel caso specifico del sistema da Vinci, hanno portato alla resa di una visione tridimensionale grazie a due sistemi ottici separati e visori stereoscopici. Purtroppo tali piattaforme restano, ad oggi, ulteriormente perfezionabili. In particolare, la loro applicazione risulta ancora piuttosto invasiva, dato che richiedono almeno quattro incisioni della parete addominale; inoltre i sistemi di visione adottati estraniano il chirurgo dall’ambiente in cui lavora e, soprattutto, dal paziente.

Tecniche come le chirurgia laparoscopica a singolo accesso (SPL) o la chirurgia endoscopica transluminale da orifizio naturale (NOTES) sono state sviluppate proprio per minimizzare l’invasività. Purtroppo tale obiettivo è raggiunto a discapito della destrezza e della libertà di movimento e di visione del chirurgo.

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4 Da quanto detto finora, è facile intuire come un approccio capace di fondere i vantaggi della chirurgia robotica con la non-invasività propria delle tecniche SPL e NOTES possa essere il futuro della chirurgia. Questa nuova area della ricerca, denominata robotica chirurgica in-vivo, sta prendendo sempre più piede nel paradigma chirurgico mondiale. Il presente lavoro di tesi si inquadra proprio all’interno di tale nuova frontiera dello ricerca tecnologica biomedica, andando ad affrontare lo sviluppo di un sistema mobile di visione stereoscopica utilizzabile nell’ambito della chirurgia a singolo accesso.

Nel seguito del capitolo verrà analizzato lo sviluppo della chirurgia appena presentato, descrivendo nel dettaglio lo stato dell’arte delle tecnologie e delle procedure utilizzate. In particolare si focalizzerà sull’analisi dei pregi e dei difetti di tali sistemi così da poter fornire una giustificazione ben inquadrata al seguente lavoro di tesi.

1.1 Dalla Chirurgia Tradizionale alla Chirurgia Laparoscopica

Le procedure di chirurgia tradizionale di tipo aperto (open-surgery) (figura 1.1) richiedono incisioni abbastanza grandi da consentire al chirurgo di posizionare le sue dita e gli strumenti operatori direttamente nel sito operatorio. Tale trauma porta ad un elevato dolore postoperatorio e a lunghi tempi di ricovero, oltre ad un alto impatto estetico per le ampie cicatrici. Tuttavia, se si analizza la chirurgia tradizionale dal punto di vista del chirurgo che effettivamente esegue l’operazione, si possono individuare degli indiscutibili vantaggi in questo tipo di procedure. In primo luogo il chirurgo ha una visione diretta del campo operatorio, dato che la regione sulla quale sta agendo è direttamente davanti ai suoi occhi. In secondo luogo il chirurgo si trova ad operare in una posizione dall’ergonomia pressoché perfetta: non ha infatti alcun impedimento fisico nei suoi movimenti e l’asse occhio-mano è garantito.

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Figura 1.1. Una tipica procedura di chirurgia tradizionale aperta.

L’avvento, nei primi anni novanta, della chirurgia minimamente invasiva (Minimally Invasive Surgery, MIS), e in particolare della chirurgia laparoscopica, ha drammaticamente cambiato il panorama chirurgico. La laparoscopia è una tipologia di MIS nella quale una regione del corpo, solitamente l’addome, è raggiunta per mezzo di 2÷5 piccole incisioni, da 0,5÷2 cm di lunghezza, chiamate porte. In figura 1.2 si ha un confronto diretto tra open-surgery e chirurgia laparoscopica, nel quale è possibile osservare il profondo cambiamento, soprattutto in termini di invasività di una operazione chirurgica, che la seconda ha apportato.

Figura 1.2. Confronto visivo di come una stessa procedura di colecistectomia veniva eseguita con la chirurgia tradizionale e con una tecnica laparoscopica.

La rapida adesione alle tecniche laparoscopiche da parte della comunità chirurgica negli anni novanta seguiva di fatto decadi di sviluppo. Le tecniche e la strumentazione laparoscopica risalgono difatti al XIX secolo. Lo sviluppo però di procedure sicure e di migliori strumenti nei primi anni novanta, ne ha causato la rapida adesione. Ad oggi, quasi un terzo delle circa cinquanta milioni di procedure chirurgiche eseguite annualmente negli Stati Uniti utilizzano tecniche minimamente invasive; circa un terzo di queste sono eseguite laparoscopicamente [1].

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6 Nelle procedure laparoscopiche il chirurgo insuffla la cavità corporea con del gas (solitamente anidride carbonica o ossido nitrico), che è pompato all’interno da una delle porte. L’aggiunta del gas crea uno spazio aperto tra il derma della parete addominale e gli organi interni, fornendo così al chirurgo più spazio per operare. Gli strumenti laparoscopici (inclusa la videocamera, che è chiamata laparoscopio) sono costituiti da un lungo braccio e sono inseriti attraverso le porte. Il chirurgo quindi, osservando il ritorno video proveniente dalla videocamera, manipola li strumenti per eseguire l’operazione. In figura 1.3 è presentato uno schema della procedura laparoscopica appena descritta.

Figura 1.3. Schema complessivo della strumentazione utilizzata per una procedura laparoscopica

I vantaggi che l’avvento di questa nuova procedura chirurgica ha apportato sono molteplici. Poiché la laparoscopica riduce la ferita nel paziente, ne riduce anche il dolore e il ricovero postoperatorio. Inoltre le piccole incisioni hanno sicuramente anche minori effetti estetici [2,3,4,5].

Tali vantaggi però, causano dei cambiamenti nelle modalità di eseguire le operazioni che richiedono ai chirurghi una graduale opera di adattamento. Se è infatti vero che le tecniche laparoscopiche riducono le incisioni necessarie per eseguire l’operazione, al contempo esse riducono anche l’accesso visivo e strumentale del chirurgo. La limitata visualizzazione del sito operatorio è uno degli svantaggi principali di queste nuove tecniche. In primo luogo si ha una ridotta percezione della profondità, dato che le immagini sulle quali si basa il chirurgo sono unicamente bidimensionali, anche se a elevata risoluzione. In realtà, nel 2003, la ditta KarlStorz [6] provò a lanciare sul mercato un endoscopio stereoscopico ad un singolo canale ottico: tale sistema ha però riscosso poco successo ed è presto caduto in disuso. In secondo luogo, i laparoscopi tradizionali presentano uno stretto campo di vista, pari a circa 70° con gli endoscopi attuali [6]. In terzo luogo,

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7 occorre considerare anche le difficoltà di coordinazione del movimento della videocamera, che solitamente viene manovrata dall’assistente chirurgo. Infine, il campo di vista del laparoscopio non può rivelare i frequenti cambiamenti degli strumenti nel momento in cui oltrepassano la cavità addominale. Questo conduce, in alcuni casi, a lesioni accidentali a organi e strutture vascolari [1]. Altro problema importante della chirurgia laparoscopica è la forte perdita di mobilità per il chirurgo. Gli strumenti laparoscopici hanno difatti solamente quattro gradi di libertà meccanici e la direzione del moto è rovesciata dall’azione da fulcro data dalla porta di inserimento. La disponibilità di un certo numero di porte dalle quali introdurre gli strumenti laparoscopici fornisce comunque una discreta libertà d’azione al chirurgo e ne diminuisce i vincoli motori. In aggiunta a quanto detto occorre considerare che il feedback tattile e aptico è essenzialmente eliminato perché il chirurgo non può toccare direttamente l’ambiente operatorio ma deve stimare le forze di contatto principalmente dall’osservazione visiva della deformazione del tessuto e dal suo cambiamento di colore.

Infine, anche l’ergonomia è un problema delle procedure laparoscopiche. Come è possibile osservare in figura 1.4, il monitor video è tipicamente posizionato al di sopra del sito chirurgico e quindi lontano dal punto in cui il chirurgo sta effettivamente eseguendo il suo task. Ciò spezza il consueto asse occhio-mano che usualmente si ha all’atto di compiere una azione complessa.

Figura 1.4. Posizione ergonomica con la quale il chirurgo effettua una procedura laparoscopica; si evidenzia qui come l’asse visivo dell’operatore sia lontano dal sito sul quale le sue mani stanno operando.

Tutti questi fattori, come detto, hanno richiesto un intenso e prolungato adattamento per i chirurghi. I più recenti avanzamenti tecnologici hanno quindi sempre avuto come obiettivo quello di minimizzare le problematiche fin qui citate senza intaccare la non-invasività raggiunta con le tecniche di chirurgia laparoscopica.

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1.2 La Chirurgia Robotica

Nel paragrafo precedente sono state analizzate le principali problematiche sorte con l’adozione della chirurgia laparoscopica tradizionale. Nell’ultimo decennio continue innovazioni tecnologiche hanno cercato di risolvere, o almeno di minimizzare, tali aspetti per rendere la chirurgia minimamente invasiva sempre più efficiente, veloce e agevole per il chirurgo. L’utilizzo della robotica è attualmente riconosciuto come una delle maggiori forze che pilotano, e hanno pilotato, l’avanzamento della MIS. In particolare i robot chirurgici per la tele-operazione, come il sistema Da Vinci [7] della Intuitive Surgical , sono considerati una parte importante della continua evoluzione nel campo della chirurgia laparoscopica.

La giustificazione che sta alla base dell’avvento dei sistemi di tele-operazione nasce primariamente dalla necessità di incrementare la destrezza del chirurgo all’interno delle piccole cavità corporee nelle quali si trova ad operare nella MIS. Gli strumenti di chirurgia laparoscopica sono rigidi e forniscono solo quattro gradi di libertà, mentre un robot chirurgico ne garantisce sette; dunque un numero equivalente a quello del braccio umano nella chirurgia aperta. Anche la problematica dovuta all’effetto fulcro della parete addominale sugli strumenti laparoscopici è eliminata nella chirurgia robotica, così come nella chirurgia tradizionale aperta. I robot chirurgici possono pertanto essere ampiamente usati per fornire al paziente i benefici della MIS, eliminando al contempo alcuni dei rischi associati alla laparoscopia tradizionale [8].

Nella tele-chirurgia il chirurgo resta comunque il vero esecutore dell’operazione: controlla continuamente il moto di tutti i robot sulla base delle immagini intra-operatorie acquisite dalla videocamera interna. La caratteristica peculiare dei robot chirurgici è però l’interfaccia uomo-macchina che agisce da “filtro” dal paziente al chirurgo e dal chirurgo al paziente. In pratica il chirurgo guida gli strumenti chirurgici manovrando dei controller, simili nella forma alle impugnature dei tool utilizzati in laparoscopia: tra i due sono però presenti dei dispositivi elettromeccanici atti a ripristinare la destrezza del chirurgo.

Il primo tele-robot chirurgico fu sviluppato alla SRI International sotto il programma DARPA (Advanced Combat Casualty Care) nei primi anni novanta [9]. Tale sistema fu progettato per la open-surgery con due manipolatori da sei gradi di libertà accoppiati con un sistema di visione stereoscopica. Attualmente sono invece disponibili commercialmente due sistemi master-slave per gli interventi di MIS eseguiti in remoto: il sistema da Vinci e il sistema Zeus.

Il robot chirurgico da Vinci (figura 5) è stato sviluppato e commercializzato dalla Intuitive Surgical (Sunnyvale, CA). La prima piattaforma è stata istallata in Europa nel 1997 e la prima procedura chirurgica fu reportata da Himpens et al. nel marzo del 1997 [10]. Di base il sistema presenta tre

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9 componenti (figura 1.5): una piattaforma robotica, una consolle per il chirurgo e una colonna per il sistema di imaging.

Figura 1.5. Il sistema robotico Da Vinci S-type (Intuitive Surgical, Sunnyvale, CA).

La piattaforma robotica consta di quattro bracci robotici e di un monitor per l’assistente chirurgo dal lato del paziente. Ogni braccio ha una serie di giunti e un cardine all’attacco con la porta che consentono un facile posizionamento del braccio durante la fase di setup e il massimo numero di gradi di libertà durante l’operazione chirurgica. Il braccio centrale è adibito alla visione ed è compatibile con una porta standard da 12 mm. Gli altri tre bracci si attaccano a porte metalliche da 8 mm appositamente progettate. La visione è ottenuta con un sistema a due lenti, con due videocamere a colori e ad alta risoluzione che sono separate spazialmente all’interno del case da 12 mm (figura 1.6a). Le immagini acquisite dai due sistemi ottici sono proiettate sugli occhi del chirurgo grazie al visore binoculare (figura 1.6b), consentendogli così una percezione tridimensionale del sito operatorio.

Figura 1.6.Particolari del sistema robotico da Vinci: a) il sistema di visione stereoscopico a due canali ottici indipendenti; b) il visore binoculare che fornisce al chirurgo una visione tridimensionale.

Il braccio robotico è controllato da un sistema cablato attaccato a quattro ruote sulla testa dello strumento, che possono essere mosse simultaneamente dal robot per generare un singolo movimento complesso. Tre gradi di libertà di traslazione sono forniti allo strumento dal moto degli

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assi, posti esternamente al corpo, che posizionano l’estremità prossimale del modulo strumentale interno. Ulteriori assi di posizionamento ridondanti consentono di mantenere gli assi di movimento centrati sul sito di accesso. Le caratteristic

primo luogo fornisce gli stessi sette gradi di libertà meccanici che presenta il braccio umano. secondo luogo la direzione del moto non è rovesciata da master a slave come nella

MIS tradizionale. Infine la precisione globale è migliorata da una operazione di riduzione del moto e filtrando i moti involontari a 6 Hz causati dal tremore fisiologico.

La consolle binoculare consente al chirurgo di seguire visivamente l

Oltre al beneficio di avere una visione tridimensionale del sito operatorio, l

visivo del display sono anche registrate con le mani del chirurgo sul controller master modo viene virtualmente ristabilito il consueto asse occhio

dal punto di vista ergonomico per l’osservatore.

confortevole, con i gomiti appoggiati su un supporto imbottito. Il pollice e il dito

ai controllori master: questi ultimi si muovono liberamente in tutte le direzioni, consentendo un controllo intuitivo degli strumenti e delle videocamere.

Figura 1.7. EndoWrist, il “braccio” del sistema Da Vinci; è progettato per mim umano, consentendo un’ampia serie di movimenti. Il sistema Zeus (Computer Motion Inc., Santa Barbara, CA)

tele-chirurgico a controllo bimanuale

strumento endoscopico e attua anche il sistema di

forniti al dispositivo da un meccanismo relativamente compatto che posiziona l’estremità prossimale del modulo strumentale sia

della porta. Tale brazzio robotico

chirurgo è fornita attraverso un endoscopio tradizionale e il display è posto di fronte al c leggermente sotto la sua testa. La registrazione spaziale tra

assi, posti esternamente al corpo, che posizionano l’estremità prossimale del modulo strumentale interno. Ulteriori assi di posizionamento ridondanti consentono di mantenere gli assi di movimento

caratteristiche salienti del braccio robotico (1.7)

gli stessi sette gradi di libertà meccanici che presenta il braccio umano. secondo luogo la direzione del moto non è rovesciata da master a slave come nella

MIS tradizionale. Infine la precisione globale è migliorata da una operazione di riduzione del moto e filtrando i moti involontari a 6 Hz causati dal tremore fisiologico.

La consolle binoculare consente al chirurgo di seguire visivamente l’operazione che sta eseguendo. Oltre al beneficio di avere una visione tridimensionale del sito operatorio, le coordinate del frame

registrate con le mani del chirurgo sul controller master

istabilito il consueto asse occhio-mano, con un considerevole vantaggio dal punto di vista ergonomico per l’osservatore. Operativamente il chirurgo è seduto in posizione confortevole, con i gomiti appoggiati su un supporto imbottito. Il pollice e il dito

ai controllori master: questi ultimi si muovono liberamente in tutte le direzioni, consentendo un controllo intuitivo degli strumenti e delle videocamere.

. EndoWrist, il “braccio” del sistema Da Vinci; è progettato per mimare i movimenti della mano e del polso umano, consentendo un’ampia serie di movimenti.

Il sistema Zeus (Computer Motion Inc., Santa Barbara, CA), riportato in figura 7, controllo bimanuale. Il suo sistema di posizionamento multi strumento endoscopico e attua anche il sistema di grasping. Tre gradi di libertà

da un meccanismo relativamente compatto che posiziona l’estremità prossimale del modulo strumentale sia per la manipolazione che per l’adattamento alla locazione

Tale brazzio robotico ha minori gradi di libertà di quello del da Vinci

chirurgo è fornita attraverso un endoscopio tradizionale e il display è posto di fronte al c

leggermente sotto la sua testa. La registrazione spaziale tra il sistema di coordinate visive e aptiche 10 assi, posti esternamente al corpo, che posizionano l’estremità prossimale del modulo strumentale interno. Ulteriori assi di posizionamento ridondanti consentono di mantenere gli assi di movimento (1.7) sono le seguenti: in gli stessi sette gradi di libertà meccanici che presenta il braccio umano. In secondo luogo la direzione del moto non è rovesciata da master a slave come nella manipolazione MIS tradizionale. Infine la precisione globale è migliorata da una operazione di riduzione del moto

’operazione che sta eseguendo. e coordinate del frame registrate con le mani del chirurgo sul controller master. In questo mano, con un considerevole vantaggio Operativamente il chirurgo è seduto in posizione confortevole, con i gomiti appoggiati su un supporto imbottito. Il pollice e il dito indice sono fissati ai controllori master: questi ultimi si muovono liberamente in tutte le direzioni, consentendo un

are i movimenti della mano e del polso

, riportato in figura 7, è un altro sistema multi - asse muove uno . Tre gradi di libertà di traslazione sono da un meccanismo relativamente compatto che posiziona l’estremità per la manipolazione che per l’adattamento alla locazione ha minori gradi di libertà di quello del da Vinci. La guida visiva al chirurgo è fornita attraverso un endoscopio tradizionale e il display è posto di fronte al chirurgo ma coordinate visive e aptiche

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11 è rilassata nel sistema Zeus se lo si compara con quella del da Vinci. La direzione del moto non è rovesciata dal master allo slave come nella chirurgia minimamente invasiva tradizionale.

Figura 7. Il sistema Zeus nel suo complesso.

La chirurgia robotica riesce quindi a incrementare la destrezza oltre il limite raggiungibile con la laparoscopia tradizionale; tuttavia, i robot chirurgici attuali presentano delle limitazioni che sono state dimostrate in varie indagini. Tali studi suggeriscono che i sistemi robotici attuali offrono pochi o nessun miglioramento rispetto alla strumentazione laparoscopica tradizionale nell’eseguire delle abilità base [11][12][13]. Inoltre i sistemi correnti non sono ancora disponibili nella maggior parte degli ospedali e restano vincolati dalle capacità sensoriali e di mobilità limitate, così come dagli alti costi. Occorre poi considerare che il sistema da Vinci non porta alcun vantaggio in termini di non-invasività rispetto alla laparoscopia tradizionale, dato che devono comunque essere eseguite quattro incisioni di ampiezza consistente per far passare gli strumenti e il sistema di visione. Infine un considerevole problema sottolineato dai medici che hanno operato con sistemi robotici, come il da Vinci, deriva da come è progettata la consolle di visione e di controllo. Il chirurgo è infatti costretto a restare, per tutta la durata dell’intervento, in una posizione fissa appoggiata al visore binoculare: ciò lo estranea completamente dall’ambiente che lo circonda, rendendo così difficoltosa l’interazione con la restante parte del personale chirurgico.

1.3 Chirurgia Laparoscopica a Singolo Accesso

Recentemente, la comunità chirurgica internazionale ha focalizzato i suoi sforzi nel tentativo di ridurre ulteriormente l’invasività della chirurgia laparoscopica. In questo ambito, uno dei concetti emergenti nel panorama della chirurgia del XXI secolo è la chirurgia laparoscopia a singola porta o a singolo accesso (Single-Portal Laparoscopy, SPL). L’idea fondamentale è quella di fare in modo

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12 che tutte le porte di lavoro laparoscopiche entrino nella parete addominale attraverso una singola incisione (vedere figura 1.8). In particolare, le procedure SPL utilizzano la medesima strumentazione della laparoscopia, anche se in alcuni casi essa viene articolata o piegata per facilitarne l’utilizzo, introdotta nell’addome o attraverso trocar convenzionali adiacenti o attraverso una singola porta specializzata multi – lume [14]. Di conseguenza, riducendo il numero di trocar/incisioni, i potenziali vantaggi della chirurgia SPL includono: miglioramenti estetici, minore dolore dalle lesioni ai nervi cutanei, ridotto rischio di sanguinamento della vascolarizzazione della parete addominale.

Figura 1.8. Posizionamento trans-ombelicale di una porta multi – lume per chirurgia a singolo accesso.

Altra affascinante area dell’attuale sviluppo chirurgico è la natural orifice translumenal endoscopic surgery (NOTES): come è possibile intuire dal nome questo tipo di procedura eliminerebbe idealmente qualsiasi incisione della parete addominale, facendo passare sia il sistema di visione che la strumentazione attraverso gli orifizi naturali. I potenziali benefici della NOTES includono quindi l’assenza di una cicatrice addominale, la riduzione del panico post-operatorio, il veloce ricovero e la possibilità di essere eseguita sotto sedazione locale [15].

Allo stato attuale, mentre modelli pre-clinici animali hanno dimostrato le potenziali applicazioni della NOTES, l’esperienza umana con questa tecnologia è ancora largamente limitata. D’altra parte, lavori clinici e di laboratorio con le procedure SPL hanno mostrato una notevole esplosione negli ultimi anni.

Tale importante spostamento di panorama verso una non-invasività delle procedure chirurgiche sempre più spinta, ha portato sia i chirurghi che le industrie a sviluppare nuove soluzioni procedurali e tecnologiche per far divenire la SPL una realtà. Di seguito vengono analizzati i principali dispositivi che sono stati sviluppati e che sono attualmente commercialmente disponibili per la chirurgia SPL:

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Figura 1.9. Il dispositivo Tri-Port

• TriPort: è un dispositivo (Advanced Surgical Concepts, Wicklow, Ireland) (figura 1.9) progettato per essere utilizzato attraverso una singola incisione di circa 1,5÷2 cm di lunghezza. Attraverso tale apertura viene posizionata una guaina che presenta, sulla sua superficie peritoneale, un anello capace di auto-espandersi, consentendole così di restare all’interno peritoneo. Dato che la guaina ha una dimensione regolabile la componente esterna della porta può essere inserita comodamente a prescindere dallo spessore della parete addominale. La parte esterna presenta tre porte: due da 5 mm e una da 12 mm. Per mantenere lo pneumoperitoneo la porta contiene lo stesso materiale gelatinoso GelPort usato per la hand-assisted laparoscopic surgery (HALS) [16]. Gli strumenti richiedono una lubrificazione per passare attraverso la porta senza impedimenti. La soluzione iodata funziona bene in questo senso perché lubrifica senza oscurare la visione, come invece farebbe un lubrificante viscoso. Inoltre la TriPort contiene una porta di insufflaggio senza necessitare di componenti aggiuntivi per pompare all’interno della cavità corporea una quantità regolata di gas. Questo dispositivo presenta vari vantaggi: in primo luogo molteplici strumenti possono passare attraverso differenti punti di accesso senza perdita di pneumoperitoneo e le differenti porte consentono di far passare strumenti di grandezza variabile. In secondo luogo, la TriPort è abbastanza semplice da introdurre nell’addome e può perfino essere riposizionata se è stata rimossa. In terzo luogo, si può adeguare a diversi spessori della parete addominale. Infine ogni porta offre diversi angoli di distrazione, consentendo così agli strumenti di essere posti a distanze più ampie l’un l’altro all’interno

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14 dell’addome. Lo svantaggio principale della TriPort è che l’unico posizionamento attualmente consentito è sull’ombelico [17].

Figura 1.10. Il dispositivo AirSeal. a) schema di funzionamento della barriera di pressione. b) Collegamento della porta ad un compressore in grado di fornire il gettito di gas necessario.

• AirSeal: tale dispositivo (SurgiQuest, Orange, CT, USA) (figura 1.10) coinvolge una tecnologia completamente diversa dal concetto dei comuni trocar. Tutte le porte laparoscopiche tradizionali utilizzano una barriera meccanica per mantenere lo pneumoperitoneo mentre consentono il passaggio degli strumenti o l’estrazione di campioni attraverso il loro lume. Le porte AirSeal non usano una barriera meccanica ma piuttosto una barriera di pressione. Quest’ultima è creata dal gas che è pompato, attraverso le aperture presenti, all’interno della struttura della porta. In questo modo si vengono a creare delle turbolenze, controllate e regolate, che, superando la pressione del pneumoperitoneo prevengono la perdita di gas anche quando strumenti o campioni sono fatti passare attraverso il suo lume. L’AirSeal consente il passaggio di molteplici strumenti di qualunque forma e consente l’estrazione di campioni; inoltre la barriera di pressione riduce la frizione. Infine garantisce il mantenimento di una buona esposizione operativa durante la sutura e rende possibile una evacuazione e filtraggio automatico del fumo. La mancanza di una barriera meccanica rende possibile avere porte di differenti forme e dimensioni e la capacità di far passare un insufflatore per le procedure endoscopiche [17].

• SilsPort: il dispositivo (Covidien, Inc., Norwalk, CT) (figura 1.11) è costituito da un polimero elastico, ha una forma simile ad una clessidra e può essere inserito attraverso una incisione di 2 cm. Contiene quattro aperture: una per l’insufflatore e tre che possono contenere trocar da 5 e 12 mm. La compressibilità del polimero elastico consente di espandere le porte di accesso e di assumere la forma dello spazio in cui è confinato.

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15 Purtroppo però ad oggi non sono ancora disponibili dei dati sulle performance cliniche di questo dispositivo [17].

Figura 1.11. Porta single-incision laparoscopic surgery (SILS)

• Incisione singola con molteplici trocar: l’ultima tecnica presentata prevede l’utilizzo di molteplici porte laparoscopiche standard, disponibili sul mercato, attraverso una singola incisione peri-ombelicale. Scegliendo porte che hanno un profilo interno o esterno più basso si ottiene poi un range di movimento per la strumentazione più ampio [17].

Come detto, trial clinici hanno dimostrato la fattibilità e la sicurezza di varie procedure SPL, tuttavia queste ultime sono significativamente messe in discussione dalle limitate capacità di triangolazione della strumentazione, dallo stretto campo di vista che si ottiene attraverso un laparoscopio convenzionale e dalle collisioni tra gli strumenti, sia interne che esterne, che possono considerevolmente limitare le performance del chirurgo e, in alcune circostanze, anche la sicurezza dell’operazione.

Attualmente, nelle procedure di laparoscopia tradizionale, è uso comune posizionare la videocamera lateralmente al punto di lavoro per ottenere le migliori posizioni di lavoro possibili sia per il chirurgo che per l’assistente che sorregge il sistema di visione. Purtroppo tale diposizione risulta impossibile nella chirurgia SPL dato che l’accesso degli strumenti e del sistema di visione avviene da una stessa porta. La visione in-linea sta quindi diventando non solo una necessità ma anche affascinante. La sfida tecnica che deriva dalla visione in linea sta nel fatto che essa stessa compromette parzialmente la visione. Occorre ricordare che, con la visione in linea, un movimento della videocamera spesso causa un movimento inavvertito di uno strumento adiacente. Ciò può aumentare la difficoltà nell’eseguire compiti relativamente semplici che richiedono di guardare una

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16 struttura da due lati. Anche se sistemi di imaging angolati o flessibili possono minimizzare tali problemi, resta comunque problematica la riduzione dello spazio di lavoro esterno.

Altra problematica che si ha con la chirurgia a singolo accesso è che l’area esterna, entro la quale le mani del chirurgo sono posizionate, è molto più piccola che nella chirurgia laparoscopica standard. Infatti è stato scoperto che una componente significativa delle curve di apprendimento della chirurgia a singola porta, è relazionata al posizionamento fisico delle mani dell’operatore all’interno di uno spazio relativamente piccolo. Nella chirurgia laparoscopica standard le ostruzioni alla visione sono risolte con un cambiamento della locazione del sistema di visione ad una porta differente, angolandolo o muovendolo esternamente lontano dall’ostruzione. Nella chirurgia laparoscopica a singolo accesso non esistono altre porte per posizionare il sistema di visione e la capacità di muoverlo è significativamente limitata dagli altri strumenti. Tali aspetti rischiano di oscurare il campo operatorio e quindi la sicurezza dell’operazione. Tale problema può essere risolto in vari modi. In primo luogo l’articolazione degli strumenti può consentire di lavorare in un campo operatorio senza un approccio diritto dalla porta di accesso. In secondo luogo gli strumenti con manici che possono essere articolati lontano dalla porta di accesso possono pulire lo spazio esternamente. Terzo, strumenti con lunghezza variabile consentono la manipolazione esternamente su vari piani, evitando così le collisioni.

Un altro concetto unico della laparoscopia a singola porta è l’idea della strumentazione incrociata. Il problema, comunque, è che quando le punte degli strumenti sono piegate verso il tessuto bersaglio (figura 1.12a) le mani dell’operatore tendono a collidere e i manici esternamente si muovono l’uno verso l’altro. Il problema può essere risolto incrociando gli strumenti (figura 1.12b): in tal caso i manici si allontanano aumentando così lo spazio di lavoro esterno. L’ergonomia di tale soluzione risulta comunque abbastanza scomoda almeno. Per evitare di incrociare le mani il chirurgo può invertire gli strumenti ma anche tale soluzione è scomoda.

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17 Figura 1.12. Possibili variazioni della conformazione degli strumenti laparoscopici tradizionali. a) strumenti con braccio articolato in avanti, cioè verso il tessuto bersaglio. b) strumentazione incrociata con i bracci piegati in maniera

divergente.

Oltre a questi problemi, occorre anche considerare che nella chirurgia SPL rimangono i problemi ergonomici, già affrontati durante la trattazione della chirurgia laparoscopica tradizionale. In figura 1.13 è presentata la disposizione del chirurgo e del personale durante una procedura SPL. Anche in questo caso l’asse occhio-mano del chirurgo risulta interrotto in quanto il chirurgo opera osservando un monitor che gli sta di fronte e quindi lontano dal sito operatorio.

Figura 1.13. Set-up di una procedura SPL: come si osserva sia il chirurgo che l’assistente (che sorregge e guida il sistema di visione) sono posizionati al lato sinistro del paziente.

Infine, come già osservato anche nella chirurgia laparoscopica tradizionale, i sistemi di visione di cui dispongono i chirurghi sono esclusivamente di tipo bidimensionale, con la conseguente perdita di percezione della profondità e del moto relativo degli strumenti.

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1.4 Obiettivo della Tesi

La prospettiva attuale della ricerca biomedica è quella di fondere i benefici di non-invasività della SPL con i miglioramenti sulla destrezza dovuti alla chirurgia robotica. In questo ambito alcuni recenti studi [1, 18, 14] hanno mostrato come i robot chirurgici in-vivo possano essere una buona soluzione. In particolare, nel lavoro di Rentshler [1] una piattaforma mobile dotata di videocamera, interamente contenuta all’interno della cavità addominale, consente di sostituire il laparoscopio convenzionale. Tale dispositivo (figura 1.14) presenta un sistema di locomozione magnetico guidato dall’esterno ed è inserita attraverso una singola incisione: in questo modo consente al chirurgo di muovere liberamente e velocemente il sistema di visione, ottenendo così sempre un’ottima orientazione di visione rispetto agli strumenti, senza al contempo aumentare l’invasività della procedura.

Figura 1.14. Robot in-vivo che contiene il sistema di visione e che è manovrabile dall’esterno grazie ad un accoppiamento di campo magnetico.

Lo scopo di questa tesi è quello di progettare un sistema di visione stereoscopico capace di integrarsi con un dispositivo mobile simile a quello precedentemente presentato. La percezione della profondità assicurata dal sistema a due canali ottici separati, unita alla libertà di movimento garantita dalla movimentazione magnetica, consentirebbero difatti di replicare i vantaggi in termini di libertà d’azione per il chirurgo e di visione apportati dalla sistemi tele-chirurgici (dal da Vinci in particolare). D’altra parte il dispositivo è stato progettato per avere un diametro massimo di 2,5 cm, dunque capace di passare attraverso la singola incisione della SPL. Quest’ultima scelta progettuale è stata dettata da un compromesso tra la necessità di minimizzare l’invasività del dispositivo e l’esigenza di utilizzare, per un primo prototipo del sistema, delle videocamere commerciali, che quindi non presentavano dimensioni eccessivamente ridotte. Infine il display tridimensionale scelto non è stato un visore fisso binoculare come nel da Vinci ma bensì uno schermo autostereoscopico,

(17)

19 capace di garantire un effetto tridimensionale senza la necessità di occhiali e con più posizioni di visione. L’obiettivo è difatti quello di evitare che il chirurgo si isoli dall’ambiente che lo circonda. Sul primo prototipo realizzato è stato eseguito un test di validazione al fine di valutarne le prestazioni operative. Dai risultati ottenuti sono state individuate le linee guida per una successiva opera di ottimizzazione del dispositivo

Nel lavoro di tesi è quindi stato progettato anche un secondo sistema elettronico di visione con due canali ottici separati. Le dimensioni di quest’ultimo sono ridotte a soli 12 mm di diametro utilizzando delle videocamere più piccole. L’idea è difatti quella di far passare un sistema di questo tipo direttamente attraverso le porte convenzionalmente usate in chirurgia SPL così da risultare il meno invasivi possibile. Le videocamere utilizzate in questo secondo prototipo presentano poi due ulteriori vantaggi: una risoluzione molto superiore e la possibilità di controllo software (sia del fuoco che del white-balancing) attraverso un imaging processor programmabile.

1.5 Bibliografia

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(18)

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