CAPITOLO II
LO STRESS STRESS LAVORO-CORRELATO
2.1 Aspetti generali sullo stress
L’interesse per il benessere organizzativo ha portato all’introduzione del concetto di stress lavoro-correlato e a quello di rischio psicosociale.
Fin dagli anni ’70, L.Levi (Laboratory for Clinical Stress Research di Stoccolma), ha proposto un modello cosiddetto psicosociale, secondo il quale anche i rapporti sociali e interpersonali possono rappresentare per le persone una fonte di stress in grado di produrre disturbi esattamente come gli altri stimoli stressogeni. Pertanto anche le interazioni presenti in ambito lavorativo, se non gestite correttamente possono recare danni alla salute e al benessere proprio come i più noti fattori di rischio quali il carico di lavoro, i ritmi, i turni e così via.
Secondo Cox e Griffiths (1995) i “rischi psicosociali” possono infatti essere definiti come “quegli aspetti della progettazione del lavoro e della organizzazione e gestione del lavoro e il loro contesto sociale ed ambientale che hanno la potenzialità di causare danno psicologico o fisico.”
L’espressione “rischio psicosociale” ha fatto il suo ingresso in ambito giuridico con il D.Lgs. n. 195/2003 dove si stabilisce che la formazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dai Rischi deve riguardare anche i rischi di natura psicosociale, ma di essa il legislatore non ha dato una precisa definizione.
Bisio (2009) definisce il rischio psicosociale come “il potenziale che le caratteristiche della situazione sociale ed organizzativa hanno di produrre una diminuzione, o di impedire l’aumento, del benessere, della salute e dell’incolumità delle persone”.
Esiste ampia evidenza scientifica che ogni elemento della struttura organizzativa in base a determinate condizioni, presenti un potenziale di stress e di danno per la salute e il benessere dei lavoratori.
Il termine “stress”, largamente usato anche nel linguaggio corrente con significati spesso in contrasto tra loro, è stato introdotto in biologia da W. B. Cannon, ma solo successivamente ebbe una definizione univoca grazie a H. Selye, secondo cui «lo stress è la risposta non specifica dell'organismo ad ogni richiesta effettuata ad esso» (1971).
Lo stress è il risultato di un processo di adattamento che coinvolge l’individuo durante la sua interazione con l’ambiente: il soggetto valuta l’evento che deve essere affrontato (impegni lavorativi, conflitti familiari, difficoltà nelle relazioni sociali…) e cerca una strategia per farvi fronte. Se è capace di reagire alle pressioni a cui è sottoposto nel breve termine, utilizzando le proprie strategie e risorse, ecco che queste pressioni possono essere considerate positive in quanto permettono lo sviluppo dell’individuo stesso: questo viene definito eustress o stress positivo. Se, al contrario, le condizioni sfavorevoli superano le capacità e le risorse proprie oppure sono prolungate nel tempo, l’individuo diventa incapace di reagire e offre risposte poco adattive: questo viene definito distress o stress negativo.
Di seguito alcuni termini correlati al concetto di stress:
- tensione (strain), è la prima reazione fisica, psicologica o comportamentale agli stressori;
- effetti (outcomes), sono le conseguenze della tensione sia a livello individuale che collettivo;
- coping, sono le strategie e i processi cognitivi messi in atto dall’individuo per far fronte agli stressori.
Fasi dell’adattamento
Secondo le prime concettualizzazione risalenti al 1936, il processo stressogeno si articola in tre fasi:
- Fase di allarme: l’organismo reagisce rapidamente allo stimolo stressorio, attraverso la mobilitazione di energie difensive (innalzamento della frequenza cardiaca, della tensione muscolare, diminuzione della secrezione salivare, ecc.) che hanno il compito di procurare una reazione immediata di attivazione e accomodamento da parte del sistema nervoso (shock e controshock).
- Fase di resistenza: si attiva solamente se gli stressors sono prolungati ed intensi. Consente un adattamento massimo, ma le difese allertate nella prima fase sono in precario equilibrio. Si possono avere manifestazioni transitorie come la diminuzione delle difese immunitarie, inibizione delle reazioni infiammatorie, aumento dell’acidità gastrica, ipertensione arteriosa, ecc. - Fase di esaurimento: si attiva se lo stato di adattamento della seconda fase viene prolungato oppure se l’organismo non è in grado di mettere in atto risposte adeguate. E’ caratterizzato da squilibri di tipo funzionale e da patologie d’organo. L’organismo può andare incontro a danni irreversibili inclusa la morte.
La gravità o problematicità della risposta individuale, dipende da alcune variabili:
- intensità, intesa come il numero delle sollecitazioni stressogene presenti nella vita della persona e il loro impatto nell’equilibrio tra bisogni e necessità percepite;
- durata, intesa come il periodo d’ esercizio della o delle sollecitazioni (settimane, mesi, anni…);
- tratti delle personalità, particolarmente riferiti alla capacita di resistenza e alle abilità di coping.
Le cause
Risulta quasi impossibile elencare le cause che lo determinano; possiamo tentare di semplificarle in:
- Fattori ambientali: la mancanza di un’abitazione, sovrappopolazione cittadina, ambienti rumorosi, inquinati o particolarmente degradati dal punto di vista igienico e sociale; ma anche il caldo e il freddo intenso, cataclismi (guerra, terremoto, alluvioni, eruzioni vulcaniche, frane…), ecc.
- Stili di vita, atteggiamenti riconducibili alla personalità dell’individuo: abuso di fumo, di alcool o droghe, abuso di farmaci, scarsa attività fisica, alimentazione non equilibrata, scarso rispetto dei ritmi sonno-veglia,ecc. - Eventi della vita quotidiana: matrimonio, gravidanza, morte del coniuge, licenziamento, pensionamento, ipoteca, divorzio, vacanze, ecc.
- Malattie organiche: quando il nostro corpo è affetto da determinate malattie, l’organismo intero nel tentativo di difendersi si pone in uno stato di tensione;
- Fattori mentali: conflitti familiari, problemi socioeconomici, scolastici, affettivi, ecc.
- Eventi e situazioni legate all’ambiente di lavoro: costrittività organizzative.
Stress sul lavoro
Lo stress legato all’attività lavorativa si manifesta quando le richieste dell’ambiente di lavoro superano la capacità del lavoratore di affrontarle o controllarle (AGENZIA EUROPEA PER LA SICUREZZA E LA SALUTE SUL LAVORO, LUSSEMBURGO, 2000).
Lavorare, per esempio sotto pressione, può migliorare le prestazioni e dare soddisfazione quando si raggiungono obiettivi impegnativi. Tuttavia se le richiesta e le pressioni diventano eccessive insorge lo stress, fattore
negativo sia per i lavoratori che per le aziende. Recenti ricerche evidenziano che oltre la metà dei lavoratori europei
riferisce di lavorare a ritmi molto serrati e di dover rispettare scadenze tassative. Più di un terzo di essi non è in grado di influire sulle mansioni assegnate e più di un quarto non ha la possibilità di determinare il proprio ritmo di lavoro. Il 45% riferisce di svolgere lavori monotoni; il 44 % non può usufruire della rotazione dei compiti; il 50 % è addetto a compiti ripetitivi. Per quanto riguarda la sintomatologia il 13 % di essi riferisce di soffrire di cefalea, il 17 % di dolori muscolari, il 20 % di affaticamento, il 28 % di stress e il 30 % di rachialgia; vengono accusate inoltre numerose altre patologie, alcune delle quali hanno esiti potenzialmente fatali, come ad esempio quelle inerenti l’apparato cardiocircolatorio.
Stress associato al contesto di lavoro: comprende i flussi informativi, il ruolo, l’evoluzione e lo sviluppo di carriera, il livello di autonomia decisionale, i rapporti interpersonali e le problematiche connesse all’interfaccia casa-lavoro.
Stress associato al contenuto del lavoro: comprende le problematiche connesse all’ambiente di lavoro quali i rischi tradizionali (regolamentati per legge) intesi come rischi infortunistici, fisici, chimici, biologici, ergonomici ma anche problematiche legate alla pianificazione dei compiti, ai carichi e ritmi di lavoro ed all’orario di lavoro.
La tabella che segue riassume le dieci categorie di potenziale rischio lavorativo comprendenti le caratteristiche dell’impiego, dell’organizzazione e degli ambienti di lavoro.
CONTESTO LAVORATIVO
CATEGORIA Condizioni di definizione del rischio
FUNZIONE E CULTURA
ORGANIZZATIVA
Scarsa comunicazione, livelli bassi per la risoluzione dei problemi e lo sviluppo personale, mancanza di
definizione degli obiettivi
organizzativi.
RUOLO NELL’AMBITO
DELL’ORGANIZZAZIONE
Ambiguità e conflitto di ruolo, responsabilità di altre persone.
EVOLUZIONE DELLA CARRIERA Incertezza o fase di stasi per la
carriera, promozione insufficiente o
insicurezza dell‘impiego, scarso valore sociale attribuito al lavoro. AUTONOMIA
DECISIONALE/CONTROLLO
Partecipazione ridotta al processo decisionale, mancanza di controllo sul lavoro (il controllo in particolare
nella forma di partecipazione
rappresenta anche una questione organizzativa e contestuale di più alto respiro).
RAPPORTI INTERPERSONALI SUL LAVORO
Isolamento fisico o sociale, rapporti limitati con i superiori, conflitto
interpersonale, mancanza di
supporto sociale.
INTERFACCIA CASA/LAVORO Richieste contrastanti tra casa e
lavoro, scarso appoggio in ambito domestico, problemi di doppia carriera.
CONTENUTO DEL LAVORO
CATEGORIA Condizioni di definizione del rischio
AMBIENTE DI LAVORO ED
ATTREZZATURE DI LAVORO
Problemi inerenti l’affidabilità, la
disponibilità, l’idoneità, la
manutenzione o la riparazione di strutture ed attrezzature di lavoro.
PIANIFICAZIONE DEI COMPITI Monotonia, cicli di lavoro brevi,
sottoutilizzo delle capacità, incertezza elevata.
CARICO DI LAVORO/RITMO DI LAVORO
Carico di lavoro eccessivo o ridotto, mancanza di controllo sul ritmo, livelli elevati di pressione in relazione al tempo.
ORARIO DI LAVORO Lavoro a turni, orari di lavoro senza
flessibilità, orari imprevedibili, orari di lavoro lunghi.
Caratteristiche stressanti del lavoro (Hacker, 1991; Hacker et altri 1983)
2.1.1 Dai riferimenti europei al d.lgs. 81/08
Numerose indagini statistiche circa le condizioni di vita e di lavoro in Europa evidenziano negli ultimi anni la presenza dello stress come problema sanitario diffuso.
È stato stimato che il costo relativo allo stress lavoro-correlato è di 20 milioni di Euro annui, per perdita di lavoro e per costi sanitari.
In base ad uno Studio del European Heart Journal è stato stimato che solo il trattamento sanitario del disturbo depressivo collegato allo stress incide direttamente sull’economia europea con un dispendio pari a 44 miliardi di EUR e indirettamente, in termini di calo di produttività, con una perdita pari a 77 miliardi di EUR (Cooper, 2009).
Le cause di insorgenza di stress sono da attribuire ad uno squilibrio cognitivamente percepito tra gli impegni che l’ambiente fisico e sociale impone di fronteggiare e la propria capacità (percepita) di affrontarli.
La Commissione Europea nel 2002 mette a punto le Linea guida sullo stress correlato al lavoro, nell’ambito della strategia comunitaria per la salute e la sicurezza, con la Comunicazione 118 (11.03.02), intitolata “Adattarsi alle trasformazioni del lavoro e dalla società: una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza 2002 -2006”.
Accordi volontari di associazioni datoriali e sindacali, standard internazionali, atti normativi comunitari si susseguono negli anni, quali ad esempio l’Accordo quadro sullo stress da lavoro del 2004 e l’Accordo quadro sulle molestie e sulla violenza sul lavoro del 2007.
L’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004 è stato siglato da CES - sindacato Europeo; UNICE - “confindustria europea”; UEAPME - associazione europea artigianato e PMI; CEEP - associazione europea delle imprese partecipate dal pubblico e di interesse economico generale.
Le parti sociali affermano che “lo stress da lavoro è considerato, a livello internazionale, europeo e nazionale, un problema sia dai datori di lavoro che dai lavoratori. Lo stress, potenzialmente, può colpire in qualunque luogo di lavoro e qualunque lavoratore, a prescindere dalla dimensione dell’azienda, dal campo di attività, dal tipo di contratto o di rapporto di lavoro”.
Questa considerazione rende pertanto difficile identificare a priori luoghi di lavoro potenzialmente a rischio, anche se non tutti i luoghi di lavoro e non tutti i lavoratori ne sono necessariamente interessati.
Data la complessità del fenomeno a partire dalla sua stessa definizione ed identificazione nonché l’impossibilità di avere una lista esaustiva di fattori di rischio, risulta importante diffondere informazioni e conoscenze sul rischio stress lavoro-correlato.
Finalità primaria dell’accordo è quindi il miglioramento della consapevolezza e la comprensione dello stress da lavoro da parte dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei loro rappresentanti, attirando la loro attenzione sui sintomi che possono indicare l’insorgenza di problemi di stress da lavoro. Datori di lavoro e lavoratori devono avere a disposizione un modello che consenta di individuare e di prevenire o gestire i problemi di stress da lavoro. L’accordo definisce lo stress come uno stato che si accompagna a malessere e disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali e che consegue dal fatto che le persone non si sentono in grado di superare i gap rispetto alle richieste o alle attese nei loro confronti.
L’individuo è capace di reagire alle pressioni a cui è sottoposto nel breve termine, e queste possono essere considerate positive (per lo sviluppo dell’individuo stesso), ma di fronte ad una esposizione prolungata a forti pressioni egli avverte pesanti difficoltà di reazione.
Persone differenti possono reagire in modo diverso a situazioni simili e una stessa persona può, in momenti differenti della propria vita, reagire in maniera diversa a situazioni simili.
Lo stress non è una malattia, ma una esposizione prolungata allo stress può ridurre l’efficienza sul lavoro e causare problemi di salute.
Lo stress indotto da fattori esterni all’ambiente di lavoro può inoltre portare a cambiamenti nel comportamento.
Tutte le manifestazioni di stress sul lavoro non vanno considerate causate esclusivamente dal lavoro stesso. Lo stress da lavoro può essere causato da vari fattori quali il contenuto e l’organizzazione del lavoro, l’ambiente di lavoro, una comunicazione “povera”, ecc.
Per quanto concerne l’individuazione dell’esposizione al rischio di stress da lavoro, l’accordo propone un’analisi di fattori quali:
• l’organizzazione e i processi di lavoro (pianificazione dell’orario di lavoro, grado di autonomia, grado di coincidenza tra esigenze imposte dal lavoro e capacità/conoscenze dei lavoratori, carico di lavoro, ecc.),
• le condizioni e l’ambiente di lavoro (esposizione ad un
comportamento illecito, al rumore, al calore, a sostanze pericolose, ecc.),
• la comunicazione (incertezza circa le aspettative riguardo al lavoro, prospettive di occupazione, un futuro cambiamento, ecc.),
• i fattori soggettivi (pressioni emotive e sociali, sensazione di non poter far fronte alla situazione, percezione di una mancanza di aiuto, ecc.).
Le parti sociali concordano che nel momento in cui un problema di stress da lavoro sia identificato, allora bisogna agire per prevenirlo, eliminarlo o ridurlo.
La responsabilità di stabilire le misure adeguate da adottare spetta al datore di lavoro e le misure saranno attuate con la partecipazione e la collaborazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti.
L’accordo fa riferimento alle responsabilità dei datori di lavoro, obbligati per legge a tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori. Questo dovere
riguarda anche i problemi di stress da lavoro in quanto costituiscono un rischio per la salute e la sicurezza.
I problemi associati allo stress possono essere affrontati nel quadro del processo di valutazione di tutti rischi, programmando una politica aziendale specifica in materia di stress e/o attraverso misure specifiche mirate per ogni fattore di stress individuato.
Intervenire per prevenire, eliminare o ridurre questi problemi comporta l’adozione di misure collettive, individuali o di entrambi i generi.
Per quanto concerne le misure di prevenzione e protezione, possono essere adottate misure specifiche per ciascun fattore di stress individuato oppure le misure possono rientrare nel quadro di una politica anti-stress integrata che sia contemporaneamente preventiva e valutabile.
L’accordo cita i seguenti esempi di misure di prevenzione e protezione: • misure di gestione e di comunicazione in grado di chiarire gli obiettivi
aziendali e il ruolo di ciascun lavoratore, di assicurare un sostegno adeguato da parte della direzione ai singoli individui e ai team di lavoro, di portare coerenza, responsabilità e controllo sul lavoro, di migliorare l’organizzazione, i processi, le condizioni e l’ambiente di lavoro;
• la formazione dei dirigenti e dei lavoratori per migliorare la loro consapevolezza e la loro comprensione nei confronti dello stress, delle sue possibili cause e del modo in cui affrontarlo, e/o per adattarsi al cambiamento;
• l’informazione e la consultazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti, in conformità alla legislazione europea e nazionale, ai contratti collettivi e alle prassi.
L’Accordo europeo è stato recepito in Italia con l’Accordo interconfederale del 9 giugno 2009. Le parti sociali (Confindustria, Confai, Confartigianato, Casartigiani, CLAAI, CNA e Confesercenti e CGIL, CISL, UIL) concordano sul recepimento condividendo la preoccupazione espressa a livello europeo da datori di lavoro e lavoratori recependo i contenuti dell’Accordo europeo.
A livello internazionale sono disponibili lo Standard Europeo UNI ISO 10075, che definisce i principi ergonomici relativi al carico di lavoro mentale; la Linea guida sui sistemi di gestione della sicurezza e della salute occupazionale ILO-OSH 2001 e la Convenzione ILO (International Labour Organization, Ginevra) 187, Convenzione relativa al modello promozionale per la sicurezza e la salute occupazionale.
L’Unione Europea ha adottato molti provvedimenti relativi in materia di salute e della sicurezza occupazionali:
• la Direttiva Consiliare 89/391/EEC sulla introduzione di misure per favorire il miglioramento della salute e della sicurezza dei lavoratori, che è stata la prima direttiva recepita in Italia dal Decreto Legislativo 626/94,
• le direttive inerenti l’orario di lavoro (direttive 93/104, 97/81, 97/70), • le direttive inerenti la parità di trattamento uomo-donna (76/207,
2002/73, 2006/54),
• le direttive sulla maternità e questioni attinenti (92/85, 96/34).
In Italia nel gennaio 2006 il Governo e le regioni e province autonome firmano l’Accordo in materia di prevenzione e protezione dei lavoratori sui luoghi di lavoro, attuativo dell'articolo 2, commi 2, 3, 4 e 5, del decreto legislativo 23 giugno 2003, n. 195, che integra il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626.
L’Accordo prevede, la trattazione del tema dei rischi psicosociali affrontando i seguenti temi:
• elementi di comprensione e differenziazione tra stress, mobbing e burn out;
• conseguenze lavorative dei rischi da tali fenomeni sulla efficienza organizzativa, sul comportamento di sicurezza del lavoratore e sul suo stato di salute;
• strumenti, metodi e misure di prevenzione; • analisi dei bisogni didattici.
Il processo di inserimento della valutazione dello stress lavoro-correlato nelle disposizioni normative italiane si perfeziona con la pubblicazione, il 30 aprile 2008, del Decreto Legislativo n.81.
Il Decreto ha permesso il riassetto e la riforma del sistema normativo vigente in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, operato mediante il riordino ed il coordinamento delle norme in un Testo Unico. Tale norma introduce nella normativa italiana l’obbligo della valutazione dei rischi riguardanti gruppi di lavoratori esposti a stress lavoro-correlato.
Tra le novità introdotte dal D.Lgs 81/08, di certo un ruolo di primo piano assume la definizione, mutuata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità,
del concetto di "salute" intesa quale "stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità" (art. 2, comma 1, lettera o), premessa per la garanzia di una tutela dei lavoratori anche nei confronti dei rischi psicosociali.
Contestualmente, con la definizione anche del concetto di "sistema di promozione della salute e sicurezza" come "complesso dei soggetti istituzionali che concorrono, con la partecipazione delle parti sociali, alla realizzazione dei programmi di intervento finalizzati a migliorare le condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori" (art. 2, comma 1, lett. p), viene introdotta una visione più ampia della prevenzione della salute e sicurezza sul lavoro che rimanda a quelli che sono i principi della "Responsabilità Sociale" definita (art. 2, comma 1, lett. ff) come "integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle aziende ed organizzazioni nelle loro attività commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate".
La valutazione del benessere fisico, mentale e sociale del lavoratore è dunque parte integrante del documento di valutazione dei rischi e della definizione delle misure di prevenzione e protezione.
Nel complesso delle attività di prevenzione, un ruolo di primo piano è assegnato allo studio dell’organizzazione del lavoro, concretizzato nell’inserimento all’art. 15, comma 1, lett. d del D.Lgs 81/08, del "rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro" e nella conferma, in linea con quanto peraltro già disposto dall’art. 3, comma 1, lett. f del D.Lgs 626/94, del "rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro
e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo".
Inoltre, l’art.32, comma 2 dello stesso D.Lgs 81/08 sottolinea che la formazione del RSPP deve riguardare anche i rischi "di natura ergonomica e da stress lavoro-correlato". Per quanto riguarda, in particolare, la "valutazione dei rischi", il D.Lgs 81/08 stabilisce che essa deve fare riferimento a "tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004" (art. 28, comma 1).
Il legislatore ha operato quindi la scelta dell’esposizione a stress lavoro-correlato, come rischio psicosociale che deve essere inserito nella valutazione. Per l’accordo europeo dalla valutazione dello stress è escluso il mobbing. Nell’accordo quadro europeo del 2004 si afferma esplicitamente che “...il presente accordo non concerne la violenza, le molestie e lo stress post-traumatico”, a tal fine infatti deve essere recepito lo specifico Accordo sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro, siglato il 26 aprile 2007. Per quanto concerne i contenuti della valutazione il decreto fa riferimento esclusivamente all’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004.
Il Decreto Legislativo 106/09, che ha modificato il Decreto 81/08, ha prorogato i termini di entrata in vigore dell’accordo e previsto l’uscita di precise indicazioni in merito alla valutazione del rischio stress lavoro-correlato elaborate dalla Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro.
In base al D.Lgs. 81/08 il documento di valutazione dei rischi deve contenere in relazione a tutti i rischi:
• una relazione sulla valutazione in cui siano specificati i criteri adottati, • l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei
dispositivi di protezione individuale adottati a seguito della valutazione,
• il programma delle misure per il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza,
• l’individuazione delle procedure per procedere all’attuazione delle misure da realizzare nonché dei ruoli aziendali che vi debbono provvedere.
Valutare il rischio psicosociale dello stress è un obbligo che discente dalla tutela della salute del lavoratore come definita dal Decreto.
L’iter procedurale è analogo a quello delle altre valutazioni dei rischi; occorre attivarsi innanzitutto per eliminare il rischio. Nel caso ciò risulti impossibile occorre ridurre l’esposizione del lavoratori attraverso la messa a punto delle misure di prevenzione e protezione.
E’ necessario quindi tener conto del rischio stress lavoro-correlato all’interno di tutte le attività di gestione della sicurezza, dall’aggiornamento delle misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi, all’affidamento dei compiti alle persone tenendo conto delle capacità e condizioni delle stesse, fino alla programmazione e realizzazione di una adeguata informazione e formazione dei lavoratori in relazione al rischio specifico stress lavoro-correlato, sui danni, sulle misure e procedure di prevenzione.
Il Capo IV illustra le disposizioni penali, ossia le sanzioni a carico di datori di lavoro, dirigenti, preposti e lavoratori, in caso di omissione di attività concernenti la valutazione dei rischi e la gestione aziendale degli adempimenti di sicurezza. Tra le disposizioni, l’articolo 55 prevede l’ammenda da 2000 a 4000 euro per il datore di lavoro che adotta il documento di valutazione dei rischi in assenza degli elementi descritti dall’articolo 28 comma 2 lettere b), c) o d).
2.1.2 Le indicazioni della Commissione Consultiva nazionale del 18 novembre 2010 per la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato il 18 novembre 2010 la Lettera circolare in ordine all’approvazione delle indicazioni necessarie alla valutazione del rischio stress lavoro-correlato.
La Commissione consultiva per la valutazione dello stress lavoro-correlato, costituita presso il Ministero del Lavoro, ha elaborato le indicazioni metodologiche inerenti questa tipologia di valutazione. Le indicazioni propongono un percorso metodologico che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato per tutti i datori di lavoro, pubblici e privati.
La valutazione del rischio da stress lavoro-correlato viene definita come parte integrante della valutazione e, come per tutti gli altri fattori di rischio, viene effettuata dal datore di lavoro avvalendosi del RSPP, coinvolgendo il medico competente e previa consultazione del RLS.
Il percorso metodologico proposto deve essere compiuto con riferimento a tutte le lavoratrici ed a tutti i lavoratori, compresi dirigenti e preposti; la
valutazione viene effettuata per gruppi omogenei di lavoratori esposti a rischi dello stresso tipo.
Il modello di valutazione proposto dalla Commissione si articola in due fasi: una fase preliminare obbligatoria per tutte le aziende, indipendentemente dalle dimensioni, e una fase di valutazione approfondita da attivarsi solo qualora i risultati degli interventi correttivi non fossero soddisfacenti.
Valutazione preliminare
Consiste nella rilevazione di "indicatori di rischio da stress lavoro-correlato oggettivi e verificabili e ove possibile numericamente apprezzabili", a solo
titolo esemplificativo individuati dalla Commissione Consultiva,
appartenenti "quanto meno" a tre famiglie distinte:
• eventi sentinella (es. indici infortunistici, turnover, assenze per malattia....) da valutare in base a parametri omogenei interni all'azienda.
• fattori di contenuto del lavoro quali le caratteristiche dell'ambiente di lavoro e delle attrezzature, aspetto questo evidenziato anche nella letteratura sulla materia e considerato molto importante dal momento che è stato dimostrato che lavorare in condizione di insicurezza per la propria incolumità fisica rappresenta una fattore di stress. Altri aspetti da considerare sono carichi e ritmi di lavoro, orari e turni, corrispondenza fra competenze dei lavoratori e requisiti professionali richiesti.
• fattori di contesto del lavoro come definizione dei ruoli, autonomia decisionale, conflitti interpersonali, evoluzione di carriera e comunicazione.
La circolare precisa che durante la fase preliminare di valutazione possono essere utilizzate delle “liste di controllo” anche da parte di diversi soggetti della prevenzione, con l'obiettivo del massimo coinvolgimento dell'azienda a tutti i livelli, ferma restando la responsabilità del datore di lavoro.
Per quanto concerne il ruolo delle figure della prevenzione presenti in azienda, viene precisato che "in relazione alla valutazione dei fattori di contesto e di contenuto occorre sentire i lavoratori e/o il RLS/RLST. Nelle aziende di maggiori dimensioni è possibile sentire un campione rappresentativo di lavoratori"; la modalità attraverso cui sentire i lavoratori è rimessa al datore di lavoro "anche in relazione alla metodologia di valutazione adottata". E’ proprio tale marcato coinvolgimento dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti che caratterizza e rende peculiare la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato rispetto a quella degli altri rischi che, al momento, si limita a prevedere solo una consultazione preliminare degli RLS. Se la valutazione preliminare non rileva elementi di rischio da stress lavoro-correlato e, quindi, si conclude con un "esito negativo", tale risultato è riportato nel Documento di Valutazione del Rischio con la previsione, comunque, di un piano di monitoraggio.
Valutazione approfondita
Come in precedenza riportato, tale fase va intrapresa, come approfondimento, nel caso in cui nella fase precedente, a seguito dell'attività di monitoraggio, si rilevi l'inefficacia delle misure adottate e relativamente "ai gruppi omogenei di lavoratori rispetto ai quali sono state rilevate le problematiche". A tal fine, le indicazioni della Commissione Consultiva
prevedono la "valutazione della percezione soggettiva dei lavoratori sulle famiglie di fattori/indicatori" già oggetto di valutazione nella fase preliminare con la possibilità, per le aziende di maggiori dimensioni, del coinvolgimento di "un campione rappresentativo di lavoratori".
Gli strumenti indicati per la suddetta valutazione della percezione soggettiva sono individuati, a titolo esemplificativo, tra "questionari, focus group, interviste semistrutturate", fermo restando che, per le imprese fino a 5 lavoratori, in sostituzione, il datore di lavoro "può scegliere di utilizzare modalità di valutazione (es. riunioni) che garantiscano il coinvolgimento diretto dei lavoratori nella ricerca delle soluzioni e nella verifica della loro efficacia". La programmazione temporale delle attività stesse deve essere riportata nel DVR affinché gli organi di vigilanza possano tenerne conto. L’obbligo di effettuare la valutazione del rischio stress lavoro-correlato è entrato per la prima volta in vigore il 01/01/2011, con la previsione di un aggiornamento almeno biennale.
2.2 Valutazione del rischio stress lavoro-correlato secondo le linee di indirizzo della Regione Toscana
La metodologia proposta dalla regione Toscana per la valutazione dei rischi stress lavoro-correlati individua:
tre livelli di approfondimento per le aziende che occupano oltre 10 lavoratori, al fine di escludere dalla necessità di ulteriori analisi le realtà lavorative nelle quali determinati elementi fanno ritenere il rischio trascurabile;
due livelli di approfondimento per le aziende che occupano fino a 10 lavoratori. E’ previsto un percorso semplificato che limita l’analisi
dell’organizzazione del lavoro a sole sei aree chiave
dell’organizzazione aziendale e che comprende anche la soggettività dei lavoratori.8
L’analisi dell’organizzazione del lavoro fa riferimento ad esperti aziendali rappresentativi sia della direzione aziendale che dei lavoratori che esprimono, separatamente, le proprie valutazioni circa la presenza di eventuali criticità organizzative, ambientali e relazionali riferendole, quando necessario, a precise fasi del ciclo lavorativo e alle professionalità impiegate.
La definizione del rischio viene effettuata tramite la valutazione integrata dei dati “oggettivi” relativi all’analisi delle condizioni disfunzionali stressogene del lavoro e dei dati “soggettivi” relativi alla percezione dello stress da parte dei lavoratori in relazione alle condizioni lavorative.
Primo livello di valutazione
Ambito della valutazione: riguarda tutte le aziende.
Finalità della valutazione: stabilire se la probabilità della presenza di rischio può essere considerata trascurabile in base all’irrilevanza dei rischi potenziali intesi come probabilità della presenza di condizioni di lavoro stressanti e all’assenza di effetti dello stress lavoro-correlato sullo stato di salute di singoli lavoratori.
Elementi da valutare:
Regione Toscana, Valutazione e gestione dei rischi collegati allo stress lavoro-collegato. Linee di
A) analisi delle seguenti caratteristiche della realtà lavorativa in esame: 1. dimensioni e complessità organizzativa;
2. caratteristiche produttive tenendo anche conto delle attività considerate a rischio noto in letteratura;
3. tipologia della forza lavoro; 4. tipologia dei rapporti di lavoro;
B) verifica della presenza di casi di disagio lavorativo.
Fonti delle informazioni: osservazione diretta, esame della documentazione aziendale, colloquio con le diverse figure aziendali della prevenzione ed esame dei dati presenti in letteratura circa l’evidenza del rischio nelle diverse attività lavorative.
Criteri di valutazione e indicazioni preventive: La probabilità che le attività lavorative in esame siano associate a fattori potenziali di stress viene stabilita in base all’importanza e alla frequenza delle caratteristiche individuate. I casi di disagio vengono considerati correlati al lavoro se clinicamente accertati da centri diagnostici di riferimento con nesso certo o altamente probabile con le condizioni lavorative. Se la presenza di rischi viene stimata trascurabile si potrà interrompere la valutazione salvo verificare che siano state adottate le misure generali di tutela in relazione ai potenziali fattori di rischio associati con le caratteristiche generali valutate. La valutazione verrà ripetuta qualora intervengano significativi cambiamenti organizzativi o qualora si presentino casi di disagio lavorativo. Qualora, viceversa, i fattori potenziali di stress vengano valutati come rilevanti si dovrà procedere al secondo livello di approfondimento del rischio come pure in presenza di casi di disagio causati da stress lavoro-correlato.
Secondo livello di valutazione
Ambito della valutazione: Riguarda le aziende che occupano oltre 10 lavoratori selezionate al livello precedente.
Finalità della valutazione: stimare se, in base all’importanza di alcuni elementi indicativi di rischio, questo possa essere definito basso e non richiedere ulteriori approfondimenti dell’analisi oppure se sia necessario procedere al 3° livello di approfondimento.
Elementi da valutare:
A) misure attuate dall’azienda per evitare disfunzioni dell’organizzazione del lavoro capaci di determinare condizioni di lavoro potenzialmente stressogene in relazione alle seguenti dimensioni dell’organizzazione aziendale:
1.comunicazione interna e clima relazionale; 2.stile dirigenziale;
3.salute e sicurezza;
4.obiettivi e programmi aziendali;
5.procedure per lo svolgimento delle attività; 6.divisione del lavoro e delle responsabilità;
7.adeguatezza delle risorse disponibili per lo svolgimento delle attività; 8.gestione dell’informazione;
9.supervisione e controllo;
10. valorizzazione delle risorse umane; 11. gestione dei cambiamenti;
B) ripercussioni negative dello stress sull’organizzazione (sintomi aziendali di stress, indicatori indiretti di stress):
1) assenze per malattia;
2) ritardi nell’entrata al lavoro; 3) rispetto di regole e procedure; 4) turnover;
5) vertenze sindacali;
6) segnalazioni di costrittività organizzative/disagio; 7) tempi di lavorazione;
8) errori;
9) costi produttivi; 10) costi legali.
Fonti delle informazioni: esame della documentazione aziendale, intervista ad un responsabile aziendale e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, colloquio con il medico competente aziendale.
Criteri di valutazione e indicazioni preventive: a ciascuna misura preventiva presente viene assegnato un punteggio direttamente proporzionale alla sua valenza preventiva (mera predisposizione formale della misura, sua effettiva operatività, esistenza di verifiche del suo rispetto). Ai sintomi aziendali di stress viene attribuito un punteggio che tiene conto o del loro andamento nel tempo o della loro presenza/assenza.
L’integrazione, in una matrice, dei punteggi attribuiti ai due elementi di valutazione presi in considerazione consentirà di individuare due aree di rischio: un’area in cui gli elementi indicativi di rischio sono scarsi ed il rischio può, pertanto, essere considerato basso tale da non richiedere
ulteriori approfondimenti dell’analisi ed un’area in cui gli elementi indicativi di rischio sono significativi e indicano la necessità di proseguire l’analisi al 3° livello di approfondimento. Indipendentemente dall’esito della valutazione l’azienda dovrà provvedere a definire in maniera adeguata le regole organizzative e gestionali risultate carenti. La valutazione andrà ripetuta a distanza di 2 anni.
Terzo livello di valutazione
Ambito della valutazione: aziende che occupano oltre 10 lavoratori per le quali il 2° livello ha individuato elementi indicativi di rischio o nelle quali si siano manifestati casi di disagio lavorativo clinicamente accertati da centri diagnostici di riferimento.
Finalità della valutazione: definire il livello di rischio e individuare criticità organizzative, ambientali e relazionali per stabilire le misure di tutela necessarie.
Elementi da valutare: esposizione a condizioni di stress attraverso l’esame di due tipi di informazioni:
A) presenza di criticità organizzative, ambientali e relazionali in rapporto alle fasi del ciclo lavorativo e alle professionalità impiegate individuate attraverso una scomposizione del ciclo secondo criteri ispirati al Metodo delle Congruenze Organizzative (B. Maggi). Le criticità considerate appartengono alle seguenti categorie:
1) aspetti ambientali;
2) caratteristiche dei compiti; 3) orario di lavoro;
5) ruolo;
6) progressione di carriera, sistema premiante e disciplinare; 7) autonomia decisionale e controllo;
8) aspetti relazionali; 9) interfaccia casa-lavoro; 10) gestione dei cambiamenti.
B) percezione dello stress da parte dei lavoratori in rapporto a tre dimensioni: domanda, controllo e supporto.
Fonti delle informazioni: per l’individuazione delle criticità organizzative, ambientali e relazionali si utilizzano le valutazioni fatte, separatamente, da almeno 4 esperti aziendali scelti, equamente, fra rappresentanti della direzione aziendale e dei lavoratori attraverso interviste semistrutturate. Tra i lavoratori esperti dovrà essere garantita la presenza del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o, in caso di sua assenza, di un rappresentante sindacale interno. Le informazioni sulla soggettività dei lavoratori sono raccolte attraverso il questionario JCQ (Job Content Questionnaire) di Karasek la cui somministrazione deve essere effettuata garantendo l’anonimato e la libertà di adesione e deve riguardare un campione significativo di lavoratori (almeno 8 soggetti e, comunque, in percentuale non inferiore al 50% di tutti i soggetti da testare).
Criteri di valutazione e indicazioni preventive: a ciascuna criticità individuata viene attribuito, dall’esperto intervistato, un punteggio variabile da 1 a 3 in base all’importanza ad essa attribuita e questa verrà riferita, se necessario, a precisi momenti del ciclo lavorativo e a specifiche professionalità. Il punteggio finale verrà espresso come percentuale del
punteggio complessivo che sarebbe risultato se, a tutte le criticità individuate, tutti i soggetti intervistati avessero attribuito il massimo del punteggio e verrà riferito ad una scala che prevede 4 livelli di criticità: bassa (-), moderata (+-), alta (+), molto alta (++). I dati raccolti con il questionario JCQ di Karasek vengono interpretati secondo una scala che prevede quattro livelli: low strain (1), passive (2), active (3), high strain (4).
Qualora entrambe le tipologie di informazioni siano disponibili, l’integrazione dei rilievi sulla presenza di criticità organizzative e sulla percezione del rischio stress dei lavoratori consente di stratificare il rischio in cinque fasce attraverso la creazione di una matrice:
rischio non significativo, rischio basso, rischio medio, rischio elevato, rischio molto elevato. La soglia decisionale che impone di procedere a specifici adempimenti preventivi, compresa la sorveglianza sanitaria, è quella del rischio medio. Qualora, invece, non sia possibile utilizzare le informazioni sulle percezioni dei lavoratori la valutazione verrà fatta esclusivamente sui dati raccolti dai conoscitori esperti e il rischio verrà considerato significativo se risulterà superiore al moderato.
Anche se il livello di rischio è basso o non significativo, si procederà alla programmazione di interventi migliorativi in rapporto alle criticità individuate per le varie fasi del ciclo di lavoro. In ogni caso la valutazione andrà ripetuta almeno ogni 2 anni.
Secondo livello di valutazione (Aziende che occupano fino a 10 lavoratori)
Ambito della valutazione: riguarda le aziende che occupano fino a 10 lavoratori selezionate al livello precedente.
Finalità della valutazione: definire il livello di rischio valutando l’adeguatezza delle misure messe in atto dall’azienda per evitare condizioni disfunzionali e la presenza di criticità organizzative, ambientali e relazionali. Elementi da valutare, relativi a sei aree chiave dell’organizzazione aziendale: 1) richieste; 2) controllo; 3) sostegno; 4) rapporti interpersonali; 5) ruolo; 6) cambiamenti.
Fonti delle informazioni: esame della documentazione aziendale, osservazione diretta dei fattori di rischio tenendo conto anche del giudizio dei lavoratori, dati ricavabili dal medico competente aziendale.
Criteri di valutazione e indicazioni preventive: le valutazioni effettuate autonomamente del datore di lavoro o suo delegato consentiranno di stimare il livello del rischio rispetto al quale dovrà essere predisposto un programma di interventi tesi a eliminare le carenze e le criticità individuate. Insieme al medico competente verranno definite le modalità di sorveglianza sanitaria.
2.3 Individuazione della figura giuridica del dirigente nel Testo Unico di Sicurezza sul Lavoro
Il dirigente è definito dal D.Lgs. n. 81/2008 come “garante organizzativo” della sicurezza e igiene del lavoro.
Il Dirigente, art. 2 comma 1, lettera d) D.Lgs. 81/08, è la "persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa" In tal modo, si evidenzia di conseguenza come tale figura possa essere considerata la prima fonte di collaborazione del datore di lavoro9 .
Il dirigente che organizza l’attività lavorativa e adotta le direttive di politica aziendale ordinate dal datore di lavoro, deve essere in possesso di un elevato grado di professionalità che gli consente autonomia nella condivisione di funzioni e responsabilità datoriali, ma il suo stato giurdico non gli dà la possibilità di sostituirsi al datore di lavoro.
I suoi adempimenti sono definiti nell’articolo 18 del Testo Unico e sono distinti da quelli del preposto sia nella normativa che nella prospettiva sanzionatoria, la quale, inoltre, già negli anni 50, dedicava articoli diversi alle contravvenzioni per datori e dirigenti da una parte e alle contravvenzioni per i preposti dall’altra; tutto ciò confermato nella disciplina attuale, dove l’articolo 55 del Decreto Legislativo del 2008 è dedicato alle sanzioni per datore di lavoro e dirigenti e l’articolo 56 del Testo Unico è dedicato alle sanzioni per il preposto.
Si rimarca in tal modo il carattere organizzativo del compito dirigenziale, omogeneo a quello datoriale, rispetto al compito preminentemente esecutivo del preposto.
Il dirigente, di conseguenza, non è tenuto ad un controllo quotidiano sull’andamento delle lavorazioni, come invece spetta al preposto, il quale ha
l’obbligo di sorvegliare sul campo che siano rispettate le norme antinfortunistiche, ma deve assicurare una sorveglianza di tipo generale, organizzativo, predisponendo tutti gli strumenti necessari alla prevenzione e alla protezione: deve, appunto, effettuare una supervisione. La figura dirigenziale si differenzia, poi, da quella del datore di lavoro perché, pur dotato di poteri decisionali e di spesa10 non li può esercitare in piena
autonomia e quindi non può essere considerato responsabile
dell’organizzazione lavorativa, ossia delle “strategie gestionali dell’impresa”.
In definitiva, lo schema delle competenze preventive in una azienda risulta essere risulta essere questo: il datore elabora gli indirizzi, il dirigente, dotato di poteri gerarchici sui lavoratori, li attua, il preposto vigila sull’esecuzione. Così si spiega perché il dirigente sia escluso da alcuni obblighi indelegabili del datore di lavoro. Anzi, a prima lettura, al dirigente sembrerebbero non applicabili anche gli obblighi previsti dall’articolo 18, comma 2 del Testo Unico, nel quale è nominato il solo datore di lavoro. A ben analizzare, invece, nell’apparato sanzionatorio la violazione di questa norma è punita amministrativamente sia per il datore di lavoro che per il dirigente (articolo 55, comma 5, lettera g), da cui si desume che gli obblighi imposti incombono su entrambi. Invece per la violazione dell’art. 17 è punito esplicitamente solo il datore di lavoro.
Sostanzialmente, però, si può dire, nonostante qualche differenza, che l’obbligo della salvaguardia della sicurezza appartenga a tutte e due le figure. Se, tuttavia, questo in teoria è vero, nella pratica l’ampiezza del ruolo
10
A. D’AVIRRO, P. LUCIBELLO, I soggetti responsabili della sicurezza sul lavoro nell’impresa. Datori di lavoro, dirigenti, committenti, responsabili dei lavori e coordinatori, Giuffré, 2010, p. 47
dirigenziale dovrà essere valutata tramite criterio delle “competenze e attribuzioni” (articolo 18, comma 1, del Testo Unico). Infatti le competenze discendono dalla qualifica rivestita, le attribuzioni sono poteri aggiuntivi concessi al datore di lavoro.
Inoltre la funzione dirigenziale andrà misurata “in ragione delle competenze professionali e dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli” (articolo 2, comma 1, lett. c).
Di conseguenza dai dirigenti definiti dal Testo Unico vanno esclusi quei soggetti apicali che non esercitino funzioni attinenti alla salute e sicurezza, ad esempio dirigenti del settore amministrativo o commerciale, ad eccezione del personale loro assegnato.
Può capitare, inoltre, che in aziende di modeste dimensioni quadri o anche impiegati di concetto, spesso dei tecnici, assumano il ruolo dirigenziale ai fini della prevenzione, avendo ricevuto “ampi poteri decisionali nell’ambito degli indirizzi generali fissati dal datore di lavoro”. Ne consegue che la figura del dirigente, oltre la qualifica formale, andrà quindi verificata nella pratica, potendo essere considerato tale anche un lavoratore autonomo o addirittura un soggetto estraneo all’organigramma aziendale se, in base a precisi indici, si dimostri che questi svolga concretamente funzioni dirigenziali. Ciò sarà possibile quando siano riscontrabili comportamenti ricorrenti, costanti e specifici dai quali desumersi l’effettivo esercizio di funzioni dirigenziali 11.
E’ quindi chiaro che, come in area datoriale, esiste un distacco tra una definizione di dirigente a fini lavoristici ed una a fini prevenzionali:
quest’ultima è pertanto una definizione strettamente collegata all’assetto dell’organizzazione d’azienda.
Il dirigente deve cooperare con il datore per garantire il rispetto della disciplina della sicurezza, essendovi una “condivisione” degli oneri. Inoltre, sebbene il dirigente per definizione debba seguire le direttive datoriali, la giurisprudenza ritiene che questo non debba avvenire quando le disposizioni impartite siano in contrasto con la disciplina preventiva, in modo che l’esecuzione non può essere invocata come causa di giustificazione.
Tale condivisione viene naturalmente ridimensionata nel caso in cui il dirigente assommi in sé le proprie competenze (iure proprio) e quelle trasferite dal datore di lavoro, attraverso una delega funzionale che rafforzi la condizione del dirigente quale alter ego del datore di lavoro, ipotesi frequente, ma pur sempre eventuale.
Particolare è il caso del dirigente nel settore pubblico, il quale potrà assumere direttamente il ruolo di datore di lavoro, se individuato come tale, possibilità ammessa anche nel settore privato, qualora il dirigente sia responsabile di una autonoma unità produttiva, con adeguate deleghe.
Definito dal Testo Unico del 2008 come la persona che “attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa”, il dirigente costituisce il primo collaboratore del datore di lavoro nell’ambito della disciplina antinfortunistica, in quanto è colui che organizza l’attività lavorativa, adotta le direttive di politica aziendale ordinate dal datore di lavoro. Allo stesso tempo, è tenuto ad un dovere di sorveglianza inerente alla attuazione delle direttive impartite da parte dei lavoratori, seppur non costante e sul campo, come il preposto, ma in termini più generali.