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Appendice A Cenni storici sull’evoluzione degli strumenti ad arco

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Appendice A

Cenni storici sull’evoluzione degli strumenti ad arco

Gli strumenti ad arco appartengono a quella categoria di strumenti musicali che prende il nome di cordofoni, classe di strumenti in cui il corpo vibrante è costituito da corde. Questi si dividono essenzialmente nei seguenti gruppi:

1) i cordofoni semplici sprovvisti di manico: - a pizzico (salterio, cetra da tavolo, arpa);

- a percussione (nuovamente salterio, dulcimer, qānūm arabo);

- a tastiera (spinetta e clavicembalo, a corde pizzicate; clavicordo, a tangenti; pianoforte, a corde percosse; antico organistrum, ghironda, a frizione meccanica);

- a aria (arpa eolica, con corde azionate dal vento);

2) i cordofoni composti: - a giogo (lira);

- a manico (liuti e chitarra, a corde pizzicate; ribeca, viole da braccio e da gamba, violini, a corde strofinate).

L’uso di un arco allo scopo di estrarre il suono da una corda per strofinamento ha inizio nell’Asia centrale molto tempo prima che in Europa. Solamente nell’XI secolo presso di noi compare il primo strumento studiato apposta per essere suonato con l’archetto: la ribeca (Figure A1, A2). Si tratta della diretta discendente del rebab arabo: può avere fondo piatto o convesso e il numero di corde può variare da due-tre fino a cinque-sette. La cassa di risonanza è assottigliata e priva di incavature; lo strumento veniva appoggiato sulla spalla e suonato con un archetto.

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276 Figura A1: rebab arabo.

Figura A2: ribeca a cinque corde.

Nel Quattrocento si assiste alla comparsa della tromba marina (Figura A3 a) ), un grosso strumento lungo circa due metri con una cassa a forma piramidale e dotato di una sola corda. Questa viene divisa in due parti diseguali poggiandovi il pollice; l’archetto viene fatto scorrere sulla porzione più corta, mettendo comunque in vibrazione entrambe le parti della corda che possiede un nodo nel punto toccato: ciò ovviamente può realizzarsi solo se la nota emessa è un’armonica del tono fondamentale della corda libera.

Lo strumento può quindi produrre esclusivamente suoni armonici, caratteristica che lo rende poco interessante dal punto di vista musicale ma molto stimolante per quel che concerne la fisica del suono. Il nome fa riferimento ad un duplice aspetto: da un lato richiama il fatto che il suono, come nella tromba, è costituito da una serie armonica, dall’altro si riferisce al timbro dello strumento stesso il quale è dotato di un ponticello

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277 applicato alla corda che vibra e percuote la tavola armonica accentuando la caratteristica timbrica somigliante alla tromba.

Tra gli strumenti che non ebbero trionfale sviluppo si ricorda la lira da braccio (Figura A3 b) ), strumento quattrocentesco discendente della fidula, che poteva possedere fino a sette corde tastate e due di bordone a nota fissa; ne esisteva anche una versione da gamba con dodici corde più due di bordone. Entrambe venivano utilizzate per accompagnare la recitazione poetica.

Figura A3: a) tromba marina; b) lira da braccio.

Passando al Settecento si ricorda la ghironda (Figura A4), nota anche come lyra mendicorum, strumento largamente utilizzato dai girovaghi, come suggerisce il nome latino, dotato di corde stese sopra una cassa armonica che si presentava come leggermente arcuata. Il suono viene prodotto per sfregamento delle corde contro una ruota che viene fatta girare a mano tramite una manovella; con l’altra mano l’esecutore manovra dei tasti che, andando a premere le corde in punti precisi, ne alterano la lunghezza attiva. Nella sua versione più antica, l’organistrum, la ghironda era conosciuta fin dall’anno Mille; nel Seicento le sue dimensioni si erano notevolmente ridotte rispetto al periodo medievale, e la forma non era più a cassetta bensì a guscio di liuto o chitarra.

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278 Figura A4: ghironda.

Più antica (se ne trovano tracce già nel Duecento) e sicuramente più importante per gli sviluppi futuri è la viola, o viella, nelle sue varietà da brazzo e da gamba. Questa si considera come il perfezionamento della vièle ad arco, a sua volta derivante dalla crotta (cruth) celtica (Figura A5) la quale era costituita da una cassa di risonanza, senza curve nei fianchi, realizzata mediante una tavola armonica e un fondo piatto riuniti con fasce. Nella parte piatta che formava il manico erano praticate due aperture attraverso le quali il musicista passava le dita della mano sinistra per appoggiarle alle corde che, in numero di tre, erano fissate direttamente alla cassa armonica sprovvista di cordiera; aveva un alto ponticello piano che impediva all’arco di toccare una sola corda per volta. Passando alla vièle, questa aveva quasi la forma della moderna viola: a fondo piatto, poteva essere tenuta sotto il mento e il numero delle corde variava da due a sei. La vièle a cinque corde venne modificata alla fine del XIII secolo: si arrotondò il ponticello rispetto a quello della più antica crotta e si praticarono leggere incavature ai fianchi della cassa per evitare che l’arco sfregasse sui bordi.

Dalla vièle si giunge quindi alle prime viole, che si presentavano con cassa piatta e fasce che giravano intorno alle tavole, incavate ai lati con una forma a C molto aperta. Ai due lati del ponticello, all’altezza delle incavature laterali, il piano presentava due fori generalmente a forma di C opposti; il riccio si ornava talvolta di teste scolpite di donne o di animali.

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279 Figura A5: origine ed evoluzione delle viole da braccio e da gamba.

In base al numero delle corde e alla posizione in cui venivano tenute per l’esecuzione, le viole si distinguono in due grandi categorie, le viole da braccio e le viole da gamba. Come suggeriscono i nomi, le prime vengono suonate posizionando lo strumento sulla spalla e poggiandovi il mento, garantendo il sostegno con il braccio; le seconde vengono poggiate per terra e tenute tra le ginocchia del musicista. Oltre a queste due grandi categorie si ricordano la viola d’amore e il quintone o dessus de viole, con

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280 posizione di maneggio uguale a quella delle viole da braccio; il bacco di viola,la viola bastarda, la viola bordone o baritono e la viola pomposa con maneggio uguale a quello della viola da gamba.

Le viole da braccio e da gamba (Figure A6 e A7) venivano realizzate in quattro misure con riferimento alla tradizione polifonica vocale: soprano, contralto, tenore e basso.

Figura A6: musicista con viola da braccio.

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281 Le viole da braccio erano dotate di quattro corde accordate per quinte mentre le viole da gamba erano dotate di sei corde accordate per quarte. Con il perfezionamento delle tecniche realizzative e con le sempre maggiori richieste prestazionali e di praticità dello strumento si è giunti alla realizzazione dell’attuale famiglia dei violini (Figura A8), nella quale le caratteristiche degli strumenti più antichi sono combinate e migliorate; violino e viola sono i più simili alla viola da braccio, mantenendone la posizione di maneggio (Figura A9) e le quattro corde accordate per quinte; il violoncello mantiene l‘accordatura della viola da braccio, ma adotta la posizione di maneggio della viola da gamba, come si vede in Figura A10. Il contrabbasso invece prevede una commistione delle caratteristiche delle due famiglie di viole: il numero di corde è pari a quattro, come nelle viole da braccio, ma accordate per quarte, come nelle viole da gamba; posizione di maneggio, dimensioni e forma della cassa armonica ricalcano invece quelle della viola da gamba (Figura A11).

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282 Figura A9: posizione di maneggio per violino e viola.

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283 Figura A11: posizione di maneggio per il contrabbasso.

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Appendice B

L’orecchio umano

L’orecchio umano è la struttura che consente di trasformare l’indecifrabile sequenza di oscillazioni di pressione associate ad un suono in una nitida trama musicale, costituita da una molteplicità di timbri e di livelli poggianti su accordi. In questi termini l’orecchio può essere considerato come un trasduttore, ossia come un sistema capace di trasportare energia da un punto ad un altro passando attraverso vari stadi di trasformazione. Nell’apparato uditivo umano il sistema timpano - catena degli ossicini trasporta la vibrazione dell’onda sonora dall’aria all’orecchio interno, trasformandola in una serie di onde nel liquido contenuto nella coclea. Un particolare organo contenuto in quest’ultima trasforma poi l’energia meccanica delle onde nel liquido in impulsi elettrici che vengono inviati tramite il nervo acustico al cervello, dove infine vengono elaborati dando origine al suono come generalmente lo si intende.

Un disegno schematico dell’apparato auricolare è dato in Figura B1 in cui si distinguono:

- orecchio esterno, composto da padiglione auricolare e condotto o meato uditivo;

- orecchio medio, formato da timpano, ossicini (martello, incudine e staffa) e finestra ovale;

- orecchio interno, composto da coclea, canali semicircolari e fibre o terminazioni nervose.

E' noto che il suono si propaga in un mezzo attraverso onde di compressione e rarefazione; limitando il discorso al mezzo aereo, i mammiferi hanno messo a punto un sistema atto a captare (orecchio esterno) e a trasmettere (orecchio medio) tali vibrazioni all'organo dell'udito vero e proprio, la coclea (orecchio interno), ove tali segnali vengono trasformati in segnali elettrici che, tramite le vie acustiche, raggiungono la corteccia cerebrale uditiva ove vengono percepiti e interpretati tali segnali.

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285 Figura B1: rappresentazione dell’apparato auricolare.

Il padiglione auricolare ed il condotto uditivo esterno costituiscono nel loro insieme un canale aereo atto a raccogliere il suono da un’area sufficientemente ampia e a convogliarlo sulla membrana del timpano che chiude il condotto uditivo stesso. Questa è una membrana dotata di grande flessibilità ed elasticità che entra in vibrazione quando sollecitata da oscillazioni di pressione nell’aria interna al condotto. Condotto uditivo e timpano costituiscono di fatto una canna aperta ad un’estremità e, in quanto tali, risuonano in media alla frequenza di 3800 Hz, regione di massima sensibilità uditiva, garantendo comunque una buona risposta nella gamma di frequenze comprese tra 2000 e 5000 Hz.

Il padiglione auricolare ha un’altra importante funzione che è quella di riconoscere la direzione di provenienza del suono. Le onde riflesse dai vari punti del padiglione verso l’imboccatura del condotto uditivo presentano tra loro piccoli sfasamenti, dovuti al fatto di aver percorso cammini differenti: il cervello è in grado di ricavare da queste minime differenze informazioni di tipo direzionale. Ovviamente, al fine di garantire la perfetta localizzazione della sorgente, si richiede la presenza di un secondo orecchio: infatti, se

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286 il suono proviene, ad esempio, da destra, l’orecchio sinistro riceve l’onda che aggira il cranio per diffrazione con un certo ritardo rispetto all’orecchio destro, che in questo caso si trova nella stessa direzione di propagazione del suono. Il ritardo corrisponde ad uno sfasamento angolare che viene calcolato in funzione della lunghezza d’onda del suono. Se la sorgente viene gradualmente spostata verso la posizione frontale, lo sfasamento tra le due orecchie diminuisce tendendo a zero: queste informazioni consentono al cervello di localizzare la sorgente. Tutto ciò vale però fintanto che ci si mantiene al di sotto dei 1000 Hz; alle frequenze superiori ai 4000 Hz, che hanno una minore capacità di aggirare gli ostacoli per diffrazione, la direzionalità del suono viene individuata con maggiore facilità. Questo perché la presenza della testa fa sì che il suono non giunga con la stessa intensità alle due orecchie, rendendo più facile l’individuazione della posizione della sorgente sonora che sarà localizzata nella direzione in cui l’intensità sonora è maggiore. Infine, nella regione compresa tra i 1000 e i 4000 Hz sono operanti entrambi i meccanismi, ma in maniera non ottimale: ciò fa sì che in tale intervallo di frequenze il potere di discernimento della direzionalità del suono sia molto più debole.

Tutto ciò è valido fintanto che l’ascoltatore si trova all’interno di un locale privo di riverbero: di contro, il medesimo suono potrebbe pervenirgli da svariate direzioni, avendo come conseguenza la perdita di efficacia del primo dei due meccanismi, ossia quello basato sullo sfasamento tra le onde, con conseguente difficoltà nella localizzazione di suoni con frequenze basse.

Tra il timpano e la finestra ovale, apertura di accesso alla coclea, si estende l’orecchio medio, di cui un’illustrazione schematica è data in Figura B2. Una volta entrato in vibrazione il timpano, tenuto in tensione dal muscolo timpanico, convoglia le onde sonore alla finestra ovale tramite un sistema di leve, la catena degli ossicini, che si compone di martello, incudine e staffa. Grazie al grande rapporto che c’è tra l’area del timpano (circa 75 mm2) e quella della finestra ovale (circa 3 mm2), con il sommarsi degli effetti di leva meccanica cui sono responsabili gli ossicini, le oscillazioni di pressione all’uscita dell’orecchio risultano amplificate di circa trenta volte rispetto a quelle in ingresso: ciò è di fondamentale importanza in quanto, se non amplificata, solamente una piccola parte della perturbazione acustica che si presenta all’ingresso dell’orecchio sarebbe trasferita alla parte più interna, a causa della discontinuità delle proprietà dei mezzi interposti tra l’aria e il tessuto organico della membrana basilare.

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287 Figura B2: composizione dell’orecchio medio.

Un’altra importante funzione dell’orecchio medio è quella di sviluppare difese nel caso in cui il suono sia eccessivamente forte. In tali circostanze il muscolo timpanico si irrigidisce, evitando che il timpano si deformi eccessivamente mentre un secondo muscolo allontana la staffa dalla finestra ovale riducendo così la trasmissione di vibrazioni: questo effetto protettivo prende il nome di riflesso acustico o riflesso di Stapedio. Il riflesso acustico necessita di qualche istante per divenire operante, motivo per cui non è efficace nel caso di suoni forti ed improvvisi come le esplosioni.

Rientra nell’orecchio medio anche la tuba di Eustachio (si faccia nuovamente riferimento alla Figura B1), un condotto che collega questa porzione dell’apparato uditivo con la parte posteriore della cavità orale avente lo scopo di equalizzare la pressione statica interna ed esterna; generalmente è chiusa, aprendosi per contrazione muscolare solo quando si sbadiglia o si deglutisce.

Dall’orecchio medio la vibrazione giunge all’organo dell’udito vero e proprio, l’organo del Corti, che risiede all’interno della coclea, al di sopra della membrana basilare (Figura B3). La coclea è un condotto osseo avvolto a spirale che costituisce il fulcro dell’orecchio nonché la sede del processo uditivo, ossia della traduzione di impulsi

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288 meccanici in segnali nervosi; è scavata all’interno dell’osso temporale e contiene e protegge la parte membranosa, cioè il condotto cocleare vero e proprio. La sua lunghezza è di circa 35 mm, con un diametro che si restringe gradualmente a partire dall’imboccatura della spirale, dove misura 2 mm. Nella coclea si distinguono diverse gallerie che corrono per la sua intera lunghezza: il dotto cocleare, riempito di un liquido detto endolinfa, la rampa vestibolare e la rampa timpanica, anch’esse riempite di fluido. Il dotto cocleare è separato dal comparto superiore tramite la sottile membrana di Reissner e dal comparto inferiore dalla membrana basilare. Si precisa che nell’orecchio interno i canali semicircolari non hanno molto a che fare con l’udito vero e proprio, ma servono piuttosto da organi di controllo dell’equilibrio.

Figura B3: vista in sezione della coclea.

L’organo del Corti è una sottile massa gelatinosa che accoglie le cellule colonnari interne ed esterne, le cui ciglia le mettono in connessione con le fibre nervose: è quindi a livello di tali cellule che avviene la trasduzione, cioè la trasformazione dell’energia meccanica vibratoria trasmessa dalla membrana timpanica, dalla catena degli ossicini e dei liquidi labirintici, in energia elettrica. Le ciglia, infatti, flettendosi quando sono raggiunte dalla vibrazione meccanica in moto lungo la membrana basilare, spingono le relative cellule a produrre segnali elettrici che vengono raccolti dalle terminazioni nervose del nervo uditivo e convogliati al cervello. Il numero di impulsi per secondo dipende sia dalla frequenza dell’onda, sia dalla sua intensità.

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Possiamo riassumere quanto appena detto in maniera schematica come segue: 1) il suono si propaga attraverso l’aria;

2) colpisce la membrana timpanica che entra in vibrazione trasmettendo l’onda sonora alla catena degli ossicini;

3) l’ultimo ossicino, la staffa, trasmette la vibrazione alla finestra ovale da cui, attraverso il liquido endolinfatico del labirinto membranoso, si propaga all’interno della chiocciola;

4) le cellule acustiche dell’organo del Corti si

stimolano le relative cellule acustiche a produrre impulsi elettrici;

5) le terminazioni nervose del nervo acustico captano tali impulsi e li trasmettono all’encefalo dove vengono percepiti in maniera cosciente.

Come ci si può aspettare, l’udito non si mant

dell’essere umano: in particolare l’invecchiamento dei tessuti con l’età, oltre alla diminuzione del numero di cellule ciliate nell’organo del orti, sono la causa principale di perdita di udito, fenomeno che interessa so

come si riporta in Figura B4.

Figura B4: andamento della perdita dell’udito in funzione della frequenza e dell’età. Possiamo riassumere quanto appena detto in maniera schematica come segue:

il suono si propaga attraverso l’aria;

olpisce la membrana timpanica che entra in vibrazione trasmettendo l’onda sonora alla catena degli ossicini;

cino, la staffa, trasmette la vibrazione alla finestra ovale da cui, attraverso il liquido endolinfatico del labirinto membranoso, si propaga all’interno della chiocciola;

le cellule acustiche dell’organo del Corti si piegano per effetto delle vibrazioni e stimolano le relative cellule acustiche a produrre impulsi elettrici;

le terminazioni nervose del nervo acustico captano tali impulsi e li trasmettono all’encefalo dove vengono percepiti in maniera cosciente.

Come ci si può aspettare, l’udito non si mantiene invariato nel corso della vita dell’essere umano: in particolare l’invecchiamento dei tessuti con l’età, oltre alla diminuzione del numero di cellule ciliate nell’organo del orti, sono la causa principale di perdita di udito, fenomeno che interessa soprattutto la regione delle alte frequenze come si riporta in Figura B4.

Figura B4: andamento della perdita dell’udito in funzione della frequenza e dell’età.

289 Possiamo riassumere quanto appena detto in maniera schematica come segue:

olpisce la membrana timpanica che entra in vibrazione trasmettendo l’onda

cino, la staffa, trasmette la vibrazione alla finestra ovale da cui, attraverso il liquido endolinfatico del labirinto membranoso, si propaga

per effetto delle vibrazioni e stimolano le relative cellule acustiche a produrre impulsi elettrici;

le terminazioni nervose del nervo acustico captano tali impulsi e li trasmettono

iene invariato nel corso della vita dell’essere umano: in particolare l’invecchiamento dei tessuti con l’età, oltre alla diminuzione del numero di cellule ciliate nell’organo del orti, sono la causa principale prattutto la regione delle alte frequenze

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290 I valori sperimentali cui si fa riferimento sono mediati su un ampio campione di maschi e femmine, con riferimento alla soglia propria di udibilità della fascia tra i venti e i ventinove anni.

I caratteri del suono che vengono maggiormente compromessi dall’invecchiamento dell’apparato uditivo sono in primo luogo il timbro, poi il livello sonoro, gli effetti di consonanza, il transiente di attacco e il decadimento. Ciò risulta particolarmente svantaggioso per chi pratica la musica: con il passare dell’età diminuisce il grado di apprezzamento delle coloriture timbriche e degli equilibri armonici, mostrando una maggiore disponibilità nei confronti di dissonanze e suoni sperimentali in genere; in pratica, la riduzione delle capacità uditive determina l’accettazione di un livello di qualità musicale più basso.

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291

Appendice C

Approfondimenti sulla teoria modale

1.

Derivazione della formula di Rayleigh

Figura C1: schema di un ambiente parallelepipedo di dimensioni lx, ly e lz.

Si consideri un ambiente di forma parallelepipeda come quello riportato in Figura C1, di dimensioni lx, ly e lz e delimitato da pareti piane, omogenee e perfettamente rigide. Si vuole studiare il campo acustico in condizioni stazionarie creato dalle onde sonore che si propagano con velocità c al suo interno. Detta p la pressione acustica, tali onde soddisfano l’equazione: ∇2 = 2 2+ 2 2+ 2 2 = 1 2 2 2 (1)

che, assumendo una legge armonica per la dipendenza dal tempo ( ∝ ), può essere scritta come:

(18)

292 2 2+ 2 2+ 2 2+ 2 = 0 (2)

con = / e k numero d’onda.

La pressione acustica p può essere espressa come il prodotto di tre componenti dipendenti solo da x, y e z:

= (3)

Con quest’ultima considerazione, l’equazione delle onde assume la forma:

1 2 2 + 1 2 2 + 1 2 2 = − 2 (4)

e può essere separata in tre diverse equazioni:

2 2 = − 2 , 2 2 = − 2 , 2 2 = − 2 (5) con 2+ 2+ 2= 2 (6)

Le soluzioni della (5) sono:

= cos , = #cos$ %,

= &cos

(7)

dove A1, A2 e A3 rappresentano le ampiezze delle tre componenti.

Tra le ipotesi iniziali c’è quella che le superfici siano tutte perfettamente rigide e quindi totalmente riflettenti, condizione al contorno che deve essere rispettata da ciascuna delle tre componenti. In termini di impedenza acustica Z, avere superfici totalmente riflettenti significa porre la condizione che |( | = )( ) = |( | = ∞; come conseguenza si ha che

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293 sulle superfici che delimitano il parallelepipedo la velocità di particella associata all’onda sia pari a zero, essendo la velocità dell’onda incidente uguale ed opposta a quella dell’onda riflessa. Si ha pertanto che:

= 0 + = 0 = , = 0 + = 0 = ,

= 0 + = 0 = ,

Considerando le soluzioni riportate nella (7), si hanno ora le condizioni:

sin = 0, sin$ % = 0, sin = 0 (8)

che sono soddisfatte quando:

= /, , = /, , = /, (9)

dove nx, ny e nz sono numeri interi positivi (0, 1, 2,...). Se sostituiamo le (9) nella (6) si ottiene:

01 = 2/ = 22 34, 5

#

+ 6, 7#+ 4, 5# (10)

dove l’indice N indica la terna di numeri nx, ny e nz. L’equazione (10), meglio nota come equazione di Rayleigh dal nome del fisico britannico che la formulò nel 1869, definisce le cosiddette autofrequenze o frequenze dei modi normali (o propri) di oscillazione caratteristici dello spazio a forma di parallelepipedo avente dimensioni lx, ly e lz. I modi propri non sono altro che le onde stazionarie che possono nascere nell’ambiente a causa delle sue dimensioni e proporzioni: si distinguono modi assiali, corrispondenti ad onde

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294 che si propagano parallelamente ad uno degli assi cartesiani, modi tangenziali, corrispondenti ad onde che si propagano parallelamente ad una coppia di superfici del parallelepipedo e si riflettono sulle altre due, e modi obliqui, corrispondenti ad onde tridimensionali che sono riflesse da tutte e tre le coppie di superfici del parallelepipedo.

2.

Distribuzione in frequenza dei modi propri del locale

Le frequenze dei modi propri di una sala fN possono essere ben rappresentate in un sistema cartesiano di assi fx, fy e fz da un reticolo di punti aventi coordinate cnx/2lx, cny/2ly, cnz/2lz (Figura C2). Ogni punto compreso nel diagramma rappresenta un modo normale di oscillazione: la lunghezza del vettore che unisce il punto con l’origine degli assi rappresenta la frequenza del modo mentre la direzione dello stesso vettore rappresenta la direzione dell’onda associata al modo stesso. Tutti i possibili modi del locale sono racchiusi nel reticolo di punti individuato dal verso positivo degli assi; in particolare i modi assiali sono quelli aventi i punti rappresentativi sugli assi, quelli tangenziali sono quelli aventi i punti rappresentativi sui piani, tutti gli altri sono modi obliqui.

(21)

295 Considerando il rapporto tra il volume dell’ottante di raggio f (/0&/6 e il volume della cella elementare del reticolo ( & 8: , il numero medio dei modi normali Nf può essere valutato come:

;0 ≈ /03/8:3/6 ≈ 4/3 :4053 (11)

La (11) è stata ottenuta considerando solamente i punti all’interno dell’ottante, trascurando i punti appartenenti agli assi e ai piani i quali però, come già anticipato, rappresentano le autofrequenze di modi assiali e tangenziali. Una formula più rigorosa è quella proposta da Morse nel 1981:

;0 ≈ 4/3 :4053+ /4? 405#+ @8 0 (12)

dove con S si indica l’area del parallelepipedo e con L il suo perimetro. Nel caso in cui le dimensioni del locale siano molto maggiori delle lunghezze d’onda dei suoni emessi, e cioè quando : ≫ ? /80, la (12) può essere tranquillamente ricondotta alla (11). Derivando la (12) si può inoltre ottenere il numero totale di modi dNf compreso all’interno di una banda di larghezza df :

;0 ≈ B4/:0 2 3+ /? 2 0 2+ @ 8 C 0 (13)

In Figura C3 si riporta l’andamento dei modi contenuti in bande di 10 Hz, tra 0 e 200 Hz, per un ambiente di 275 m3: la curva spezzata rappresenta il vero numero di modi mentre la curva tratteggiata rappresenta il numero di modi stimato con la (13).

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296 Figura C3: andamento dei modi per un locale di 275 m3.

Si definisce poi densità di modi normali il numero di modi normali per unità di frequenza intorno ad una precisa frequenza f; considerando solo il termine quadratico della (13), si ha:

;0

0 ≈ 4/:0 2

3 (14)

Analizzando la formula si possono trarre due importanti considerazioni: la prima è che la densità dei modi normali di un locale è direttamente proporzionale al volume del locale stesso, la seconda è che questa, a parità di volume, cresce con il quadrato della frequenza.

3.

Assorbimento e curva di risonanza

Nella parte a) di questo Appendice si è assunta come ipotesi per la trattazione di sale di forma parallelepipeda la perfetta rigidezza delle superfici, in modo da non determinare effetti dissipativi. Tuttavia, nel caso reale, le superfici non sono mai perfettamente

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297 riflettenti: una parte di energia sonora viene sempre sottratta all’ambiente per assorbimento da parte delle pareti. Si può tener conto di questo aspetto associando ai modi una costante di smorzamento δ (in s-1) senza comunque alterare le considerazioni svolte fino ad ora, soprattutto per piccoli valori della costante.

Se si considera una sorgente sonora all’interno di un ambiente avente caratteristiche uguali a quelle descritte, che emetta suono a livello costante e ad una sola frequenza coincidente con la frequenza del modo n della stanza, si genera un fenomeno di risonanza per il quale la pressione sonora cresce progressivamente fino ad un valore medio valutato come:

2

D = E2

2 (14)

dove An, che rappresenta l’ampiezza dell’onda sonora associata al modo n, dipende dalle caratteristiche della sorgente, dalla sua collocazione e dal volume del locale. Più è elevato l’assorbimento, e quindi lo smorzamento, più si riduce la pressione acustica a parità di caratteristiche della sorgente sonora.

E’ proprio la presenza dello smorzamento a far sì che la (14) rappresenti il valore massimo della curva di risonanza caratteristica di ogni modo di oscillazione; la larghezza a metà altezza ossia, in termini logaritmici, la larghezza della curva in corrispondenza dei punti simmetrici in cui la curva di risonanza scende di -3 dB rispetto al massimo, è data da:

∆02= 0#− 0 = E2/ (15)

dove f1 e f2 sono le frequenze corrispondenti ai punti a metà altezza sulla curva di risonanza (Figura C4); spesso si fa riferimento alla semilarghezza della curva di risonanza, definita come ∆02 /2 = E2/2/ . Nonostante la semilarghezza delle risonanze in un ambiente parallelepipedo vari da modo a modo, in prima approssimazione questa può essere assunta intorno ad 1 Hz.

In generale maggiore è l’assorbimento acustico nell’ambiente, e quindi lo smorzamento, più basso è il picco di risonanza della curva e più ampia la sua larghezza; viceversa, deboli assorbimenti comportano picchi elevati e larghezze ridotte.

(24)

298 Figura C4: curva di risonanza di un modo normale con frequenza fn.

4.

La risposta in bassa frequenza: problematiche modali

Una delle grandezze fondamentali per poter studiare il comportamento di un certo locale in funzione delle frequenze che vengono emesse al suo interno è la frequenza di Schroeder fs , che è già stata definita come:

0G ≅ 5000 $:E̅% /# ≅ 2000 4 KL : 5 # (16)

dove V è il volume del locale in m3, E̅ è un valore medio della costante di smorzamento delle pareti calcolata su più modi e TR è il tempo di riverberazione medio che può essere messo in relazione con la costante di smorzamento media tramite l’espressione TR = 6,9/E̅.

Tuttavia esiste un altro parametro importante nell’analisi della risposta acustica di un ambiente: questo è l’indicatore adimensionale M denominato modal overlapping factor, ovvero grado di sovrapposizione modale. M viene definito dal prodotto tra la densità modale, definita in precedenza attraverso la (14), e la larghezza di banda modale, definita tramite la (15); le grandezze da cui dipende sostanzialmente il grado di sovrapposizione modale sono quindi la costante di smorzamento δn, la frequenza al quadrato e il volume dell’ambiente:

(25)

299

M = ∆0 ;0 = E2/ 4/0&#: ≈ E20#: (17)

Quanto più M assume valori bassi, tanto più l’ambiente sarà dominato dalla presenza dei singoli modi presenti: infatti, essendo il grado di sovrapposizione modale direttamente proporzionale alla densità modale e alla larghezza di banda modale, un basso valore di M sta ad indicare sia una bassa densità modale, e quindi un numero limitato di modi, sia una ridotta larghezza di banda, e quindi campane di risposta piccate e strette che fanno sì che i modi siano debolmente sovrapposti o addirittura isolati nella risposta in frequenza. Viceversa, al crescere dei valori di M l’ambiente è dominato dal comportamento statistico dovuto sia all’elevata densità modale, e quindi all’elevato numero di modi presenti, sia alla maggiore sovrapposizione delle campane di risposta. In sostanza possiamo considerare come acusticamente piccoli tutti gli ambienti a frequenze inferiori a quella di Schroeder, che presentano un basso grado di sovrapposizione modale M e la cui risposta in frequenza è dominata dai singoli modi. Si è già detto di come stanze che non siano realizzate mediante un puntuale progetto acustico presenteranno in generale una distribuzione delle frequenze di risonanza lasciata alla sorte: la risposta della stanza sarà in generale fortemente disomogenea, presentando alcune frequenze amplificate dalla presenza di più modi aventi quella precisa frequenza di risonanza ed altre depresse a causa della mancanza di modi con quella frequenza.

(26)

300 Si osservi la Figura C5 nella quale si riporta un esempio di risposta in bassa frequenza, evidentemente non lineare. La differenza in decibel tra picchi e valli della risposta in frequenza prende il nome di rapporto delle onde stazionarie: la fedeltà di riproduzione è ottimale fintanto che tale rapporto si mantiene inferiore ai 3 dB; si parla in questi casi di risposta in frequenza lineare o flat response. Purtroppo, soprattutto nei piccoli ambienti caratterizzati da un basso valore del grado di sovrapposizione modale, tale grandezza può assumere valori anche di decine di decibel, pregiudicando totalmente la qualità dell’ascolto. Inoltre l’intero ambiente tende a comportarsi come un filtro passa alto: la risposta in bassa frequenza sarà non solo disomogenea ma anche fortemente attenuata, in quanto il numero dei modi decresce fino alla più bassa frequenza definita dall’equazione di Rayleigh (10) al di sotto della quale non sono più presenti onde stazionarie.

Un basso valore di M può essere dovuto a vari fattori: - volume V dell’ambiente molto piccolo;

- bassa frequenza f: essendo M dipendente dal quadrato della frequenza, più è richiesta la fedeltà in bassa frequenza e più aumenta la criticità della situazione;

- basso valore della costante di smorzamento: la risposta peggiora per ambienti poco assorbenti.

In definitiva si capisce quanto sia importante la redazione di un progetto acustico preliminare per un ambiente destinato all’ascolto della musica ad alta qualità, dal momento che saranno sempre presenti problemi in bassa frequenza tanto maggiori quanto minori sono le dimensioni dell’ambiente ed il suo smorzamento.

(27)

301

Appendice D

I software AFMG

1.

Il software di predizione acustica EASE 4.4

Il software di predizione acustica che è stato utilizzato in questa tesi è EASE 4.4 (Enhanced Acoustic Simulator for Engineers, Figura D1), rilasciato con licenza a sei mesi direttamente dalla ditta produttrice, l’AFMG.

Fin dagli anni '90, EASE ha impostato lo standard mondiale per la simulazione acustica sia all'interno di locali che in ambienti aperti. Le stanze oggetto di indagine possono essere definite utilizzando un modello CAD in 3D, provvedendo poi con EASE ad assegnare i diversi coefficienti di assorbimento e scattering alle superfici, oltre ad inserire sorgenti sonore e posizioni o aree di ascolto: tutto ciò è necessario al fine generare una simulazione quanto più esatta possibile dei tempi di riverberazione, dell'intelligibilità del parlato e di altri parametri acustici, prima che sia costruita la stanza stessa o, nel caso di ambienti già esistenti, in maniera da progettare al meglio gli interventi di correzione acustica.

Figura D1: homepage del sito della AFMG per EASE.

Il software prende in considerazione il design del sistema, contribuisce ad eliminare errori costosi e a ridurre i tempi di installazione degli interventi progettati. I diversi

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302 moduli che lo compongono assistono i progettisti nell'apprendimento e nella crescita, visualizzando graficamente accurate previsioni sull'acustica del mondo reale. I modelli EASE sono un modo ideale per esplorare le varie soluzioni e valutare cosa funziona e cosa non funziona prima che il luogo virtuale diventi un sito di lavoro vero e proprio nel quale le eventuali modifiche richiederebbero tempi e costi anche notevoli.

EASE raccoglie al suo interno una serie di singoli programmi, o moduli, alcuni dei quali sono indipendenti tra loro ma possono essere utilizzati in maniera combinata durante la progettazione. Durante l’uso è buona regola lasciare in esecuzione solo i moduli adibiti alle funzioni richieste: in generale, questi si aprono automaticamente quando sono necessari per eseguire un’attività, ma devono essere chiusi manualmente dall’utente. I moduli indipendenti possono essere eseguiti separatamente, senza la necessità di avviare il programma principale: questi sono, ad esempio, il modulo Import Export, necessario per convertire i files .skp o .dxf generati dai programmi di modellazione CAD in files .frd sui quali può lavorare il programma, il modulo Material Base, necessario per scegliere dalle librerie di default i materiali usati nella progettazione o definirne di nuovi se si possiedono i coefficienti di assorbimento e di scattering, il modulo Speaker Base utile per creare o analizzare un cluster non associato ad uno specifico progetto aperto.

Gli elementi e le funzioni che costituiscono principalmente il programma sono: - modulo di disegno incorporato;

- integrazione con programmi CAD di terze parti; - database di materiali acustici;

- calcolo dei parametri standard della stanza;

- calcolo dei tempi di riverberazione (formula di Sabine e Eyring); - database di sorgenti sonore;

- modulo di creazione delle sorgenti sonore; - SpeakerBase e moduli SpeakerLab; - controllo del sistema audio virtuale; - cluster di altoparlanti;

- mappatura standard; - strumenti statistici;

- studi di riflessione con Ray Tracing; - mappatura standard con riflessioni;

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303 - analisi approfondita delle riflessioni;

- auralizzazione;

- modulo di simulazione dei dispositivi IR; - scambio di dati con altri pacchetti AFMG.

2.

Il software Soundflow

Figura D2: immagine di apertura di Soundflow.

SoundFlow (Figura D2) è un software di simulazione acustica utile per calcolare l'assorbimento, la riflessione e la trasmissione del suono per elementi a più strati. Il software consente la modellazione di strutture a parete, pavimento e soffitto, semplicemente specificandone materiali e spessori; si possono definire diversi parametri grafici e di calcolo.

I risultati ottenuti con Soundflow mostrano i nuovi coefficienti di assorbimento e di riflessione degli elementi a strati in funzione della frequenze, così come la perdita di trasmissione, l’impedenza in ingresso e altre misure di carattere acustico.

L’interfaccia grafica del software per la definizione del numero di strati, del loro spessore e del materiale è molto intuitiva (Figura D3); i materiali possono essere selezionati da un database che raccoglie quelli più diffusi, suddivisi in assorbitori, pannelli forati e piastre. La classificazione dei materiali è legata alle caratteristiche acustiche del materiale, ad esempio come conduce ed assorbe il suono. Inoltre per ogni categoria vengono utilizzate differenzi proprietà fisiche per definire il materiale nel

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304 calcolo: gli assorbitori sono quindi caratterizzati dalla loro resistività al flusso d’aria, le lastre invece dalla porosità.

I materiali possono essere modificati, così come possono esserne creati di nuovi semplicemente definendone le proprietà fisiche; il salvataggio di questi nuovi files li inserirà direttamente nel database del software.

Figura D3: schermata iniziale di Soundflow.

3.

Report dei materiali ottenuti con Soundflow

Si riportano nel seguito le schede (report) ottenute per le tre diverse tipologie di pannello con Soundflow. Nell’ordine si avranno:

- pannello in lana di roccia; - pannello in lana di vetro;

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305

Pannello in lana di roccia

Pannello in lana di roccia

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306

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308

Pannello in lana di vetro

Pannello in lana di vetro

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309 Pannello L.vetro

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311

Pannello acustico forato

Pannello acustico forato

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312 Pannello acustico

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(40)

314

Appendice E

Arredi acustici

Nel seguito si riportano gli elaborati contenenti gli arredi acustici valutati per i diversi strumenti ad arco. Come precisato nel Capitolo 6, si è scelto di utilizzare per le analisi della sala allo stato modificato l’allestimento previsto per il violino, in quanto è quello che più di tutti garantisce un andamento del tempo di riverberazione vicino a quello ottimale per tutte le frequenze centrali di banda di ottava.

In particolare si ha:

- Tavola 1: Arredo acustico per il contrabbasso; - Tavola 2: Arredo acustico per il violoncello; - Tavola 3: Arredo acustico per la viola; - Tavola 4: Arredo acustico per il violino.

Riferimenti

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