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Capitolo 1

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Academic year: 2021

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Capitolo 1

La tradizione filogina e misogina antecedente Tasso

All’inizio del XVI secolo, la condizione femminile divenne oggetto di una intensa riflessione che investì diversi ambiti e penetrò tutti i generi letterari. Tanto nella novella quanto nella lirica cortigiana, tanto nei trattati quanto nei poemi cavallereschi la donna è al centro di una rinnovata curiosità.

Si tratta di un interesse ideologicamente provocatorio, per una figura la cui alterità e dissimiglianza rispetto ai canoni del maschilismo culturale dominante dal Medioevo in poi coinvolge tutti i piani dell’esistenza: anatomico, psicologico, mentale, sociale, professionale.

L'attenzione accesa sulla donna, finalmente intesa come soggetto dotato di una distintiva autonomia psicologica nei confronti del modello maschile, produce tutta una serie di opere nelle quali la dimensione femminile della gratia, della misura e della

piacevolezza riceve una sorta di celebrazione teorica, connessa alle idee neoplatoniche

ereditate dall'Umanesimo quattrocentesco1.

1 P. 0. KRISTELLER, "Neoplatonismo e Rinascimento", in Il neoplatonismo del Rinascimento,a cura di

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1.1 Le fonti classiche: Aristotele e Platone

All’interno del dibattito rinascimentale sul ruolo della donna nella società e sulla questione della virtù femminile, emerge la posizione contrastante di due autorità classiche, Aristotele e Platone.

Il primo, convinto della naturale disuguaglianza dei sessi e della superiorità maschile sulle donne, specialmente nella riproduzione, nel volume “Riproduzione degli

animali2” sottolinea che la riproduzione è comune ad entrambi i sessi: “il maschio è

portatore del principio del mutamento e della generazione”, “la femmina di quello della materia”.

Tuttavia il maschio e la femmina sono dotati di “una diversa facoltà”, il primo è “attivo” in quanto “atto a generare nell’altro”, la seconda è “passiva” in quanto “è quella che genera in se stessa e dalla quale si forma il generato che stava nel genitore”.

Aristotele così, servendosi di questo principio-base della scienza, secondo il quale ciò che accade ha sempre una causa, afferma il primato maschile nella riproduzione, estendendolo anche in ambito sociale: l’uomo, attivo per natura, è portato al comando, nella famiglia l’uomo è superiore alla moglie e la comanda. Secondo Aristotele perciò, l’inferiorità della donna si fonda su basi biologiche e il rapporto uomo-donna è interpretato attraverso due delle categorie più importanti della sua filosofia, quella di forma e di materia.

L’uomo-forma fa di ogni cosa ciò che è, e in quanto portatore del seme, è attivo e trasforma la passiva materia femminile naturalmente e ontologicamente inferiore.

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Nel testo La sconfitta di Diana Laura Benedetti riprende quanto afferma Aristotele: <<come per natura c’è chi governa e chi è governato, così le qualità dell’uomo e della donna sono di necessità differenti>>.3 Le virtù dell’uno e dell’altra sono dunque di natura diversa: il coraggio, che nell’uomo si manifesta nel comandare, è obbedienza nella donna (Politica I, 13). Nell’Economica (I, 3), Aristotele puntualizza come le qualità siano diverse per meglio corrispondere alle diverse funzioni dei due sessi nell’ambito della famiglia e nei confronti della prole.

Una visione opposta della figura femminile è offerta invece da Platone, il quale assume una posiziona ambigua ed ambivalente: infatti, se nella Repubblica egli offre alla donna la possibilità di un ruolo di primo piano e ne riconosce quasi l’eguaglianza con gli uomini, nelle Leggi, invece, fa emergere un atteggiamento di diffidenza nei confronti delle donne.

Nella Repubblica tratta del modello ideale di stato e parte dalla funzione della donna; egli afferma che l’uomo e la donna sono di nature diverse, ma questa differenza è rilevante solo per la parte che riguarda la generazione dei figli, ma non ha affatto rilevanza nello svolgimento delle funzioni sociali, se non per la minore forza fisica delle donne; la differenza quindi è solo di tipo quantitativo (la minor forza) e non qualitativo. Inoltre, poiché “le facoltà sono state distribuite in maniera uniforme tra i due sessi, la donna è chiamata dalla natura a tutte le funzioni, proprio come l’uomo”. Vi sono infatti donne dotate per la medicina, per la musica, per l’atletica e perché no, anche per custodire la città, le quali potrebbero condividere l’educazione e i privilegi dell’uomo4. Platone perciò nella sua città ideale considera di far accedere la donna ai due campi che sono da sempre solo appannaggio degli uomini: la guerra e la politica. La rivoluzionaria

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L. Benedetti, La sconfitta di Diana. Un percorso per la <<Gerusalemme Liberata>>, Longo Editore Ravenna, 1996, p. 15.

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immagine della donna che Platone propone nella Repubblica sicuramente si applica soltanto alle mogli del gruppo dominante della città, mentre le altre mogli, come quelle dei lavoratori, non sono nemmeno menzionate.

Nelle Leggi Platone si allontana dal modello ideale per concepire, invece, una città realizzabile, e tuttavia non smette di considerare la figura femminile anche perché “le donne costituiscono la metà della popolazione cittadina”. Affermando la necessità per cui “[…] la donna nella misura del possibile condivida i lavori dell’uomo, sia nell’educazione, sia in tutto il resto”, Platone ripropone la sue convinzioni sulla condivisione della attività maschili da parte della donne anche nel suo “secondo” modello di Stato, pur con un arretramento complessivo.

Anche se le donne partecipano all’educazione e alla vita della città, non ricevono la stessa educazione dell’uomo e, benché si riconosca loro il diritto ad un’attività pubblica e della magistrature femminili (ispettrici dei matrimoni, ispettrici dell’educazione infantile) tuttavia non accedono alle stesse funzioni degli uomini5. In guerra hanno una parte, ma si tratta di una parte passiva in quanto possono dedicarsi all’attività bellica ma non partire per delle spedizioni militari. Infine, se nella città ideale della Repubblica la donna custode era dispensata da qualsiasi attività domestica, nella “seconda” città, quella delle Leggi, la donna è essenzialmente la padrona di casa. Nonostante tutto questo, Platone rompeva con i valori tradizionali e, benché sia teorico di una città “totalitaria”, è anche il primo che assegna alla donna un posto nella città, cessando di farla appartenere completamente e solamente alla sfera privata.

A tal proposito lo studioso Ian Maclean nel suo testo The Renaissance Notion of Woman distingue tre correnti, due delle quali si rifanno direttamente alle autorità classiche:

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secondo Theodor Zwinger (1543-1583), autore di un commento ad Aristotele (l’Aristotelis politicorum libri octo, 1582) la virtù femminile è diversa, in genere, da quella maschile: uomini e donne dovrebbero quindi praticare virtù diverse, spesso complementari ( silenzio e obbedienza per la donna, eloquenza e comando per l’uomo). Gli scrittori di ispirazione neoplatonica e neostoica invece, sostengono che la virtù sia uguale in entrambi i sessi6.

Oltre a queste due tendenze qui esaminate, Maclean ne individua una terza, rappresentata da Montecatini, autore di In politica progymnasmata (1587), dove si ribadisce che la nozione dell’identità della virtù maschile e femminile in genere è una struttura profonda, ma soggetta ad una trasformazione che individua diverse officia in relazione alla società e all’individuo e che sono il risultato di diverse funzioni fisiologiche e sociali dei sessi7.

Tornando alle posizioni delle due autorità classiche, in teoria opposte, possiamo riscontrare una similitudine se rapportate alla vita pratica. Infatti l’ideale neoplatonico, che tanto ribadisce la partecipazione delle donne alla vita politica, viene meno nella realtà: sebbene identiche nella loro potenzialità per la virtù, le donne devono adattarsi alla loro diversa funzione sociale, che impone virtù non richieste all’uomo, come la modestia e il silenzio, e dispensa da altre non necessarie o addirittura controproducenti, come il coraggio e l’eloquenza.

6 Ian Maclean, The Renaissance Notion of Woman, Cambridge, Cambridge UP, 1980, pp. 55-56.

7 Laura BENEDETTI, La sconfitta di Diana, Un percorso per la <<Gerusalemme Liberata>>, Ravenna,

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1.2 La rappresentazione della donna nel Cortegiano di Baldassarre

Castiglione

L’opera che rappresenta il maggiore documento letterario della nuova sensibilità rinascimentale verso la dimensione femminile è il Libro del Cortegiano di Baldassarre Castiglione.

In un dialogo fittizio ambientato alla corte di Urbino, attorno alla duchessa Elisabetta Gonzaga, che vede come personaggi Pietro Bembo, Bernardo Dovizi da Bibiena, Federico Fregoso, Ludovico di Canossa e Giuliano de’ Medici, viene delineato anche il profilo della donna di corte.

Marina Zancan sintetizza così il ruolo qui attribuito alle donne:

All’elemento femminile sono attribuite, nel testo, due funzioni: quella di ricondurre all’immagine del modello totale (la corte), in forma equilibrata ed armoniosa, quegli elementi di disordine che, per lunga tradizione di pensiero, la donna rappresenta e impersona; e quella di garantire, ricongiungendosi ordinatamente all’elemento maschile nella generazione stessa del discorso, che il sistema del modello possa essere totalizzante, apparire naturale e risultare, quindi, per questo, di valore universale.8

Nel Cortegiano la donna riveste grande importanza. Alla costruzione di un nuovo modello di femminilità tutto cinquecentesco Castiglione dedica infatti l'intero terzo libro del Cortegiano, mentre in tutta l'opera assai frequenti sono i passi in cui la conversazione riflette sulla necessità di una definizione di sensibilità femminile sganciata dagli stereotipi misogini ed orientata invece in direzione di una acquisita emancipazione sociale e culturale.

8

Cfr. M. ZANCAN, La donna, in Letteratura italiana, diretta da A. ASOR ROSA, vol. V, Le Questioni, Torino, Einaudi, 1986, pp. 765-827, in particolare p. 791.

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7

Nel III libro, Giuliano de’Medici, incaricato di confutare le opinioni misogine di Gaspare Pallavicino, elogia le donne come <<naturalmente capaci di quelle medesime virtù che son degli uomini>>, ma poi prescrive per la donna di corte comportamenti diversi da quelli del suo corrispettivo maschile. Alla donna così creata è indispensabile la bellezza ( <<perché in vero molto manca a quella donna cui manca la bellezza9>>) ma anche la circospezione, affinché non si dica male di lei (<<perché la donna non ha tante vie da difendersi dalle false calunnie, come ha l’homo10

>>). Soprattutto, deve possedere <<una certa affabilità piacevole11>>, riferita, come evidenzia Marina Zancan, alla <<sua capacità di ricevere, e riflettere il discorso prodotto dall’altro, funzione speculare a quella del Cortegiano, la cui capacità nell’intertenere è relativa a produrre un discorso forgiato su mediocrità, equilibrio, onestà>>12.

Nello stesso tempo viene tuttavia descritta anche la funzione intellettuale della donna di corte, come «complemento armonioso della figura del cortegiano».13 A questo proposito Giuliano de’ Medici aggiunge che la donna deve avere «notizie di lettere, di musica, di pittura e [deve saper] danzar e festeggiare, accompagnando con quella discreta modestia e col dar bona opinion di sé ancora le altre avvertenze che son state insegnate al cortegiano».14 Questa puntuale descrizione della funzione intellettuale della donna di corte contiene comunque la consapevolezza da parte degli uomini, in questo caso dei

9

Baldassar Castiglione, Il Libro del Cortegiano, Garzanti, Milano, 2000, p. 265.

10 Ibidem. 11 Ivi, p. 265. 12

Marina Zancan, La donna e il cerchio nel <<Cortegiano>> di B.Castiglione. Le funzioni del femminile nell’immaginario di corte, in Cerchio della luna. Figure di donne in alcuni stesti del XVI secolo, a cura di M. Zancan, Venezia, Marsilio, 1983, p.46.

13 Ivi, p. 792.

14

B. CASTIGLIONE, Il libro del Cortegiano, a cura di W. BARBERIS, Torino, Einaudi, 1998, in particolare pp. 267-68 (terzo libro).

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partecipanti al dialogo, della capacità intellettuale della donna. In effetti «il testo allude anche al fatto che si sa che anche le donne sanno».15

Un tratto dunque predomina sugli altri nella nuova figura di donna così ben codificata nel Cortegiano, quello forse che meglio esprime la portata rivoluzionaria della femminilità cinquecentesca. È l'insistenza ripetuta e più volte ribadita sull'erudizione della donna, sulla sua educazione letteraria e artistica, sulle sue frequentazioni intellettuali e librarie, sulle sue capacità di apprezzare e stimare le prove più difficili e complesse della cultura rinascimentale. Alla donna del Rinascimento è richiesta una preparazione culturale simile ed equivalente a quella dell'uomo, il suo 'sapere' deve essere altrettanto robusto ed elevato, pena l'emarginazione sociale. La questione non è da sottovalutare, in quanto esprime una svolta culturale e si potrebbe dire persino antropologica, di fondamentale importanza per la storia delle idee in età moderna. Una tale dimensione femminile emerge nel Cortegiano proprio 1à dove si insiste sul valore civile assunto dall'educazione culturale. Questa va intesa non come mera erudizione fine a se stessa, vissuta in ambito privato ed individuale, ma al contrario come efficace strumento di partecipazione sociale, talvolta ostentando ed esibendo, se le circostanze lo consentono, una formazione intellettuale maturata attraverso una partecipe frequentazione dei classici latini e volgari, e nel contempo sforzandosi di rivivere i modelli biografici da questi appresi.

Alla donna è concessa ora una dignità ed un ruolo impensabili sino a qualche decennio prima, e le vengono riconosciuti meriti e capacità di indubbia rilevanza.

15

Cfr. M. ZANCAN, La donna e il cerchio nel ‘Cortegiano’ di B. Castiglione. Le funzioni del femminile nell’immagine di corte, in Nel cerchio della luna cit., pp. 13-56, in particolare p. 28.

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Ciò nonostante, non va dimenticato che il fine ultimo di questi trattatisti consisteva nel mantenere il controllo sociale della femminilità tramite un'opera di istruzione preventiva tendente ad evitare l'imporsi di posizioni culturalmente eversive.

In tempi recenti, dinanzi a queste contraddizioni che percorrono la trattatistica rinascimentale, fondamentale è il contributo offerto da Ruth Kelso e da Daniela Frigo, le quali hanno avanzato l’ipotesi che il dibattito, lungi dal mettere in discussione l’ordine stabilito, tentasse piuttosto di arginare e segnatamente stigmatizzare dei comportamenti sociali trasgressivi16.

Anche se gli ampi orizzonti mentali del Rinascimento avevano consentito l'emergere e il diffondersi di una nuova idea di femminilità, sul piano concreto delle testimonianze documentarie scopriamo in realtà che la condizione storica della donna, sia pure arricchita dalla dignità culturale di recente conquistata, era socialmente ancora irreggimentata nel tradizionale ordine tripartito degli 'stati' verginale, maritale e vedovile. II suo ruolo non aveva altre dimensioni all'infuori di queste tre: vergine in attesa di matrimonio, di frequente con un uomo impostole da legami di interesse dinastico o finanziario; sposa e madre; casta vedova devota alla memoria del marito, quindi tre fasi inevitabili che ne scandiscono preordinatamente la vicenda biografica ed esistenziale.

La critica orientata sull’immagine della donna, ha seguito un orientamento prevalentemente femminista, perché tale linea è stata dominante negli ultimi decenni in relazione alla condizione femminile.

Così la Zancan ha individuato i limiti dell’emancipazione culturale e interattiva della donna di palazzo nell’intrattenimento, mettendola in relazione al sapere e al potere

16 Cfr. Ruth Kelso, Doctrine for the Lady of the Renaissance, Urbana University of Illinois Press, 1956,

p.19 e Daniela Frigo, Dal caos all’ordine: sulla questione del <<prender moglie>> nella trattatistica del sedicesimo secolo, in Nel cerchio della luna, cit., pp. 66-67.

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maschile, e sottolineando la sua funzione riflessa, ossia di rispecchiamento narcisistico del cortigiano, e la metaforizzazione del suo ruolo materno nella promozione dei discorsi17, insomma la sua perdurante funzionalità ai bisogni e al benessere del maschio, e il suo costituire l’oggetto di un discorso maschile, come limiti che metterebbero in dubbio la filoginia di Castiglione. In questa prospettiva ha dimenticato il ruolo positivo riconosciuto da Castiglione al linguaggio del corpo18, soffermandosi invece sul passo in cui la battuta del misogino ne autorizza la svalutazione come forma di irrazionale violenza, lasciando così intuire la persistenza nella sua stessa valutazione critica del pregiudizio misogino della donna-materia, per cui considerano i linguaggi non verbali e razionali come sottolinguaggi.

17 “La metafora relativa all’atto generativo è trasparente. […] questo potere, riconosciuto, si connota

come assoluto, universale, incontrovertibile, in quanto basato su elementi di realtà naturale”. Cfr. M. ZANCAN, La donna e il cerchio nel ‘Cortegiano’ di B. Castiglione. Le funzioni del femminile nell’immagine di corte, in Nel cerchio della luna cit., p. 22.

18 “Le donne del dialogo rispondono con le parole del corpo; afferma, con questo, che il ( discorso)

femminile, fuori dall’ambito e dalla regola maschile è materialità contrapposta alla ragione ( le donne rispondono con il corpo, e il corpo femminile che nella sua totalità si esprime, rompe l’equilibrio del pensiero astratto e crea una situazione che il contesto trasmette come a sé aggressiva)”. Ivi, p. 28.

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1.3 La linea filogina di Galeazzo Flavio Capra in Della eccellenza et

dignità delle donne

II valore emblematico di tali materiali educativi si riscontra nel trattato di Galeazzo Flavio Capra, intitolato Della eccellenza et dignità delle donne, uscito a Roma e a Venezia fra il 1525 e il 1526.

Nel breve trattato composto da 14 capitoli, Capra, più che dare precetti alle donne, si sforza semplicemente di difenderne la perfezione, confutando gli argomenti misogini. Anzi, dalla posizione più radicalmente filogina si può arguire che derivi la mancanza di precetti per le donne che evidentemente, per Capra, non ne hanno bisogno; al contrario gli uomini sono chiamati a rivedere i loro pregiudizi e a riconoscere il merito dell’altro sesso.

Il titolo rappresenta una sorta di preciso manifesto culturale, fedele e solidale al progetto insieme etico ed ideologico dell'antropocentrismo quattrocentesco.

Nel Quattrocento occorreva sottrarre al monopolio divino le capacità umane di costruire il proprio destino e la propria fortuna. Nel Cinquecento occorre sottrarre al monopolio della cultura maschilista il diritto della donna di influire sulla propria vita tramite scelte coscientemente eseguite. E prevale decisamente nel trattato di Flavio Capella l'amplificazione dei tratti antimisogini a favore di una riconciliazione dei sessi in nome di un ideale di dignità umana non scevro da ragioni sostanzialmente umanistiche. Ribadita a più riprese l'idea dell'imitazione di un modello muliebre letterariamente accreditato come principio pedagogico basilare rappresenta il sostrato concettuale su cui Flavio Capra edifica il suo manuale. L'imitazione ed emulazione di un canone comportamentale desunto dai testi (e non dalla vita o dall'esperienza) sono il fulcro

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intorno al quale si dispone la proposta educativa formulata nel Dell'eccellenza et dignità

delle donne. Tutto sta nel replicare il modello esemplare assunto quale regola e norma

di vita civile, mediante la realizzazione di un ordine delle somiglianze che punta a ridurre, se non ad azzerare, l'espressione delle peculiarità individuali e soggettivi. L’attenzione al modello più che al precetto avvicina inoltre quest’opera al Cortegiano, unitamente alla sopravvivenza di echi misogini sotto la veste filogina, e alla valorizzazione di aspetti quali la discrezione, la misura, l’onorabilità sociale, la bellezza, l’accenno al tema dell’amor platonico, presentato però in chiave erotica. Capra nella dedica assume l’intento dichiarato di difendere le donne per compiacere sia loro che gli innamorati. Questo voler necessariamente compiacere tanto alle donne quanto agli uomini potrebbe far sorgere il sospetto che il Capra stia producendosi in un gioco tra il letterario e utilitaristico, senza convinzioni ideologiche che motivino intenti di effettiva emancipazione.

L’argomentazione a favore delle donne è preceduta da un breve riepilogo degli argomenti utilizzati abitualmente a loro detrimento dai misogini, secondo i quali la donna-materia anelerebbe l’uomo-forma per perfezionarsi, ma sarebbe portatrice nel congiungimento di imperfezione per l’uomo che per questo la odierebbe; l’inferiorità naturale della donna giustificherebbe la sua subordinazione in ambito sociale e storico; di fronte alla nobiltà dell’uomo, creato ad immagine di Dio, prenderebbe rilievo ancora più negativo il peccato di Eva; il fatto poi che Cristo si fece “uomo non donna” sarebbe finalizzato a far conoscere all’umanità la differenza fra l’uno e l’altro sesso e la subalternità femminile; inoltre il genere femminile patirebbe di gravi difetti per natura come le mestruazioni,

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13 li menstrui e le altre bruttezze e immondizie che dai loro corpi escono (Della eccellenza e dignità delle donne, II)

La difesa si sviluppa soprattutto attraverso un’elencazione delle qualità delle donne, la cui superiorità sul maschile viene suffragata con la ripresa di argomenti e modalità proprie della tradizione, quali l’inversione di un difetto in virtù, e l’utilizzo dei cataloghi degli exempla: per esempio la loro superiorità nel possesso delle tre virtù teologali sarebbe dimostrata dalla più intensa frequentazione delle Chiese. Così pure la loro eccellenza nelle virtù cardinali sarebbe illustrata da un senso della giustizia strettamente unito a una liberalità illuminata, rinvenibile nella loro maggior disponibilità all’elemosina e carità pubblica. Capra sostiene inoltre che la superiorità femminile sarebbe suffragata dai dati statistici comprovanti che i delinquenti sono soprattutto maschi. Debolezza e lussuria femminile inoltre vengono implicitamente contestate collegando al maggior senso della giustizia la maggiore fortezza contro la tentazione, quella che la tradizione misogina aveva insieme legittimato e delegittimato chiamandola ‘impulso di vergogna’. La relegazione nella casa-famiglia, anziché essere oggetto di lamentazione come nella tradizione filogina, critica nei confronti di questo ruolo imposto dalla società patriarcale, offre anch’essa occasione per una rivalutazione della donna, autorizzandone quindi la persistenza:

secondo Capra, la virtù della prudenza femminile si manifesta indubbiamente nella saggia amministrazione della casa, connotata altresì da ordine e pulizia, e nella cura dei figli, sia nell’abbigliamento che nell’educazione. Quasi comica a questo proposito la rappresentazione al negativo delle case non amministrate dalle donne, assomigliate a porcili:

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14 le corti e palazzi solamente da uomini non governati ma dissipati paiono tanti porcili, sì sono affumicati e pieni d’ogni tempo de’ monti di letame. (Della eccellenza e dignità delle donne, VI)

Capra mostra poi l’intreccio di elementi misogini e filogini, anch’esso proprio della tradizione, laddove riconosce che le donne sono più inclini per natura alla lussuria, ma, grazie alla temperanza, sanno però contenersi ed essere fedeli a un solo uomo, comportamenti questi pressoché ignorati dagli uomini.

Così nel capitolo sulla temperanza, virtù “ massimamente propria “ delle donne, l’infinita stoltezza per cui gli uomini dicono le più grandi bugie, “ gloriandosi d’aver avuto or questa or quell’altra a’ suoi piaceri”, è attestata proprio dalle cortigiane milanesi che il Capra sa “di certissimo” non così “ pieghevoli e inchinevoli”19

.

Quanto alla intelligenza e alla dottrina, in consonanza con la tradizione filogina si citano numerosi esempi di donne pari o superiori agli uomini, come la poetessa Saffo, e si ribadisce che, se nel numero le donne sono inferiori, ciò avviene solo perché per costume sociale non sono proiettate vesso gli studi (Della eccellenza e dignità delle

donne, X). A sostegno di questa tesi si aggiunge inoltre l’assegnazione della sapienza al genere femminile nella mitologia greca: Atena, dea della sapienza, le Muse,

<< excitatrici degli elevati ingegni>>(: Della eccellenza e dignità delle donne, X).

Capra, nello sforzo di celebrare in toto la donna, chiama in campo anche i beni riservatile dalla fortuna (Della eccellenza e dignità delle donne, XI) a riprova dell’eccellenza del suo sesso: Adamo nacque in Siria, Eva invece nel paradiso terrestre;

19 Galeazzo Flavio Capella, Della eccellenza e dignità delle donne, a cura di Maria Luisa Doglio, Bulzoni

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interi continenti come l’Asia e l’Europa hanno nomi femminili; la terra stessa è detta madre universale. La sorte ribadisce dunque una priorità naturale.

L’argomento, ripreso più tardi nel cap. XIII, offre ancora curiosi e interessanti spunti sull’eccellenza delle donne: una preminenza naturale nella procreazione rispetto al maschio, anticipata dall’attenzione già rivolta alle maggiori fatiche della donna nella generazione e nell’allevamento dei figli:

Perché li figliuoli sono communi e se l’uno di dua gli ha più de l’altro parte, la donna veramente è quella che gli ha nel suo ventre portati, dil proprio latte nudriti, con tanta fatica e solicitudine allevati20.

Il che contesta implicitamente la priorità aristotelica dell’uomo che darebbe forma e spirito e riconosce invece la centralità della donna, per il fatto stesso che offre la materia per la generazione e la nutrizione dei figli.

Ancora un’attenzione e una rivalutazione del corpo e della fisicità che contraddistingue Capra, e che ne fa una componente significativa della rivalutazione della donna. Su questa linea si innesta anche il riconoscimento della preminenza femminile nella salute, consistente in una vita regolata, propria più delle donne che degli uomini (Della

eccellenza e dignità delle donne, XIII), e la rivalutazione delle mestruazioni non più giudicate un difetto, ma un pregio e un dono della natura, in quanto funzionali a purificare il corpo, e segno di nettezza e delicatezza,

appresso li menstrui e le spesse purgazioni le reguardano da molte infermità in cui li uomini spesse fiate incappansi (Della eccellenza e dignità delle donne, XIII).

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Alle donne Capra riconosce persino una forza fisica, dimostrata nell’antichità dalle Amazzoni, ma poi venuta meno per mancanza di esercizio, e ciò per una provvidenza quasi della Natura, costretta a togliere a metà del genere umano l’uso delle armi, utilizzate non più per il bene, come nell’età dell’oro, ma, nella presente età decaduta del ferro, solo per le offese e per la devastazione.

Prettamente rinascimentale risulta la valorizzazione della bellezza corporea, questo attributo femminile per eccellenza che viene dimostrato tramite un dettagliato confronto tra la bellezza delle donne e dell’uomo in cui le donne trionfano per proporzione, misura umidità che ne conserva meglio la vitalità e freschezza, mentre gli uomini sono barbuti e ispidi, né traggono vantaggio estetico dalla loro maggiore grandezza e altezza.

Nonostante la proclamata filoginia, è possibile rinvenire anche in Capra una ibridazione filogina misogina. Accanto alle componenti filogine, quali il ruolo importante delle donne per il benessere dell’uomo, perdurano componenti misogine anche di estrazione medievale nella figura della moglie paziente, alla riesumazione delle virtù teologali ai rilievi sulla fisicità che rimandano a pudore e spiritualità di matrice cristiana, alla attenzione alla maternità femminile (CD: XIII), giocata in chiave filogina.

È possibile ravvisare in Capra un punto di vista maschile, che nel difendere le donne non omette l’interesse degli uomini e non perviene a critiche severe nei loro confronti. Laura Benedetti osserva che l’animato dibattito cinquecentesco intorno al ruolo della donna potrebbe creare a distanza un’illusione ottica, ossia dare l’impressione di un reale tentativo di instaurare su nuove basi la convivenza dei sessi, ma le diverse posizioni teoriche volte a scongiurare ogni cambiamento sociale sembrano evidenziare l’aspetto intellettuale del dibattito.

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Secondo Conor Fahy, in questo tipo di trattati non è certo riscontrabile un tentativo di ristrutturazione su basi nuove della società, ma un benevolo riconoscimento, da parte degli uomini, delle potenzialità femminili.

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1.4 Il concetto di imitatio di Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim

in Della nobiltà et eccellenza delle donne

Non si discosta dal tracciato educativo indicato da Flavio Capella il trattato, simile anche nel titolo, De nobilitate et praecellentia foeminei sexus del medico e astrologo Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim.

Steso dapprima in latino verso il 1509 e poi impresso ad Anversa nel 1529, il trattato di Agrippa fu pubblicato in Italia dall'editore Gabriel Giolito de' Ferrari a Venezia nel 1549 col titolo Della nobiltà et eccellenza delle donne nella traduzione approntata da Alessandro Piccolomini, lui stesso autore di un'opera dichiaratamente 'femminista'. Non diversamente da quelle di Capella e Castiglione, le prescrizioni fornite dal trattato di Cornelio Agrippa sembrano connotate da un'insistenza speciale sull'imitazione, cioè sulla emulazione topica di un prescelto catalogo di figure femminili.

Le donne la cui vicenda biografica costituisce un exemplum, e dunque un modello da emulare secondo il precetto normativo dell' imitatio umanistica, sono per lo più additate da Agrippa in personaggi biblici e in personaggi dell'antichità greco-romana.

Cosi l'autore enumera ed allinea i nomi di Judith, Susanna, Ester (donne che alla bellezza hanno saputo aggiungere una grande virtù). Accanto a queste donne della tradizione giudaico-cristiana, quelle consegnate dalla tradizione classica: Cornelia dei Gracchi, Messalina sposa di Sulpicio, Didone di Cartagine, le romane Lucrezia e Sulpicia, la volsca Camilla. Queste ultime sono ottimo esempio di casto e fedelissimo amore o di tale forza morale che neppure di fronte alla minaccia della morte rinunciarono ai valori della verginità e del pudore. Non mancano neppure esempi di

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donne dalla più recente epoca medievale, altrettanto generose nel testimoniare una esistenza che merita di essere ripetuta ed imitata dalle donne del Rinascimento.

Insomma Agrippa fornisce alla pedagogia femminile del Cinquecento un repertorio assai vasto di biografie di donne ritenute modelli primari a cui tendere, o a cui ispirare la propria esistenza. Ancora una volta, nel pieno rispetto delle norme che regolano la civiltà del Rinascimento, occorre imitare, emulare, ripetere, riscrivere, riesumare. La donna stessa, secondo l'idea insegnativa espressa nel Della nobiltà et eccellenza

delle donne, deve imparare in primo luogo a 'ricordare', a ripercorrere nell'ordine della

memoria la casistica degli stilemi e dei comportamenti socio-culturali a lei più adeguati. L'educazione umanistica che le verrà impartita serve pertanto al compito di rammentare. La sua erudizione dipenderà dalla sua capacità di 'ritenere' nella memoria quanto le è stato insegnato.

Tuttavia, quello che importa precisare in questa sede è il fatto che, attraverso il percorso della florida trattatistica sulla pedagogia femminile, si costituisce rapidamente un 'innovativa tradizione di studi sulla donna, irrobustita dall'assimilazione dei materiali classici recentemente rivivificati per merito dell'Umanesimo quattrocentesco, ma soprattutto attualizzata tramite la sperimentazione di equilibri inediti in cui collocare i variati apporti dissodati dall'emergere del femminismo.

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1.5 La linea misogina di Juan Luis Vives in De l'istitutione de la femina

cristiana

Riconducibile agli anni di poco successivi al 1540 è l’innesto di istanze spiritualistiche all' interno delle strutture mentali e operative della pedagogia femminile.

Questa direzione religiosa impressa ora alla letteratura didattica è addebitabile alla complessa modificazione subita dalle pratiche di devozione tradizionale dopo la diffusione in Europa delle confessioni protestanti e riformiste21.

Alla pedagogia non è più solamente richiesto di impartire alla donna una educazione erudita, poiché occorre in aggiunta insegnarle a salvaguardare gli autentici dogmi cristiani dalle correnti scismatiche delle eresie luterana e calvinista.

Un tentativo di fondere la prassi della didattica femminile con esigenze autentiche di elevazione religiosa e facilmente identificabile in un trattato del filosofo ed umanista spagnolo, ma a lungo attivo in Italia, Juan Luis Vives, dal titolo De l'istitutione de la

femina cristiana, uscito a Venezia nel 1546 presso l'editore Vincenzo Valgrisi.

Nel De l'istitutione de la femina cristiana si scorge una maggiore incidenza della formazione religiosa della donna, sulla quale si insiste frequentemente tramite il diretto ricorso dell' exemplum mutuato dall'agiografia di beate e sante. Sul più vasto orizzonte della ricezione sociologica, il manuale di Vives indica esplicitamente quale portata abbia avuto la diffusione del rinnovamento religioso e spirituale avvenuto nel corso del Cinquecento. Dalle radicali innovazioni rispetto ai pregressi canoni misogini e

21Women in reformation and counter-reformation Europe: public and private worlds, a cura di S.

MARSHALL, Bloomington, 1989; R. H. BAINTON, Women of the Reformation in Germany and Italy, Minneapolis, 1971. Neesiste ora una traduzione italiana ampliata rispetto all'originale: ID., Donne della Riforma in Germania, in Italia e in Francia, Intro-duzione di S. PEYRONEL ROMBALDI, Torino, 1992. In part. per la realta italiana vedi A. VALERIO, "Domenica da Paradiso e la mistica femminile dopo Savonarola", Studi medie-vali, XXXVI, 1995, pp. 345-354.

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maschilisti, si evince pur tuttavia dall'opera di Vives la divulgazione di un modello femminile connotato da una profonda adesione a gli schemi religiosi che regolano il ruolo della donna nella società.

In quanto fanciulla devota e sottomessa moglie e madre timorata di Dio, la donna merita ogni rispetto. Ma all'infuori di questi ruoli essa perde ogni decoro e ogni decenza, esponendosi al giusto disprezzo dell'opinione comune. Se uniformata alle convenzioni del sistema clericale, la donna è una figura dalle attrattive seducenti, che gode di un prestigio spirituale pari a quello dell'uomo. Se osa porsi all'esterno di tale sistema, o in una posizione di critica distanza, allora essa diviene figura sospetta e finisce coll'essere oggetto della diffidenza generale. Perde dunque la ragione primaria della sua esistenza: quella di vivere in funzione del marito22.

22 D. FRIGO, "Dal caos all'ordine: sulla questione del 'prender moglie' nella tratta-tistica del sedicesimo

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