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CAPITOLO I L’anguilla

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CAPITOLO I

L’anguilla

“…la scintilla che dice tutto comincia quando tutto pare

incarbonirsi…”80

Dallo spoglio delle concordanze81 dell‟Opera in versi82 montaliana, l‟anguilla risulta

presente in cinque componimenti:

- I limoni (OS);

- La gondola che scivola in un forte (OC); - L‟anguilla (BU);

- Sul lago d‟Orta (QQ);

- Amici non credete agli anni-luce (AV).

I risultati dello spoglio fanno ben intravedere il ruolo fondamentale che l‟anguilla ri-veste nella lirica montaliana, coprendo con la sua presenza l‟intero arco cronologico della carriera poetica di Montale; dagli Ossi fino ad Altri Versi.

Il significato simbolico di questo animale ha radici antichissime. Solitamente esso rappresenta la forza vitale e creativa in grado di permettere grandi trasformazioni.

Ad esempio nella tradizione dei nativi americani, dove gli animali sono visti come simbolo di potere, di conoscenza e di guarigione (Animali Totem o Animali Medici-na), l‟anguilla preannuncia una grande trasformazione spirituale, che potrebbe com-portare effettivamente un viaggio fisico o anche solo interiore, ma in ogni caso

80 Cfr. Eugenio Montale, L‟anguilla, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1984. 81 Cfr. Giuseppe Savoca, op. cit.

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terminante un profondo cambiamento; ed è inoltre connessa ad un risveglio della ses-sualità. Le sue prerogative sono quindi: trasformazione, forza vitale e sessualità83. A tal proposito risulta interessante uno studio di Carlo Monti, I guizzi dell‟anguilla

(tra Montale e Orelli),84 che approfondisce il mistero che questo animale porta con

sé fin dai secoli più remoti: il mistero della sua riproduzione. Il fascino che questo pesce promana è da ascrivere, secondo quanto afferma lo studioso, più che ai suoi ri-svolti culinari (pare che in epoca classica in tutti i banchetti non potesse mancare questo prelibato cibo), ad un mistero che il pesce porta in sé e che ancora oggi non è stato totalmente svelato. L‟insolubile enigma che si presentava ai pescatori consiste-va, infatti, nell‟impossibilità di catturare alcuni esemplari prossimi alla deposizione delle uova. La riproduzione delle anguille appassionò perciò naturalisti di ogni epo-ca: Aristotele, ad esempio, ipotizzò che venissero dati alla luce da vermi limicoli, a loro volta originatisi per generazione spontanea dal fango. Ad accrescerne l‟inquietante fascino, secondo il critico, si aggiungono l‟aspetto che l‟accomuna al serpente (in latino anguis, da cui il nome anguilla): ovvero, la superficie corporea vi-scida al tatto, la sorprendente possibilità di adattamento agli ambienti più diversi e la sua natura metamorfica. Dobbiamo ad un poeta, Francesco Redi, autore del Bacco in

Toscana e famoso naturalista, la prima valida confutazione scientifica della

genera-zione spontanea delle anguille, nelle sue Osservazioni intorno agli animali viventi

che si trovano negli animali viventi (1684). Tuttavia bisognerà attendere il XX

seco-lo, più di due millenni dopo le annotazioni aristoteliche, per chiarire, almeno in parte, l‟arcano. Grazie agli studi ventennali dell‟ittiologo danese Johannes Shmidt, che lo resero celebre, si giunse a scoprire nel 1922 che le anguille europee sono solite depo-sitare le uova nell‟Oceano Atlantico, in una località del Mar dei Sargassi, fra le

83 Cfr. http://www.scienzenoetiche.it/synthesis/simbologia/animali_medicina.php. 84 Cfr. Carlo Monti, I guizzi dell‟anguilla (tra Montale e Orelli), “Cenobio”XLI(1992),2,pp. 170-178.

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muda e le Grandi Antille. Da lì nell‟immenso oceano, ancora sotto forma di larve, trasportate dalla corrente del Golfo, dopo circa tre anni dalla nascita, riapprodano alle coste europee e poi spinte da istinto irriducibile e misterioso, nuotano alla ricerca di acque diverse, più ricche di ossigeno. È così che imboccano le foci dei fiumi e a ri-troso ne risalgono faticosamente, ma con decisione, i flutti delle correnti avverse, an-che fino a mille metri d‟altitudine. Abitatrici delle acque dolci per circa un ventennio, dopo altre metamorfosi, lasciano gli stagni, attraversando nelle ore notturne campi e prati, attratte dall‟imperioso e fatale dovere di deporre le uova laggiù nel Mar dei Sargassi, dove, stremate dall‟interminabile viaggio di 5000 km e più, sprofondano inermi negli abissi oceanini85.

Come negare allora all‟anguilla il fascino potente di un mito eroico e tragico?

Monti ricorda che “al suo seducente richiamo non si sottrasse Aristotele, né Plinio il Vecchio, che se ne occupò nella Naturalis Historia, né poeti come il greco Oppiano di Cilicia, contemporaneo di Marc‟Aurelio, nel poema didascalico sulla pesca

Ha-lieutica. Né mancarono altri bizzarri ingegni neppure nella nostra letteratura che si

adoprarono a metter in prosa o in rima la singolar vicenda d‟anguilla; il più famoso rimane forse Francesco Berni, col suo Capitolo delle anguille, scritto, non senza ammiccamenti sconci, nell‟agosto del 1522”86.

Montale, probabilmente, doveva aver colto la fascinosa eredità di questo misterioso animale quando decise di pubblicare per la prima volta nella rivista “Botteghe Oscu-re” (Quaderno I, luglio 1948, pp. 1-2) la poesia L‟anguilla, riprodotta, insieme a

Nel-la serra e Nel Parco, in Renzo Sommaruga, 6 incisioni con tre poesie di Eugenio

Montale (Verona, Editore del Gatto, 1952, pp. 5-7) e successivamente inserita nella

prima edizione de La Bufera e altro (Venezia, Neri Pozza, 1956), dove chiude la

85 Cfr. Bernhard Grzimek, Vita degli animali, Milano, Bramante, 1971, vol. 4, cap. IX. 86

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zione Silvae e ripresa poi con la stessa collocazione in tutte le edizioni successive fi-no a quella inclusa ne L‟Opera in Versi.

La critica è quasi totalmente unanime nel giudicare L‟anguilla uno dei vertici assolu-ti della poesia di Montale e di tutta la poesia italiana del Novecento. Sergio Salvi, no-to scritno-tore contemporaneo, la considera “la più bella poesia italiana del secolo”87.

Riporto di seguito il testo integrale della lirica88:

L‟anguilla, la sirena

dei mari freddi che lascia il Baltico per giungere ai nostri mari,

ai nostri estuari, ai fiumi

che risale in profondo, sotto la piena avversa, di ramo in ramo e poi

di capello in capello, assottigliati,

sempre più addentro, sempre più nel cuore del macigno, filtrando

tra gorielli di melma finché un giorno una luce scoccata dai castagni

ne accende il guizzo in pozze d‟acquamorta,

87 Cfr. Sergio Salvi, “L‟anguilla”: testo e pretesto, in Omaggio a Montale, a cura di Silvio Ramat, Milano, Mondadori, 1966, pp. 256-59: 256.

88 Poche e di scarso rilievo sono le varianti rispetto alla prima stampa: ai vv. 13-14 si leggeva “nei fos-si che congiungono / i balzi d‟Appennino” anziché “nei fosfos-si che declinano / dai balzi d‟Appennino”, al v. 17 “che soli i nostri botri”, al v. 21 “dove là solo” anziché “là dove solo”, al v. 27 “quella che in-castoni in mezzo ai cigli” anziché “quella che incastonano i tuoi cigli”; inoltre dopo “seppellito” del v. 25 e “breve” del successivo mancavano, rispettivamente, il punto e virgola e la virgola. Nella redazio-ne di “Botteghe Oscure” l‟ultimo verso era seguito da una liredazio-nea di puntini, forse a suggerire la possibi-lità di una risposta.

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nei fossi che declinano

dai balzi d‟Appennino alla Romagna; l‟anguilla, torcia, frusta,

freccia d‟Amore in terra

che solo i nostri botri o i disseccati ruscelli pirenaici riconducono a paradisi di fecondazione; l‟anima verde che cerca vita là dove solo

morde l‟arsura e la desolazione, la scintilla che dice

tutto comincia quando tutto pare incarbonirsi, bronco seppellito; l‟iride breve, gemella

di quella che incastonano i tuoi cigli e fai brillare intatta in mezzo ai figli dell‟uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu non crederla sorella?89

Dal punto di vista sintattico, L‟anguilla è formata da un unico, lunghissimo periodo, che si dispiega in subordinate rette dal nome dell‟animale (v. 1, v. 15) e/o dagli ap-pellativi che gli sono attribuiti (v. 1 “la sirena”, vv. 15-16 “torcia, frusta, / freccia d‟Amore in terra”, v. 20 “l‟anima verde”, v. 23 “la scintilla”, v. 26 “l‟iride breve”) e procede con delle soste, ma senza interruzioni, dal falso soggetto iniziale

89

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vus pendens, o tema) alla finale interrogazione (vv. 29-30): “puoi tu / non crederla

sorella?”. Al viaggio dell‟anguilla-sirena dal Baltico alla Romagna, rappresentato iconicamente dalla sintassi complessa dei vv. 1-14, seguono nella seconda parte del testo, vv. 15-30, dopo la ripresa anaforica del v. 15 (“l‟anguilla”), le tappe che se-gnano il passaggio progressivo dell‟anguilla da animale-essere vivente a simbolo sempre più astratto, contemporaneamente ad un accorciarsi della lunghezza dei seg-menti frastici, abbastanza uniformi tra loro (rispettivamente vv. 15-19; 20-25; 26-30). È vero, come è stato osservato intelligentemente da Giorgio Orelli, che il pesce pre-sente in questo testo sembra più un salmone che un‟ anguilla: “non ho mai letto né sentito dire che l‟anguilla „lascia il Baltico‟. Forse Montale confonde col salmone, come di nuovo ci fa sospettare „sempre più addentro, sempre più nel cuore / del ma-cigno‟ vv. 8-9, che tanto bene s‟addice al gagliardo salmone, che dai mari settentrio-nali per fecondare risale i fiumi in cerca d‟ossigeno, mentre la giovane anguilla s‟arresta e appaga poco lontano dalle foci”90

. Probabilmente, il poeta ha voluto ren-dere volutamente misteriosa la natura di questo animale91. Infatti, fin dall‟inizio, e ancor più a partire dalla metà del testo, l‟anguilla è protagonista di una continua serie di metamorfosi, in seguito alle quali si trasforma da pesce in sirena, e poi in torcia, frusta, freccia d‟Amore in terra (con Amore personificato), anima verde, scintilla, iride breve, con allontanamento sempre crescente dalla forma iniziale, e col passag-gio dall‟acqua alla terra, e dallo stadio animale a quello vegetale, al fuoco e alla luce e ai colori dell‟arcobaleno. C‟è un sapore biblico in questa entità numinosa che appa-re ai figli dell‟uomo immersi nel suo fango; ma sarà bene ricordaappa-re che “Iride”92

,

90 Cfr. Giorgio Orelli, L‟anguilla, in Eugenio Montale. Profilo di un autore, a cura di Annalisa Cima e Cesare Segre, Milano, Rizzoli, 1977, pp. 70-90: 58.

91

Altra possibile spiegazione potrebbe essere il fatto che Montale rappresenti attraverso la “risalita” dell‟anguilla il processo mnemonico di “risalita” dei ricordi alla mente.

92 È anche il titolo della poesia omonima pubblicata da Montale in «Poesia», Quaderno Secondo, Mi-lano, maggio 1945 con in calce la data «1943-1944» e presente in Finisterre e in tutte le edizioni di La

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diven-nhal della donna-angelo montaliana, è anche figura della poesia che, come

l‟arcobaleno, appare improvvisamente e brevemente dopo un temporale-bufera unendo cielo e terra93. La circolarità della strofa, che semanticamente congiunge l‟“anguilla” d‟apertura al “tu” finale e fonicamente alla “sorella” che li lega, replica il tortuoso viaggio che vi è narrato e la morfologia stessa dell‟animale, in una perfetta coincidenza di forma e significato che è peculiarità intrinseca della poesia. Anche il ritmo, agilmente paratattico, riproduce la vitalità dell‟anguilla, così come la frequen-za degli enjambements ne mima il “guizzo”94. Anche Magrelli nella sua Lettura de

„L‟anguilla‟ parla di “un complesso esempio di mimesi tra il testo e il suo soggetto,

la poesia descrive una torsione, una voluta, traccia una specie di struttura spiroida-le”95. Perfino la punteggiatura contribuisce a rendere questo effetto: infatti, manca nella lirica ogni punto fermo. I soli segni di interpunzione usati sono la virgola e il punto e virgola: l‟unità compositiva è quindi da ricercarsi nella poesia intera, non nella strofa o nel verso. Il poeta si riserva, in chiusura, di utilizzare un altro segno: il punto interrogativo. Il fluire incessante del discorso si scioglie allora solo nell‟interrogazione finale. È un testo, questo, in cui la sintassi si rigenera in conti-nuazione, un testo a “sintassi continua”96, per riprendere la definizione di De Marchi. Il primo lungo periodo che va dal v. 1 al v. 14 può essere visto, infatti, come la ma-trice sintattica che si riproduce nei tre o quattro segmenti successivi.

ta completamente irriconoscibile, abbandona e distrugge la sua persona terrena per diventare una spe-cie di entità spirituale che replica il sacrificio di Cristo.

93 Cfr. Pietro de Marchi, “L‟anguilla” di Montale e le sue sorelle. Sulla funzione poetica della

sintas-si, “Testo”, XXVI, 2005, 50, pp. 73-91: 76-77.

94 Cfr. Marica Romolini, Commento a “La bufera e altro” di Montale, Firenze, Firenze University Press, 2012, p. 319.

95 Cfr. Valerio Magrelli, Lettura de „L‟anguilla‟, in Testimonianza per Eugenio Montale. Atti del Convegno, Firenze, 28-29 Marzo 1996 [= “Antologia Vieusseux”, n. s., II, 6 (settembre-dicembre 1996)] pp. 69-73: 70.

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La trama metrica è essenzialmente basata su una agile alternanza di endecasillabi e di settenari che tende a farsi più regolare nella parte centrale e finale del componimen-to. Le rime sono piuttosto rare, ma la sonorità è comunque ricchissima per le nume-rose ripetizioni e parallelismi. Orelli97 ha inoltre parlato di “sonorità e pienezza av-volgente, materna e quasi cosmica, della /l/ geminata, stretta a /i/ non senza aumento di tensione”, dove a sua volta la /i/ tonica viene investita da un “semantismo lumino-so” sapientemente distribuito su vari lessemi del testo98. De Marchi aggiunge che “tutto concorre a fare della sintassi di questo testo (e più in genere della forma dell‟espressione) un‟icona del senso: la lingua-anguilla è come un‟araba fenice che rinasce, risorge dalle sue ceneri (scintilla vs bronco seppellito), grazie alla risorse della sintassi e della fonetica”99. Anche Zambon, per completare questa catena criti-ca, insiste ed amplia il medesimo concetto: “in fondo tutto è cifrato nel nome: AN-GUILLA è anagramma di LA LINGUA. In quanto incarnazione della „vita di quag-giù‟, della vita toccata con mano nell‟infanzia e assaporata nel suo estremo singulto, nel suo agonizzare, l‟anguilla esprime l‟ultima verità dicibile prima di essere inghiot-titi dal gorgo, una „verità‟ che, come lei e come la vita stessa, „è a portata di mano‟ ma „inafferrabile‟”100. A questo punto occorre fare un passo indietro per cercare di inquadrare al meglio la lirica, sia all‟interno del percorso poetico montaliano, sia dal punto di vista storico, per cercare di comprendere la preziosa eredità che il poeta ha voluto lasciare al lettore contemporaneo. Anche in questo caso è utile ricordare Zam-bon, che nella prefazione alla sua illuminante monografia sull‟Anguilla afferma che la poesia che conclude le Silvae costituisce “un punto di arrivo e nello stesso tempo

97 Giorgio Orelli rientra a pieno titolo nel nostro discorso sia come critico che come poeta. Egli ha prodotto vari testi che possono essere messi in relazione con la L‟anguilla, soprattutto per quanto ri-guarda la “sintassi continua”: La trota di Sinopie (1962), Le anguille del Reno (1989), A un

mascalzo-ne (1977), e Collo dell‟anitra (2001).

98 Cfr. Marica Romolini, op. cit., p. 319. 99 Cfr. Pietro de Marchi, art. cit., p. 77.

100 Cfr. Francesco Zambon, “L‟iride nel fango”, L‟anguilla di Eugenio Montale, Parma, Nuova Prati-che Editrice, 1994, p. 116.

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un punto di partenza, quasi un eccelso crinale o spartiacque dal quale è possibile con-templare, come da un osservatorio privilegiato, il prima e il dopo: da una parte il cammino che porta dagli Ossi alle Occasioni e alla Bufera, dall‟altra quello che di-scende dalla stupenda Satura alle opere degli ultimi anni, il Diario, il Quaderno e

Al-tri Versi”. Proseguendo in questa direzione il critico aggiunge un altro tassello

fon-damentale: “il fatto che proprio a ridosso della sua composizione in un breve arco di tempo che va dal 1946 al 1950, Montale scrisse i racconti autobiografici poi riuniti in gran parte nella Farfalla di Dinard, vera miniera di materiali esegetici soprattutto per quanto riguarda le liriche coeve o degli anni immediatamente precedenti. Nello stes-so periodo, iniziando la sua collaborazione al “Corriere della Sera”, egli sviluppò inoltre una vasta riflessione sulle ragioni essenziali della propria poesia e della poesia in generale, una riflessione di cui è testimonianza anche la celebre Intervista

imma-ginaria del 1946 e che avrebbe più tardi, a partire da Satura, trovato posto negli

stes-si libri poetici”101.

Questa affermazione ci è utile per comprendere che L‟anguilla è una vera e propria miniera di materiali diversi, un testo emblematico di quella che è l‟arte poetica mon-taliana dove si fondono sempre insieme creatività e riflessione.

A riprova di ciò, due testi, uno lirico e uno narrativo, ci offrono i dati essenziali per ricostruire la preistoria ideale dell‟anguilla montaliana: I limoni (OS), e Il bello viene

dopo (FD)102. Già a partire, quindi, dalla sua prima manifestazione poetica ne I

limo-ni103, l‟animale si dimostra parte di quella natura essenziale, che Montale rivendica

così fortemente a sé, contro i “poeti laureati”, dietro il secco e insistente pronome “Io

101

Cfr. Francesco Zambon, op. cit., pp. 11-12. 102 Cfr. Ivi p. 19.

103 Il componimento che apre la prima sezione della raccolta Ossi di seppia, Movimenti, una fra le più antiche liriche montaliane, datata 1922, ma che potrebbe risalire ad un anno prima: tale collocazione inaugurale ne sottolinea il valore programmatico e simbolico.

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per me, amo le strade che riescono agli erbosi / fossi dove in pozzanghere / mezzo seccate agguantano i ragazzi / qualche sparuta anguilla”. E se analogo è lo scenario in cui le “rare, piccole anguille giallognole” riaffiorano nel ricordo del protagonista della prosa Il bello viene dopo104, (secondo Zambon quasi una razo che esplicita i

ri-ferimenti e le implicazioni personali della poesia L‟anguilla, scritta poco tempo pri-ma): seduto al tavolo di un ristorante in compagnia di una donna lo scrittore svela la complicità fra quelli che ormai sono diventati simboli, elementi o semplicemente presenze ritornanti del suo personale immaginario. Il menù del ristorante fa scattare nella mente del protagonista del racconto un ricordo infantile, la pesca delle anguille che si trovavano vicino a casa sua: “ma ci sono le anguille, le migliori del mondo. Rare, piccole anguille giallognole che è difficile vedere sotto la superficie grassa del sapone che intorbida l‟acqua”; anche i limoni protagonisti della poesia-manifesto de-gli Ossi di seppia riemergono dalla prosa, “dieci o dodici limoni spremuti”.

Scambio di ambientazioni, immagini, simboli e anche numerose spie lessicali diven-tano rivelatori di nessi segreti fra questa prosa e I limoni, dimostrando una certa soli-darietà con la poesia L‟anguilla, nel segno della memoria autobiografica, dei fossi e del “botro melmoso” che ricorda il protagonista della prosa. Infine, bisogna far rife-rimento, quasi nel tentativo di disegnare un cerchio di corrispondenze fra poesie, prosa e realtà autobiografica, alla celebre intervista rilasciata da Montale ad Annalisa Cima a proposito del saggio di Giorgio Orelli su L‟anguilla: “Ricordo invece quan-do, da ragazzi, pescavamo le anguille con la forchetta, in un ruscello sotto casa.

104 Cfr. Il bello viene dopo (FD) in Prose e racconti, a c. e con introduzione di Marco Forti. Note ai testi e varianti a c. di Luisa Previtera, Milano, Mondadori, 1995, pp. 48-51. Racconto a sfondo auto-biografico pubblicato per la prima volta nel “Corriere della Sera” del 4 marzo 1950 e poi incluso nella parte prima della Farfalla di Dinard.

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Qualche volta abbiamo provato ad accendere il fuoco per cucinarle; ma si carboniz-zavano”105.

A questo punto possiamo dire che l‟anguilla diventa un vero e proprio emblema e simbolo della memoria, e ciò è dimostrato anche da un altro componimento: La

gon-dola che scivola in un forte,106dove il poeta stesso si paragona a un “pescatore

d‟anguille” che scava nello “smorto groviglio” della memoria. Questo componimento merita un‟attenzione particolare107:

La gondola che scivola in un forte bagliore di catrame e di papaveri, la subdola canzone che s‟alzava da masse di cordame, l‟alte porte rinchiuse su di te e risa di maschere che fuggivano a frotte -

una sera tra mille e la mia notte è più profonda! S‟agita laggiù uno smorto groviglio che m‟avviva a stratti e mi fa eguale a quell‟assorto

105 Cfr. Eugenio Montale. Profilo di un autore, (acura di) Annalisa Cima e Cesare Segre, Milano, Riz-zoli, 1977, pp. 192-201: 183.

106

Il componimento si trova nella seconda sezione delle Occasioni (1932-1939), intitolata Mottetti, comprendente 21 componimenti che costituiscono una sorta di “romanzetto autobiografico”, come scrisse il poeta il 16 Febbraio 1950, sulle colonne del “Corriere della Sera”.

107 Per un approfondimento riguardo alle possibili fonti alle quali Montale possa aver attinto per la ste-sura di questo mottetto, rimando all‟interessante studio di Pier Vincenzo Mengaldo, Per la cultura

linguistica di Montale: due restauri (1974), in La tradizione del Novecento. Prima serie, seconda ed.,

Torino, Bollati Boringhieri, 1996, pp. 321-38, dove il critico mette in relazione La gondola che

scivo-la con Genova di Campana, trovando molte corrispondenze sia dal punto di vista metrico-sintattico

che linguistico, ed esprimendo la convinzione che il “poema campaniano abbia sedimentato e agito nella memoria di Montale”.

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pescatore d‟anguille dalla riva.108

A prima vista la strofa sembra evocare un piccolo episodio amoroso. Lo sfondo è rappresentato da una irreale città di Venezia: infatti la poesia era in origine intitolata

La Venezia di Hoffmann - e la mia109, e contiene, secondo l‟autocommento di

Monta-le, l‟allusione a una scena dell‟opera di Offenbach I racconti di Hoffmann110

. In essa il mago Dappertutto canta un‟aria in cui manifesta l‟intenzione di rubare al protago-nista la sua ombra; a ciò alluderebbe la “subdola canzone” nel terzo verso. Secondo il commento di Christine Ott, nella prima strofa “l‟intero episodio si configura come una sequenza mnemonica. […] La gondola funge da transfert, che trasporta l‟io all‟indietro nella memoria. Il lampo di luce „forte bagliore‟ segnala poi l‟affiorare del ricordo alla superficie della coscienza. E le caratteristiche della sequenza evocata so-no tipiche delle visioni oniriche o mnemoniche”111, mentre nella seconda strofa ab-biamo una sorta di commento riflessivo dell‟io all‟intera vicenda. Il motivo della memoria, della corrosione del tempo, dell‟oblio che cancella i momenti cari, è un motivo preponderante nella poesia di Montale, e anche in questo caso l‟anguilla rap-presenta una sorta di fil rouge da seguire: la Ott ricorda infatti che lo “smorto

108 Cfr. Eugenio Montale, La gondola che scivola in un forte in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1984, p. 151.

109 In un commento accluso alla prima edizione della poesia (apparsa il 28.2.1939 nella rivista “Cor-rente”) Montale spiega: “Il „subdolo‟ canto della prima poesia può essere la canzone di Dappertutto nel secondo atto dei Racconti di Hoffmann; ma il motivo della lirica non è di maniera”.

110 Per un approfondimento su questo argomento rimando ad uno studio sul secondo atto dei Racconti

di Hoffmann; di Roberto Leporatti, Il mottetto XIII di Eugenio Montale. Offenbach e la primavera hit-leriana, “Per leggere”, VI (2006), 11, pp. 83-130. Lo studioso mette in luce interessanti

corrisponden-ze tra la composizione di questo mottetto La gondola che scivola e la realtà storica: infatti il mottetto si ispirerebbe a una rappresentazione dei Racconti di Hoffmann avvenuta nel corso del IV Maggio Musicale Fiorentino, precisamente nei giorni 11, 15, 18 maggio 1938. Leporatti, attraverso lo spoglio dei quotidiani fiorentini di quei giorni, si rende conto che le anticipazioni su questa rappresentazione di Offenbach e le successive recensioni si intrecciavano con la cronaca e i commenti dedicati alla visi-ta di Hitler a Firenze e al suo incontro con Mussolini. Se pur in modo non diretto, queste notizie per-mettono di inquadrare diversamente il mottetto, che dunque rappresenterebbe il distacco tra il poeta e Clizia (Irma Brandeis). Infatti dopo appena tre mesi dall‟incontro con Hitler, Mussolini emanò le leggi razziali in Italia, e la Brandeis fu costretta a lasciare il paese per sempre. Il distacco ebbe quindi un responsabile; ed è ovvia l‟identificazione fra il nero cacciator, il predatore della “canzone di Dapper-tutto” e i due dittatori.

111

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glio” è da mettere in relazione con il “morto viluppo di memorie” di In limine, che è in grado di riportare in superficie i ricordi sommersi112.

Riassumendo, quindi, l‟anguilla appare come simbolo del paradiso dell‟infanzia nella poesia I limoni, del ricordo nel racconto Il bello viene dopo e ne La gondola che

sci-vola in un forte, e di vitalità (intesa come estremo attaccamento alla vita) nella

stu-penda poesia L‟anguilla.113 Con l‟anguilla ci troviamo di fronte, quindi, a quella che si può definire una vera e propria storicizzazione del simbolo.

Giunti a questo punto è forse lecito porsi una domanda: quali sono le fonti letterarie alle quali Montale può essersi riferito per la stesura dell‟Anguilla? e quale il signifi-cato profondo rintracciabile in questo testo? David Fairservice nel suo articolo

Hy-pothesis on Montale‟s memoria dei poeti in „L‟anguilla‟114

cerca di dare una risposta a questa domanda, almeno per quanto riguarda le possibili fonti. Lo studioso inizia il suo percorso partendo dal fatto che non casualmente Montale, fin dal primo verso, propone la giustapposizione dei due termini “anguilla” e “sirena”. La sirena, come ricorda giustamente Fairservice, ha una lunga tradizione nell‟immaginario collettivo: la sua figura è collocata a metà tra divino e bestiale, e nel corso dei secoli è diventata il simbolo della sensualità femminile. L‟anguilla, dall‟altro lato, è un animale a metà tra un pesce e un serpente, e sia nella cultura orale che in quella scritta nel corso dei secoli è diventata un simbolo erotico e persino fallico. Accettando questa lettura, già dal primo verso ci troviamo immediatamente di fronte all‟opposizione maschio /

112 Cfr. Christine Ott, op. cit., p. 165.

113 Inoltre appare come simbolo di adattamento alle situazioni più impervie nella poesia Sul lago

d‟Orta (QQ), vv. 21-22: “sarebbe strano trovarlo dove neppure un‟anguilla / tenta di sopravvivere”, e

come simbolo di presa di possesso della realtà, quasi una metafora della verità, in Amici, non credete

agli anni luce (AV), vv. 3-4: “La verità è nelle nostre mani / ma è inafferrabile e sguiscia come

un‟anguilla”

114 Cfr. David Fairservice, Hypothesis on Montale‟s “Memoria dei poeti” in „L‟anguilla‟, in Montale.

Words in Time, edited by George Talbot and Doug Thompson, Market Harborough, Troubador 1998,

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femmina, erotico / sensuale e soprattutto tra un innominato io e un inaspettato tu che sembrano, alla fine, fondersi insieme. Fairservice, continua, osservando che l‟affermazione di Montale “non sono mai stato un grande lettore di poesia”, rilasciata durante un intervista di Giuliano Dego115, sia in realtà un depistaggio. Probabilmente è così, visto che il critico, seguendo la pista del contrasto maschio / femmina e della natura cangiante, metamorfica e soprattutto terrena dell‟anguilla, riesce a rintracciare possibili influenze letterarie: Saba con la famosa poesia A mia moglie116, Ovidio con

le Metamorfosi (specificamente per il mito di Ermafrodito e Salmace)117, e infine la poco conosciuta poesia Le long-cours de l‟anguille di Pierre Guéguen118 che potreb-be essere stata un ultimo stimolo per la stesura dell‟Anguilla.

Tuttavia, oltre alle implicazioni letterarie, è giusto constatare che L‟anguilla è sicu-ramente una poesia figlia del suo tempo, come dimostra il fatto che essa si trovi inse-rita nella raccolta La bufera e altro: ovvero in quello che può essere definito il „terzo tempo‟ della poesia di Montale, che si svolge negli anni cupi della seconda guerra mondiale e in quelli, difficili e travagliati, immediatamente successivi. Come ricorda il critico Giorgio Cavallini “nella Bufera l‟autore tende a superare i motivi legati a esperienze troppo individuali e a ricercare la salvezza o la verità attraverso la

115 Cfr. Giuliano Dego, Il bulldog di legno: intervista di Giuliano Dego a Eugenio Montale, Roma, Editori Riuniti, 1985, p. 48.

116 Ci si riferisce al componimento del 1911, dedicato da Umberto Saba alla moglie Lina. Per celebra-re la moglie Saba sceglie un modo insolito e particolacelebra-re: la paragona a vari animali. Il poeta guarda al mondo della natura con occhi semplici, avvertendo in essa le migliori qualità e la condizione di mag-giore vicinanza a Dio. E nel cantare l‟amore per la sua donna, sceglie una strada che si discosta total-mente da quella della tradizione lirica italiana, poiché eleva a poesia ciò che è quotidiano, familiare e terreno. Inquesto è simile all‟Anguilla montaliana.

117

La storia di Salmace ed Ermafrodito viene narrata da Ovidio nel IV libro delle Metamorfosi. Non è chiaro se Ovidio si limiti a narrare un mito greco preesistente o aggiunga elementi di propria inven-zione. Nel suo racconto, comunque, Salmace era la ninfa di una fontana. Quando Ermafrodito giunse presso la fontana, Salmace se ne invaghì e lo abbracciò, chiedendo agli dei di poter restare eternamen-te con lui. Gli dei esaudirono la sua richiesta unendo Ermafrodito e Salmace in un unico corpo. Erma-frodito maledisse la fonte di Salmace, chiedendo che chiunque si fosse bagnato nelle sue acque avreb-be dovuto condividere il suo destino. La natura metamorfica di Ermafrodito (metà maschio e metà femmina) richiama per certi versi L‟anguilla di Montale.

118 Montale potrebbe averla letta, perché pubblicata da Guéguen nel 1928 nell‟antologia Les poètes de

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sentazione del dolore e della morte che dominano negativamente il mondo contem-poraneo”119. Alla luce di ciò l‟anguilla, nel percorso poetico montaliano, può essere vista come il simbolo del disperato e tenace amor vitae, capace di sopravvivere alle situazioni più impervie (conflitto storico e conflitto interiore), un inno alla “vita sa-crificata che resiste”120. Concetto questo che non può non riportare alla mente la fa-mosa Ginestra121 leopardiana, soprattutto per la medesima capacità di sopravvivere

nell‟aridità di una terra desolata. Del resto il messaggio testamentario racchiuso nel “fiore del deserto” sorge da un analogo, stadio di tabula rasa122

. Il messaggio

dell‟Anguilla è un messaggio di speranza, e da quel “fango” occorrerà allora riparti-re, anche se l‟ostinata ricerca dei “paradisi di fecondazione” finisce paradossalmente per coincidere con la morte, con il culmine del sacrificio, anticipando, come sostiene Zambon, il motto di Piccolo testamento per il quale “persistenza è solo l‟estinzione”123

.

In ultima analisi, è opportuno cercare di comprendere quale figura femminile si na-sconda realmente dietro a quel “tu” dell‟interrogativa finale: “puoi tu / non crederla sorella?”. Se tutto, all‟interno del testo, sembra indirizzarci verso Clizia, se l‟“anguilla” ne è la “sorella”, recuperando appunto il legame che era stato stabilito tra il poeta e la donna nella Bufera, definita “strana sorella”, e benché Montale cerchi di far trapassare nella “melma” alcuni attributi tipici proprio di Clizia come appunto “l‟iride”, i “cigli”, la “scintilla” e anche la “freccia”, sicuramente la vitalità erotica

119 Cfr. Giorgio Cavallini, Montale lettore di Dante e altri studi montaliani, Roma, Bulzoni, 1996, p. 101.

120

Cfr. Francesco Zambon, op. cit ., p. 96.

121La ginestra o Il fiore del deserto è la penultima lirica di Giacomo Leopardi, scritta nella primavera del 1836 a Torre del Greco, e pubblicata postuma nell'edizione dei Canti nel 1845. Il vasto poemetto conclude (insieme a Il tramonto della luna) il suo complesso e prolifico percorso poetico, tanto da es-sere considerato il testamento spirituale di Leopardi. Esso fa parte di quella che è stata definita dalla critica più recente la poetica anti-idillica dell'ultimo periodo leopardiano. Sulle pendici riarse e desola-te del Vesuvio solo una pianta riesce a vivere, la ginestra, flessibile e desola-tenace: simbolo dell'uomo che sa accettare la verità sulla propria condizione e, su questa verità, può costruire la propria dignità.

122 Cfr. Marica Romolini, op. cit., p. 317. 123

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dell‟animale sembra avvicinarci ad un'altra figura femminile: la Volpe (anche se l‟incontro con la Spaziani avverrà solo l‟anno successivo). È possibile che l‟intenzione originaria di Montale fosse stata quella di estrarre da Clizia un alter ego profano, una controfigura, quasi una reintegrazione di due dimensioni, divina e uma-na, trascendente e immanente, celeste e ctonia, metafisica e carnale, una conciliazio-ne tra principio etico ed istinto vitale.124 Ma le ipotesi sulle stratificazioni femminili riconoscibili nell‟anguilla non terminano qui. Zambon ipotizza che l‟anguilla possa addirittura ricordare la mai sopita Annetta-Arletta, con la quale il poeta condivide i ricordi d‟infanzia e la sensazione d‟essere anch‟egli, come la ragazza, ferito dall‟oscuro male dell‟universo. Il critico ricorda che “l‟anguilla […] appartiene alla serie infantile degli animali uccisi perché la loro „vita‟, il loro „respiro‟, o „anelito fi-nale‟ si travasino misteriosamente nella cucina o nell‟arca della memoria. E sono questi appunto i tratti che caratterizzano più specificatamente il personaggio di Arlet-ta: Ma la fusione più intima fra le due figure si realizza su un altro piano: quello del tema sacrificale […]. Il grande inno che chiude le Silvae salda il tema del sacrificio a quello del riaffioramento del ricordo nella melma e nei detriti depositati dal tempo, disegnando quell‟oscuro circolo di vita e di morte”125

.

L‟anguilla segna dunque, non solo cronologicamente, il passaggio da Iride-Clizia a

Volpe, dal sogno della nascita di una nuova civiltà per tutti alla disperata difesa di una salvezza individuale; ma anche il recupero e lo scavo nella memoria, della figura di Arletta. Il viaggio dell‟anguilla verso la vita e la fecondazione è anche un viaggio verso la morte, come già affermato; ma il viaggio verso la morte è soprattutto un viaggio simbolico nel “fango”, nel passato, un viaggio della memoria e, per conclu-dere, un viaggio della poesia stessa. È proprio a partire da questa prospettiva che

124 Cfr. Marica Romolini, op. cit., pp. 317-318. 125

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L‟anguilla, riprendendo le parole di Zambon, “appare come una summa miracolosa e insieme prodigiosamente semplice della poesia montaliana fino alla Bufera”126.

Montale stesso la scelse, nel 1961, per la cerimonia della laurea honoris causa confe-ritagli dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell‟università di Milano, a riprova proprio dell‟importanza di questa poesia, sentita come pietra angolare della propria poetica anche a distanza di anni. Dal “magma” dove era precipitato il Gallo cedrone, abbat-tuto dallo sparo di un cacciatore, emerge una forma di vita che è “freccia d‟Amore in terra”, “la scintilla che dice / tutto comincia quando tutto pare / incarbonirsi, bronco seppellito”127.

In conclusione, L‟anguilla può essere considerata veramente una grande sintesi dell‟intera vicenda poetica montaliana: forse, proprio il tema della memoria può ser-vire da spunto per una riflessione più generale, una riflessione stimolante per l‟Italia contemporanea, che negli anni sembra aver perso il bene inestimabile della memoria.

126 Cfr. Francesco Zambon, op. cit., p. 85. 127 Cfr. Marica Romolini, op. cit., pp. 315-316.

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