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Capitolo 7: il modello di Smets e Wouters (2003)

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Capitolo 7: il modello di Smets e Wouters (2003)

Il modello di Smets e Wouters è uno dei capisaldi della letteratura relativa ai modelli DSGE. Rispetto ai casi visti precedentemente andiamo a complicare ulteriormente l’analisi con l’obiettivo di definire un modello che possa descrivere meglio una certa economia. Nell’articolo di Smets e Wouters è presentato un modello DSGE stimato per l’area Euro assumendo che ci siano rigidità nei prezzi e nei salari. Altre frizioni del modello sono rappresentate dalla formazione delle abitudini per le famiglie, dal costo di aggiustamento del capitale (di cui abbiamo già parlato nei capitoli precedenti) e dalla possibilità di utilizzazione variabile del capitale. Un’altra differenza rispetto al modello di Ireland è che le variabili osservabili non sono più 3 ma 7, il Pil, i consumi, gli investimenti, i prezzi, i salari reali, l’occupazione ed il tasso di interesse nominale; queste variabili sono stimate attraverso le tecniche Bayesiane (e non attraverso il criterio della massima verosimiglianza). Anche gli shocks che vengono presi in considerazione nella descrizione dell’economia passano da 4 a 10.

7.1 Introduzione

In questo capitolo si presenta un modello DSGE per l’Area Euro che, seguendo Christiano, Eichenbaum ed Evans (CEE 2001), è caratterizzato da un numero di frizioni che appaiono necessarie per cogliere la persistenza che si osserva a livello empirico nei dati relativi all’area euro. Alcune di queste frizioni sono diventate standard nella letteratura dei modelli DSGE, per esempio le rigidità nei prezzi e nei salari che si aggiustano secondo il meccanismo proposto da Calvo (1983). Il modello, seguendo Greenwood Hercovitz ed Huffmann (1988), incorpora il tasso di utilizzo del capitale variabile; ciò tende a levigare l’aggiustamento del tasso di interesse cui viene preso in prestito il capitale in risposta a cambiamenti dell’output, il costo di aggiustamento nel tasso di utilizzazione sarà espresso in termini di beni finiti. Il costo di aggiustamento dello stock di capitale sarà espresso come una funzione del cambiamento nell’investimento invece che come funzione del livello dell’investimento. Infine la formazione delle abitudini per i consumatori è necessaria per introdurre la persistenza osservata a livello empirico nel processo del consumo.

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Ci sono due aspetti che meritano un’attenzione particolare in questo modello, il numero degli shock che vengono introdotti ed il processo di stim. Gli shocks possono essere suddivisi in shocks dal lato della domanda (nelle preferenze, nell’investimento, nel premio per il rischio e nella spesa pubblica ), shocks dal lato dell’offerta (nella produttività, nell’offerta di lavoro, nel mark-up dei salari e nel mark-up dei prezzi) e shock nella politica monetaria (cambiamento del tasso di interesse a breve termine e cambiamento nel tasso di inflazione obiettivo). Il processo di stima dei vari parametri e dei processi stocastici che governano gli shocks nell’economia sono basati sulle serie storiche dell’area euro: il Pil, i consumi, gli investimenti, il deflatore del Pil, i salari reali, l’occupazione ed il tasso di interesse a breve termine. La stima avviene utilizzando le tecniche Bayesiane.

Si possono evidenziare preliminarmente certi aspetti che meritano una particolare attenzione. Prima di tutto dal processo di stima emergono dei valori plausibili relativi ai parametri della rigidità dei prezzi e dei salari. Questo risultato, in contrasto con i valori relativi agli USA descritti in CEE (2001), è fondamentale per spiegare la persistenza dell’inflazione che si osserva a livello empirico nell’area euro; dall’altra parte le rigidità nei salari ed il tasso di utilizzazione del capitale variabile introducono la vischiosità nei salari reali e nei costi marginali. La maggior parte degli altri parametri (elasticità del consumo intertemporale, il grado della formazione di abitudini nei consumi) sono stimati perché abbiano dei valori simili rispetto a quelli stimati per gli USA.

Successivamente si studiano gli effetti degli shock strutturali appena elencati sull’area euro. Certi risultati sono in linea con quanto ci si aspetterebbe, per esempio uno shock nella politica monetaria che preveda un innalzamento del tasso di interesse ha un effetto negativo sia sull’output che sull’inflazione (come avveniva per altro anche nel modello di Ireland del capitolo precedente). In modo analogo un shock nella produttività determina un graduale incremento dell’output, dei consumi, dell’investimento e dei salari reali, ma ha un impatto negativo sull’occupazione. In altri casi si raggiungono dei risultati che non sono così immediati, è il caso del prepotente effetto ‘crowding out’ che emerge generalmente negli shock dal lato della domanda; ciò è particolarmente evidente quando si considera uno shock nella spesa

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pubblica dove l’effetto crowding out (una sorta di spiazzamento) non è in linea con le evidenze esistenti per gli Stati Uniti.

Infine, dall’analisi della decomposizione della varianza, si osserveranno quelli che sono gli shocks che contribuiscono maggiormente nell’influenzare le variabili macroeconomiche dell’area euro. Si vedrà che l’offerta del lavoro e lo shock nella politica monetaria sono i due shocks più importanti nella determinazione dell’output per l’area euro. Invece, lo shock nel mark-up dei prezzi, risulta il più importante per i movimenti dell’inflazione nell’area euro.

7.2 Il modello DSGE per l’area Euro

In questa sezione viene presentata la versione linearizzata del modello DSGE che poi verrà stimato nella prossima parte. Il modello è un’applicazione della metodologia real— business-cycle ad un’economia con vischiosità nei prezzi e nei salari. Le famiglie massimizzano la loro funzione di utilità che risente di 2 elementi, il lavoro ed il tempo libero, su un orizzonte di vita infinito. I consumi risentono della presenza delle abitudini. Il lavoro è differenziato tra le famiglie, quindi ciascuna di esse ha un certo potere di monopolio sui salari che permette l’introduzione di salari nominali vischiosi alla Calvo (1983). Le famiglie, poi, prestano il capitale alle imprese e decidono quanto capitale accumulare dato un certo costo di aggiustamento. Se il costo cui viene preso a prestito il capitale sale, lo stock di capitale può essere utilizzato più intensamente sulla base di un certa scheda. Le imprese che producono i beni diversificabili devono decidere il livello ottimo di capitale e di lavoro; esse fissano il livello del prezzo in accordo al meccanismo proposto da Calvo. Il modello di Calvo proposto per il settaggio dei prezzi e dei salari è rafforzato dall’assunzione che i prezzi (che non possono essere fissati liberamente) siano in parte indicizzati al tasso di inflazione passata. I prezzi sono quindi scelti in funzione di un costo marginale corrente e di un costo marginale atteso, ma sono anche influenzati dal tasso di inflazione passata. I costi marginali dipendono dal salario e dal tasso cui viene preso a prestito il capitale. Delineiamo adesso i vari agenti che operano nell’economia.

(4)

7.2.1 Le famiglie

Esistono una serie di famiglie che vengono indicizzate con . Le famiglie sono tra di loro differenziate a causa del diverso tipo di lavoro che esse offrono, ciò significa che ciascuna famiglia ha un certo potere di mercato. Ognuna delle famiglie massimizza la funzione di utilità intertemporale data da:

(7.1)

dove rappresenta il fattore di sconto della funzione di utilità separabile nei consumi e nel tempo libero:

(7.2)

L’utilità dipende positivamente dal consumo dei beni, , relativo ad una variabile esterna che coglie le abitudini, , e negativamente rispetto all’offerta di lavoro . rappresenta l’inverso dell’elasticità intertemporale di sostituzione, mentre è l’inverso dell’elasticità dell’offerta del lavoro rispetto al salario reale. L’equazione (7.2) contiene anche 2 shocks nelle preferenze: rappresenta lo shock nel tasso di sconto che riguarda la sostituzione intertemporale delle famiglie, rappresenta uno shock nell’offerta del lavoro. Per entrambi gli shocks si assume che sia seguito un processo di autoregressione del primo ordine:

Lo shock nelle abitudini è proporzionale al consumo passato aggregato:

(7.3)

Le famiglie massimizzano la loro funzione obiettivo sottoposta al vincolo di bilancio dato da:

(7.4)

Ciò significa che le famiglie detengono la loro ricchezza sotto forma di bonds . I bonds hanno una scadenza di un periodo ed un prezzo pari a . Il reddito corrente e

(5)

la ricchezza possono essere utilizzati per finanziare consumi ed investimenti in capitale fisico.

Il reddito totale delle famiglie è dato da:

( ) (7.5)

Il reddito è suddivisibile in tre parti: il reddito da lavoro più il flusso netto in entrata collegato al possesso di titoli ; l’introito dovuto al prestito del capitale fisico meno il costo associato con la variazione nel grado di utilizzo del capitale ( ), ed i dividendi che derivano dall’esistenza di concorrenza imperfetta tra le imprese produttrici del bene intermedio ( ).

Assumiamo che esistano dei titoli che assicurino le famiglie contro le possibili variazioni nel reddito da lavoro. Come risultato la prima componente del reddito di ciascuna famiglia sarà uguale al reddito da lavoro aggregato e l’utilità marginale del benessere sarà identica tra i diversi tipi di famiglie.

L’introito che deriva dal dare in prestito il capitale dipende non solo dal livello di capitale installato nel periodo precedente, ma anche dal tasso di utilizzazione dello stesso . Si assume inoltre che il costo di utilizzazione del capitale sia zero quando l’utilizzazione del capitale è 1 . Adesso passiamo alla discussione delle decisioni prese dalle famiglie.

7.2.2 Decisioni di consumo e di risparmio per le famiglie

Dalla funzione di massimizzazione (7.1) sottoposta al vincolo di bilancio (7.4) si può derivare la seguente condizione del primo ordine per i consumi:

*

+ (7.6)

dove è il rendimento dei bond e l’utilità marginale dei consumi, data da:

(7.7)

Queste due equazioni sono un’estensione delle usuali condizioni del primo ordine e ci permettono di contemplare l’esistenza della formazione di abitudini.

(6)

7.2.3 L’offerta di lavoro e la scelta del salario

Le famiglie hanno un potere di mercato nell’impostazione dei salari e quindi agiscono come price-maker nel mercato del lavoro. Seguendo Kollmann (1997) assumiamo che i salari possano essere riaggiustati quando viene ricevuto un certo segnale che chiamiamo “segnale di aggiustamento del salario”. La probabilità che una certa famiglia modifichi il salario al periodo t è costante e pari a . La famiglia che riceve il segnale al periodo t selezionerà un nuovo salario nominale, ̃ , prendendo in considerazione la probabilità che esso non potrà essere ricambiato per un certo periodo. Inoltre si considera la possibilità che i salari che non sono stati riaggiustati possano essere indicizzati all’inflazione passata. Più formalmente si ha la seguente espressione per quelle famiglie che non abbiano scelto di cambiare il loro salario:

(

) (7.8)

dove è il grado di indicizzazione del salario e, nel caso in cui si avesse saremmo nel caso di assenza di indicizzazione dei salari. Se, viceversa, allora siamo nella situazione di perfetta indicizzazione dei salari all’inflazione passata.

Le famiglie scelgono il livello del salario nominale per massimizzare la funzione obiettivo sottoposta al vincolo di bilancio intertemporale. La domanda per il lavoro è data da:

⁄ (7.9)

dove la domanda di lavoro aggregata ed il salario nominale sono dati dai seguenti aggregatori del tipo Dixit-Stiglitz (di cui abbiamo già parlato in precedenza):

∫ ⁄ (7.10)

∫ ⁄ (7.11)

Questo problema di massimizzazione determina la seguente equazione in relazione al mark-up per i salari che sono stati riottimizzati:

̃

∑ ( ⁄

(7)

dove è la disutilità marginale del lavoro e è l’utilità marginale del consumo. L’equazione (7.12) mostra che il salario nominale al tempo t di una famiglia , cui è permesso di cambiare il proprio salario, è fissato in modo che il ritorno marginale per un’ora aggiuntiva di lavoro sia un mark-up superiore rispetto al costo marginale. Quando i salari sono perfettamente flessibili ( ) il salario reale sarà un mark-up (pari a ) superiore rispetto al rapporto tra la disutilità marginale del lavoro e l’utilità marginale di un’unità di consumo addizionale. Il risultato che si ottiene è diverso rispetto al caso in cui le famiglie non abbiano alcun potere di mercato (e siano quindi price taker): in quel caso infatti si otteneva che il salario era esattamente pari al costo marginale. Si introduce quindi lo shock nel mark-up nei salari pari a: .

Data l’equazione (7.11) la seguente espressione descrive il salario aggregato:

̃(7.13)

7.2.4 Investimento ed accumulazione di capitale

Infine le famiglie detengono lo stock di capitale che viene dato in prestito alle imprese produttrici del bene intermedio ad un tasso dato da . Le famiglie possono aumentare l’offerta di beni capitali dati in prestito sia attraverso l’investimento aggiuntivo in capitale ( ), che però ha necessità di un periodo per essere installato, sia modificando il tasso di utilizzo del capitale già installato ( ). In entrambi i casi le azioni sono costose in termini di consumi futuri come si desume dalle equazioni (7.4) e (7.5).

Le famiglie effettuano le proprie scelte relative allo stock di capitale, all’investimento e al costo di utilizzazione con lo scopo di massimizzare la funzione obiettivo intertemporale sottoposta al vincolo di bilancio intertemporale e all’equazione che descrive l’accumulazione di capitale, data da:

(7.14)

dove è l’investimento lordo, è il tasso di deprezzamento del capitale ed è la funzione che descrive il costo di aggiustamento del capitale e si assume positiva rispetto al cambiamento dell’investimento. A questo punto possiamo introdurre lo shock nella funzione del costo di investimento che segue un processo di autoregressione del primo ordine: .

(8)

Da queste equazioni possiamo ricavare le condizioni del primo ordine relative al valore del capitale ed al tasso di utilizzazione del capitale:

( ) (7.15)

(7.16)

L’equazione (7.15) afferma che il valore del capitale installato dipende dal suo valore futuro, tenendo in considerazione il tasso di deprezzamento del capitale ed il tasso di rendimento atteso (definito da , ovvero il tasso di rendimento

moltiplicato per il tasso di utilizzo atteso del capitale).

L’equazione (7.16) eguaglia il costo di una più alta utilizzazione del capitale con il tasso di rendimento del capitale; mano a mano che il tasso cui viene dato in prestito il capitale aumenta, diventa più conveniente utilizzare lo stock di capitale in maniera più intensiva fino al punto in cui il guadagno addizionale per la vendita dell’ultima unità di output eguaglia il suo costo aggiuntivo. L’implicazione del tasso di utilizzazione del capitale è che esso riduce l’impatto nei cambiamenti dell’output dovuti al tasso di interesse del capitale.

7.2.5 La funzione di tecnologia e le imprese

Consideriamo che il paese produca un singolo bene finale ed una serie di beni intermedi indicizzati da . Nel settore del bene finale vi è concorrenza imperfetta. Il bene finale può essere utilizzato dalle famiglie per il consumo oppure per l’investimento. Nel settore del bene intermedio vi è una situazione di concorrenza monopolistica: ciascun bene viene prodotto da una specifica impresa. Vediamo cosa accade nei due settori.

7.2.6 Il settore del bene finale

Il bene finale viene prodotto attraverso la lavorazione del bene intermedio descritta dalla seguente funzione tecnologica:

[∫ ( ) ( ⁄ ) ]

(9)

dove denota la quantità di bene intermedio di tipo j che viene utilizzata nella produzione del bene finale al tempo t. è il parametro stocastico che determina il

mark-up variabile nel tempo nel mercato dei beni. Gli shock su questo parametro saranno interpretati come shock nel cost-push nell’equazione che definisce l’inflazione. Tale shock è pari a: .

La condizione di minimizzazione del costo nel settore del bene finale può essere riscritta come:

(

)

( ) ⁄

(7.18)

dove è il prezzo del bene intermedio j e è il prezzo del bene finale. La concorrenza perfetta nel settore dei beni finali implica che:

[∫ ( ) ⁄ ]

(7.19)

7.2.7 I produttori del bene intermedio

Ciascun bene j è prodotto dalla corrispettiva impresa j utilizzando la seguente funzione di produzione:

̃ (7.20)

dove è lo shock nella produttività (che segue un processo di autoregressione del primo ordine: ), ̃ è l’utilizzazione effettiva dello stock di capitale

data da: ̃ . è un indice delle diverse tipologie di lavoro utilizzate dalle

imprese e sono i costi fissi.

La minimizzazione dei costi implica che:

̃

(7.21)

L’equazione (7.21) implica che il rapporto tra capitale e lavoro sarà identico tra le imprese produttrici del bene intermedio ed uguale al rapporto calcolato a livello aggregato. I costi marginali delle imprese sono dati da:

(10)

Questo significa che anche il costo marginale non dipende dal tipo di bene prodotto. I profitti nominali dell’impresa j sono dati da:

( ) (

)

( ) ⁄

(7.23)

Ciascuna impresa j ha un certo potere di mercato per il bene che produce e massimizza i profitti attesi utilizzando il tasso di sconto .

Come previsto in Calvo (1983) alle imprese non è concesso di cambiare i propri prezzi fino a quando non ricevono un ‘segnale di cambiamento del prezzo’ (situazione analoga a quella vista per i salari). La probabilità che il prezzo possa essere riottimizzato ad un certo periodo è una costante pari a . In conformità con quanto assunto da CEE (2001) si assume inoltre che per le imprese che non effettuano tale riottimizzazione sia possibile modificare il prezzo indicizzandolo al livello di inflazione del periodo precedente. In contrasto con quanto previsto da CEE (2001) si permette che possa avvenire un’indicizzazione parziale. La massimizzazione del profitto per i produttori ai quali è concesso di riottimizzare i prezzi al tempo t avviene secondo la seguente condizione del primo ordine:

( ̃ ( ⁄

⁄ ) ( ) ) (7.24)

L’equazione (7.25) mostra che il prezzo scelto dall’impresa j al tempo t è una funzione dei costi marginali attesi. Il prezzo sarà un mark-up superiore alla media ponderata di questi costi marginali. Se i prezzi sono perfettamente flessibili ( ) il mark-up al periodo t è uguale a . Con prezzi vischiosi il mark-up diventa una

variabile che deve essere considerata nel momento in cui un certo shock colpisce l’economia. Per esempio, uno shock positivo dal lato della domanda abbassa il mark-up e stimola l’occmark-upazione, gli investimenti ed il tasso reale. La definizione dell’indice del prezzo nell’equazione (7.19) implica che la variazione dei prezzi è data da:

(11)

7.2.8 L’equilibrio nel modello

Il mercato dei beni finali è in equilibrio se il livello della produzione eguaglia la domanda per consumi ed investimenti delle famiglie e del governo:

(7.26)

Il mercato dei capitali è in equilibrio quando la domanda di capitale delle imprese produttrici del bene intermedio eguaglia l’offerta di capitale delle famiglie. Il mercato del lavoro è in equilibrio quando la domanda di lavoro delle imprese eguaglia l’offerta di lavoro per un certo livello dei salari definito dalle famiglie.

Il tasso di interesse è dato da una funzione di reazione che descrive le decisioni relative alla politica monetaria che vedremo successivamente.

7.2.9 Il modello linearizzato

Per effettuare le analisi che saranno descritte nelle prossime sezioni è necessario eseguire una linearizzazione del modello appena realizzato. Il cappelletto (^) sopra le variabili denota che ci stiamo riferendo alla deviazione della variabile rispetto allo stato stazionario.

L’equazione del consumo con la presenza delle abitudini è data da:

̂ ̂ ̂

( ̂ ̂ )

̂ ̂ (7.27)

Quando il tutto si riduce all’equazione tradizionale dei consumi. Con la formazione di abitudini i consumi dipendono dalla media pesata dei consumi passati e dei consumi futuri. In questo caso un livello di molto elevato (che significa un alto grado di persistenza delle abitudini), tende a ridurre l’impatto sui consumi dello shock nel tasso di interesse per un dato livello dell’elasticità di sostituzione.

L’equazione degli investimenti è data da:

̂

̂ ̂ ̂

̂ ̂

(7.28)

dove ̅⁄ (ed è la funzione del costo di aggiustamento dell’investimento). Il fatto di aver definito il costo di aggiustamento del capitale come funzione del cambiamento dell’investimento ci permette di cogliere la forma a gobba della risposta

(12)

dell’investimento ai vari shocks. Uno shock positivo nella funzione di aggiustamento del costo pari ad ̂ riduce temporaneamente il livello dell’investimento.

La corrispondente equazione che descrive il valore del capitale è data da:

̂ ( ̂ ̂ )

̅ ̂ ̅

̅ ̂ (7.29)

Dove, nell’equazione (7.28), ̅⁄ . Il valore corrente dello stock di capitale dipende negativamente dal tasso di interesse dato ex-ante, , positivamente dal suo valore atteso per il futuro, ̂ , e positivamente dal tasso di

ritorno atteso del capitale, ̂ . L’introduzione di uno shock nel tasso di ritorno del capitale investito, è un sistema rapido per simulare un cambiamento nel costo del capitale dovuto ad una variazione del premio per il rischio finanziario esterno. Questo shock non è direttamente collegato al tipo di economia che abbiamo costruito. Nel prossimo capitolo vedremo meglio il significato del premio per il rischio finanziario all’interno del modello di Bernanke, Gertler e Gilchrist (1999). Per ora supponiamo semplicemente che tale premio per il rischio finanziario rappresenti una differenza tra il ritorno delle attività finanziarie ed il ritorno del capitale; esso è dovuto all’asimmetria informativa che si manifesta tra le imprese che prendono a prestito il capitale e coloro che forniscono il capitale (le famiglie).

L’equazione che descrive l’accumulazione del capitale è quella standard:

̂ ̂ ̂ (7.30)

Con la presenza di indicizzazione parziale l’equazione relativa all’inflazione diventa una forma generalizzata della curva di Philips Neo-Keynesiana:

̂

̂ ̂

( )( )

[ ̂ ̂ ̂

] (7.31)

L’inflazione al tempo t dipende dalle aspettative sull’inflazione futura, dall’inflazione passata e dal costo marginale corrente; esso è a sua volta una funzione del tasso cui viene dato in prestito il capitale, del salario reale e dei parametri relativi alla produttività. Quando si ritorna all’equazione di Philips standard con la sola

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indicizzazione determina quanto sono importanti gli aspetti passati nel processo di definizione dell’inflazione. L’elasticità dell’inflazione rispetto a cambiamenti nel costo marginale dipende principalmente dal grado di rigidità dei prezzi. Quando tutti i prezzi sono flessibili e lo shock nel mark-up è pari a zero e l’equazione ritorna al caso normale di un’economia con prezzi flessibili in cui il costo marginale è pari a 1.

In modo analogo la seguente equazione caratterizza l’indicizzazione parziale dei salari nominali: ̂ ̂ ̂ ̂ ̂ ̂ ( ) * ̂ ̂ ( ̂ ̂ ) ̂ + (7.32)

Il significato di questa equazione è che il salario reale è un funzione del salario reale passato e futuro, e del tasso di inflazione passato, corrente e futuro dove i pesi relativi dipendono dal grado di indicizzazione dei prezzi. Quando i salari reali non dipendono dall’inflazione passata. Vi è inoltre un effetto negativo che emerge dalla differenza tra il salario reale attuale ed il salario che prevarrebbe in un mercato del lavoro perfettamente competitivo.

La seguente equazione rappresenta la funzione di domanda del lavoro, essa dipende negativamente dal livello del salario reale e positivamente dal tasso cui può essere preso in prestito il capitale:

̂ ̂ ̂ ̂ (7.33)

dove rappresenta l’inverso dell’elasticità del costo di utilizzazione del capitale. La condizione di equilibrio nel mercato dei beni può essere riscritta come:

̂ ( ) ̂ ̂ (7.34)

dove rappresenta il rapporto tra il capitale e l’output nello stato stazionario e il rapporto tra la spesa pubblica e l’output nello stato stazionario. Si assume che lo shock nella spesa pubblica segua un processo di autoregressione del primo ordine del tipo:

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In fine il modello si conclude con l’equazione che descrive il comportamento della Banca Centrale, essa è leggermente diversa da quella che si era osservata in Ireland (2004),

̂ ̂ { ̅ ̂ ̅ ( ̂ ̂ )} ̂ ̂

( ̂ ̂ ( ̂ ̂ )) (7.35)

L’autorità che decide la politica monetaria segue una Taylor rule che risponde alle deviazioni che si osservano tra l’inflazione del periodo e l’inflazione target (assunta pari a 0), e alla differenza che si manifesta tra il livello attuale dell’output e il livello dell’output efficiente come previsto, appunto, da Taylor (1993). Si ricorda che il livello efficiente dell’output è il prodotto che si realizzerebbe nel caso di perfetta concorrenza nei mercati dei beni e del lavoro. Il tasso di interesse a breve termine risponde anche di cambiamenti nell’inflazione e nell’output gap che si manifestano tra due periodi consecutivi. Per concludere si aggiungono due shock nella politica monetaria: uno shock persistente nel livello dell’inflazione obiettivo, ̅ , che segue un processo di autoregressione del primo ordine, ed uno shock temporaneo nel tasso di interesse, .

Le equazioni dalla (7.27) alla (7.36) definiscono le nove variabili endogene del modello ̂ ̂ ̂ ̂ ̂ ̂ ̂ ̂ ̂ . Il comportamento stocastico di queste nove variabili è determinato da 10 shocks esogeni: cinque di essi emergono da shock nella tecnologia e nelle preferenze, tre invece sono shock nel cost-push

, e due shock nella politica monetaria, ̅ .

7.3 Il processo di stima

Come era avvenuto nel caso del modello di Ireland (2004) anche adesso non si utilizza la tecnica della calibrazione per la definizione dei parametri del modello, ma si utilizza la stima. Nello specifico, per la stima di tutti i parametri del modello, si utilizzeranno le serie storiche che vanno dal 1980 al 1999 per sette variabili economiche osservabili: il Pil reale, i consumi reali, gli investimenti reali, il deflatore del Pil, i salari reali, l’occupazione ed il tasso di interesse nominale. In realtà alcuni parametri sono dati senza che venga fatta alcuna stima; la motivazione sta nel fatto

(15)

che questi parametri sono legati in maniera diretta ai valori nello stato stazionario di certe variabili e possono essere ricavati in maniera altrettanto diretta attraverso delle medie delle variabili osservabili. È il caso di , il fattore di sconto calibrato pari a 0.99 che implica un tasso di interesse annuo del 4%, ma anche di , fissato pari a 0.025 per trimestre con il significato che i beni capitali si ammortizzano mediamente del 10% all’anno. Inoltre si fissa pari a 0.3 che implica un rapporto tra il reddito da lavoro e output totale del 70% nello stato stazionario. La quota dei consumi sull’output totale si assume pari a 0.6, mentre la quota dell’investimento nello stato stazionario è uguale a 0.22. Dai dati emerge poi un rapporto tra capitale ed output pari a 2.2. Infine si fissa il parametro che coglie il mark-up nei salari, . Nella tabella che segue sono riportati i valori dei 32 parametri stimati

σ shock nella produttività 0,598

σ shock nell’inflazione obiettivo 0,017

σ shock nelle preferenze per il consumo 0,336

σ shock nella spesa pubblica 0,325

σ shock nell’offerta del lavoro 3,520

σ shock nell’investimento 0,085

σ shock nel tasso di interesse 0,081

σ shock nel ritorno del capitale investito 0,604

σ shock nel mark-up dei prezzi 0,160

σ shock nel mark-up dei salari 0,289

ρ shock nella produttività 0,823

ρ shock nell’inflazione obiettivo 0,924

ρ shock nelle preferenze per il consumo 0,855

ρ shock nella spesa pubblica 0,949

ρ shock nell’offerta del lavoro 0,889

ρ shock nell’investimento 0,927

Costo di aggiustamento dell’investimento 6,771

σ nell’utilità del consumo 1,353

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σ utilità del lavoro 2,400

Costi fissi 1,408

Parametro di Calvo nell’occupazione 0,599

Costo di aggiustamento utilizzo del capitale 0,169

Parametro di Calvo nei salari 0,737

Parametro di Calvo nei prezzi 0,908

Indicizzazione dei salari 0,763

Indicizzazione dei prezzi 0,469

Parametro di risposta all’inflazione 1,684

Parametro Δ inflazione 0,140

Parametro differenza tasso di interesse 0,961

Parametro di risposta output-gap 0,099

Parametro Δ output-gap 0,159

Tabella 1. Stima dei parametri

Facciamo adesso alcune considerazioni sui parametri presenti in tabella. La stima di pari a 0.46 implica che il peso dell’inflazione passata sul livello attuale dell’inflazione è di 0,31, ciò pare essere in linea con i risultati di Galì, Gertler e Lopez-Salido (1998). Vi è comunque una certa vischiosità sia nei salari che nei prezzi; a ben vedere si osserva che la durata media dei contratti relativi al salario è stimata in circa un anno, mentre quella relativa ai prezzi è circa due anni e mezzo. Questo risultato contro intuitivo è legato alla scelta effettuata in merito alla funzione di tecnologia (rendimenti costanti di scala). Se facessimo l’assunzione di rendimenti di scala decrescenti avremmo una rigidità nei prezzi paragonabile con quella dei salari. La stima per le abitudini nel consumo è pari a 0,57 che è un po’ più basso rispetto alla stima effettuata da CEE (2001). Invece la stima del parametro del costo di aggiustamento è molto vicina a quella effettuata da CEE (2001). Anche la stima del parametro relativo ai costi fissi e all’elasticità del costo di aggiustamento dell’utilizzazione del capitale sono simili a CEE (2001). Infine la stima dà dei risultati adeguati anche in relazione ai parametri che esprimono la reazione dell’autorità di politica monetaria, in linea con quelli che erano stati i risultati ottenuti da Taylor

(17)

(effettuata dalla Banca Centrale) rispetto a cambiamenti nell’inflazione è stata più grande di 1, ciò soddisfa il principio di Taylor. Anche la risposta rispetto a cambiamenti nell’output è in linea con quanto era stato previsto da Taylor. Infine vi è anche una risposta significativa rispetto a cambiamenti dell’inflazione e dell’output gap correnti.

7.4 Analisi degli shocks per l’area Euro

L’analisi degli shocks sulle variabili endogene considerate nella nostra economia viene osservata sia attraverso le funzioni di risposta delle diverse variabili rispetto al singolo shock (le figure sono riprese da Smets e Wouters 2003), sia attraverso la decomposizione della varianza. Iniziamo con l’osservazione degli shocks dal lato dell’offerta, in figura è rappresentato lo shock nella produttività.

Figura 1. Shock nella produttività

Uno shock positivo nella produttività (analogo a quello osservato nei modelli di Torres) determina un aumento nell’output, nei consumi e negli investimenti, mentre il livello occupazionale si abbassa. Proprio quest’ultimo risultato stride con quanto si osservava nel modello canonico proposto da Torres e, più in generale, con quanto previsto dai modelli real business cycle senza rigidità nominali. L’aumento nella produttività fa abbassare il costo marginale e, a causa di una risposta non sufficientemente forte da

(18)

parte della Banca Centrale nel manovrare i tassi di interesse, anche l’inflazione si riduce. I salari aumentano in misura poco significativa di fronte ad uno shock nella produttività.

La figura 2 mostra gli effetti di un altro shock dal lato dell’offerta, quello nell’offerta del lavoro.

Figura 2. Shock nell'offerta di lavoro

Lo shock nell’offerta del lavoro ha degli effetti qualitativamente simili allo shock nella produttività con riguardo alle variabili dell’output (che aumenta), dell’inflazione e del tasso di interesse (che si riducono). Ci sono però anche delle differenze, innanzitutto l’occupazione aumenta in linea con l’andamento dell’output, e i salari reali si riducono in maniera significativa. Tale forte abbassamento nel livello dei salari determina una caduta nei costi marginali e, quindi, nell’inflazione.

Gli ultimi shocks dal lato dell’offerta che consideriamo prima di passare agli shocks dal lato della domanda sono quelli nel mark up dei salari e nel mark up dei prezzi, riportati nelle due seguenti figure

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Figura 3. Shock nel mark-up dei salari

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Nel caso di uno shock negativo nel mark-up dei salari si ha, essenzialmente, una situazione in cui le famiglie aumentano il loro potere sul mercato del lavoro, ciò determina un aumento dei salari ed un aumento dell’inflazione. I tassi di interesse aumentano in risposta all’andamento dell’inflazione

In figura 4 è riportato uno shock negativo nel mark-up dei prezzi. Ciò implica che le imprese che operano sul mercato in cui è presente concorrenza imperfetta aumentano il loro potere di mercato. Il risultato di questo shock è che l’inflazione ed il tasso di interesse aumentano, mentre l’output si riduce. Inoltre i movimenti del costo marginale e del salario reale sono opposti rispetto a quanto osservato per lo shock nel mark-up dei salari.

Passiamo adesso a considerare gli shocks dal lato della domanda; essi hanno la caratteristica generale di determinare un aumento dell’output e dell’inflazione che porta, in ultima analisi, ad un innalzamento dei tassi di interesse.

Figura 5. Shock nelle preferenze

Nel caso di uno shock nelle preferenze possiamo osservare che certe conclusioni sono analoghe a quanto si era osservato nel capitolo precedente nel modello di Ireland (2004): si assiste cioè ad un incremento dell’output, dell’inflazione e del tasso

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variabili endogene si può vedere che l’aumento dei consumi va a “spiazzare gli investimenti” abbassandone il livello; inoltre, essendo necessario soddisfare una domanda maggiore, si può osservare un incremento nell’utilizzazione del capitale installato e nell’occupazione

Figura 6. Shock nell'investimento

In figura 6 si possono vedere gli effetti di un boom negli investimenti guidato da una riduzione temporanea del costo di installazione del capitale. Anche in questo caso si ha un aumento dell’output e dell’occupazione, mentre l’effetto spiazzamento avviene nei consumi. A causa della maggiore persistenza (stimata) dello shock nell’investimento gli effetti sull’inflazione sono più evidenti rispetto al caso dello shock nelle preferenze.

In figura 7 possiamo vedere gli effetti di uno shock negativo nel ritorno del capitale. Essi sono qualitativamente simili a quelli appena visti, ma in questo caso i movimenti dell’output, dell’occupazione e dell’investimento hanno durata molto ridotta, ciò comporta degli effetti molto inferiori sui salari reali, sui costi marginali e sui prezzi.

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Figura 7. Shock nel ritorno del capitale investito

Figura 8. Shock nella spesa pubblica

In figura 8 sono riportate le conseguenze dell’ultimo tra gli shock dal lato della domanda, lo shock nella spesa pubblica. In questo caso l’effetto spiazzamento si fa sentire prepotentemente sia sui consumi che sugli investimenti. Questo risultato è in

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linea con la gran parte della letteratura legata ai modelli real business cycle dove lo shock positivo nella spesa pubblica è compensato da cambiamenti opposti nei consumi e negli investimenti da parte di famiglie ed imprese. Tale risultato non è però convalidato in Perotti (2002) che studia il cambiamento di consumi ed investimenti di fronte ad un aumento della spesa pubblica per paesi diversi dagli USA.

Nelle ultime due figure vengono riportati i due shocks monetari. Lo shock temporaneo è riportato in figura 9 e consiste in un aumento del tasso di interesse a breve termine; ciò che si può osservare è una caduta nell’output, negli investimenti e nei consumi, in linea con quanto ci si aspetterebbe nel caso di una politica monetaria restrittiva. Si vede inoltre che la caduta degli investimenti è di circa tre volte superiore rispetto a quella nei consumi. Questi risultati sono plausibili con le evidenze che ci sono state relative all’area euro.

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Figura 10. Shock monetario permanente

Gli effetti di un cambiamento nel target dell’inflazione sono diversi sotto due punti di vista. Innanzitutto non c’è un effetto liquidità in quanto il tasso di interesse inizia ad aumentare in maniera immediata come risultato del cambiamento delle aspettative sull’inflazione. In secondo luogo, siccome la nuova politica monetaria viene implementata gradualmente e le aspettative hanno il tempo di adeguarsi, anche gli effetti sull’output e sull’inflazione sono molto più bassi.

7.5 La decomposizione della varianza

Passiamo adesso ad osservare quali sono i singoli shocks che impattano maggiormente sulla variabili economiche considerate nella nostra economia nel breve, medio e lungo termine. Di seguito sono riportato i risultati ottenuti da Smets e Wouters (2003) in merito alla decomposizione della varianza.

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Figura 11. Decomposizione della varianza

Prima di partire con l’analisi è bene ricordare il significato degli orizzonti temporali: il breve termine si riferisce ad un periodo di un anno, il medio termine indica due anni e mezzo e, infine, il lungo termine si riferisce ad un tempo di 25 anni. Iniziamo le nostre considerazioni partendo dall’output. Nel brevissimo periodo sia lo shock nelle preferenze che lo shock nella spesa pubblica hanno degli effetti significative sull’output, ma essi hanno una durata piuttosto breve. Infatti, considerando il breve periodo, si osserva che le variazioni nell’output sono principalmente legate gli shocks nella politica monetaria e nell’offerta del lavoro. Infine gli shocks nella produttività e negli investimenti si fanno sentire sugli orizzonti più lunghi. Non sembrano ricoprire un ruolo molto importante gli shocks nel mark-up di prezzi e salari.

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Si può osservare quello che sembra essere un punto di contatto tra i risultati ottenuti da Smets e Wouters e quelli di Ireland (2004); pur essendo il modello stimato per un’area economica diversa rispetto al modello di Ireland (l’Europa invece degli Stati Uniti), e pur considerando 2 periodi diversi, si osserva che anche qua lo shock nella produttività sembra giocare un ruolo non primario rispetto ad altri shock. Tra l’altro un risultato analogo si raggiungeva anche in Galì (2000), dove si sollevavano dei dubbi riguardo l’importanza quantitativa degli shock tecnologici sulle variabili economiche nei paesi industrializzati. Un fattore che può spiegare l’importante ruolo degli shocks nella politica monetaria e nell’offerta del lavoro sulle dinamiche dell’output può essere che entrambi gli shocks spiegano bene la correlazione positiva tra output, consumi, investimenti ed occupazione che si osserva nei dati.

Osservando invece gli shocks maggiormente importanti per le variazioni nell’inflazione si osserva che, a tutti gli orizzonti, esse sono dovute principalmente allo shock nel mark up dei prezzi. Nuovamente possiamo notare un’affinità con il modello di Ireland che vedeva proprio nello shock nel cost-push (in quel caso non si considerava il cost-push nei salari) il motivo principale dei movimenti dell’inflazione. Nel medio e nel lungo periodo anche lo shock monetario assume una certa importanza. Tutti gli altri shocks non contano molto all’interno dell’economia considerata; uno dei motivi per cui si può ipotizzare che lo shock tecnologico e lo shock nelle preferenze non siano determinanti negli spostamenti dell’inflazione è che la funzione ipotizzata per la descrizione del comportamento della politica monetaria reagisce in maniera molto forte a queste tipologie di shock, annullando l’output gap ed evitando che si creino situazioni di inflazione o di deflazione.

Inoltre, si può osservare che il tasso di interesse è principalmente legato agli shock nelle preferenze (altro risultato in line con quanto avveniva in Ireland), nell’offerta del lavoro e nella produttività. Infine, lo shock nel target dell’inflazione non gioca un ruolo significativo.

7.6 Conclusioni

Il modello DSGE descritto in questo capitolo prosegue quello che è il percorso che avevamo iniziato con Ireland, aggiungere tutta una serie di frizioni all’interno

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principali variabili macroeconomiche. Rispetto ad Ireland non solo abbiamo considerato dei dati relativi ad una diversa area economica ma abbiamo anche aggiunto delle nuove frizioni, tra le quali la vischiosità nei salari nominali ed il livello di utilizzazione del capitale variabile. Inoltre questo modello include un maggior numero di shocks strutturali che si aggiungono ai quattro considerati precedentemente, come gli shocks negli investimenti e nella spesa pubblica (dal lato della domanda), lo shock nell’offerta del lavoro (dal lato dell’offerta) gli shocks nel mark-up dei salari e nel premio per il ritorno del capitale (shocks nel mark-up) e lo shock nel target dell’inflazione (shock monetario). Dall’impostazione di questo modello siamo in grado di trarre delle conclusioni riguardo alle cause dei movimenti delle variabili macroeconomiche nell’area Euro.

Per quanto riguarda gli shocks di natura monetaria si può osservare che un innalzamento del tasso di interesse di breve periodo determina una caduta nell’output, nei consumi e negli investimenti (qua particolarmente significativa) ed una riduzione dei costi marginali e dei prezzi. D’altra parte uno shock monetario che modifichi il target dell’inflazione ha delle conseguenze molto diverse; in questo caso la decisione presa da parte della Banca Centrale è credibile ed implementata gradualmente, quindi le aspettative hanno il tempo di adeguarsi e gli effetti finali sul livello dell’output sono molto minori.

In relazione agli shocks non-monetari abbiamo osservato come uno shock nella produttività si rifletta negativamente sul livello dell’occupazione (si vedano le funzioni di risposta per questa tipologia di shock). In aggiunta, dalla decomposizione della varianza, si osserva che questo shock non impatta mai per un ammontare superiore al 10% nella variazione dell’output. La conclusione sembra essere che questo shock non è stato molto importante per spiegare le dinamiche della crescita dell’output, ciò è in linea con quanto si otteneva in Ireland ed in contrasto con la generazione precedente di modelli DSGE, quelli legati al real business cycle. Ci sono invece altri shocks che sono più determinanti rispetto a quello nel livello tecnologico come lo shock nell’offerta del lavoro e lo shock nella politica monetaria.

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