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Academic year: 2021

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Capitolo II

Diagnostica

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2.1 Diagnostica Artistica

Con l'espressione "diagnostica artistica", introdotta alla fine degli anni venti del '900, si intende l'insieme di indagini scientifiche che forniscono informazioni, altrimenti non desumibili, in merito sia alla tecnica esecutiva sia allo stato di conservazione di un'opera d'arte.

Oggi l’ uso delle strumentazioni e delle metodologie scientifiche sta prendendo sempre più piede, rivelandosi di primaria importanza nella pianificazione di un intervento di restauro conservativo. Studiare, infatti, nello specifico quanti e quali materiali compongono l’opera, verificandone anche dall’interno lo stato di conservazione ed eventuali processi in atto, permette un intervento mirato e non deleterio per il manufatto. Ricordiamo, a questo proposito, che un intervento di restauro viene attuato per migliorare le condizioni dell’opera, e non per peggiorarle.

La conoscenza della composizione del materiale permette, inoltre, un utilizzo più ragionato di composti e soluzioni, che divengono sempre più compatibili con la superficie (in modo da evitare l’innescarsi di reazioni chimiche ) e stabili nel tempo.

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Questo fa sì che gli interventi di restauro siano reversibili e non dannosi per il manufatto.

Un’ opera d’arte, tuttavia, viene analizzata anche quando non necessita di particolari interventi diretti. Con il tempo, infatti, gli studiosi si sono resi conto che l’apporto scientifico, oltre ad identificare nello specifico i materiali che compongono un manufatto, può dare anche un valido contributo nell’identificazione delle tecniche applicate per realizzarlo.

Come affermano Lorenzo Apollonia e Stefano Volpin nel loro interessante saggio ”Le analisi di laboratorio applicate ai beni artistici policromi, Padova, Il Prato, 1999”: “(…) sarebbe riduttivo considerare l’apporto scientifico solo in funzione dell’identificazione del materiale, anche se questo rimane protagonista assoluto del bene artistico. Esattamente com’è riduttivo considerare che il contenuto di un’espressione artistica sia racchiuso nel solo materiale che la compone: l’opera d’arte è fatta di materia, ma la materia non è necessariamente un’opera d’arte”.

E’ in questo contesto che le indagini di diagnostica si rivelano essenziali per la conoscenza sia del materiale con cui sono costituite le opere d’arte (che non sempre sono facilmente identificabili) sia delle tecniche artistiche, sia delle modalità che hanno permesso la loro realizzazione. In questo senso le indagini scientifiche permettono spesso di collocare temporalmente l’opera, in virtù delle analisi fatte su elementi organici trovati in essa, o ancora, di circoscriverla in un’area geografica alquanto definita, grazie allo studio comparato dei materiali presenti in altri manufatti.

Permettono, altresì, di conoscere alcune vicende storiche accadute all’opera come, ad esempio, rimaneggiamenti, lacune non visibili ad occhio nudo, precedenti restauri. Per quanto riguarda nello specifico il rapporto con l’ambito conservativo, le indagini scientifiche danno un apporto estremamente valido, grazie a lavori che permettono di individuare problematiche impossibili da rilevare altrimenti, come, ad esempio crepe sotto le superfici, indebolimenti strutturali e molto altro. Si può giungere quindi alla possibilità di completare le conoscenze derivate da un percorso storico, che può presentarsi a volte incerto a causa di lacune nelle fonti documentarie o alla scarsa credibilità delle stesse.

L’approccio scientifico più diretto e completo è quello che prevede l’identificazione dei materiali costitutivi principali dell’opera ed il successivo confronto dei risultati con dati di riferimento relativi a manufatti analizzati in precedenza e dei quali si hanno certezze. Ciò presuppone l’allestimento di vere e proprie banche dati che possono essere prese come punto di riferimento per la comparazione dei risultati ottenuti. Questo permette

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una conoscenza sempre in itinere, non solo per quanto riguarda l’individuazione del materiale, ma anche per quel che concerne la descrizione di antiche tecniche artistiche e dei materiali specifici che in esse venivano utilizzati.

E’ grazie all’ausilio delle analisi scientifiche condotte durante le operazioni di diagnostica, che è stato possibile analizzare approfonditamente le tecniche di esecuzione originarie della LAT. III, 111. (=2116) ed identificare con esattezza la natura dei materiali che la compongono, chiarendo, inoltre, le trasformazioni subite nel tempo.

Sono, inoltre, stati identificati materiali organici e sostanze ascrivibili a precedenti restauri: la conoscenza di questi dati è necessaria per poter pianificare un’attività di restauro che non comprometta l’integrità storica ed artistica dell’opera stessa.

2.2 Analisi con microscopio digitale

E’ considerato uno degli strumenti indispensabili all’osservazione preliminare e alla preparazione del campione per altre analisi. La microscopia ottica digitale è infatti una tecnica non distruttiva.

Grazie ad una serie di lenti ad alto ingrandimento, è possibile analizzare accuratamente la superficie dell’opera, stabilendo in maniera più chiara lo stato di conservazione ed individuando lacune impercettibili ad occhio nudo, micro-crepe, zone con presenza di ossidazioni e così via.

Fra le tante variabili che rendono questa tecnica molto versatile, è il caso di ricordare la possibilità dell’osservazione alla luce di fluorescenza UV, emessa da campioni opportunamente illuminati.

La LAT. III, 111. (=2116) è stata indagata con un microscopio ottico digitale ad alta risoluzione, dotato di uno zoom con un ingrandimento fino a 200x, collegato ad un computer portatile.

Questo ha permesso, non solo di analizzare l’intera superficie senza danneggiarla, ma anche di immagazzinare in un database interno al computer tutta una serie di immagini

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prese in considerazione durante le indagini successive.

L’analisi è stata eseguita dalla sottoscritta. Nel corso dei lavori è stato realizzato anche un piccolo prodotto multimediale che, mediante una serie di link ipertestuali, permette di “ingrandire” il punto della coperta desiderato, collegando l’immagine presa con il microscopio ottico digitale.

Di seguito sono riportate alcune immagini.

Immagine 51. Particolare piatto anteriore

Ingrandimento di una formella in smalto cloisonnè danneggiata. Interessante notare come in questa immagine si vedano anche le bolle d’aria interne allo smalto.

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Immagine 52. Particolare piatto posteriore

Ingrandimento di una delle quattro formelle trecentesche rappresentanti i quattro evangelisti. Sono evidenti le abrasioni superficiali sulla zona dorata, conseguenza della

lavorazione e dell’uso, e le incisioni del metallo del disegno preparatorio che avrebbe accolto lo smalto.

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Qui si notano perfettamente delle micro-crepe strutturali nello smalto, e delle piccole lacune sulla destra. Si individua, inoltre, nella zona superiore, un deposito di particolato atmosferico importante,

assolutamente invisibile ad occhio nudo.

In conclusione, grazie all’analisi al microscopio è stato possibile notare un indebolimento consistente dello smalto e la presenza di un radicato deposito superficiale atmosferico, insinuatosi anche nelle micro-fessure interne.

Questo ha permesso di pianificare, tra le operazioni di restauro, una pulitura accurata delle superfici ed un consolidamento superficiale, insistendo in particolar modo sulle zone decorate.

Anche sulle zone metalliche e dorate sono stati riscontrati dei forti indebolimenti, che si è provveduto a consolidare in sede di restauro.

2. 3 Fluorescenza x

L’ analisi di Fluorescenza X dispersiva in energia (EDXRF) è stata condotta da Giuseppe Guida e Stefano Ridolfi.

Questo genere di esame si basa sulla diffrazione di un fascio di raggi X di bassa energia (max 40 keV) focalizzato sul campione.

La lunghezza d’onda della radiazione è dello stesso ordine di grandezza delle distanze interatomiche e provoca fenomeni di diffrazione dipendenti dal reticolo cristallino delle sostanze presenti.

Praticamente il fascio di raggi X che colpisce l’atomo non è altro che un potente fascio di energia. L’atomo colpito viene portato, per effetto fotoelettrico, ad uno stato di eccitazione tale da far salire di livello gli stati elettronici più profondi degli atomi presenti, provocando l'estrazione di un elettrone da una delle orbite più vicine al nucleo (orbite K, L e M ).

L’atomo così eccitato, però, è instabile, poiché si trova ad un livello che non gli appartiene. Nel tornare al suo livello di partenza libera lo stesso quantitativo di energia,

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sotto forma di radiazione X monocromatica ("righe" X), con il quale era stato investito in precedenza. Dalla misurazione di questo quantitativo si giunge al riconoscimento della specie atomica, giacché ogni atomo trattiene e rilascia quantitativi di energia propri della sua specie.

Schema 4. Rappresentazione dello stato di eccitamento di un elettrone

La freccia ondulata indica l’energia acquisita e rilasciata, mentre quella retta indica i mutamenti di livello.

(immagine tratta da lnx.didascienze.org)

Il risultato di questo processo viene proiettato su di un monitor sotto forma di spettro elettromagnetico.

L’EDXRF è una tecnica di analisi assolutamente non distruttiva e non invasiva sul campione.

Attualmente viene impiegato un piccolo macchinario portatile, estremamente maneggevole (utilizzato dagli stessi Guida e Ridolfi). In questo modo il fascio di raggi X viene puntato sulla zona desiderata del campione senza che quest’ultimo venga toccato minimamente.

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Immagine 54. Spettrometro in fluorescenza raggi X portatile

Questo genere di analisi permette il riconoscimento delle specie inorganiche cristalline presenti nel campione, tramite un confronto dello spettro ottenuto con standard di riferimento. I risultati possono essere di genere qualitativo, semiquantitativo e quantitativo.

I materiali che è possibile analizzare sono manufatti lapidei, policromie, ceramiche, vetri, pitture murali e dipinti.

Il limite di questa tecnica è che è possibile rilevare solo elementi con numero atomico maggiore di 5, a causa dell'assorbimento prodotto dall'aria presente tra il macchinario ed il campione, che altera i valori, e dalla finestra di accesso al rivelatore.

La geometria dello spettrometro è molto compatta: l'asse del rivelatore ed il fascio primario sono posti a 90°. Nell'intersezione dei due assi viene posta la porzione dell'oggetto che si vuole analizzare.

Schema 5.

(tratto dalla relazione di Guida-Ridolfi)

Dallo schema si analizza il meccanismo della diagnosi. Il tubo a raggi X viene puntato sul campione; l’energia da esso prodotta viene immagazzinata all’interno di un rivelatore di raggi X (generalmente un semiconduttore al Germanio o al Silicio, elementi largamente utilizzati nella produzione di dispositivi elettronici).

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Questo riporta il raggio ad un amplificatore e, dopo una serie di elaborazioni prodotte dall’analizzatore multicanale, viene visualizzato sul monitor del computer sottoforma di spettro elettromagnetico.

Quello dell'EDXRF è uno strumento essenziale per fornire risposte a problemi di conservazione, meccanismi di invecchiamento, tecnologia di produzione, trattamenti superficiali e corrosione. Ovviamente, per ogni materiale e problematica cambia l'approccio da adottare.

Di seguito è riportata parte della scheda tecnica stilata da Guida e Ridolfi, al temine delle analisi EDXRF sulla LAT. III, 111. (=2116).

Riporterò in corsivo, anche per le analisi seguenti, le parti delle relazioni scritte dai vari studiosi al termine delle indagini.

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Schema 6. Lato A analizzato I numeri indicano i punti presi in esame

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Schema 7. Lato B analizzato I numeri indicano i punti presi in esame

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2.3.1 Risultati

Tramite questa tecnica è possibile quantificare la percentuale di metalli presenti un una porzione composizionalmente uniforme del punto analizzato.

Sono state effettuate 20 misure in modalità quantitativa su supporto metallici contenenti argento, rame ed oro. In alcuni campioni si è riscontrata una presenza di mercurio. Nella tabella dei risultati ciò è indicato con un segno corrispondente. In questi casi i valori percentuali vanno valutati come indicativi della composizione reale. La presenza di mercurio è indice di una doratura ad amalgama.

Si sono effettuate anche 26 misure semiquantitative sugli smalti, come in figura. La presenza od assenza di determinati elementi chimici è legata alla tecnica produttiva ed alla campitura stessa dello smalto analizzato.

Nelle due tabelle successive si riportano i risultati quantitativi su lega e semiquantitativi su smalto. Au (%) Cu (%) Ag (%) facciaa39 58.5 3.8 37.7 Hg facciaa40 28.2 2.4 69.4 facciaa41 90.5 1.1 8.4 facciaa42 87.2 2.7 10.1 facciaa43 90.0 1.3 8.7 facciaa44 40.7 7.7 51.6 Hg facciab1 85.1 1.5 13.4 facciab2 30.0 7.9 62.2 Hg facciab3 24.8 0.8 74.4 Hg facciab4 30.1 1.0 68.9 Hg facciab18 90.6 1.0 8.4 facciab19 42.6 0.4 57.1 Hg facciab21 11.4 2.8 85.8 facciab22 89.4 1.1 9.5 facciab23 89.1 1.1 9.8 facciab24 24.7 1.3 74.0 Hg facciab27 89.4 1.2 9.4 facciab28 46.9 0.4 52.6 Hg facciab31 88.3 1.5 10.2 facciab32 87.5 1.4 11.1 facciab45 89.0 1.2 9.8

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Mn Fe Co Cu Zn Rb Sr Ag Sn Sb Au Hg Pb facciaa33 89 294 51 1523 500 278 570 1174 2342 facciaa34 72 628 57 1267 1231 269 330 114 1882 2472 facciaa35 30 175 2031 131 429 2173 201 facciaa36 481 88 432 278 276 1762 252 facciaa37 55 202 960 465 293 41 507 1168 297 facciaa38 38 531 98 244 215 294 1777 473 facciab5 702 20 41 33158 348 75 303 facciab6 101 134 161 99 381 332 1062 facciab7 20 450 99 367 322 2288 99 facciab8 989 168 271 257 13653 91 191 facciab9 369 1024 3460 809 47 11164 77 329 facciab10 36 342 149 377 211 217 905 1027 2233 facciab11 45 632 21 2633 896 331 91 452 1093 98 facciab12 58 112 127 325 736 2783 61 facciab13 95 643 621 208 327 377 100 91 1108 1313 facciab14 585 120 247 255 282 1221 410 facciab15 209 46 228 214 712 69 709 1063 863 facciab16 118 300 85 300 187 100 814 10810 facciab17 52 131 248 112 77 116 261 143 371 facciab20 29 288 1462 320 517 156 111 183 facciab25 512 540 309 1235 1235 57 15052 152 55 1231 facciab26 944 192 232 272 14792 200 facciab29 343 883 30 4926 1034 118 12535 225 facciab30 1001 208 256 62 291 14205 204

Tabella 2. risultati semiquantitativi su smalti

(i valori numerici indicano i conteggi)

Lamine formelle Au (%) Cu (%) Ag (%) facciaa41 90.5 1.1 8.4 facciaa42 87.2 2.7 10.1 facciaa43 90.0 1.3 8.7 facciab1 85.1 1.5 13.4 facciab18 90.6 1.0 8.4 facciab22 89.4 1.1 9.5 facciab23 89.1 1.1 9.8 facciab27 89.4 1.2 9.4 facciab31 88.3 1.5 10.2 facciab32 87.5 1.4 11.1 facciab45 89.0 1.2 9.8

Tabella 3. risultati quantitativi lega delle lamine delle formelle

Cornici Au (%) Cu (%) Ag (%)

facciaa39 58.5 3.8 37.7 Hg

facciaa40 28.2 2.4 69.4

facciaa44 40.7 7.7 51.6 Hg

facciab21 11.4 2.8 85.8

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Analisi in cui è presente mercurio Au (%) Cu (%) Ag (%) facciaa39 58.5 3.8 37.7 Hg facciaa44 40.7 7.7 51.6 Hg facciab2 30.0 7.9 62.2 Hg facciab3 24.8 0.8 74.4 Hg facciab4 30.1 1.0 68.9 Hg facciab19 42.6 0.4 57.1 Hg facciab24 24.7 1.3 74.0 Hg facciab28 46.9 0.4 52.6 Hg

Tabella 5. risultati quantitativi lega in cui è presente Hg

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Spettro 3. faccia b 16

Durante l’analisi si è quindi scoperto che le formelle con smalti cloisonné sono in realtà interamente costituite d’oro, e non di argento dorato come si pensava in precedenza. Inoltre questa tecnica ha permesso di identificare la tecnica di doratura eseguita sugli altri elementi metallici, perché grazie alla presenza di mercurio nei risultati si è capito che la doratura era stata eseguita ad amalgama di mercurio (per la descrizione dettagliata della tecnica si rimanda alla sezione specifica). E’stato inoltre possibile definire quantitativamente le componenti degli smalti e valutare le percentuali dei composti con cui sono stati realizzati.

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2.4 Analisi gemmologica

L'analisi gemmologica di una pietra è un processo al quale viene sottoposta una gemma preziosa al fine di indicarne le caratteristiche. Ogni gemma ha caratteristiche che la rendono unica e riconoscibile fra tutte.

Per gemma si intende un minerale o altra sostanza naturale avente pregevoli caratteristiche quali rarità, durevolezza, bellezza (colore, trasparenza, lucentezza, effetti ottici).

Le gemme si suddividono in:

· Gemme di origine inorganica (minerali); · Gemme di origine organica (non minerali);

· Corallo, avorio, tartaruga, perle (dal mondo animale); · Ambra e giaietto (dal mondo vegetale).

Analizzare una gemma, al fine di arrivare a una diagnosi completa e definitiva, comporta una serie di esami il cui risultato concorre alla formulazione di una diagnosi gemmologica.

La diagnosi è volta alla risoluzione di alcuni quesiti, tra i quali: La gemma è naturale, sintetica o artificiale ?

Il suo colore è stato modificato? E nel caso: da che tipo di trattamento? La sua trasparenza è stata migliorata? E se sì: da che tipo di trattamento?

Esami base, eseguiti con apparecchiature quali polariscopio, conoscopio, rifrattometro, bilancia idrostatica, dicroscopio, lampada a raggi ultravioletti, microscopio, permettono di arrivare a diagnosi certe nella quasi totalità delle analisi eseguite.

In alcuni casi dubbi, occorre ricorrere ad esami più approfonditi, da eseguire con apparecchiature speciali, quali la spettrofotometria a infrarossi e le microsonde elettroniche a scansione.

Nel caso specifico le gemme contenute nella coperta sono state sottoposte ad un esame gemmologico qualitativo, integrato con misure quantitative in microspettroscopia di fluorescenza dei raggi X (µ-XRF) e in spettroscopia vibrazionale dei raggi infrarossi (IR).

L’esame gemmologico qualitativo è stato eseguito utilizzando una serie di microscopi ad ingrandimento molto elevato: una lente panoramica illuminante a luce bianca con 10 ingrandimenti, l’oculare da gioielliere con 10 ingrandimenti ed il microscopio

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binoculare con ingrandimenti variabili da 10 a 100 e con illuminazione bianca fredda concentrata da fibre ottiche, grazie ai quali Annibale Mottana ha potuto dare una prima stima qualitativa sulla natura delle gemme incastonate.

Di seguito è riportato il risultato dell’analisi qualitativa riportata sulla relazione finale, eseguita da Annibale Mottana, Astrik Gorghinian, Mariangela Cestelli Guidi e Augusto Marcelli.

2.4.1 Esame gemmologico qualitativo. Risultati.

All’esame ottico, la maggior parte delle gemme rimasta in loco appare solidamente incastonata, spesso tramite leganti solidi che si lasciano intravedere al bordo, tra la gemma stessa e l’oro del castone. In un solo caso si osserva un intervento antico di restauro: sulla superficie della gemma è poggiato un sottile filo d’oro che s’attacca da un lato sul bordo del castone, ma non lo attraversa per intero. Delle gemme attualmente mobili, essenzialmente per distacco dall’adesivo che si è indurito, solo due si sono potute rimuovere interamente senza, per altro, né indebolire ulteriormente l’adesivo stesso (qui ormai residuale e totalmente indurito) né danneggiare il metallo dell’incastonatura.

Il piatto anteriore col Cristo contiene n. 57 gemme colorate ovali taglio cabochon semplice a fondo piatto, di varia tonalità (rosso, verde, azzurro, viola) e di varia intensità (da scuro a chiaro), che sono tutte vetri, identificabili per la trasparenza elevata, per la presenza occasionale di piccole bolle interne in cui, in qualche raro caso, è contenuto un minuto cristallino figlio, e infine per il tipo di frattura, che è concoide, anche se è raramente manifesto. La superficie è in genere liscia, anche se non mancano sottili tracce di scalfittura.

Sono presenti, inoltre, n. 9 gemme rosso scure di taglio geometrico, opache in massa e appena traslucenti se illuminate sugli spigoli; ciascuna gemma ha una faccia maggiore piatta, allungata ed esposta in modo da risultare parallela alla superficie della coperta dell’Evangeliario. Questa superficie piana risulta essere la faccia cristallografica naturale di un rombododecaedro solo lievemente smussata agli spigoli e sui vertici (Immagine 55a, b).

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Immagine 55. Granato fotografato da due angolazioni differenti

Alcune di queste gemme, tutte identificabili come granati della famiglia dell’almandino, sono di dimensioni ben minori dell’incavo d’alloggiamento nel loro castone e sono pertanto mobili, probabilmente anche per perdita di contatto col legante originario, pur senza per questo ancora uscire dal castone. Non potendole estrarre, ma osservandole muovendole, basculando e ruotando l’intera legatura, si ottiene conferma della loro morfologia rombododecaedrica, a ulteriore supporto alla loro identificazione come granati. Rare sono le fratture presenti, ad andamento rettilineo, che per altro non si sviluppano mai fino a dividere il cristallo in parti distinte.

Il piatto anteriore col Cristo presenta, infine, n. 7 gemme tagliate a cabochon ovale semplice con fondo piatto di difficile identificazione. A medio-forte ingrandimento esse appaiono di colore scuro, tendente al marrone, e sono opache pur presentando una lieve traslucenza ai bordi. Fortemente illuminate con fibre ottiche a luce bianca fredda assumono colori bluastri. L’intera superficie arrotondata del cabochon è attraversata da fessure disposte su due direzioni: lievemente arcuate, ma continue, quando parallele o quasi alla direzione di allungamento del cabochon, brevi e interrotte dalle precedenti quando le sono trasversali. Nel complesso, i due sistemi simulano una scacchiera abbastanza regolare(Immagine 56a, b.).

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Immagine 56. Ossidiana fotografata da angolazioni differenti

Al bordo di alcune di queste gemme si osserva una zona di reazione a contatto con l’oro del castone, di colore bianco verdastro, interpretabile come reazione di una componente alcalina della “pietra” con la componente cuprifera della lega dell’oro. In alcuni casi queste aree chiare si estendono fino verso il centro, per cui la gemma appare come picchiettata di giallo o verde chiaro. L’aspetto complessivo di questo tipo di gemma ricorda quello di un’ambra invecchiata, che si è contratta reagendo in un ambiente umido e ha perso ormai lucentezza, trasparenza e, soprattutto, colore passando dal chiaro allo scuro per la diffusione interna e superficiale subita dalla luce incidente. Essa è stata provvisoriamente denominata pseudo-ambra, ritenendo indispensabili ulteriori misure.

Nel piatto posteriore con al centro la Vergine sono presenti n. 30 pietre analoghe: ventisei sono vetri con taglio cabochon semplice, di colore variabile da azzurro quasi celeste fino a verde; uno è un granato rosso con la morfologia rombododecaedrica pressoché intatta e tre sono pseudo-ambre.

I numerosi castoni vuoti contengono quasi tutti masserelle più o meno ridotte a frustoli di un materiale scuro, informe e opacizzato, non identificabile a vista, ma tuttavia ritenuto essere parte dell’originario legante, induritosi col tempo e perciò staccatosi dalla gemma permettendone la caduta.

Parecchie delle gemme tuttora contenute nei castoni, infatti, sono libere di muoversi proprio perché il materiale che ancora aderisce ai bordi è troppo rigido per costituire un buon legante.

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2.4.1.1 Conclusione

L’indagine gemmologica eseguita con il metodo ottico tradizionale non garantisce una completa identificazione delle gemme dell’Evangeliario se non per avere differenziato decisamente quelle che sono imitazioni (vetri) da quelle che sono naturali; in particolare, non consente di definire che cosa sia la cosiddetta pseudo-ambra.

Si è pertanto ricorsi a tecniche integrative che fanno ricorso all’uso di sorgenti di energia diversa da quella luminosa, avendo cura che non risultassero dannose o, peggio, distruttive per il materiale esaminato.

2.4.2 Analisi di microfluorescenza dei raggi X (µ-XRF)

Sulle gemme è stata poi eseguita un’analisi di microfluorescenza dei raggi X (µ-XRF). Per la descrizione della tecnica della fluorescenza si rimanda al capitolo 2.3.

La microfluorescenza permette uno studio molto più particolareggiato ed approfondito rispetto alla fluorescenza, in quanto lavora su superfici estremamente definite, dell’ordine dei micron.

La micro fluorescenza a raggi X (µXRF) è una tecnica di analisi elementare che consente l'esame di settori campione molto piccoli. Come la convenzionale strumentazione XRF, la micro fluorescenza a raggi X utilizza dei fasci diretti di raggi X per indurre la caratteristica fluorescenza a raggi X di emissione dal campione per l'analisi elementare.

A differenza dei tradizionali XRF, che hanno una risoluzione spaziale di diametro che varia da alcune centinaia di micrometri fino a diversi millimetri, la µXRF utilizza delle fibre ottiche a raggi X che limitano la dimensione del fascio di raggi X e lo focalizzano su un piccolo punto della superficie del campione in modo da analizzare anche le sue più piccole caratteristiche.

La strumentazione convenzionale µXRF utilizza una apertura specifica a concentrare la dimensione del fascio incidente sulla superficie del campione. Solo i raggi X in asse con il foro sono emessi dal diaframma. Sfortunatamente, questo macchinario blocca la maggior parte del flusso di raggi X emessi dalla sorgente, e questo provoca una sensibile perdita di intensità ed accuratezza nell’identificazione dei materiali nel risultato finale.

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Di seguito è riportata la descrizione della strumentazione utilizzata per questo genere di analisi da Annibale Mottana, Astrik Gorghinian, Mariangela Cestelli Guidi e Augusto Marcelli.

E’ stato utilizzato un microspettrometro di fluorescenza dei raggi X prodotto dalla ditta Unisantis [modello XMF-104 X-Ray micro analyser] (Immagine 57); un prototipo dotato di un’ottica a lenti policapillari di Kumakhov in grado di focalizzare il fascio fino ad una dimensione di ca. 50 µm di diametro.

Immagine 57. Microspettrometro di fluorescenza dei raggi X

Il principio su cui si basa l’ottica policapillare è quello della riflessione totale multipla della radiazione, in particolare della radiazione luminosa, ma anche di quella X. Quando un fascio di luce passa da una sostanza d’indice di rifrazione maggiore a un’altra d’indice di rifrazione minore, esiste un angolo limite d’incidenza oltre il quale il raggio rifratto scompare e si ha riflessione totale del raggio incidente. Applicando questo principio ai raggi X, fatta salva l’enorme differenza d’indice di rifrazione, Kumakhov & Komarov (1990) hanno progettate lenti policapillari che hanno il vantaggio di essere più efficienti rispetto all’ottica tradizionale anche per fotoni di energie superiori rispetto a quelle del visibile, come sono appunto quelle dei raggi X. La strumentazione µ-XRF utilizzata permette di analizzare ciascun elemento con un errore di 0,1% (Seccaroni & Moioli, 2002), inoltre con una risoluzione spaziale dell’ordine di 0,1-0,3 mm. Tuttavia, la verifica sperimentale del limite medio di concentrazione media rivelabile di ciascun elemento chimico in un campione e dell’affidabilità del programma di calcolo delle concentrazioni relative richiede l’uso di idonei campioni standard di riferimento, rappresentati da materiali che hanno

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composizione chimica certificata e possibilmente affine ai campioni incogniti. In assenza di essi, latenti in campo gemmologico, è stato necessario utilizzare come campioni di riferimento per la calibrazione campioni standard di rocce di composizione approssimativamente simile alle gemme in corso di studio. Data la corrispondenza tra l’area netta sottesa dai picchi Kα di ciascuno degli elementi direttamente osservati nello spettro µ-XRF e la concentrazione dell’elemento stesso e considerando che le misure sono state eseguite tutte nelle stesse condizioni, l’elaborazione dei dati è equivalente nel caso siano trattati i conteggi relativi all’area dei picchi Kα degli elementi identificati nello spettro XRF o le concentrazioni degli stessi. La calibrazione in concentrazione fornisce, quindi, misure semi-quantitative eppure adeguate al necessario confronto con dati relativi a campioni e misure esterni. Gli elementi chimici identificati nelle analisi delle gemme dell’Evangeliario Marciano sono molti: Ar, K, Ca, Ti, Cr, Mn, Fe, Cu, Rb, Y, Zr, Sr e Pb. Tuttavia, l’Ar è stato poi escluso dall’analisi poiché non è stato considerato un costituente effettivo, ma è presente nell’aria rimasta nella camera di misura, che ha un volume di ca. 500 cm3 e

non lavora in vuoto durante l’acquisizione dei dati.

2.4.2.1 Risultati analitici

Granati. Considerate le ridotte dimensioni della camera di misura e la posizione delle gemme sui piatti dell’Evangeliario, è stato possibile effettuare le analisi di due sole gemme, entrambe sul piatto superiore lungo le fasce più esterne. L’analisi è stata effettuata sia verso il centro della faccia piana superiore sia vicino al bordo della pietra, prima su una faccia laterale, poi su una faccetta sottostante, limitatamente a quanto fosse possibile mantenerla inclinata. Gli elementi rilevati sono sempre gli stessi e cioè: Ca, Mn, Fe, Y. Sulla faccia piana superiore è stato anche rilevato un picco compatibile con la presenza di Zr che però è stato successivamente escluso dall’elaborazione semi-quantitativa dei dati perché assegnato a un picco di diffrazione. La µ-ED-XRF non consente di misurare gli elementi leggeri, per cui tre degli elementi essenziali dei granati (Si, Al e Mg) non sono determinati, ma possono essere solo dedotti da quelli misurati in base a considerazioni basate su nozioni relative alla cristallochimica generale del gruppo.

Il gruppo dei granati, di formula generale X3Y2[ZO4]3 (in cui Z = Si nei granati

naturali, che sono sempre silicati), si divide in due grandi famiglie sulla base del catione prevalente rispettivamente in X e in Y. Nella famiglia delle piralspiti è

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costante Y3+ = Al, mentre varia X2+ = Fe2+, Mg, Mn, il che porta alla formulazione di

tre specie distinte: almandino, Fe3Al2[SiO4]3, piropo, Mg3Al2[SiO4]3 e spessartina,

Mn3Al2[SiO4]3; nella famiglia delle ugranditi, invece, è costante X2+ = Ca, mentre

varia Y3+ = Al, Fe3+, Cr, il che porta alle tre specie grossularia, Ca3Al2[SiO4]3,

andradite, Ca3Fe2[SiO4]3, e uvarovite, Ca3Cr2[SiO4]3. Le due serie così schematizzate

nella formula ideale presentano in realtà relazioni di miscibilità continua al loro interno e di immiscibilità tra loro: in altre parole, è facile trovare un almandino impuro di piropo (Mg) e spessartina (Mn), ma lo stesso almandino contiene poca o punta grossularia (Ca) o altro. Altri elementi chimici possono essere presenti nei siti X e Y, ma generalmente solo in traccia (poche ppm).

Il primo campione di granato analizzato contiene Fe in assoluta prevalenza (31,6 at.% corrispondenti a 40,66 FeO%). Anche nell’impossibilità di misurare, con lo strumento XRF, i tenori di Al, Mg e Si, essendo questi atomi troppo leggeri, è assolutamente chiaro che si tratta di un almandino quasi estremo, anche perché contiene, in subordine, un poco di Mn (0.95 at.%) in presenza di poco Ca (1.55 at.%). Il Mg, tipico componente delle piralspiti non rivelabile con la µ-XRF, non può essere altro se non ben poco, considerato l’elevatissimo contenuto di Fe presente. Lo stesso granato, inoltre, contiene tracce di Cr (0,04 at.%) e un piccolo contenuto di Y (0,21 at.%: si noti che qui si tratta dell’elemento ittrio, non del sito Y della formula generale). La presenza di ittrio rende plausibile la presenza di Zr (0,20 at.%), per quanto il tenore di questo elemento possa risultare, di fatto, sovrastimato a causa del ricordato effetto di diffrazione. La maggior parte dei granati naturali contenenti ittrio contengono infatti anche Zr.

Questi due elementi, che con il Cr sono sostitutivi dell’Al, sono importanti indicatori di provenienza, essendo tipici di granati di rocce granulitiche, vale a dire di rocce metamorfiche equilibratesi a grande profondità nella crosta terreste, ma in condizioni di media termalità (700-800°C, 8-12 Kbar). Una tipica zona d’affioramento di granuliti contenenti granati almandinici con tenori di Cr, Y e Zr in traccia paragonabili a quelle riscontrate nell’almandino qui analizzato è il Moldanubicum, cioè il distretto metamorfico antico (età 400-500 Ma) che si estende a cavallo del confine tra Austria e Repubblica Ceca. Granati di composizione analoga e di sicura provenienza dal Moldanibicum sono stati trovati, come cristalli di dimensioni fino a centimetriche debolmente arrotondati ai bordi, nelle sabbie più o meno grossolane derivate dalle rocce sedimentarie carbonifere attraversate da molti fiumi affluenti dell’Elba a Nord e del Danubio a Sud (Čopjakova et al., 2005). Gli almandini di questi

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giacimenti alluvionali potrebbero essere giunti a Costantinopoli lungo una via commerciale antica, sia per acqua sia per terra.

Un secondo granato, libero nel suo castone e quindi estraibile, ha fornito risultati notevolmente divergenti dal primo. Il tenore di Fe è notevolmente minore (21,9 at.%, pari a 31,3 FeO %), mentre gli altri atomi corrispondono: Mn (0,65 at.%), Ca (0,95 at.%), Cr (0,03 at.%), Cu (0,11 at.%), Y (0,26 at.%) e Zr (0,05 at.%). Si tratta sempre di un granato della famiglia delle piralspiti e più precisamente di un almandino in cui il sito X non riempito interamente dal Fe2+ è occupato, probabilmente, da Mg in misura

significativa, cioè dall’elemento non determinabile tramite lo strumento XRF usato. In sostanza: non un almandino puro, ma un almandino piropico. Gli elementi in traccia possono, anche in questo caso, fornire indicazioni su un possibile luogo di provenienza. Almandini di questo tipo sono stati trovati non solo nel Moldanubicum, ma nel distretto vulcanico del Bacino Pannonico settentrionale, attraversato dal Danubio al confine tra Ungheria e Slovacchia (Harangi et al., 2001). Anche per questi almandini, quindi, si può ipotizzare una disponibilità d’origine europea verso il mercato gemmologico costantinopolitano, senza doverne necessariamente postulare l’importazione dall’India (Rajastan), fonte dei più belli almandini attuali.

Pseudo-ambra. Anche in questa gemma l’analisi XRF ha determinato due composizioni, che non riflettono tuttavia del tutto la grande variabilità composizionale che può caratterizzare la “pietra”, se – come apparirà dalla successiva analisi spettroscopica – essa è realmente una roccia e non un minerale. L’uso di rocce, in luogo di minerali, era tutt’altro che infrequente nella gemmologia antica, per cui l’unico carattere di pregio realmente importante era il colore. Basta pensare al lapislazzuli, una roccia formata da un’intima mistura di minicristalli dei minerali lazurite, calcite e concrinite, sul cui fondo opaco di un vivo colore azzurro spiccano laminette dorate di pirite. Questa pietra semi-preziosa era originariamente chiamata “sáppheiros” = zaffiro, prima che questo nome fosse riservato alla varietà azzurra del corindone che, al pregio del tipico colore azzurro, unisce quello della trasparenza, essendo un unico, grande cristallo.

Le due diverse composizioni riscontrate si differenziano sostanzialmente nei tenori di K, potassio (14,6 contro 8.1 at.%) e Ca, calcio (7.3 contro 4.3 at.%), ma anche in alcuni elementi minori (Mn: 0.07 contro 0.4; Cu: 0.7 contro 0.35; Fe: 0.6 contro 0.35; Pb: 0.54 contro 0.23 at.%) e in traccia (Ti: 0.06 contro 0.02; Zn: 0.08 contro 0.02 at.%). Sono, invece, sostanzialmente equivalenti i tenori di altri elementi minori e in traccia (Sr, Rb, Y, Zr, Cr). Come fu già per i granati, va fatta qui rilevare l’impossibilità

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strumentale di misurare elementi petrogeneticamente significativi come Si, Al, Na e Mg, ma va anche fatto notare che appare evidente una larga variabilità composizionale che interessa un numero levato di elementi. Ciò tende a confermare che la gemma non è un minerale (sostanza a composizione definita, anche se non fissa del tutto), ma una roccia (sostanza di composizione intrinsecamente variabile, seppure entro certi limiti imposti dai diversi rapporti quantitativi dei minerali coesistenti necessari a definirla).

Sulla sola base degli elementi chimici misurati non è possibile stabilire di che roccia si tratta: si può solo dire che si tratta, probabilmente, di una roccia vulcanica alcalino-potassica.

2.4.3 Spettrofotometria vibrazionale all’infrarosso

Le gemme sono poi state sottoposte allo studio della spettrofotometria vibrazionale all’infrarosso.

Le tecniche spettroscopiche sono basate sull’interazione tra un oggetto e le radiazioni elettromagnetiche comprese nel campo dell’ultravioletto, del visibile e dell’infrarosso. Tale interazione può potare a vari effetti tra i quali vi sono l’assorbimento e la diffusione di luce da parte della molecola.

Schema 7

(tratto da lepla.org)

Sperimentalmente, nel primo caso si ha uno spettro di assorbimento infrarosso, mentre nel secondo caso uno spettro di diffusione Raman.

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Attraverso queste tecniche è possibile misurare le frequenze di vibrazione della molecola, una volta colpita dalle radiazioni elettromagnetiche. Basandosi sul principio che ogni molecola ha una vibrazione propria, avendo come costante la radiazione elettromagnetica, è possibile appurare con certezza la molecola in questione.

I fenomeni di assorbimento del campione cambiano a seconda della lunghezza d’onda della radiazione incidente. Una volta interagita con il campione, provocando al suo interno dei moti roto-vibrazionali caratteristici della materia, la radiazione viene riemessa a lunghezze d’onda diverse da quella incidente. Lo spettro che si ottiene, fornisce così un’impronta digitale (o finger print) della molecola in esame, permettendone l’identificazione.

La spettroscopia vibrazionale ci permette di identificare le forze di legame e la geometria molecolare.

Dal punto di vista dell’analisi chimica è una tecnica utile per il riconoscimento di molecole o di gruppi caratteristici nelle molecole e per il loro dosaggio.

Essendo una tecnica che rivela variazioni locali tra gli atomi su una scala di pochi nm, la spettroscopia IR può essere utilizzata su composti solidi sia inorganici (minerali, se naturali, incluse le gemme) sia organici (artificiali, e mineraloidi, se naturali, incluse le diverse specie di ambre), e inoltre su materiali amorfi e liquidi: in particolare sui composti del carbonio di ogni tipo e complessità (cere, plastiche, leganti, collanti, ecc.). Diventa perciò utile in gemmologia per riconoscere rapidamente imitazioni e falsi. Generalmente il campione da analizzare viene ridotto in polvere, dispersa in un legante, per aumentare la superficie di analisi. Questo viene fatto attraversare dal fascio di IR che rivelano, per assorbanza del campione, la natura del campione stesso. Com’è facilmente intuibile questa è una tecnica distruttiva. E’ possibile però analizzare il campione anche superficialmente, e quindi senza danneggiarlo. Il raggio IR viene puntato sulla superficie ben pulita e lucidata ed il risultato, anche se meno preciso, viene ottenuto per riflettenza, cioè per la riflessione del raggio sulla superficie, che viene deviato secondo un’angolazione specifica, caratteristica del campione. Nelle misure in riflettanza possono verificarsi assorbimenti anomali (maggiorati o diminuiti d’intensità) dovuti a piani di atomi interni al campione che modificano il percorso dei raggi IR diffondendoli.

Questo genere di analisi va quindi ripetuto più volte per evitare errori dovuti ai diversi piani in cui possono trovarsi gli atomi.

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“Utilizzando gemme, quindi, è sempre meglio registrare più spettri di riflettanza inclinando e/o ruotando il campione, dopo di che i diversi spettri sono mediati tra loro per ricavarne lo spettro più prossimo a quello riportato dagli opportuni date-base mineralogici che facilitano la diagnosi e il riconoscimento del campione.”

2.4.3.1 Risultati analitici

Di seguito sono riportati i risultati analitici ottenuti:

Granati. I granati esaminati sono tutti almandini, praticamente identici all’almandino contenuto nella banca di dati spettrali mineralogici in dotazione allo spettrometro IR portatile (Spettro 4).

Spettro 4

L’omogeneità degli spettri eseguiti su campioni diversi, localizzati sia sul piatto anteriore sia su quello posteriore dell’Evangeliario, è notevole (Spettro 5), ma potrebbe riflettere, almeno in parte, un’insufficiente risoluzione spettrale dello strumento utilizzato.

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Spettro 5

Ciò nonostante, è evidente dai valori delle posizioni dei picchi (che si differenziano tra loro di pochi cm-1), che si tratta di almandini poveri in piropo vicini a tre dei campioni

della serie standard (n. 11, 17 e 38) che fu studiata in riflettanza da Hofmeister et al. (1996) tramite strumenti di alta precisione. In particolare, non solo i nostri spettri si accordano visivamente molto bene con quelli dei tre campioni standard suddetti (cf. Hofmeister et al., 1996), ma i valori in cm-1 dei loro modi fondamentali TO di

vibrazione (che sono funzione anche della composizione), anche se di gran lunga meno precisi degli standard, possono essere confrontate utilmente col diagramma di Hofmeister et al. (1996). Da questo confronto risulta confermata la classificazione dei granati esaminati come almandini (> 80%), poveri in piropo e in ogni altra componente specifica delle due serie piralspitica e ugranditica. I campioni di granati usati per stabilire la serie standard (Hofmeister et al., 1996) sono in prevalenza americani e non localizzati dal punto di vista geologico; pertanto essi non danno nessuna indicazione, neppure indiretta, sulla possibile provenienza delle gemme dell’Evangeliario.

Pseudo-ambra. Lo spettro ottenuto con lo strumento portatile mostra grande affinità con quello di un vetrino da laboratorio, fatta salva la presenza di numerosi piccoli picchi e di un forte disturbo del fondo a valori alti di cm-1 che indicano la

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Spettro 6

Considerato lo strano aspetto, che impedisce praticamente un sicuro riconoscimento all’esame ottico anche col microscopio binoculare, sono state sottoposte all’esame IR varie gemme, cinque sul piatto anteriore e una su quello posteriore, ottenendo spettri sostanzialmente identici (a meno di un piccolo picco a 610 cm-1 che è più intenso e

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Spettro 7

In tutte vi è la presenza costante di due forti picchi d’assorbimento centrati rispettivamente attorno a 1020 e a 440 cm-1; sono inoltre presenti picchi deboli e

slabbrati a ca. 765 e 1550 cm-1. I due picchi maggiori sono diagnostici dei modi vibrazionali TO di un silicato (Farmer, 1974), mentre quelli minori, anche se non diagnostici, sono tuttavia utili a confermare la sostanziale omogeneità delle cinque gemme esaminate. Chiaramente, perciò, non si tratta di un’ambra (mineraloide organico composto essenzialmente di idrocarburi solidi e semisolidi), ma di un materiale silicatico avente basso grado di ordine, ma non del tutto privo di esso (in questo caso sarebbe un vetro), in cui sono presenti, subordinate, anche tracce d’acqua e di ossidrile rese visibili dalla presenza di deboli picchi a ca. 3000 cm-1, non

chiaramente evidenziati dallo strumento portatile.

Vista la presenza, nell’Evangeliario Marciano, di numerose imitazioni di gemme di colore che sono sicuramente di vetro, si è anzitutto effettuato un confronto non solo con un vetro moderno incolore (Spettro 6), ma anche con una di esse: un cabochon del piatto posteriore di un colore azzurro relativamente intenso (Spettro 8).

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Spettro 8

Il confronto ha confermato la sostanziale natura di materiale silicatico semiamorfo del materiale esaminato, pur con differenze nella regione IR attorno ai 1500 cm-1, che

è caratteristica del modo di piegamento dell’acqua.

Data l’eccezionalità del materiale, una gemma libera nel castone è stata esaminata anche in assorbanza con lo strumento della linea SINBAD. Lo spettro IR (Spettro 9), duplicato, è risultato molto nitido, ma tuttavia di difficile interpretazione.

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Spettro 9

Pertanto è stato necessario effettuarne il confronto con vari spettri di materiali ritenuti affini, già eseguiti con la medesima strumentazione e in analoghe condizioni di risoluzione e affidabilità. Lo spettro che più si avvicina all’incognito è quello di un’ossidiana archeologica, forse impura per essere stata usata come raschiatoio su pelle e legno. È da escludere, invece, ogni possibile corrispondenza con la selce, il cui spettro evidenzia, per la presenza stessa di vari picchi nettamente risolti, di essere essa costituita da materiale ben cristallizzato come il quarzo.

Gli spettri della “pseudo-ambra”, esaminati anche nell’IR lontano grazie alla strumentazione avanzata della linea SINBAD, mostrano evidenti le armoniche superiori (overtone) di H2O, già riconoscibile nella sua forma eccitata di ossidrile per

la presenza dei picchi di stiramento e piegamento nella regione del medio-IR, che a stento apparivano, deboli e poco distinti, negli spettri effettuati con lo strumento portatile. La presenza di acqua, sia essa molecolare oppure ossidrile, può spiegare lo stato di profondo degrado macroscopico della gemma nel castone: l’ossidiana, roccia vulcanica essenzialmente anidra, se conservata in ambiente ricco di umidità tende a degradarsi, in parte per ossidazione dello scarso Fe presente e in parte per la formazione di idrati degli altri elementi chimici, soprattutto di quelli alcalini, in essa contenuti. Ciò avvenendo, oltre a contrarsi e quindi a fratturarsi secondo superfici non piane, l’ossidiana cambia colore.

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Vetro. La grande flessibilità dello strumento portatile ha permesso di raccogliere in tempi brevi gli spettri IR di alcune gemme di colore, per altro già alla vista riconoscibili come vetro. Si tratta appunto di vetro, il cui spettro è sempre sensibilmente simile a quello del vetro trasparente incolore utilizzato nel confronto con l’ossidiana (cf. Spettro 8 con Spettro 6). Non si è spinta l’analisi a ricercare picchi minori di assorbanza che potessero permettere di distinguere tra vetri di diverso colore.

Legante. Il materiale indurito rimasto sul fondo di un castone del piatto posteriore dell’Evangeliario, precedentemente interpretato come residuo del legante originario (cfr. Immagine 59), è stato analizzato per spettroscopia IR ottenendo uno spettro complesso, avente le caratteristiche che comunemente si riscontrano in un materiale organico.

Immagine 59

Lo spettro contiene, con ogni probabilità, i contributi spettrali di varie sostanze, tutte organiche. Essi interferiscono tra loro in modo tale da rendere impossibile l’identificazione sicura dei diversi componenti. Si tratta, forse, di una cera d’api inquinata da polvere e da altro materiale incrostante che nei secoli ha sporcato la legatura.

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2.4.4 Conclusioni

Le gemme dell’Evangeliario Marciano Lat. III, 111. (=2116) sono in gran parte comuni vetri colorati e tagliati cabochon semplice, di cui non è possibile definire la provenienza. Sono presenti poi alcuni granati, probabilmente originari, tagliati a rombododecaedro, rispettandone per quanto possibile le facce naturali, e incastonati in modo da evidenziarne la faccia piatta di maggiore estensione; tali granati sono tutti almandini pressoché puri, di possibile provenienza danubiana. Infine sono presenti alcune gemme profondamente deteriorate, originariamente tagliate a cabochon semplice, attualmente ruvide in superficie a causa di un doppio sistema di fratture, una curva e una tendenzialmente lineare, che ha completamente distrutta l’originaria lucidatura, oltre che modificare il colore. Attualmente prevalgono i colori bruni, il che suggerisce, nell’esame “a vista”, la loro identificazione con ambra. Tuttavia, gli esami spettroscopici e chimici evidenziano una composizione essenzialmente silicatica resa impura da vari elementi chimici minori. Gli spettri IR di alta risoluzione indicano trattarsi, con ogni probabilità, di un’originaria ossidiana, tuttavia profondamente alterata per effetto di un’idratazione secondaria.

L’uso archeologico dell’ossidiana, roccia vulcanica vetrosa ampiamente presente in tutta l’area che afferisce al Mar Mediterraneo (Francaviglia, 1984), è ampiamente testimoniato (Williams-Thorpe, 1995); più raro risulta essere il suo uso in gemmologia (Devoto & Molayem, 1990 pp. 142-144), ma testimoniato fin dal 5000 a.C. ca. in tombe neolitiche dell’Iraq settentrionale (Tait, 2006 p. 23). Scarsissimi, praticamente inesistenti, sono gli studi sulle sue varie forme di degrado soprattutto in ambiente umido. In origine nere picee e lucide, le ossidiane tagliate a sfera (“beads”) tendono alterate a trasformarsi in masse granulari grigio-brunastre opache percorse da fessure arcuate. Le ossidiane dell’Evangeliario presentano l’ulteriore caratteristica (di cui non risulta essere stato eseguito nessuno studio finora) di avere bordi di reazione con il metallo del castone che, col loro colore verdolino, mettono indirettamente in luce la presenza di piccole quantità di rame in lega con l’oro. Nell’impossibilità, però, di procedere a esami più invasivi, il problema delle ossidiane e, in particolare, della loro origine e del loro aspetto primitivo nel gioiello, non può essere altro che accennato a futura memoria.

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2.5 Spettroscopia Raman

La spettroscopia Raman dà informazioni qualitative e quantitative molecolari e per questo essa può a buon titolo considerarsi complementare all’analisi XRF che fornisce informazioni quantitative e qualitative delle specie atomiche.

Quella Raman è una tecnica spettroscopica che si basa sull’”effetto Raman”, cioè sulla diffusione anelastica dei fotoni. In genere un fascio di luce che incide su un campione lo attraversa senza subire modifiche o viene assorbito (a seconda della lunghezza d'onda della luce e della natura del campione).

Una piccola parte del fascio incidente (solitamente meno dell'1%) viene diffusa elasticamente, ossia con la medesima frequenza (effetto Rayleigh).

Una percentuale di luce ancora minore (meno di 1 ppm) subisce diffusione anelastica (effetto Raman): viene cioè diffusa con una frequenza più alta o più bassa di quella originaria.

La differenza di energia tra i fotoni incidenti e quelli diffusi anelasticamente corrisponde ai livelli energetici vibrazionali della molecola diffondente.

Questo fenomeno venne analizzato per la prima volta durante la prima metà del 900 dallo scienziato indiano Chandrasekhra Venkata Raman, al quale valse il premio nobel nel 1930.

Di seguito è riportato lo schema del macchinario utilizzato per l’analisi spettroscopica Raman.

L’analisi di spettroscopia Raman è stata condotta nel laboratorio di fisica dell’università La Sapienza di Roma da Armida Sodo, Paolo Postorino e Maria Antonietta Ricci utilizzando uno spettrometro Raman della Horiba Jobin-Yvon , equipaggiato con due reticoli di diffrazione da 600 r/mm e 1800 r/mm, che permettono di ottenere una risoluzione spettrale rispettivamente di circa 9 cm-1 e 3 cm-1. Gli spettri sono stati

raccolti in configurazione di back-scattering utilizzando un microscopio ottico sia per focalizzare sul campione la radiazione emessa da un laser He-Ne (λ=632.8 nm, potenza 20 mW), che per raccogliere la radiazione diffusa.

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Schema 8.

Funzionamento dell’apparecchiatura Raman

(Tratta da chemeducator.org)

Di seguito è riportata la relazione finale all’analisi spettroscopica Raman.

I numeri di rimando riportati all’interno dell’articolo fanno riferimento a testi riportati in bibliografia nella sezione specifica.

Le misure di spettroscopia Raman sulla coperta dell’evangelario Marciano LAT. III, 111. (=2116) sono state condotte sugli smalti, sulle pietre preziose e su parte della superficie metallica. Lo scopo era l’analisi della composizione chimica degli smalti delle formelle del XIII secolo e delle quattro sostituite nel XIV, per evidenziare le eventuali differenze; la caratterizzazione dei prodotti di corrosione dei vari metalli e l’identificazione delle numerose pietre preziose utilizzate nella realizzazione di questa opera. I risultati di questa approfondita indagine vengono presentati, divisi per argomento, nei paragrafi successivi. Gli schemi 9 e 10 riproducono la coperta, con l’identificazione dei punti dai quali e’ stato raccolto lo spettro Raman, identificati dai numeri arabi per quanto riguarda gli smalti, da quelli romani per quanto riguarda i metalli e dalle lettere e numeri per le pietre. I quattro riquadri rossi individuano le formelle del XIV secolo.

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2.5.1 Gli smalti cloisonne’

Lo smalto cloisonne’ (o lustro di Bisanzio) è una tecnica di smaltatura in cui dei fili metallici estremamente sottili vengono fissati sul supporto metallico di base, delimitando così il contorno di celle (dette anche cloison, da cui il nome) in cui viene poi colato lo smalto. Lo smalto è una sostanza vitrea costituita sostanzialmente da silice (SiO2), alla quale sono stati mescolati degli ossidi o sali, detti fondenti e degli

stabilizzanti. I fondenti servono ad abbassare la temperatura di fusione della silice e sono in genere ossidi o sali di sodio e potassio (Na2O, K2O, NaCl, etc.); gli stabilizzanti

servono invece a ridurre l’attacco chimico da parte dell’acqua: tra questi i piu’ usati sono ossidi di calcio, alluminio e magnesio (CaO, Al2O3, MgO, etc.). La provenienza

della silice determina la presenza di impurezze, che possono conferire una lieve colorazione al vetro (la presenza di ioni di ferro ad esempio determina la tipica colorazione verde dei vetri spessi), che altrimenti sarebbero trasparenti e incolori. Nel corso dei secoli gli ossidi di piombo sono stati utilizzati con finalita’ diverse (come stabilizzanti, fondenti, o per aumentare la trasparenza, la brillantezza e la resistenza) nelle paste vitree.(5)

Nello spettro Raman di qualsiasi vetro (e dunque degli smalti) troveremo quindi le bande caratteristiche della silice a circa 500 cm-1 e 1000 cm-1 (stretching Si - O - Si

simmetrico e asimmetrico, rispettivamente). Si tratta di due bande piuttosto larghe e strutturate e di intensita’ relativa molto variabile da campione a campione, tanto che alcuni autori hanno suggerito una correlazione tra il grado di polimerizzazione della silice e il rapporto tra le intensita’ delle due bande. (6,7)

Fin dall’antichita’ si conoscevano quattro diversi metodi per colorare i vetri utilizzati per realizzare vetrate o smalti, ovvero: (5)

Dispersione di ioni di metalli di transizione (Cu2+, Co2+, Mn2+ etc.) nella silice fusa;

Precipitazione di cristalli di piccole dimensioni durante il raffreddamento – questa tecnica è generalmente impiegata per opacizzare lo smalto;

dispersione di un pigmento nella matrice vetrosa;

dispersione nella matrice vetrosa di polveri metalliche, ad esempio di oro, argento o rame.

Nel primo caso, la spettroscopia Raman non fornirà alcuna informazione aggiuntiva oltre le bande della silice, nel secondo e terzo caso sara’ possibile rilevare la presenza delle bande dei cristalli o del pigmento che sono stati dispersi nella matrice; mentre

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nell’ultimo caso, la presenza di nano particelle metalliche potra’ indurre delle variazioni nelle bande della silice, spesso non facilmente rilevabili.(8)

Nel corso delle indagini sull’ Evangeliario Marciano Lat. III,111, sono stati acquisiti gli spettri Raman in diversi punti degli smalti, per risalire alla tavolozza di colori utilizzata sia per le formelle originali, che per quelle risalenti al XIV secolo (Schema 9 e 10).

2.5.1.1 Smalti del XIII secolo

2.5.1.1.1 Smalti bianchi

La colorazione bianca viene ottenuta di solito per diffusione della luce da parte di particelle di ossidi di metallo (opacizzanti), come la cassiterite (il composto più usato anticamente), il rutilo, lo zircone etc., disperse nella pasta vitrea. (9)

Gli spettri Raman, acquisiti sia sul piatto anteriore che su quello posteriore (punti 1-2-3 in Schema 9 e 10), sono tutti caratterizzati da due righe molto strette e intense, rispettivamente a 478 e 632 cm-1 (vedi Spettro 10), che si presentano sempre con lo

stesso rapporto di intensità. La presenza della riga a 478 cm-1 e’ particolarmente

interessante, in quanto ci permette di escludere che siano stati utilizzati per questo manufatto gli opacizzanti piu’ diffusi nell’antichita’, e in particolare la cassiterite (SnO2), che pur avendo una riga Raman caratteristica a 632 cm-1, non presenta la

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Spettro 10

La letteratura sui vetri colorati registra pero’ l’uso di composti dell’antimonio, gradualmente sostituiti da quelli di stagno, quali la cassiterite, nell’arco di tempo che va dal II al IV secolo d. C..(10) Tra questi, l’antimoniato di calcio (Ca2Sb2O7) ha un

caratteristico spettro Raman con due righe strette a 478 e 632 cm-1. Dal momento che

le misure XRF sugli stessi campioni (vedi sezione specifica) hanno evidenziato la presenza di antimonio e non quella di stagno, possiamo concludere che gli smalti bianchi sono stati ottenuti con antimoniato di calcio, sperimentando quindi una tecnica antica, ma non comunemente utilizzata per gli smalti.

2.5.1.1.2 Smalti gialli

Gli smalti gialli sono presenti sia sul fronte che sul retro dell’Evangelario, in particolare sulle copertine dei libri dei Santi. Tutti i campioni analizzati (punti 4-5 in Schema 9 e 10) mostrano lo spettro dell’antimoniato di piombo (Pb2Sb2O7) o giallo di

Napoli (Spettro 11) e l’analisi XRF conferma la presenza sia del piombo che dell’antimonio, a sostegno della nostra assegnazione.

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Spettro 11

L’antimoniato di piombo, come quello di calcio, era usato per la colorazione dei vetri, prima di essere sostituito da composti di stagno,(10) che possono essere utilizzati a

temperature maggiori di 1000 0 C, probabilmente non raggiungibili in epoca antica,

per ragioni tecniche.

2.5.1.1.3 Smalti rossi

Sono stati saggiati diversi punti di rosso, sia sul fronte che sul retro dell’Evangelario, (punti 6-7-8 in Schema) e tutti hanno restituito lo spettro della silice, senza nessuna riga o banda aggiuntiva. Dal momento che gli smalti rossi si possono ottenere disperdendo nella matrice vetrosa dell’ematite, oppure composti con ferro ridotto o nanoparticelle di rame, possiamo escludere che siano stati usati l’ematite e altri composti di ferro, che presentano un caratteristico e intenso spettro Raman. Per quanto riguarda le nanoparticelle di rame, in passato Colomban e Schreiber(11) ne

hanno evidenziato la presenza studiando le deformazioni delle bande della silice: si tratta di un’analisi molto delicata, che nel nostro caso non avrebbe dato risultati

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solidi, visto che le indagini XRF hanno evidenziato la presenza di un’alta concentrazione di piombo, anch’esso responsabile di deformazioni delle bande caratteristiche della silice.(5)

2.5.1.1.4 Smalti verdi e blu

Tutti gli smalti verdi e blu analizzati sono dominati da un’intensa fluorescenza, che ha oscurato l’eventuale presenza di spettri caratteristici dei composti utilizzati per ottenere questi colori.

2.5.1.2 Smalti del XIV secolo

Sono stati studiati in particolare gli smalti verdi di due formelle del XIV secolo, ovvero l’aureola del Santo della formella in basso a destra e la veste del Santo nella formella in alto a sinistra (punti 9-10 in Schema). Gli smalti delle due formelle sono molto sottili e trasparenti, quindi nello spettro Raman viene raccolto sempre il segnale che proviene dal fondo metallico, anche utilizzando l’obiettivo 100x e lavorando in condizioni di massima confocalità. Lo spettro Raman è caratterizzato da una banda intensa a 241 cm-1 (Spettro 12), che analizzeremo in dettaglio nel

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Spettro 12

Gli spettri relativi all’aureola non mostrano altre bande, mentre quello del verde della veste contiene anche una banda a 925 cm-1.

La colorazione verde in genere e’ dovuta alla presenza di particelle di rame, alle quali la nostra tecnica non e’ sensibile, come gia’ discusso, o a quella di microcristalli di spinello (MgAl2O4), urovite garnet (detto anche Victoria green, un silicato di Ca e Cr),

corindone (Cr2O3), o altri pigmenti a base di cromo, come la Cr-wollastonite, e infine

di giallo di Napoli,(9) ma nessuno di questi pigmenti presenta una banda Raman a 925

cm-1. Questa potrebbe essere attribuita alla presenza di silicati, come ad esempio un

silicato di Mg e Al (Mg3Al2(SiO4)3), che pero’ presenta anche altre deboli bande a

frequenze piu’ basse. Pertanto l’assegnazione in questo caso rimane dubbia, anche in considerazione della presenza di rame rilevata dalle indagini XRF.

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2.5.2 Corrosione dei metalli

Le formelle del XIV secolo presentano delle lacune dovute al distacco degli smalti, quindi e’ stato possibile analizzare la regione di alloggiamento del cloisonne’. Gli spettri raccolti dalla zona di distacco e in una regione ancora coperta dallo smalto (punti 9 - I in Schema) sono confrontati in Spettro 12. Lo spettro nella regione protetta dallo smalto presenta un’intensa banda a 241 cm-1, attribuita al cloruro di

argento (AgCl): questo sale potrebbe essersi formato per reazione tra il supporto d’argento e i sali di cloro utilizzati come fondenti nello smalto. Lo spettro raccolto nella zona del distacco presenta una banda nella stessa regione spettrale, ma molto piu’ larga: l’allargamento e’ attribuibile alla presenza di solfuri di argento,(12) che

potrebbero essersi formati per corrosione successiva al distacco e legata alle condizioni ambientali e in particolare al clima lagunare.

E’ stato raccolto anche lo spettro Raman dal fondo dorato di alcune formelle (punti II - III in Schema), che presentano un’evidente variazione cromatica, al fine di comprenderne l’origine. La tipica immagine al microscopio di queste regioni e’ riportata in Fig. 60, dove si evidenzia la presenza di zone iridescenti azzurre e rossicce.

Immagine 60

Sono stati utilizzati diversi obiettivi nella raccolta dello spettro Raman, nel tentativo di mettere in evidenza differenze tra il segnale proveniente dalle zone a diversa

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colorazione. Contrariamente a ogni aspettativa, lo spettro Raman e’ identico in ogni zona campionata, indipendentemente dalla risoluzione spaziale utilizzata e presenta bande caratteristiche dei solfuri e polisolfuri di argento. La presenza di composti tipici della corrosione dell’argento su una lamina d’oro puo’ essere attribuita all’uso di un oro non particolarmente puro o alla diffusione nel tempo di argento dal fondo metallico verso la superficie e al successivo attacco da parte degli agenti atmosferici.

2.5.3 Le pietre preziose

L’analisi gemmologica condotta dal prof. Mottana prima delle misure Raman ha evidenziato la presenza di tre diverse tipologie di pietre presenti nell’Evangelario. In particolare, sono stati rilevati vetri, granati e alcune pietre, uguali fra loro, difficilmente riconoscibili mediante una prima analisi gemmologica. Scopo delle misure Raman è stato, pertanto, quello di confermare l’analisi gemmologica, studiare la provenienza dei granati e fornire informazioni per il riconoscimento delle pietre incognite.

L’analisi Raman ha confermato che molte pietre presenti sulla coperta dell’evangelario sono comunissimi vetri colorati (punti V1-V2 in Schema), caratterizzati dalle ben note bande di stretching simmetrico e asimmetrico della silice (Spettro 13).

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Spettro 13

Ovviamente, non possiamo sapere se la presenza di vetri colorati al posto di più preziose gemme sia stata la scelta iniziale o se eventuali pietre preziose, originariamente presenti, siano state sostituite in periodi successivi. Sulla superficie di molte delle pietre analizzate, inoltre, è stata riscontrata la presenza di carbonio amorfo (bande a 1325 e 1580 cm-1 ), probabilmente dovuto a depositi o residui di fumo

di candele.

Sono stati successivamente investigati i granati, in particolare sei granati posizionati sul piatto anteriore (punti GR1-GR2-GR3- GR4-GR5-GR6 in Schema), con lo scopo di avere informazioni sulla loro provenienza. In Spettro 14 e’ riportato lo spettro di un granato, a titolo di esempio.

Figura

Tabella 1. risultati quantitativi su lega
Tabella 4. risultati quantitativi lega delle formelle
Tabella 5. risultati quantitativi lega in cui è presente Hg

Riferimenti

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