Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex
D.M. 270/2004)
in Scienze delle antichità: letterature, storia e
archeologia.
Tesi di Laurea
LA NECROPOLI MERIDIONALE DI
ODERZO.
INDAGINE SU UN GRUPPO DI TOMBE
DELLA SECONDA ETA’ DEL FERRO IN
PROPRIETA’ OPERA PIA MORO.
Relatore
Ch. mo Prof. Adriano Maggiani
Correlatori
Dott.ssa Giovanna Gambacurta
Ch. mo Prof. Filippo Maria Carinci
Laureando
Marco Dal Bo
Matricola 834071
Anno Accademico
2012 / 2013
Indice
I.1 Oderzo nel Veneto Orientale………..………...pag. 3
I.2 Storia delle ricerche……… ………..…pag. 9
II. La necropoli preromana nei terreni di proprietà dell’Opera Pia Moro.
II.1 Caratteri generali………...pag. 14
II.2 Campione prescelto………pag. 19
III. Catalogo………pag. 25
Tomba 69………..pag. 27 Tomba 70………..pag. 29 Tomba 65………..pag. 33 Tomba 67………..pag. 38 Tomba 59………..pag. 42 Tomba 60………..pag. 49 Tomba 72………..pag. 55 Tomba 41………..pag. 57 Tomba 26………..pag. 66 Tomba 40………..pag. 69 Tomba 23………..pag. 87 Tomba 63………..pag. 95 Tomba 62………..pag. 102 Tomba 22………..pag. 104 Tomba 66………..pag. 110 Tomba 37………..pag. 114 Tomba 38………..pag. 116 Tomba 61………..pag. 119 Tomba 34………..pag. 133IV. Il rituale funerario………..………...pag. 141
V. L’aspetto culturale……….….pag. 148
VI. Conclusioni………..………..……..pag. 151
Tavole……….…pag. 153
Bibliografia………....pag. 203
Appendice
TAV. I Planimetria: distribuzione per fasi del campione.
TAV. II Planimetria: le tombe. Distribuzione cronologica del campione.
TAV. III Sezioni.
I.1 ODERZO NEL VENETO ORIENTALE.
Tra la fine del X e l’inizio del IX sec. a.C., prende vita l’insediamento protostorico1 che in epoca romana assumerà il nome di Opitergium, collocato nella media pianura del Veneto orientale corrispondente all’odierno territorio delimitato dai corsi fluviali del Sile e del Tagliamento, compreso tra le provincie di Belluno, Treviso e Venezia2.
La pianura trevigiana, nella quale sorge Oderzo, è stata originata in parte dal sollevamento del fondo marino nell’era terziaria, in parte dall’imponente mole detritica prodotta nel periodo glaciale e, infine, dal conoide del Piave formato in età olocenica. Questa pedogenesi
differenziata ha prodotto un paesaggio articolato in due zone tra il Piave e il Livenza: un’area pedemontana, arida e ghiaiosa, e una nella media-‐bassa pianura caratterizzata da suoli fertili, principalmente composti da sabbia, limo e argilla. Questo è un territorio ricco di corsi fluviali, dove accanto ai fiumi principali troviamo una serie di corsi d’acqua minori che nascono nella “fascia delle risorgive”, che costituiscono percorsi navigabili verso il Mare Adriatico3. In
questa seconda zona, all’altezza delle risorgive, il Piave durante il postglaciale diede inizio alla formazione dell’ampio conoide, fra il torrente Giavera, e il fiume Monticano lungo il quale andrà a stendersi l’insediamento protostorico di Oderzo4.
Sopra un esteso dosso, ancora oggi percepibile5, s’impianta il sito della futura Opitergium. Quest’area emersa doveva essere ideale per uno stanziamento umano6, perché offriva un’alternativa alle zone paludose circostanti. Circondata da un ricco sistema idrografico, da terreni fertili, da foreste ricche di legname e cacciagione, situata in una posizione strategica nella vasta pianura da cui erano facili le comunicazioni per via fluviale con la laguna (quindi con il mare) da un lato, con le valli e i valichi alpini dall’altro7.
1 BALISTA -‐ RUTA SERAFINI 1996a, p. 103 2 BIANCHIN CITTON 1996, p. 31.
3 BIANCHIN CITTON 1996, p. 43 4 GERHARDINGER 1981, p.59
5 “Chi s’avvicina ad Oderzo dalla parte di Colfrancui, rimane sorpreso nel vedersi sorgere dinanzi per buon tratto in direzione longitudinale una specie di altipiano, che in molti luoghi sembra proprio un bastionato, da cui si domina l’estesissima circostante bassura.” Con queste parole il Mantovani descrive il primo colpo d’occhio che chiunque avrebbe potuto avere difronte Oderzo negli anni ’70 dell’800. Cit. MANTOVANI G. 1999, p.12.
6 Le prime testimonianze archeologiche, delle prime frequentazioni di questo comparto territoriale, consistono in materiale ceramico proveniente da Zenson di Piave, e in bronzo con la presenza di spade tipo Sauerbrunn, rinvenute a Salgareda, a indicazione di una dinamica attività metallurgica, di scambio e di contatti, inseribili tra la fine del Bronzo medio e l’inizio del Bronzo recente (XIV-‐XIII sec. a.C.), con culture transalpine e dell’Italia centrale. Questi siti sono situati lungo una traccia di divagazione dell’antico corso del Piave che scende da Oderzo. 7 BELLIS 1979.
Ai piedi dei versanti del dosso, sin dall’antichità, passavano due vie fluviali8, il Monticano e il sistema Lia – Vecchio Navisego9 – Piavòn.
Un ramo del Piave passava per Oderzo. Studi di fotointerpretazione e analisi geomorfologiche e geologiche dei sedimenti nel territorio opitergino hanno confermato questa tesi. Tracce di paleoalvei plavensi si trovano uno a nord-‐ovest di Oderzo lungo il corso del Piavesella e del Lia, l’altro a sud, in concomitanza del canale Piavon, probabilmente pertinenti ad un unico antico corso d’acqua identificabile con il bacino orientale del Piave10. Per quanto riguarda il Monticano, in età preromana, esso costituiva un collegamento diretto col mare per mezzo del Livenza11. A differenza del Piave, che non consente una comoda navigabilità a causa
dell’instabile e repentino cambiamento della portata idrica, il sistema Monticano-‐Livenza rappresentava un collegamento fluviale molto più agevole, uno tra quelli cui Strabone si riferiva, affermando che Oderzo, Concordia, Adria e Vicenza erano collegate al mare grazie a “brevi tratti fluviali che si potevano risalire navigando controcorrente”12.
Questo sistema di comunicazioni, fluviali e terrestri, consentì a Oderzo antica di conquistare il ruolo di centro economico, la cui floridezza era certamente fondata su vivaci attività
commerciali. Il nome del centro antico ne è la testimonianza diretta: il toponimo Opitergium infatti ha origine venetica ed è costruito sulla radice *terg con significato di “mercato”13 o “piazza”, preceduta dalla preposizione opi-‐/epi-‐ con significato “presso, in “14.
La nascita e lo sviluppo di Oderzo sono determinati dal risultato di dinamiche economiche e commerciali che, tra la fine del IX e l’inizio dell’VIII sec. a.C., hanno interessato tutta l’area geografica di cultura veneta. In questo periodo si nota come i principali centri veneti abbiano incrementato il loro sviluppo.
8 Abitati nati su dossi alluvionali e attraversati da uno o più rami fluviali, sembrano rispecchiare un tipico modello insediativo veneto. CAPUIS 1993, p.97.
9 Dalle indagini, effettuate nel 1985 in località Colfrancui, nell’alveo del canale Navisego, e dai relativi rinvenimenti (poderosa palizzata lignea e arginatura di sponda), si è giunti alla
conoscenza dell’importanza che questo fiume doveva rivestire, sicuramente in età storica, ma presumibilmente anche durante il periodo preromano. Cfr. MALIZIA 1986, pp.86-‐88.
10 Questo tratto fluviale continuò ad essere attivo sicuramente fino alla spaventosa alluvione del 589 d.C., ricordata perché mutò la geografia fisica del Veneto e di altre regioni d’Italia. 11 Per un maggior approfondimento delle evidenze geomorfologiche e geo-‐idrauliche Cfr. BALISTA 1994, pp. 138-‐153.
12 STRABO, V, 1, 8.
13 ROSADA 1979, p. 75. E sempre G. Rosada alla nota 108 ci ricorda come ancora oggi, settimanalmente, sia attivo un fiorente mercato caratterizzato anche dalla presenza del commercio di bestiame nel nuovo Foro Boario. Il commercio di bestiame a Oderzo è caratteristico perché ad oggi risulta essere uno dei pochi superstiti nel Veneto. 14 PELLEGRINI-‐ PROSDOCIMI 1967, pp. 432-‐433; PROSDOCIMI 1988, pp. 397-‐401.
Questi centri erano inseriti in tre grandi settori territoriali. Il settore sud-‐occidentale gravita attorno ad Este e alla valle dell’Adige; quello centrale a Padova e alle valli del Brenta e
Bacchiglione15; infine quello orientale a Montebelluna, Mel e Oderzo, centri questi disposti in modo da controllare le imboccature della valle del Piave, organizzati in sistemi con
insediamenti minori occupanti posizioni strategiche, come Palse di Porcia per il controllo dell’alta pianura e Gradisca sul Cosa, sito fortificato, che si collocava sulla sponda occidentale del Tagliamento16.
Inquadrabili nella prima metà dell’ VIII secolo a.C., all’interno del comparto orientale, oltre agli insediamenti già menzionati, sono da ricordare Treviso17, inserito a ridosso dell’area pedemontana, ubicato a sud della linea delle risorgive, ma ancora nell’alta pianura, la cui arteria principale per ogni tipo di traffico era il fiume Sile sul quale si affacciava,
permettendogli di avere un collegamento diretto con le zone lagunari, e quindi col Mare Adriatico18.
Sempre in questo periodo inizia a svilupparsi il sito lagunare e scalo adriatico di Altino19 che, posto in prossimità delle foci del Piave e del Sile, assumerà una connotazione culturale prevalentemente patavina, ma assumerà anche il ruolo di centro-‐cerniera tra il territorio planiziario-‐pedemontano, di stretto controllo patavino, e l’area plavense, gravitante sui centri di Oderzo e Concordia20.
Con il rafforzamento di questi insediamenti, ora, in pieno sviluppo protourbano21, la società veneta orientale è arrivata a occupare capillarmente un territorio di notevole estensione e sostanzialmente omogeneo dal punto di vista culturale22.
L’omogeneità culturale di questo comparto è erudibile dal dato archeologico ed epigrafico: la più importante attestazione23, proveniente da documenti epigrafici, è la ricorrenza del termine teuta/”comunità”24. Un altro indicatore finora non attestato nel Veneto occidentale,
15 MALNATI 1996, p. 4. 16 MALNATI 2003, p. 33.
17 Probabilmente Treviso dovette svolgere un ruolo importante, di cerniera con il comparto occidentale, ma ad oggi i dati a disposizione sono ancora esigui per stabilire concretamente tale ruolo. Origini di Treviso 2004.
18 BIANCHIN CITTON 1996, pp. 42-‐43.
19 TOMBOLANI 1984; CAPUIS 1996, pp. 292-‐305; GAMBACURTA 2011, pp. 55-‐80. 20 CAPUIS 1996, p. 31.
21 PERONI 1989, p.460. 22 MALNATI 1996, p. 5
23 GAMBACURTA 1999, p.446. 24 MARINETTI 1988, pp.341-‐347.
rintracciabile nei depositi votivi, è la presenza di bronzetti di guerriero in posizione di riposo, diffusi da Padova ad Aquileia a partire dal IV-‐III sec. a.C.25.
All’interno di questa grande comunità demo-‐territoriale, che caratterizza i centri della valle del Piave (Montebelluna, Mel, Oderzo), si evidenzia una vasta koinè culturale. Questa facies culturale presenta prevalenti elementi di affinità con l’aspetto culturale patavino. Ciò è probabilmente la conseguenza dell’instaurarsi di un sistema economico incentrato nelle direttrici Brenta e Piave, che certamente facilitavano i collegamenti in particolare con i territori transalpini26. Oderzo dunque si vede inserito in un territorio ottimo per
intraprendere relazioni con l’area pedemontana-‐alpina, la fascia costiera veneto-‐friulana27, e anche con il Friuli centro-‐occidentale28.
Come menzionato in precedenza, è con il IX e l’VIII secolo a.C., che Oderzo protostorica nasce e si sviluppa. In questo periodo l’insediamento copre una superficie di 20-‐30 ettari,
estendendosi tra l’odierna via Savonarola29, via dei Mosaici30 e Piazza Castello. Da questo settore settentrionale della città sono emerse strutture caratterizzate da
un’organizzazione regolare e ortogonale delle linee portanti, che ci permettono di ravvisare già in questa età un primo disegno urbanistico dell’abitato31. Col volgere dall’VIII a VII sec. a.C. le strutture abitative e i laboratori artigianali disposti ai lati dell’asse stradale longitudinale andavano configurando un vero e proprio quartiere artigianale gravitante sulla strada. Case e laboratori sono stati realizzati secondo un progetto unitario andando a formare una struttura unica costituita da due ambienti a pianta rettangolare, adiacenti a un cortile delimitato da fossati che avevano la funzione di far defluire le acque. In questi laboratori le attività artigianali consistevano nella produzione manifatturiera di impasti per uso edilizio32. Qui erano manipolate e cotte le materie prime come argille e limi per la produzione di piani di lavoro, di grandi contenitori per derrate, ma soprattutto di mattoncini quadrangolari in limo cotto utilizzati per la costruzione degli elevati. Il quartiere artigianale si affacciava sulla strada
25 GAMBACURTA 1999, pp.446-‐447 26 CAPUIS 1996, pp. 293-‐294.
27 BALISTA-‐RUTA SERAFINI 1996b, p.73.
28 Oderzo sembra assumere un ruolo di centro-‐cerniera tra Veneto orientale e Friuli. Cfr. BALISTA-‐RUTA SERAFINI 1996b, p.76-‐77.
29 BALISTA-‐RUTA SERAFINI 1992, pp. 150-‐166.
30Per un’analisi dettagliata sulla sequenza stratigrafica protostorica Cfr. RUTA SERAFINI-‐ GAMBACURTA 1989, pp. 261-‐296.
31 RUTA SERAFINI 2003, pp.321-‐327.
orientata N-‐NO/S-‐SE, che costituisce non solo il primo impianto stradale protostorico
individuato a Oderzo ma dell’intero Veneto33, con un battuto largo circa 8 metri e ortogonale ai fossati delle case di via Savonarola.
Tra il VI e il V sec. a.C. l’attività dei mercanti e degli artigiani opitergini portò a un forte consolidamento della struttura economica della città. Grazie alla disponibilità economica del ceto emergente fu possibile apportare notevoli rifacimenti edilizi all’abitato e soprattutto al quartiere artigianale. Al V secolo si data la riconversione dei fossati di via Savonarola e Piazza Castello i quali furono interrati e rivestiti di assi lignee realizzando in questo modo un
sofisticato sistema di fognoli interrati. Le case furono fornite di nuove tettoie e piani di
calpestio battuti nei quali erano presenti delle fosse per lo scarico del materiale domestico. Da tali scarichi è emerso una serie di frammenti appartenenti a vasellame attico34 e due
terrecotte zoomorfe che documentano l’alto livello di produzione fittile locale35.
Oltre alla lavorazione d’impasti argillosi nelle botteghe specializzate, sono state individuate anche tracce di lavorazione dei metalli che erano eseguite in aree apposite tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C. Tra via Savonarola e Piazza Castello i laboratori si dedicavano alla fusione del rame e del bronzo; inoltre venivano immagazzinati i prodotti finiti, mentre nell’area di via dei Mosaici le attività principali erano la martellatura e la forgiatura del ferro36. Sempre in questo periodo la base etnica locale si arricchisce di elementi celtici, attestati da materiali come i ganci di cintura traforati, i torques a nodi37 e alcuni tipi di fibule. Durante la seconda età del ferro l’abitato si espande, sino ad occupare intorno al IV secolo a.C. una superficie di 50 ettari. A documentare l’ estensione dei limiti dell’area urbana verso nord sono le strutture abitative rinvenute presso la lottizzazione di S. Martino38 e via delle Grazie. Come gli edifici più antichi del quartiere industriale anche questi presentano caratteri polifunzionali, ma sono più complessi: essi rispondono infatti al modello di casa con pianta estensiva39 con una struttura articolata in vani di dimensioni differenti destinati all’uso residenziale, alle attività produttiva e a quella di magazzino, tutti affacciati su un cortile
33 BALISTA-‐RUTA SERAFINI 1996b, nota 24, p. 82.
34 Per il numero ridotto è difficile parlare di materiale di importazione a detta di Simonetta Bonomi essi sono meglio inquadrabili in una “economia di dono” oppure come merci d’accompagno esotiche e pregiate. Cfr. BONOMI 1996, p. 111, p. 118.
35 RUTA SERAFINI 1992, pp. 158-‐162. 36 RUTA SERAFINI 2003, pp. 321-‐327. 37 NASCIMBENE-‐SAINATI 2000, pp. 20-‐21. 38 RUTA SERAFINI-‐VALLE 1996, pp.154-‐156.
39 Modulo edilizio influenzato dal modello della domus romano-‐repubblicana. Cfr. GAMBACURTA-‐PRESS-‐RUTA SERAFINI 1996, pp.146-‐147.
centrale40. Le strutture abitative di via delle Grazie sono state edificate lungo un nuovo tracciato stradale con orientamento N-‐S e una larghezza di 7 metri, asse viaria che in epoca romana diventerà una delle vie di Opitergium.
Indicatori del limite dell’area meridionale sono, invece, due ciottoloni in pietra iscritti, rinvenuti tra Piazza Grande e il fiume Monticano. Questi sono stati interpretati come cippi confinari, con carattere civico e/o religioso, in base alla forma e al significato delle sigle incise. Su entrambi è presente infatti la sigla in venetico te-‐ interpretata come un’abbreviazione di una forma aggettivale o avverbiale derivante dalla base teuta “comunità”, attestata nell’area del Veneto settentrionale. Ciò significa che la “comunità” aveva il pieno controllo di un’area delimitata, in quanto “spazio civico” o “spazio sacro.”41
Alla conoscenza dei dati dell’abitato vanno aggiunti, per lo studio e la comprensione di Oderzo preromana, anche quelli riguardanti le necropoli.
Prima del rinvenimento della necropoli meridionale nei terreni di proprietà dell’Opera Pia Moro, dalla quale nel 2005 è stato messo in luce un vasto complesso cimiteriale di epoca protostorica, si conoscevano, per l’epoca preromana, solamente due piccoli nuclei cimiteriali. Il primo situato a sud-‐sudovest, presso via Garibaldi42, è stato indagato nel 1990. Il nucleo comprendeva undici sepolture, inquadrabili tra il VII e il VI sec. a.C., composte da cinque inumati e sei pozzetti, che testimoniano il rito dell’incinerazione, nei quali erano presenti i resti del rogo costituiti da ceneri, scarse ossa combuste e solo in un caso elementi di corredo. Il secondo nucleo cimiteriale, a nord dell’abitato, corrisponde alla Mùtera43 di Colfrancui44 indagata nei primi anni ottanta. Evidenze archeologiche preromane sono venute alla luce ai margini meridionali della mùtera e consistevano in una sepoltura di cavallo che si
sovrapponeva a una tomba a incinerazione, riferibile al VI secolo per la presenza di fibule bronzee che determinano la cronologia.
Tra il III e il II secolo a.C. Oderzo, come tutta l’area del Veneto orientale, sembra già essere profondamente influenzata e inserita nel processo di romanizzazione che, lasciando piena autonomia ai singoli centri e privilegiando gli insediamenti strategici (come Oderzo), si concluse con la concessione della cittadinanza romana tra il 49 e il 42 a.C..
40 La casa di via delle Grazie, inquadrabile dal III al I sec. a.C., è uno tra gli esempi più significativi dell’edilizia residenziale di epoca ellenistica dell’Italia nord-‐orientale. 41 MARINETTI 1988, pp. 341-‐347.
42 GAMBACURTA 1999, pp. 167-‐170.
43 Per il significato del termine mùtera cfr. PALMIERI 1982, pp. 75-‐78. 44 AMMERMAN-‐BONARDI-‐TONON 1982; GAMBACURTA 1999, pp.171-‐173.
I.2 STORIA DELLE RICERCHE.
Il primo interesse per la storia e per le antichità di Oderzo, in particolare quelle di epoca romana, risale al XV secolo. Da questo periodo numerosi studiosi, locali e non, si cimentarono nella realizzazione di memorie più o meno erudite, attingendo ai dati pervenuti da
rinvenimenti sporadici e dallo studio di fonti storico letterarie. Nonostante il loro scarso valore scientifico, perché volte ad accreditare l’importanza culturale dell’antico centro di Oderzo, oggi costituiscono comunque una testimonianza suggestiva45.
Sempre al XV secolo risalgono i primi approcci allo studio del patrimonio epigrafico di Oderzo46.
Il 1712 è invece l’anno in cui il nobile opitergino, Francesco Danioti Sanfiore, pubblica le Memorie opitergine. Opera nella quale sono prese in considerazione le vicende storiche della città dalle origini ai tempi in cui egli viveva, fornendoci alcune indicazioni, non molto
discostanti dalle conoscenze attuali, sull’estensione dell’abitato romano e sulla localizzazione del foro47.
Col volgere del XIX secolo numerosi intellettuali si occuparono della storia di Oderzo in forma più estesa, suscitando maggior interesse.
È da ricordare Giacomo Filiasi che nel 1796, all’interno della monumentale opera che racconta tutta la storia delle Venezie dalla Preistoria al Medioevo48, dedica alcuni capitoli alla storia di Opitergium, illustrandoci l’antica situazione idrografica del territorio opitergino e fornendoci alcune testimonianze di tipo archeologico, presentate sotto forma di elenco, riguardanti iscrizioni e manufatti, oggi dispersi49.
Nel 1874 si torna a parlare di Oderzo con l’opera Museo opitergino50, vista da molti come punto di partenza per ogni studioso che desideri approcciare la storia e l’archeologia opitergina. Con quest’opera-‐catalogo Gaetano Mantovani mette in evidenza elencando cronologicamente tutti gli avvenimenti che hanno avuto rilevanza storica e culturale per Oderzo e il suo territorio. Inoltre presenta tutto il materiale archeologico ed epigrafico
rinvenuto sino ad allora, conservato nelle raccolte private di importanti famiglie, allo scopo di
45 Cfr. BUSANA 1995, pp.3-‐7.
46 Cfr. FORLATI TAMARO 1976, pp. 15-‐16.
47 DANIOTI SANFIORE 1712, BELLIS 1988 e in ultima analisi BUSANA 1995, pp.3-‐7. 48 FILIASI 1796.
49 Ci informa del famoso rinvenimento del mosaico detto “del triclinio”, fornendoci inoltre il dato rilevante della quota cui il pavimento giaceva.
sensibilizzare l’Amministrazione locale del tempo e realizzare un Museo Civico. Con questo volume il Mantovani suscitò per la prima volta l’interesse della comunità opitergina per le antichità locali, che in precedenza incuriosivano solamente letterati ed epigrafisti.
La costruzione del Museo Civico di lì a poco fu approvata. Le votazioni per istituirlo avvennero nel 1876, e al 30 Dicembre 1881 risale l’inaugurazione ufficiale51.
Sempre al 1876 si data la seconda iniziativa promossa dall’Amministrazione comunale che consisteva nella deliberazione dei primi scavi archeologici programmati. Le campagne di scavo condotte dal 1876 al 1900 portarono alla luce vari reperti52, che andarono ad aggiungersi a quelli delle collezioni private che costituivano la base del Museo Civico53. Tra i primi interventi archeologici si ricordano due campagne di scavo promosse dal conte Revedin effettuate nel 1879 e nel 1883, nei terreni di sua proprietà in località S. Martino dei Camaldolesi, a nord ovest di Oderzo, dalle quali è emerso un complesso di corredi
appartenenti ad una necropoli attiva tra il VI e il II secolo a.C..
Altre campagne condotte tra il 1882 e il 1885, promosse dal Comune e dal Sig. Biuso, nei terreni di proprietà di quest’ultimo in via Spinè e in località Naviseghi, a sud est della città, hanno fatto riemergere altri corredi tombali riferibili a un complesso cimiteriale di epoca romana54.
Come si può percepire la gran parte delle indagini archeologiche erano mirate al
rinvenimento di oggetti preziosi, appartenenti soprattutto a corredi tombali, con l’unico scopo d’impreziosire le collezioni private di alcuni nobili opitergini o le collezioni dei Musei Civici di Oderzo e Treviso55. Oltre agli scavi eseguiti in contesti archeologici di necropoli, nel 1883, nei pressi dell’ex Foro Boario, nelle vicinanze di via Bortoluzzi lungo la via Dalmazia, quindi in un contesto di abitato, furono rinvenute svariate fibule, frammenti di ceramica in impasto
grossolano e un’iscrizione in caratteri venetici56.
Col passaggio di secolo il fervore culturale, che aveva animato il secolo precedente, va ad affievolirsi e s’interrompono le indagini archeologiche sul territorio.
51 CIPRIANO-‐SANDRINI 2000, pp. 10-‐11.
52 I risultati delle ricerche furono pubblicati nelle “Notizie degli Scavi”. Cfr. NSc 1883, pp. 112-‐ 113, 194-‐197; ZAVA 1891, p. 143; GHISLANZONI 1931, pp.138-‐139.
53 BELLIS 1960, p. 425. 54 BUSANA 1995, p. 8.
55 GERHARDINGER 1981, p. 21. Nel 1883 il Conte Revedin fece pervenire all’Abate Luigi Balio, fondatore del Museo di Treviso, i materiali archeologici rinvenuti nella sua proprietà di
S.Martino dei Camaldolesi. 56 AGOSTINI 1956, p. 25.
L’assenza di ricerca sul tema durerà per tutta la prima metà del XX secolo; bisognerà
attendere gli anni ’50 per avere una ripresa degli scavi e degli studi archeologici. Essa è legata alle attività dello studioso di archeologia e di storia locale, Eno Bellis57, Ispettore Onorario alle Antichità Opitergine e direttore del Museo Civico Opitergino dal 1978 al 1986.
Tra gli anni ’50 e ’60 grazie alla sensibilità e allo studio archeologico del Bellis, in
collaborazione con la Soprintendenza Archeologica e il Comune di Oderzo, sono condotte una serie di campagne di scavo allo scopo di indagare le fasi di vita e la topografia dell’antica città58.
Tra i vari scavi è da ricordare la prima campagna, risalente al 1955, presso la Mutera di Colfrancui.
Nel decennio successivo, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, Oderzo entrò in una fase di
trasformazione territoriale e urbana mancante, però, di un approccio conservativo e di tutela verso i beni culturali esistenti. Durante questi lavori nell’area urbana del centro storico, luogo in cui sorgeva l’abitato preromano prima, e il municipio romano poi, vennero alla luce
manufatti edilizi e siti insediativi di cui solo il 20% del totale già esistente è stato recuperato o segnalato, il restante è andato perduto59.
Il 1976 fu l’anno in cui Oderzo fece un passo in avanti dal punto di vista scientifico. Con l’approvazione del Piano Regolatore Comunale Generale si stabilì che le concessioni edilizie, comportanti opere di scavo all’interno dell’area d’interesse archeologico, siano subordinate dal nullaosta della Soprintendenza Archeologica per il Veneto. Tale provvedimento ebbe il risultato di intraprendere un’indagine archeologica programmata prima del rilascio della concessione a edificare60.
Durante il decennio degli anni ’80 vi fu un’intensa attività archeologica, seguita da
pubblicazioni periodiche pressoché annue61, finalmente operata con metodo stratigrafico quindi con rigore scientifico. Esso ha permesso di scoprire l’insediamento dell’età del ferro con il rinvenimento del vasto complesso abitativo-‐artigianale sviluppato lungo un antico asse viario e dell’insediamento romano si è scoperto il complesso del foro, alcune domus, porzioni di rete stradale, un impianto termale, il molo fluviale e alcune aree cimiteriali.
57 La memoria della storia di Oderzo è conservata grazie anche alle sue numerose
pubblicazioni: BELLIS 1958, BELLIS 1960, BELLIS 1962, BELLIS 1963, BELLIS 1973, BELLIS 1978, BELLIS 1979, BELLIS 1988.
58 BUSANA 1995, pp.7-‐10. 59 MINGOTTO 1982, pp. 84-‐85.
60 P. R. C. G., art. 30, pp. 49-‐50 e R. I. E., art. 9, p. 6.
61 Pubblicazioni da parte della Soprintendenza Archeologica per il Veneto in collaborazione con le Università di Padova e Venezia.
Parte di questi rinvenimenti sono stati conservati in situ per rendere possibile un percorso archeologico sviluppato nel centro storico che permette agli spettatori di osservare in posizione originale un’area forense, una domus e altre strutture archeologiche. Il percorso degli Itinerari Archeologici Opitergini ufficialmente inaugurato il 31 gennaio 1992 è il
risultato dell’impegno sia economico che scientifico della Soprintendenza Archeologica per il Veneto62.
Queste indagini, con i relativi dati aggiornati, sono riuscite a rendere evidente la struttura e i materiali dell’insediamento opitergino preromano e romano che grazie ad attività, come il percorso archeologico, e a Convegni e Mostre di prestigio63 ha avuto un ulteriore e meritato risalto.
Tra le indagini condotte nell’ultimo decennio sono da menzionare due campagne di scavo, la prima, molto estesa (6800 mq circa), nell’area dell’ex stadio comunale di Oderzo effettuata tra il 2001 e il 2003, dalla quale è emerso un settore dell’abitato preromano, composto da due ampie strade in ghiaia, un viottolo e da varie strutture abitative inseribili in un arco
cronologico che va dal IX-‐VIII secolo al VI secolo a.C., che grazie ai dati pervenuti va ad arricchire notevolmente la conoscenza della topografia dell’antico centro.
Sempre in questo contesto è venuto alla luce un deposito costituito da una notevole quantità di ceramica, circa 280.000 frammenti, avente una forte potenzialità di informazioni storiche e tecniche tanto da diventare oggetto di studio che dal 2003 coinvolge la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto in collaborazione con il Museo Civico “Eno Bellis”64.
La seconda campagna di scavo condotta nel 2005 nel terreno per la realizzazione di un nuovo edificio dell’Opera Pia Moro, lungo la via Postumia, ha portato a individuare una necropoli romana che si impostava su una più estesa preromana. Veramente interessante è il contesto funerario dell’età del ferro, perché prima di tale rinvenimento si disponeva di scarsissime conoscenze in merito alle aree cimiteriali di questo periodo di vita dell’insediamento. L’area indagata ha portato alla luce una settantina di tombe di cui solo quattro appartengono alla prima fase di vita della necropoli, caratterizzata da tre sepolture ad incinerazione e una a
62 TIRELLI 1982, pp. 232-‐236.
63 Tra le varie mostre è da ricordare “La protostoria tra Sile e Tagliamento” del 1996, dove furono presentati i primi risultati delle indagini compiute dal 1988 riguardanti l’insediamento dell’età del ferro (Cfr. Mostra Sile Tagliamento 1996). E ancora “Venetkens. Viaggio nella terra dei Veneti antichi”, di recentissima inaugurazione (Padova, Palazzo della Ragione, 6 aprile-‐17 novembre 2013).
inumazione. Le restanti sepolture, tutte ad incinerazione, appartengono alla seconda fase caratterizzata da tombe strutturate entro tumuli realizzati con i sedimenti presenti nell’area. Appartenente a quest’ultima fase, e datata al V sec. a.C., è la tomba 49, costituita
dall’inumazione di un cavallo deposto con la propria bardatura in metallo65 (ferro e bronzo), che dal 2010 è esposta come uno dei punti di forza nel Museo Civico Archeologico “Eno Bellis”. 65Venetkens 2013, p. 376.
II. La necropoli preromana nei terreni di proprietà dell’Opera Pia Moro.
II.1 CARATTERI GENERALI
A seguito del progetto per la realizzazione di un nuovo complesso edilizio pertinente alle attività dell’Opera Pia Moro, nei mesi di Febbraio e Marzo del 2005, furono intraprese delle indagini archeologiche nei terreni di proprietà dell’Opera.
Gli scavi furono condotti dalla ditta archeologica Diego Malvestio & Co., sotto la supervisione della Soprintendenza per i beni Archeologici del Veneto.
Le indagini portarono alla luce una necropoli che ebbe due grandi momenti di attività: il primo durante l’età del ferro, a partire circa dalla metà del VI secolo a.C. per perdurare fino agli inizi del III secolo a.C.; il secondo durante il periodo tardo-‐romano.
Lo scavo fu particolarmente fruttuoso; in particolare per la fase preromana si recuperarono un numero elevato di sepolture, si tratta del più importante complesso cimiteriale di età preromana, finora individuato a Oderzo66.
La necropoli risulta ancora sostanzialmente inedita. Lo studio che qui si propone può
costituire un punto di partenza per un’indagine sugli aspetti delle relazioni tra società dei vivi e comunità dei defunti, che potrà contribuire alla conoscenza della vita di Oderzo preromana. La necropoli era situata lungo un tratto della via Postumia passante per Oderzo, in una zona ben distinta e a sud dell’antico centro, ai margini della sponda destra del fiume Navisego che costituiva un limite naturale dell’area cimiteriale, in una zona molto prossima al modesto nucleo di sepolture rinvenute in via Garibaldi67.
Sulla base degli elementi stratigrafici si è potuto delineare una breve sequenza delle fasi di occupazione della necropoli protostorica68. Un primissimo piano di frequentazione (US 67=285), impostato sopra ad uno strato alluvionale (US 11), costituisce il primo livello su cui
66 Prima del rinvenimento della necropoli in questione si era a conoscenza esclusivamente di due contesti funerari dell’età del ferro riferibili al territorio opitergino. Parzialmente indagato nei primi anni ’80, ma noto già dalla fine dell’800, è il primo nucleo di sepolture in località Mùtera, mentre il secondo è stato individuato in via Garibaldi. Certamente da riferire al centro protourbano è l'area di via Garibaldi, a differenza del sito della Mùtera che è piuttosto da intendere come un’area funeraria pertinente ad un centro “satellite” inserito nel territorio opitergino dalla seconda età del ferro (GAMBACURTA 1998, pp.167-‐173).
67 GAMBACURTA 1998, pp. 167-‐170.
68 Tale sequenza sarà probabile oggetto di revisione una volta affrontato lo studio della totalità delle sepolture.
sarà impostata la necropoli, probabilmente coincidente con gli ultimi decenni del VI secolo a.C.
Pertinenti a questa fase sono un numero esiguo di sepolture. Sono state rinvenute solo quattro tombe, isolate e distribuite su tutta l’area d’indagine a non poca distanza l’una dall’altra. Di queste, tre erano caratterizzate dal rituale a cremazione in semplice fossa con corredi rappresentati da semplici ossuari fittili e pochi oggetti di corredo (tombe 70-‐67-‐65), mentre la quarta era a inumazione, accompagnata da un’unica olla fittile (tomba 69). Questa prima impostazione subì probabilmente, in particolare lungo il tratto spondale, l’azione di un evento alluvionale69, che danneggiò notevolmente le strutture tombali e i corredi relativi alle deposizioni.
A questo primo nucleo di tombe più antiche, si sovrappongono, in parte obliterandole, le strutturazioni in tumuli di gruppi di tombe che caratterizzano la seconda fase della necropoli, che tendenzialmente copre un arco cronologico che inizia tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C., per terminare verso i primi decenni del III secolo a.C.
La strutturazione dei tumuli è certamente il fattore che determinò l’accrescimento della necropoli.
Sono state individuate, in totale, 15 strutture a tumulo, distribuite più o meno
omogeneamente, ma con una notevole densità sull’intera area indagata. Le misure dei tumuli variano da un minimo di 3 m a un massimo di 12 m, con una forte concentrazione sul valore di 5-‐6 m di diametro.
I tumuli erano costituiti da riporti di sedimenti sabbiosi presenti nell’area. Avevano, alla base, forma circolare e profilo cupuliforme, e potevano contenere una o più sepolture tutte a
cremazione70. Di queste sepolture alcune si potrebbero attribuire a personaggi di spicco o capifamiglia; altre (quelle in posizione decentrata) potrebbero appartenere a individui afferenti al medesimo gruppo famigliare, ma in condizioni subordinate.
Sono presenti, a definire possibili articolazioni dei rapporti sociali, anche tumuli addossati a quelli principali (di dimensioni maggiori e realizzati in una fase precedente)71; oppure nuclei di sepolture, poste alla base di un tumulo, alle quali successivamente si affiancano altre tombe seguendo uno schema di successione (Tumuli X-‐XI) a sottolineare un rapporto di parentela o di prossimità sociale.
69 La successione delle fasi alluvionali si può cogliere dalla sezione D-‐D1 (TAV. III) 70 Relativa a questa fase è anche una deposizione di inumato (tomba 57).
71 Il raggruppamento dei tumuli presenta una vaga somiglianza con le strutture di Montebelluna (località Posmon). Cfr. LOCATELLI 2003, pp. 265-‐267.
La lacunosità dei dati relativa alla struttura e alle relazioni reciproche dei tumuli, oltre ad essere causata dall’azione degli eventi alluvionali subiti nel corso del tempo, è ricollegabile anche al fatto che tutti i tumuli sono realizzati con i sedimenti presenti nell’area e non hanno materiale relativo alla cremazione in scarico su di essi; non è quindi possibile percepire nette separazioni di sub-‐strato; ne consegue che è molto difficoltoso il loro riconoscimento.
Per quanto riguarda il rituale di seppellimento72, nella maggior parte dei casi si sono
individuate deposizioni in semplice fossa scavata direttamente nel corpo dei tumuli, di forma tendenzialmente ovale con base piana, ricoperta in seguito col terreno di risulta. Ma è stato anche possibile, in un caso, riscontrare una traccia relativa a una deposizione (tomba 61) effettuata entro una cassetta lignea; in un altro caso (tomba 40) il rinvenimento di un laterizio e di un blocco litico, collassati all’interno della sepoltura, hanno fatto ipotizzare che si
trattasse di una tomba in cassetta litica o mista.
Anche se non nettamente dimostrabile sulla base delle sequenze stratigrafiche, sulla base di uno studio dei corredi funerari, è possibile, in alcuni casi, documentare l’attività di riapertura delle sepolture per l’inserimento di nuove deposizioni73.
In conclusione, è da segnalare che, durante lo scavo, tutti i contesti rinvenuti sono stati trattati e documentati come tombe74 anche se, in alcuni casi, si è riscontrato che nuclei di materiali sono da considerare come offerte rivolte al defunto piuttosto che corredi funebri veri e propri.
72 Le tipologie presentate sono esclusivamente quelle riscontrate all’interno del campione preso in esame in questo elaborato. Pertanto è da rilevare la parzialità di questo dato. 73 Per l’attività di riapertura delle cassette si veda Adige Ridente, pp. 75-‐77.
74 Questa decisione fu condizionata dalle precarie condizioni con cui si presentarono le sepolture, tanto che alcune furono interamente rimosse al fine di garantire un intervento accurato in laboratorio.
Planimetria di Oderzo con ricostruzione dell’andamento del fiume Navisego (a cura di BALISTA C. 1994 in QdAV 1994, pag. 140) e ubicazione della necropoli nei terreni di proprietà Opera Pia Moro.
(Immagine tratta dalla relazione di scavo a cura di dott. G. F. Valle)
L’area di scavo (in giallo) con l’indicazione della sponda del fiume Navisego rinvenuta
II.2 IL CAMPIONE PRESCELTO (TAV. I-‐II)
In questo elaborato sarà affrontato uno studio sulla necropoli preromana focalizzato su un campione di tombe prescelto.
In collaborazione con la Dott.ssa Ruta Serafini e la Dott.ssa Gambacurta si è deciso di
compiere un’indagine campione riguardante lo studio delle quattro tombe definibili di prima fase, cioè quelle impostate precedentemente la messa in opera delle strutture a tumulo; e di un gruppo di sepolture di seconda fase, aventi tra loro relazioni stratigrafiche e topografiche, strutturate entro i tumuli IX, X, XI e XV. Tali tumuli sono concentrati nell’area sud-‐occidentale della necropoli, tra l’antica sponda destra del Navisego e i limiti di scavo meridionale e
occidentale.
Le tombe, che ora saranno brevemente presentate, seguono la sequenza stratigrafica acquisita dalla documentazione e dalla relazione di scavo curata dal Dott. Gianfranco Valle.
Tombe ascrivibili alla prima fase della necropoli, precedenti la strutturazione dei tumuli. (TAV. I)
Verosimilmente queste sepolture rappresentano il gruppo di deposizioni più antiche, rinvenute sul livello di frequentazione (US 67=285). Sulla base dei confronti tipologici degli elementi di corredo queste tombe sono databili tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a.C.
Tomba 69.
Si tratta di una tomba a inumazione in fossa rettangolare con orientamento N/S, con il cranio del defunto posto a sud, situata nella parte occidentale dell’area di scavo. Dall’analisi
antropologica, eseguita dalla Dott.ssa L. Gambaro, è emerso che l’individuo è di sesso femminile, dell’età circa di 30 anni e avente statura di circa 1,54 m. Al suo interno è stato rinvenuto un corredo molto povero, costituito da una semplice olla fittile e da un frammento di scodella.
Tomba 70.
A una decina di metri, in direzione est, dalla tomba 69, quindi lungo il lato sud-‐occidentale della necropoli, molto vicina al margine spondale del Navisego, era posizionata la tomba 70. Si tratta di una sepoltura a cremazione in semplice fossa composta da un ossuario fittile
situliforme con il relativo coperchio. Questo contesto risulta fortemente compromesso da un evento alluvionale (US 300) che ne provocò, oltre il dislocamento dalla sede originaria, un