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CAPITOLO IV LE MILLE FACCE DELLA STRATEGIA DI PECHINO IV.I Le nuove alleanze internazionali contro i “tre mali”

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CAPITOLO IV

LE MILLE FACCE DELLA STRATEGIA DI PECHINO

IV.I Le nuove alleanze internazionali contro i “tre mali”1

Dopo l’11 settembre 2001 la Cina cambiò tattica. Se negli anni precedenti Pechino aveva negato che esistesse un’emergenza etnica nello Xinjiang e aveva risposto al terrorismo perlopiù con misure militari, a partire da questa data si unì alla crociata statunitense lanciata contro il terrorismo

islamico2. La strategia che mise in atto fu una vera e propria offensiva mediatica, come l’ha definita

Becquelin3. Infatti, tra il 2002 e il 2003, pubblicò tre documenti ufficiali nei quali si prendeva atto

dell’esistenza di un problema terroristico nella provincia ribelle dello XUAR. Il primo degli atti in questione fu reso pubblico nel gennaio del 2002 e rappresentò la prima ammissione ufficiale del “problema Xinjiang”. Si trattò del già noto “East Turkistan Cannot Get Away with Impunity”, nel quale si annoveravano più di duecento fatti che implicavano il coinvolgimento di gruppi di terroristi uiguri e si metteva in luce il legame di questi con i talebani, dai quali ricevevano finanziamenti e

addestramento4. Il grande problema fu che queste affermazioni crearono la mancanza di distinzione

tra terrorismo e legittima opposizione, poiché anche i gruppi non violenti furono tacciati di terrorismo. Che la Cina avesse già consolidato l’abitudine di mettere il dissenso politico e le attività religiose sullo stesso piano del separatismo, questo non era più una novità. Malgrado ciò, mai prima di allora aveva pubblicamente mischiato dissenso e terrorismo. Gli Stati Uniti, dal canto loro, guardarono con entusiasmo al fatto di aver guadagnato un nuovo partner politico nella lotta al

jihadismo5 e non tardarono a inserire ETIM nella lista delle organizzazioni terroristiche legate alla

cellula di Al Qaeda6. La cooperazione che la Cina (come pure la Russia e le repubbliche ex

1 Terrorismo, separatismo ed estremismo.

2 Circa l’amicizia Cina-Stati Uniti si consiglia la lettura di S. A. Kan, U.S.-China Counterterrorism Cooperation: Issues

for U.S. Policy, disponibile in pdf su https://www.fas.org/sgp/crs/terror/RL33001.pdf .

3N. Becquelin, Criminalizing Ethnicity: Political Repression in Xinjiang, in “China Rights Forum”, n. 1, 2004, pp.

39-45.

4 Il Dipartimento di Stato statunitense nel 2001 aveva rilasciato un documento dal titolo Patterns of Global Terrorism

2002 nel quale non escludeva che un grande campo di addestramento dei terroristi islamici si trovasse in Cecenia. Si

veda N. Becquelin, Criminalizing Ethnicity…, cit.

5Prima del 2001 Cina e Stati Uniti non erano mai riusciti a superare la fase della diffidenza e una serie di questioni

erano rimaste aperte, sporcando le loro relazioni; dalla questione della vendita a Taiwan di armi americane, a quella di armi cinesi al Pakistan ,all’incidente dell’aereo spia EP-3.

6 Il vicesegretario di Stato, Armitage, dichiarò che il gruppo era responsabile di atti di violenza contro civili innocenti.

Grazie all’appoggio americano, la Cina ottenne che l’ETIM fosse inserito anche nella lista ONU delle organizzazioni terroristiche.

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sovietiche) era pronta a offrire non prevedeva sconti e così la superpotenza si trovò in una situazione di imbarazzo politico, dovendo bilanciare le nuove alleanze internazionali con la

questione dei diritti umani7. Davanti alle critiche della comunità internazionale per non aver

verificato le notizie passate dall’Ufficio informazione del Dipartimento di Stato cinese, gli Stati

Uniti si giustificarono dicendo di avere in mano prove indipendenti8 e che dal documento non c’era

ragione di temere che potesse esserci una mancanza di attenzione verso le minoranze. Il suggello dell’allineamento agli Stati Uniti fu dato dall’Alleanza di Shanghai, un accordo stretto in occasione del vertice APEC da Bush, Zemin e Putin che suonò come una condanna comune al terrorismo globale. L’occasione fu presto colta da tutti e tre gli attori internazionali. Pechino poteva “giustificare” la politica dura contro Tibet e Xinjiang, Bush ci guadagnava un alleato in più nella lotta contro il nemico islamico e Putin si conquistava uno spazio di libertà per agire contro i ceceni. La questione dei diritti umani però restava spinosa e gli interventi di Bush avevano ammonito la Cina «di guardarsi bene dall’approfittare della guerra al terrorismo globale lanciata dagli Stati Uniti per avere carta bianca contro le minoranze», uiguri in primo piano, perché gli USA non avevano

alcuna intenzione di «rinunciare alle proprie responsabilità sui diritti e sulla libertà religiosa9».

Forte comunque dell’appoggio americano, la Cina iniziò a montare una grossa campagna mediatica che culminò nella pubblicazione di un “White Paper on National Defence” nel dicembre dello stesso anno. Nel “Libro Bianco” si tornava a sottolineare il fatto che il terrorismo nello Xinjiang costituisse una seria minaccia per tutte le 56 etnie cinesi. La seconda offensiva fu una risposta alle critiche sollevate dalla Commissione ONU per i diritti umani, la quale venne fornita attraverso un

nuovo White Paper 10 nel maggio 2003. Vi si poteva leggere che lo Xinjiang era cinese a partire

dalla dinastia Han e che le minoranze erano ben tutelate dal governo, come dimostrava, tra gli altri

diritti, la libertà religiosa, garantita attraverso un puntuale elenco di disposizioni legislative11. Nel

dicembre del 2003 una lista aggiornata di gruppi terroristici venne pubblicata dal governo cinese, che individuava ben 4 organizzazioni (le già descritte ETIM, ETLO, WUC ed ETIC) attive nello

Xinjiang e 11 terroristi12 sui quali chiese un mandato di cattura internazionale13. Si ricordi che gli

7 D. L. McNeal, China’s Relations with Central Asian States and Problems with Terrorism, CRS Report for Congress,

2001, reperibile su URL:// http://www.au.af.mil/au/awc/awcgate/crs/rl31213.pdf.

8 Il Kirghizistan li aveva avvisati di un possibile attacco terroristico contro l’ambasciata americana nel Paese. Si veda il

già citato articolo, Us Has Evidence ETIM Plans Attack, in “People’s daily”, n. 8, 2002.

9 D. L. McNeal, op. cit.

10 Il White Paper s’intitolava History and Development of Xinjiang. Becquelin ricorda che documenti di questo tipo

furono in parte pubblicati sul “China Daily”.

11 […]«Regardless of ethnic status, race, sex or religious belief ethnic minorities have the right to vote and stand for

election». Si veda N. Becquelin, op.cit., p. 41.

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Stati Uniti non hanno mai inserito ETLO, WUYC14 ed ETIC nella lista nera delle organizzazioni terroristiche e ciò è stata una delle cause di maggior frizione nei rapporti di amicizia e solidarietà stretti dai due Stati dopo l’11 settembre. L’altra è certamente la questione dell’estradizione dei sospetti terroristi detenuti a Guantánamo che ha inficiato non poco i rapporti tra i due partner.

Pechino ha ripetutamente chiesto a Washington di estradarli in Cina ma gli uiguri15 e Amnesty

International16 si sono battuti affinché ciò non accadesse, dato il rischio di esposizione a torture o a

trattamenti disumani e degradanti vietati dalla Convenzione di Ginevra del 195117. Dal 2004 gli

Stati Uniti hanno iniziato a rilasciare i prigionieri uiguri detenuti nel carcere cubano ritenendo che non ci siano più le condizioni per trattenerli e ha cercato di riallocarli in cento Paesi amici, per

esempio l’isola fiduciaria di Palau18 e le Bermuda19. L’intenzione di sgombrare il campo di

prigionia è stata uno dei punti di forza del presidente Obama per sottolineare la rottura con la precedente amministrazione Bush, alienandosi buona parte del Congresso contrario alla sua chiusura. Secondo alcuni autori proprio la mancanza di un trattato di estradizione rende poco solida

e poco affidabile l’amicizia tra Washington e Pechino20.

Tornando al caso specifico dello Xinjiang, le autorità cinesi cominciarono a sostenere che anche l’arte e la letteratura fossero diventati strumento di propaganda del separatismo uiguro; perciò si decise che andassero poste sotto controllo. Tra le attività incriminate, delle quali Becquelin fornisce

un elenco esaustivo21, figuravano periodici, opere letterarie e artistiche, satira, CD e DVD che

incitassero al jihad, internet come possibile mezzo per creare legami con cellule del terrore operanti fuori dalla Cina, manifestazioni culturali popolari (le minjian wenhua huodong). Furono chiuse sedi di giornali con il pretesto che le pubblicazioni che effettuassero fossero di bassa qualità e nella città di Kashgar si accesero grandi fuochi durante i quali vennero bruciati pubblicamente migliaia di

libri22. Altri vennero censurati, più di trecento nella sola Kashgar stessa, dove furono sequestrati e

13 “People’s Daily Online”, 12, 2003.

14 Nel 2007 e nel 2008 Bush ha incontrato Rebiya Kadeer e alla patriota uigura ha espresso solidarietà e sostegno per la

causa dei diritti umani del suo popolo. Https://uyghuramerican.org/article/rebiya-kadeer-meets-president-bush-white-house.html

15 http://unpo.org/article/883

16 Per un quadro sinottico della situazione dei diritti umani in Cina si consulti il rapporto del 2008 su

http://www.amnesty.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/714.

17 http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/articles/A56018-2004May25.html.

18 https://www.theguardian.com/world/2009/jun/10/palau-guantanamo-detainees-housed. 19 https://www.theguardian.com/world/2009/jun/12/bermuda-accepts-guantanamo-detainees.

20 R. Gunaratna, A. Acharya, W. Pengxin, Ethnic Identity and National Conflict in China, New York, Palgrave

Macmillan, 2010, p.168.

21 N. Becquelin, op.cit.,p.44.

22 Il governo cinese accusava l’organizzazione missionaria pakistana, “Tableeghi Jamaat”, di diffondere materiale

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bruciati anche libri scolastici. Tutto fu equiparato a pornografia, l’arte, la storia, la letteratura, la

cultura in generale divenne una espressione politicamente scorretta23. L’autore fa notare il frequente

uso, nelle dichiarazioni ufficiali e negli articoli cinesi, del termine zaoyao, usato nel codice penale24

per riferirsi alla fattispecie del sovvertimento politico contro il sistema socialista e passibile di pena detentiva ad vitam. Pertanto, il dissenso (buman qingxu) veniva percepito come espressione non

diversa dal pericoloso separatismo (fenlie sixiang)25. La guerra mediatica allo Xinjiang costituì

certamente parte non trascurabile di quel “Colpire duro” che tornò in seconda battuta tra il 2001 e il 2004 e che aveva plasmato la severità dell’atteggiamento che la Cina aveva ufficialmente iniziato a

usare verso la provincia alla fine degli anni Novanta26. Agire attraverso la censura è rimasto un

tipico atteggiamento cinese che, com’è intuibile, oggi ha spostato gli occhi del controllo sul mezzo di comunicazione per eccellenza, Internet. In un articolo del 2013 della rivista “Limes” si portava in superficie il frequente uso del mezzo censorio su due bersagli in particolare, Xinjiang e Hong Kong. Ad esempio, il primo luglio, su Weibo, il Twitter cinese, digitando le parole youxing (marciare) o i numeri qi e yi (sette e uno in cinese mandarino) non si sarebbero trovate corrispondenze poiché esse erano state bloccate per via del richiamo alla marcia degli abitanti di Hong Kong il primo luglio del 1997, per protestare contro la restituzione della città alla Cina da parte degli inglesi. Con riguardo

allo Xinjiang, la stessa cosa accadeva inserendo le parole chiave “cappello di pelle”27 o “terrore”,

per l’ovvio riferimento ai disordini scoppiati tra gli uiguri e la polizia in alcune città della provincia.

A tre giorni di distanza tutto tornò nella normalità28.

Prima di avvicinarsi agli USA29, la Cina aveva corteggiato i vicini centrasiatici. Dal 1992 aveva

concluso una serie di accordi economici che portarono a uno scambio intenso di prodotti

23

M. Dillon, Uygur Language and Culture under Threat in Xinjiang, in “The Central Asia-Caucasus Analyst”, n. 8, 2002.

24L’articolo in questione è il 105.

25«We performed for the government and they used us to create this image of ethnic unity. We had no right to oppose».

Sono le parole usate in un’intervista rilasciata alla rivista “Toronto Star” da uno dei membri della squadra acrobatica dello Xinjiang che avevano trovato asilo in Canada. La notizia apparve sul “Toronto Star”, n. 2, 2004.

26 Una informazione aggiuntiva sulle campagne Strike Hard. Esse erano state teorizzate già nel 1983 in un libro

intitolato “Guerra senza limiti”, scritto dai colonnelli Qiao Liang e Wang Xiangsui.

27 E’uno slang usato dai cinesi per riferirsi agli uiguri.

28 G. Cuscito, La Cina, Weibo e la censura a corrente alternata, in “Limes”, n. 7, 2013, online.

29 I rapporti tra i due Stati, benché apparentemente consolidati, non furono mai completamente distesi. La questione dei

diritti umani giocò senza dubbio un ruolo importante nel creare frizioni. Anche il riallineamento geopolitico in Asia Centrale a favore della crociata USA contro i terroristi aveva un suo peso, creando in Pechino una fastidiosa sensazione di prurito da “accerchiamento” ai confini orientali e occidentali. Nessuna delle sanzioni applicate in conseguenza dei fatti di piazza Tienanmen fu rimossa, a differenza, per esempio, di quanto accadde al Pakistan. Restava dunque proibita la vendita di una gamma di strumenti di controllo sulle folle o di munizioni, elicotteri, satelliti per i veicoli da lancio.

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commerciali e di forza lavoro30. Ne beneficiarono il commercio di frontiera grazie a una riduzione del 50% delle tariffe doganali, il turismo e numerose joint venture che fiorirono soprattutto in Kazakistan e Uzbekistan. Notevole fu il ruolo dello Xinjiang che, sfruttando la sua posizione di

confine, riuscì a stringere importanti relazioni economiche con più di cinquanta Paesi31. Non si

trattò soltanto di un’amicizia dettata dall’opportunismo economico ma si tradusse anche in una

cooperazione di tipo politico. Tra i passaggi più importanti vi fu la Dichiarazione di Bishkek32, in

Kirghizistan, del 25 agosto 1999, dove si ribadirono i termini cinesi della partecipazione, ovvero lotta al separatismo e al terrorismo internazionale, cooperazione economica e riapertura della Via della Seta. Inoltre, come abbiamo già avuto modo di anticipare, nel 2001 fu istituita la Shanghai

Cooperation Organization (SCO)33. Oltre al centro di monitoraggio di Bishkek del quale è stato

discusso, della struttura fa parte anche l’organismo RATS34 con sede in Uzbekistan. Tra i compiti

dell’organizzazione rientrano le pratiche di rimpatrio dei sospetti terroristi35 e il disbrigo di

faccende più istituzionali quali la pianificazione di appuntamenti politici regolari per la discussione delle strategie e la predisposizione di meccanismi idonei a combattere il terrorismo. Nata come gruppo informale per risolvere le dispute di confine, la SCO era diventata il più importante avamposto centrasiatico di prevenzione contro il contagio terroristico. Ma in molti analisti cinesi e centrasiatici era nata presto la preoccupazione che, una volta creata dalla Stati Uniti la coalizione multilaterale contro il jihad, questi avrebbero monopolizzato l’agenda terroristica che la Cina aveva diretto attraverso l’organizzazione, ritagliandosi insieme alla Russia il proprio spazio diplomatico. Del resto, il vecchio “Gruppo dei cinque” era la creatura geopolitica della Cina e l’avanzata diplomatica americana in Asia centrale (la stessa Russia, il Tajikistan, l’Uzbekistan e anche il

Pakistan erano passati dal polo cinese a quello americano) la stava mettendo in secondo piano36.

Perché Pechino insisteva tanto sulla creazione di uno “scudo” antiterroristico con la regione

30 Per esempio l’impiego di lavoratori cinesi in Kazakistan. Sul tema dell’uso degli accordi economico-commerciali

come arma di penetrazione geopolitica si consiglia la lettura di F. Sisci, Come Pechino pensa il mondo, in “Limes”, La

Cina è un giallo, n. 1, 1995, da p. 75.

31

L. C. Harris, Central Asia and the Implications for China’s Policy in the Islamic World, in “The China Quarterly”, n. 133, 1993, pp. 111-129. URL: http://www.jstor.org/stable/654241.

32 L’incontro fu l’ultimo dell’organizzazione con il nome di Gruppo dei cinque (wu guo). A precederlo ci furono quello

che portò alla fondazione del gruppo a Shanghai nel 1996 e i meeting di Mosca (1997) e Almaty (1998).

33 Oltre ai sei membri permanenti (Russia, Cina, Tajikistan, Kirghizistan, Kazakistan e Uzbekistan (che vi aderì dopo la

serie di attentati diretti contro il presidente Karimov) hanno lo status di osservatori la Mongolia, il Pakistan, l’India e l’Iran.

34 E’ la struttura anti-terrorismo regionale istituita nel gennaio del 2004. 35

Uno dei principali ricercati è stato Husein Cecil, cittadino canadese, nel 2006 arrestato in Uzbekistan e rimpatriato in Cina, dove è stato accusato di condurre attività sediziose e terroristiche.

36 A. Higgins, C. Hutzler, Chinese Goals Take a Backseat As U.S. Rises to the Fore in Asia, in “The Wall Street

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centrasiatica? Secondo Ahrari una spiegazione può essere rintracciata nel fenomeno definito della

“Taliban Syndrome”37. Si tratta di una versione radicale dell’Islam politico afghano mirante alla

creazione di un ordine islamico non solo nel Paese ma anche negli Stati contigui, dove sarebbero state ricreate le condizioni per un revival della tradizione delle origini, come predicato dalla scuola

salafita38. Il pericolo più grande insito nel movimento era costituito dal concetto di Ummah che,

trascendendo le tradizionali nozioni di etnicità e nazione che sorreggono gli stati moderni, diventa un potente veicolo di internazionalismo islamico. La Ummah, infatti, è il complesso della comunità dei fedeli che prescinde dall’aspetto localistico e territoriale della loro presenza in questo o quello stato. In Asia centrale l’idea di una “Internazionale socialista” è stata diffusa da tutti i partiti religiosi radicali al potere nei Paesi musulmani, nonostante nella regione mancasse un senso

identitario in senso islamico39. Tale ideologia è nata senza alcun dubbio in Afghanistan, al tempo

dell’occupazione sovietica, e in Pakistan attraverso l’IRP (Islamic Resurgence Party). In Afghanistan fu proprio facendo leva sul concetto di Ummah che fu possibile ai mujahideen veicolare l’idea che la guerra contro l’invasore non fosse il classico scontro tra Primo e Terzo Mondo, ma piuttosto la resistenza dei fedeli contro gli illegittimi invasori nel loro jihad contro gli

infedeli40. Per quanto riguarda l’IRP pakistano, il partito vide la luce nell’unione Sovietica, dove

nacque nel 1990. Fare dell’Islam il nodo che potesse tenere insieme l’Asia centrale, creando quel vincolo identitario Ummah che travalicasse il tradizionale nazionalismo, fu l’obiettivo cardine dell’IRP. Solo un Islam unito, infatti, può resistere agli imperialismi di Unione sovietica e

Occidente41. La prospettiva che si formasse un grande blocco di Paesi islamici (come voluto dal

leader dei taliban, Mullah Umar, e da quello della JUI pakistana42, Fazl- ur- Rahman, anche se in

37 M. E. Ahrari, China, Pakistan and the Taliban Syndrome, in “Asian Survey”, Vol. 40, n. 4, 2000, pp. 658-671. URL:

http://www.jstor.org/stable/3021187.

38 Da salaf (“antico”, “antenato”). Indica i primi compagni del Profeta le cui azioni devono fungere da modello per il

fedele musulmano. Nell’Ottocento la Salafiyya predicò una riforma dell’Islam che potesse renderlo più adatto ai cambiamenti della vita moderna, in modo tale che non fosse più visto solo ed esclusivamente come una religione ma come un sistema culturale. Jamal al-Din al-Afghani, che ne fu l’ideatore, iniziò a diffondere l’idea che solo l’unione dei fedeli potesse consentire alla cultura islamica di non venire contaminata da quella occidentale e che l’unione di tutti i popoli islamici potesse essere raggiunta attraverso l’educazione e la ricostituzione di un grande califfato (che egli ritenne incarnato dall’Impero ottomano) La “sfida” di al-Afghani fu affidata alla rivista “Legame indissolubile”, alla cui scrittura contribuì in parte anche il suo erede Muhammad ‘Abduh. Questi, da muftì dell’Egitto, si contraddistinse per

fetwa molto audaci quali l’abolizione della poligamia, il libero arbitrio dell’uomo e la riforma della principale

Università religiosa cairota, quella di al-Azhar, della quale era stato studente. V. M. Campanini, I sunniti. La tradizione

religiosa maggioritaria dell’Islam, Bologna, Il Mulino, pp. 80-82.

39 La realtà centroasiatica, infatti, si contraddistingue per essere molto divisa etnicamente e linguisticamente. Secondo

Ahrari la rivolta dei Basmachi (“delinquenti” in russo) ne fu la dimostrazione lampante.

40

Cfr. The Oxford Encyclopedia of the Modern Islamic World, New York, Oxford University Press, 1995.

41 M. E. Ahrari, op. cit., p. 667.

42 La sigla JUI sta per Jamiat-ul-Ulama-i-Islam, una madrasa frequentata dal clan tribale dei Pushtoon, nel nordovest del

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funzione antiamericana nei loro piani) ai propri confini non poteva non terrorizzare comunque la Cina, avendo essa stessa all’interno del proprio territorio una provincia sempre più in ebollizione quale era lo Xinjiang. Ahrari fa notare quanto il fattore economico (sottosviluppo, condizione di

rentier states, competizione per le risorse del Caspio tra Russia, Cina e Iran) possa incidere sulla

persistenza dell’instabilità della regione e soprattutto sul buon successo di un tale tipo di ideologia internazionalistica che propugna la religione come unico collante sociale e identitario. La questione riguardò senz’altro la Cina molto da vicino, dati i legami degli uiguri con i fratelli musulmani delle

vicine repubbliche ex sovietiche43.

Il primo Stato centroasiatico con il quale Pechino sottoscrisse accordi e gettò le basi per una solida collaborazione fu il Kazakhistan. I due Stati crearono una sorta di ponte politico-economico di cooperazione che fu costruito reggendosi su una ampia varietà di contratti. Dal punto di vista propriamente politico, si optò per il regolamento delle zone di confine, delimitate dai fiumi Ili e Irtysh che scorrono verso il territorio cinese. La questione fu affrontata in una conferenza ad hoc ad Astana nel maggio del 1999. L’incontro, in realtà, ebbe un impatto considerevole anche sullo Xinjiang poiché per la prima volta si vedeva riconosciuto il fondamentale diritto all’acqua, attraverso la concessione dell’uso delle acque fluviali per l’irrigazione. Per la spartizione dei confini ci si affidò a un precedente accordo del 1994 che aveva istituito una Commissione unificata di frontiera con compiti di sorveglianza e controllo. All’accordo politico si aggiunse l’impegno militare a collaborare attraverso esercitazioni congiunte nelle zone di frontiera a scopo preventivo e

di contenimento di eventuali spinte secessionistiche44. A completare il quadro ci furono tutta una

serie di accordi di natura commerciale che, oltre a definire l’entità dei prestiti che sarebbero stati corrisposti, fu una grande conquista per la Cina. Nel 1997 infatti la compagnia petrolifera nazionale cinese, la China National Petroleum Corporation, ebbe il placet per lo sfruttamento del giacimento petrolifero di Uzensk, nell’ovest del Kazakistan, e nacque anche una solida joint venture con (nonostante la partecipazione dello JEI alla coalizione di governo democratica in quegli anni). Circa la politica talebana del Pakistan si suggerisce la lettura di E. Haider, Pakistan’s Afghan Policy and Its Fallout, in “Central Asia Monitor”, n. 5, 1998, pp. 1-6.

43 M. E. Ahrari, op. cit., p. 668.

44 Le esercitazioni militari congiunte riguardano in realtà tutti i membri della SCO e la prima in assoluto fu svolta dalle

forze militari cinesi e kirghize nel 2002. Di seguito si elencano le principali missioni militari che hanno interessato l’organizzazione fino al 2009. “United -2003” (vi partecipano tutti tranne l’Uzbekistan) simulò per sei giorni in Kazakistan incursioni nei campi terroristici, operazioni di salvataggio di ostaggi e di chiusura dei confini; “Peace Mission 2005” (fu la prima missione congiunta tra la Russia e la Cina); vide il dispiegamento di circa 10.000 soldati e un addestramento di otto giorni a Vladivostok e a Qingdao, nello Shandong cinese. “Peace Mission 2007” (fu la prima esercitazione multilaterale della SCO, avendo coinvolto tutti e sei i membri dell’organizzazione; “Peace Mission 2009” (per la prima volta vide aderire anche gli eserciti degli Stati osservatori, nonostante il grosso dell’addestramento avesse riguardato la Russia e la Cina, che mise a disposizione le basi della provincia dello Jilin).

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l’impresa kazaka Uzenmunaigaz nel settore gasifero. Il tema dell’accesso alle risorse dell’Asia centrale fu molto caro a Pechino che, con un importante accordo del 24 settembre dello stesso anno, si mise al sicuro con la costruzione di due pipeline petrolifere: una di 3000 km, dal Kazakistan all’ovest della Cina, e una che, passando attraverso il Turkmenistan, sarebbe arrivata fino all’Iran. Oggi dal Kazakistan arrivano in Cina 235mila barili di greggio ogni giorno; con il completamento del condotto petrolifero di Kashagan nel 2014 si era stimata una fornitura di addirittura 1,5 milioni al giorno. Tuttavia il Kazakistan non è l’unico interlocutore. Per esempio, con l’Uzbekistan la Cina ha pattuito una fornitura di gas per 10 miliardi di metri cubi. Sicuramente uno dei principali partner economici resta ancora il Turkmenistan. Quest’ultimo paese possiede un giacimento gasifero a Galkynysh che è il secondo più grande giacimento di gas del mondo, inaugurato dal presidente cinese Xi e dall’omologo Gurbanguly Berdimuhamedov. I nomi dei due leader sono legati anche a un accordo per la vendita di 25 miliardi di metri cubi di gas all’anno da parte della Turkmengas alla China National Petroleum Corporation. Una quantità certamente notevole, sebbene Pechino conti e

preveda che si raggiungano i 65 bcm entro il 202045. Altro impegno certamente notevole fu quello

per la collaborazione alla realizzazione di una free zone nucleare con il Kazakistan. In realtà, l’impegno della Cina in relazione al disarmo nucleare è solo un atteggiamento di facciata. Essa, piuttosto, avverte il fascino delle armi nucleari; e l’Asia centrale postsovietica, soprattutto il

Kazakistan, è un arsenale prezioso che non vuole perdere46.

Il gioco in Asia Centrale rischiava di mettere contro la Cina due rivali. Uno era sicuramente la Turchia, i cui sforzi per stabilizzare la regione attraverso la Economic Cooperation Organization

(ECO)47 sono noti, insieme a una serie di prestiti alle repubbliche turcofone. La prospettiva di

un’influenza turca sulla regione, eventualmente sotto l’ombrello di protezione statunitense, faceva paura alla Cina. Perciò il Paese si era avvicinato ai tradizionali nemici della Turchia, Iran e Pakistan, nonostante non si sentisse comunque al sicuro, considerando il revivalismo islamico che

Pechino temeva potesse scuotere il già suscettibile Xinjiang48. Ma in che modo quest’ultimo incide

sulle politiche energetiche cinesi? Lo Xinjiang è un hub energetico di prim’ordine, punto di passaggio obbligato per il trasporto degli idrocarburi che, dall’Asia centrale, devono andare ad

45 G. Cuscito, Uiguri, terrorismo ed energia: Xinjiang, (s)nodo irrisolto della Cina in “Limes”, n. 10, 2013.

46 Entro la fine del 2015, la Cina prevede di superare la Corea del Sud e la Russia per capacità di generazione nucleare,

restando dietro solo a Usa, Francia e Giappone. Ma la Cina sta anche costruendo centrali e reattori per altri 23 GW di capacità nucleare che dovrebbero diventare operativi entro il 2020, quindi supererà anche il Giappone e diventerà il Paese leader nel campo dell’energia nucleare in Asia. Testualmente citato da Green Report, consultabile all’indirizzo URL: http://www.greenreport.it/news/la-corsa-nucleare-cinese-nel-2020-la-cina-sara-il-terzo-produttore-del-mondo.

47 E’stata istituita nel febbraio del 1992 da Pakistan, Iran, Turchia, Azerbaigian e tutte le repubbliche ex sovietiche,

tranne il Tajikistan.

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alimentare l’Est cinese49. L’importanza energetica della provincia50 ha stimolato nella Cina la nascita di un comportamento ossessivo che anche attualmente mostra le sue conseguenze nell’impegno eccessivo per dare stabilità alla regione, soprattutto dopo il crollo sovietico. Infatti, caduta l’URSS, si era venuto a creare un vacuum politico che aveva portato alla creazione di repubbliche indipendenti tra gli ex satelliti sovietici e ciò non poteva non destare preoccupazioni in Pechino, data la loro contiguità geografica allo XUAR. Uno Xinjiang instabile, infatti, sarebbe stato uno Xinjiang scarsamente utile ai grandi piani di sviluppo e modernizzazione del governo cinese. Perciò quando negli anni Novanta gli uiguri rivendicarono la creazione di un Uiguristan sovrano

(Jumhuriyiti)51 al pari di tutti gli Stati che erano nati nel buco creato dal crollo sovietico, la Cina

ritenne opportuno frenarne gli entusiasmi52. Un altro evento d’importanza capitale nella decisione di

spostare l’attenzione sul mercato centrasiatico dell’energia fu la Guerra del Golfo che dimostrò a Pechino l’instabilità di un mercato, quello mediorientale, dal quale dipendevano le sue riserve petrolifere. Dal Medio Oriente e dall’Africa ancora nel 2004 provenivano i 2/3 del petrolio cinese che nel Paese arrivava attraverso lo Stretto di Malacca. Quest’ultimo, tuttavia, è noto per la pirateria

e l’influenza americana che può facilmente imporne il blocco53. Intervenire in Asia centrale divenne

perciò una priorità per un Paese che dipende dall’esterno per il suo fabbisogno energetico quotidiano e creare ponti economici vicino casa, pur non rompendo del tutto con i partner islamici, avrebbe dato accesso a risorse sicure. In questo modo la corsa alla posizione di leadership

internazionale che la Cina puntava ad avere non ne sarebbe stata affatto inficiata54. Del resto era

naturale farlo se l’Asia centrale costituisce la «più sottile fetta di torta donata dal cielo alla Cina

moderna»55 e se, come dice uno slogan politico sempreverde, “uno Xinjiang perso crea una

Mongolia indifendibile e rende Pechino vulnerabile”.

49 G. Cuscito, op. cit. Secondo alcune fonti le pipeline che riforniscono di gas le regioni del sud della Cina coprirebbero

un’estensione di 2.500 miglia per un costo complessivo di 14 miliardi di dollari americani. Tuttavia, per ridurre l’impatto ambientale che tali opere hanno sull’ecosistema dello Xinjiang, pare che Pechino abbia investito una cifra come 122 miliardi di yuan. I dati presentati si trovano in R. Gunaratna, A. Acharya, W. Pengxin, op. cit., cap. 6.

50 Attraverso lo Xinjiang passa una delle più importanti pipeline mondiali che collega Atasu (nel nord-ovest del

Kazakhistan) con Alatau (nello Xinjiang). I lavori di costruzione, iniziati nel 2004, sono stati portati a termine nel 2006. E’ stato stimato che dal 2011 il condotto avrebbe trasportato 20 milioni di tonnellate l’anno. L’opera è stata definita “un ponte di amicizia tra due popoli”. Per quanto riguarda il gas la pipeline più importante è invece la “Ovest-Est”, 4.200 km dallo Xinjiang a Shanghai (2004).

51 “Repubblica”.

52 Cfr. S. R. Roberts, A Land of Borderlands: Implications of Xinjiang’s Transborder Interactions, in S. F. Starr (ed.),

Xinjiang: China’s Muslim Borderland, NY e Londra, Armonk, 2004, pp. 216-237.

53 J. A. Millward, Eurasian Crossroads…, cit., p. 301. 54 L. C. Harris, op.cit.

(10)

IV.II La politica del “one black, one white”(hi yei, yi bai)

Negli stessi anni dell’intervento duro contro lo Xinjiang56, Pechino diede il via a un intenso

programma industriale e infrastrutturale per lo sviluppo della province occidentali, l’ambizioso piano “Go West”( “Forza, Ovest!”). Nello specifico si trattò di più progetti di sviluppo, dei quali il primo fu inaugurato nel 1992 con la campagna “Open up the North-West”, mentre l’ultimo fu elaborato nel 2000 con il nome di “Grande Sviluppo dell’Ovest”, meglio conosciuto nella dizione

cinese Xibu da kaifa57. L’idea di smorzare la rabbia uigura migliorando le condizioni di vita della

popolazione locale fu di un esponente del Partito comunista, Mingzu, il quale espose il contenuto della nuova politica sul giornale “Qiushi” (Ricerca della verità), nel 1996. «Solo una forte economia e il miglioramento delle condizioni di vita possono promuovere l’unificazione di tutte le etnie sotto

il Partito comunista»58. Questo modo di agire nei confronti della periferia fu preso in prestito da una

vecchia mossa politica dell’imperatore Qing, Hongli (Qianlong)59. Durante il suo regno nello

Xinjiang furono aperte aziende partecipate dall’Impero, miniere di ferro e di rame, furono dati incentivi alla produzione agricola, per esempio alla coltivazione del tè, affidata a una gestione mista Stato-privati. Fu stimolato l’artigianato e fu incrementato il commercio di giada verso Pechino, che divenne un’attivita di contrabbando molto proficua. Accanto al piano agricolo-industriale fu varato anche un programma di sviluppo infrastrutturale che portò alla costruzione di strade cittadine così come di grandi arterie di collegamento sulle rotte del commercio, collegando la Cina alla Mongolia, e il nord e il sud dello XUAR. L’intervento urbanistico contribuì certamente al fiorire di un prospero commercio di esportazione, gravitante attorno all’attività di mercanti indiani e centrasiatici

che nelle città dello Xinjiang andavano a promuovere i propri prodotti, dal bestiame all’oppio60.

Negli anni Trenta il Guomindang fu il primo governo non imperiale a seguirne il trend, dando vita

alla politica del dao xibei lai (“Come to the North West”)61. Non fu l’unico appuntamento

programmato con le province. Infatti, nel 1942 Gu Jiegang lanciò la campagna “Sviluppo del

56

Per approfondimenti sulla strategia di Pechino si suggerisce la lettura di Y. Shichor, The Great Wall of Steel:Military

Strategy in Xinjiang’s, in S. F. Starr (ed.), Xinjiang: China’s Muslim Borderland, New York e Londra: M. E. Sharpe,

Armonk, 2004, pp. 120-160.

57 Per approfondimenti cfr. C. Wiemer, The Economy of Xinjiang, in S. F.Starr (ed.), Xinjiang: China’s Muslim

Borderland, New York e Londra: M. E. Sharpe, Armonk, 2004. Cfr. anche H. H. Lai, China’s Western Development Program: Its Rationale, Implementation and Prospects, in “Modern China”, n. 4, 2002, pp. 432-466.

58 Era segretario del PCC nella Mongolia Interna (una delle province autonome della Cina). 59 J. A. Millward, Eurasian Crossroads…, cit., pp. 102-105; 296.

60

Per approfondimenti v. J. A. Millward, Beyond the Pass:Economy, Ethnicity, and Empire in Qing Central Asia,

1759-1864, CA, Stanford University Press, 1998.

61 La campagna fu lanciata a mezzo stampa con il duplice obiettivo di indebolire il partito comunista nelle regioni più

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Ovest” del quale fece parte il piano ad hoc per lo Xinjiang «per trasformare i nomadi in

seminomadi e creare un’economia parzialmente agricola»62. Anche negli anni del regime comunista

ci fu un certo interesse per l’economia della provincia turkestana e ne fu prova la Riforma agraria

voluta da Mao che, come abbiamo visto, sfruttandone la struttura clanica63 della società, riuscì a

creare un sistema collettivistico anche nel nord, dove esisteva una realtà di tipo nomade e principalmente legata alla pastorizia. Così quando Deng Xiaoping diede il benvenuto alla nuova epoca ebbe bisogno soltanto di rispolverare un vecchio schema già predisposto dai suoi predecessori. Durante la visita ufficiale nelle province del sud nel 1992, egli annunciò per la prima volta la politica dei “Tre lungo” (“Lungo i fiumi, lungo le strade e lungo le frontiere”) che avrebbe sviluppato il commercio di frontiera nello Xinjiang e avrebbe portato sviluppo e modernizzazione in

tutte le province non Han64, secondo lo schema del progresso che negli anni Ottanta aveva

interessato le aree costiere65. Queste ultime, affatto tagliate fuori dal progetto, avrebbero anzi tratto

grossi vantaggi per le loro industrie dallo sfruttamento delle risorse dello XUAR, al punto che si ebbe un allargamento della forbice sociale tra le due parti di Cina. Un ruolo centrale in questo processo avrebbe conservato il corpo dei Bingtuan, lavorando a fianco del governo locale. Alla fine degli anni Novanta i settori di punta dell’economia regionale del Turkestan orientale/Xinjiang furono il cotone e il petrolio (da qui “one white, one black”, i cosiddetti “due pilastri”dell’ economia della regione). Con 4 milioni di tonnellate di produzione annuale la provincia rappresenta

il quarto produttore mondiale di petrolio66 ed è stato stimato che diventerà il primo nei prossimi

62 Si trattò principalmente di misure d’incoraggiamento alla migrazione Han, che secondo Lattimore raggiunse le 4.000

persone quando fu lanciata la campagna, con un apice di arrivi nel 1944, quando si toccò la cifra dei 7.000 emigrati. Cfr. O. Lattimore, Pivot of Asia: Sinkiang and the Inner Asian Frontiers of China and Russia, Boston, Little, Brown and Company, 1950, pp. 79, 106.

63 La trama sociale dello Xinjiang era tessuta da una struttura familiare nucleare detta aul (che sgnifica “tenda”, simbolo

del focolare domestico) inscritta in un sistema clanico più grande detto uru.

64 M. Dillon, Xinjiang: China’s Muslim…,cit., p.45. 65

Molto interessante è la disamina fatta da Becquelin delle varie tipologie di sovvenzioni elargite dallo stato allo Xinjiang. Oltre ai fondi stanziati nella legge di bilancio ding e buzhu (che consistevano in un sussidio annuale di circa 2 miliardi di yuan), pingheng buzhu (che erano una somma di emergenza che sarebbe andata a coprire eventuali ammanchi) e butie (sussidi di varia natura) furono frequenti finanziamenti e prestiti bancari (daikuan), fondi per i poveri, gli anziani e le minoranze. Inoltre allo Xinjiang, come pure ad altre otto province povere, sarebbe stato esteso il sistema fiscale (fenshuizhi) delle province costiere e l’80% delle tasse sarebbe stato trattenuto a livello locale. Si veda N. Becquelin, Xinjiang in the Nineties, in “The China Journal”, n. 44, 2000, pp. 65-90, URL:http://www.jstor.org/stable/2667477.

66 Per quanto riguarda il petrolio “uiguro” la compagnia cinese Sinopec, leader nel settore, ha stimato potenzialità

estrattive dell’ordine di miliardi di tonnellate (senza contare le 59 miliardi di tonnellate di riserve di gas). Millward ha tracciato una storia di questa risorsa a partire dal VII secolo. All’epoca, dalla fanghiglia che usciva da una sorgente sulle montagne di Qiuci si ricavava un balsamo ringiovanente. I primi a trivellare il terreno nel nord dello Xinjiang per ricavare olio per lampade furono i Qing, i quali divennero i più grandi fornitori della Russia. Fu solo negli anni Venti che, tuttavia, si scoprirono giacimenti petroliferi nel sud, nella zona della Tarim Basin, dove negli anni Trenta giapponesi, tedeschi e americani mandarono squadre di esperti per sondarne le possibilità di sfruttamento. Il giacimento più importante fu scoperto nel 1955 a Karamay (che significa, infatti, “olio nero”). Gran parte degli investimenti nella

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anni. Per quanto riguarda il cotone, invece, vi furono destinati la maggior parte dei terreni, non più utilizzati per la coltura del grano, avendo lo XUAR già raggiunto l’autosufficienza negli anni

Ottanta67. Sotto il profilo infrastrutturale furono riaperti scali e direttrici commerciali68, fu

potenziata la rete ferroviaria69 e aeroportuale 70e furono inaugurati i primi punti di commercio di

frontiera71. Se il quadro d’insieme sembra assolutamente positivo, tuttavia la situazione reale del

Paese non cambiò molto. Le entrate provenienti dalla vendita del petrolio, del gas e del cotone non hanno sortito effetti redistributivi sul reddito della popolazione locale, che continua a registrare standard di vita non dissimili da quelli delle province cinesi più povere, ovvero Guizhou e Yunnan. La statalizzazione delle imprese pare costituire il problema principale. Nel 2004 l’80% delle industrie del Paese risultava essere di proprietà delle cooperative statali, la cui partecipazione

proprietaria ha un certo peso nelle opere infrastrutturali, pipeline comprese72, e alle quali il governo

obbliga i produttori di cotone a vendere a prezzi imposti73. Simbolo del dirigismo statale furono la

classe dei Bingtuan, proprietaria della maggior parte delle imprese operanti nella regione (la metà

dei profitti di esportazione era nelle loro mani)74, e l’imposizione del tipo di coltura da coltivare per

Tarim Basin sono stati sostenuti dalla Banca di Cina. Si vedano J. A . Millward, Eurasian Crossroads…, cit., pp. 300-301; N. Becquelin, Xinjiang in the…, cit., p.72.

67 Anche con riguardo al cotone Millward ha disegnato un percorso evolutivo. L’autore fa notare che negli anni Novanta

lo Xinjiang ne era diventato il primo produttore nazionale con una fornitura del 25% a partire dal 2001. Nel 2005 il mercato cotoniero incideva per il 40% sulle entrate agricole (con una produzione di ben 1.75 milioni di tonnellate), raggiungendo il picco del 70% in alcune zone specifiche. Un dato impressionante se comparato alla produzione del 1978 di appena 55.000 tonnellate, in J. Millward, Eurasian Crossroads, cit., p. 299. Becquelin, invece, sottolinea che la politica del “cotone prima di tutto” restò una priotità dell’agenda governativa anche per il nono e il decimo piano quinquennale, allo scopo di fare della regione una mianhua qidi (una base di produzione solida) con 1.5 milioni di tonnellate a partire dal 2000. Si veda N. Becquelin, Xinjiang in the…, cit., p.81.

68 Lo scalo commerciale più importante fu quello di Horgos (nella valle dell’Ili) che serviva il Kazakistan. Tra le

principali rotte del commercio si annoverano la Karakoram (per i collegamenti con il Pakistan), il Passo del Torugart (per i collegamenti con il Kirghizistan) e la Taklamakan Highway, completata nel 1995, che tagliava il deserto. Per i traffici con la Russia, invece, Almaty divenne l’avamposto economico di riferimento.

69 Se i collegamenti ferroviari tra Urumqi e le province orientali cinesi erano possibili già dal 1962, bisognò attendere il

1990 perché anche il sud del Paese venisse collegato attraverso la linea di Alatau. Il circuito nazionale fu completato, tuttavia, solo alla fine degli anni Novanta con interventi infrastrutturali a ovest della Tarim Basin e a Kashgar, con l’estensione della linea che partiva da Korla e arrivava nella città. Si consideri che prima di questi lavori esisteva solo una strada che metteva in comunicazione il nord e il sud dello Xinjiang. La gran parte dei progetti fu realizzata grazie ai finanziamenti della Banca mondiale.

70 Il simbolo dell’apertura dello Xinjiang fu l’aeroporto internazionale di Urumqi.

71 Fu il Primo ministro Li Peng a dare inizio all’usanza delle cerimonie di inaugurazione di nuovi posti commerciali.

Questi appuntamenti divennero l’occasione per attrarre nel Paese grandi interessi stranieri.

72 J. Millward, Eurasian Crossroads., cit., p. 302.

73 Su un giornale di Hong Kong (nel 1998) uscì un articolo nel quale si parlava dell’abbassamento del prezzo di

acquisto del cotone, che per lo Xinjiang prevedeva che 50 kilogrammi venissero pagati 600 yuan anziché 630, mentre nelle altre province 650 anziché 750 yuan. L’articolo in questione s’intitolava Cotton Purchase Prices to be lowered e uscì sul “Wen hui bao”, Hong Kong, n. 4, 1998.

74 Queste colonie agricole, come le definisce Becquelin, secondo l’Annuario statistico dei Corpi di produzione del 1998

producevano il 40% della produzione cotoniera e dunque il 40% di quella tessile, più il 24% di quella agricola. Cfr. N. Becquelin, Xinjiang in the…, cit., p.78.

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ciascuna delle nove province che riceveva incentivi alla produzione da parte dello stato75. Nello spazio lasciato dal governo ha comunque potuto inserirsi un timido commercio privato rappresentato da mercanti uiguri, i quali hanno tratto beneficio dagli scambi di frontiera e che fungono da figure di intermediari commerciali molto attive nel commercio con le repubbliche

centroasiatiche e con la Russia76. Insomma, il “Grande progetto per l’Ovest” si è rivelato un flop per

lo Xinjiang, malgrado Pechino abbia sottolineato più di una volta il “miracolo regionale” operato

dalle sue campagne economiche77. Lo ha fatto, ad esempio, in quel White Paper del 2003 che noi

conosciamo per l’aspetto relativo al terrorismo. Il documento, infatti, conteneva anche un dettagliato elenco statistico dei miglioramenti apportati dalla manovra di politica economica. Vi si poteva leggere (ed è il dato che probabilmente colpisce di più) che in quasi tutte le case uigure si potevano trovare televisori a colori, lavastoviglie, frigoriferi, impianti stereo e cellulari; in altre parole, ogni bene di lusso di cui sono dotate le famiglie della progredita società dell’Occidente o

della stessa aperta78 Pechino. Eppure, nonostante l’occidentalizzazione delle abitudini, oggi

sappiamo che questa campagna economica non ha ridotto la povertà e non ha accorciato nemmeno le distanze rispetto alla parte più ricca della Cina. La riforma fiscale avviata nel 1994 aveva sì ridotto le tasse sui beni finali ma aveva aumentato quelle sulle materie prime necessarie a produrli. Le entrate erano triplicate raggiungendo i 6.54 miliardi di yuan nel 1998 ma le spese le superavano di quasi il doppio attestandosi attorno ai 14.6 miliardi di yuan. A differenza di quanto veniva continuamente pubblicizzato («produrre cotone è una strategia di sviluppo vitale per aumentare lo standard di vita degli agricoltori», si sentiva dire nello Xinjiang), importare cotone era molto più conveniente della produzione locale, al punto che rimasero scorte invendute di tessile pari a tre anni di lavoro. Nel complesso, insomma, lo Xinjiang era stato riattratto verso il centro dalla cui munificenza dipendeva esageratamente, quarto solo alle province del Qinghai, del Ningxia e del

Tibet79. Nel 2001 il governo aveva sentito la necessità di tornare a ribadire il suo impegno per

75 Per esempio, nello Yunnan il tabacco. Cfr. Y. Peng, The Politics of Tobacco: Relations between Farmers and Local

Governments in China’s Southwest, in “The China Journal”, n. 36, 1996, pp. 67-82.

76

Si tratta degli Yangpungchi, termine cinese (yangpin, cioè “merci a campione”) turchizzato che si suole attribuire a questi mercanti di frontiera, in J. A. Millward, Eurasian Crossroads…, cit., 291.

77 Le statistiche governative ufficiali del 2008 sottolineano che c’è stato un considerevole aumento del reddito pro

capite. Per coloro che vivono in città esso si aggira intorno agli 11.430 yuan (ovvero circa 1.672 dollari americani), mentre per coloro che vivono in campagna il dato è di circa 3.488 yuan (circa 510 dollari USA), con un aumento rispettivamente di quasi 11 punti percentuali per i primi e di quasi 10 per i secondi. Si veda R. Gunaratna, A. Acharya, W. Pengxin, op. cit., cap. 4.

78 Sull’evoluzione della famiglia uigura è stato condotto un interessante lavoro di ricerca dall’antropologo William

Clark. V. W. Clark, Convergence or Divergence: Uighur Family Change in Urumqi, Ph. D. dissertation, University of Washington, 1999.

79 N. Becquelin, Xinjiang in the…, cit., p. 72, 81. Cfr. anche I. B. Hann, The Peasant Condition in Xinjiang, in “The

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l’Ovest intervenendo sulla Legge che regola le autonomie regionali, promettendo insieme sviluppo e miglioramento delle condizioni di vita della regione. Tuttavia Pechino non fu ancora pronto a

rivedere le clausole dell’autogoverno e l’hanizzazione dello Xinjiang non si è mai arrestata80. Quel

crollo dell’URSS che tanto l’aveva spaventata, per la Cina alla fine è passato abbastanza indolore. Come dice Millward, infatti, chi ne ha beneficiato è stato proprio chi lo aveva temuto di più, approfittandone per fare dello Xinjiang una rotta diretta verso l’Eurasia e per assimilarlo al sistema

han81. La crescita di un Islam politico nello Xinjiang ancora oggi costituisce lo scheletro

nell’armadio del governo cinese e se il fenomeno nei prossimi anni potrà o meno avere successo, ciò dipenderà sicuramente anche dalla capacità di Pechino di allentare la morsa repressiva sugli

uiguri e avviare quello sviluppo che tante volte ha promesso82. Solo a queste condizioni la Cina può

sperare di stabilizzare la provincia e tenerla lontano dalle influenze radicali che provengono dai

vicini fratelli del jihad83.

IV.III Le altre pieghe della strategia non militare84

Uno degli aspetti che più ha caratterizzato la cooperazione tra la Cina e gli Stati Uniti è stato il lavoro congiunto nel settore dell’intelligence. La partnership politica tra i due Stati si è contraddistinta per essere una delle più riuscite, avendo entrambi direttamente a che fare con la

piaga del terrorismo85. A differenza del metodo esclusivamente militare che Bush non ha mai

80

http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=20060816174038.

81 J. Millward, Eurasian Crossroads, cit., p. 289. La percezione più diffusa tra gli uiguri è che essi vengano tagliati fuori

dalle prospettive di sviluppo e che a beneficiare di terre e di incentivi statali siano solamente gli han, favoriti dal piano governativo di reinsediamento nelle province occidentali. Uno dei settori nei quali tale disparità sembra sia più accentuata è quello dell’industria petrolifera; in R. Gunaratna, A. Acharya, W. Pengxin, op. cit., cap. 4.

82 «Ethno-nationalist and separatist movements never end militarily but by dialogue and concessions. The problems in

Xinjiang cannot be an exception to this trend. […]. The most effective weapon is economic development and community engagement using Muslim scholars and clerics.[…]. Balanced economic development will dampen the attraction for religious extremism and ethnic separatism among the local population», cit. da R. Gunaratna, A. Acharya, W. Pengxin, ivi.

83 M. E. Ahrari, op. cit.

84 Secondo Gunaratna «A multi-pronged, multi-dimensional, multi-agency and multinational approach is the key to

managing the current threat», con riguardo al fenomeno terroristico in generale. Per approfondimenti sulle strategie multilaterali e d’intelligence cfr. R. Gunaratna, Combating Terrorism (Regionalism & Regional Security), Singapore, Times Academic Press, 2005.

85 L’amicizia tra i due Paesi è stata suggellata da vari incontri a livello istituzionale che sono divenuti una consuetudine

nelle relazioni tra i due Stati. Il primo segnale di avvicinamento è stato lanciato da un messaggio di cordoglio di Jiang Zemin (all’epoca degli attentati agli Stati Uniti presidente della PRC. Aveva assunto la carica nel 1993 e rimase al potere fino al 2003) a Bush non appena la cancelleria cinese ebbe notizia dell’accaduto. La prima visita ufficiale di un rappresentante della Cina agli USA è stata quella del Ministro degli Esteri, Jiaxuan, il quale durante l’incontro disse che il suo Paese era pronto a condividere il sistema d’intelligence con quello americano. Per venire a tempi più recenti, nel 2009 il Segretario di Stato Hillary Clinton ha incontrato Bangguo, direttore del Congresso Nazionale del Popolo Cinese e questi ha ribadito l’amicizia tra Washington e Pechino. Per dettagli sull’incontro si suggersce la lettura dell’articolo

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pensato di abbandonare, Pechino ha mostrato un approccio “medico” al fenomeno. Convinta che andasse trattato come si tratta una malattia, non ha solo cercato di valutarne i sintomi ma ha anche provato a curarne le cause: povertà, sottosviluppo, analfabetismo e ignoranza sono stati affrontati destreggiandosi con abilità tra “la carota e il bastone” e potenziando l’apparato di spionaggio. Di

questa terapia d’urto contro il morbo del terrorismo ha prodotto un interessante studio Gunaratna86,

dal quale si trarranno le informazioni che seguono. La Cina ha costruito una struttura d’intelligence interdipartimentale e multilaterale il cui vertice è rappresentato da una agenzia che dipende direttamente dal Presidente della PRC, ovvero il Gruppo di Coordinazione Anti-terrorismo a livello nazionale (NATCG in sigla inglese). In costante comunicazione con questo gruppo lavorano tre organismi ugualmente nazionali, ossia il Ministero della Sicurezza di Stato (l’MSS), l’Esercito di Liberazione del Popolo (il già noto PLA) e il Ministero della Sicurezza Pubblica (l’MPS). Da quest’ultimo dipende l’Ufficio Anti-terrorismo (o ATB, in inglese Anti-Terror Bureau) che svolge compiti di ricerca e coordinamento delle operazioni che richiedono un intervento su scala statale. Altro cardine della rete antiterroristica è rappresentato dal Sistema di Risposta Rapida (in sigla inglese QRS, Quick Response System) che ha compiti di controllo preventivo, come per esempio sventare gli attentati prima che si verifichino. Cooperano con questa struttura il Sistema di Educazione e Mobilitazione di Massa (il MEMS) e il Sistema di Gestione e Controllo degli Effetti (il CCMS). Mentre il MEMS predispone programmi di educazione della popolazione e di addestramento della stessa ai comportamenti da assumere in caso di attentati, lavoro la cui finalità è la nascita di una vera e propria cultura antiterroristica, il CCMS si occupa della fase successiva, ovvero avvenuto un attacco terroristico, questa squadra di pronto intervento deve ristabilire l’ordine

e riportare il Paese alla normalità nel più breve tempo possibile87. Il giro si chiude con il Sistema

Allerta e Prevenzione (l’ETWS) che svolge soprattutto compiti di interpretazione e monitoraggio dell’attività terroristica e in questo senso è l’organismo di raccordo dell’intera struttura cui comunica le informazioni raccolte.

L’intervento legale invece ha visto un inasprimento delle leggi penali e dei meccanismi di controllo in punti sensibili quali aeroporti, porti e altri scali a rischio, al pari della maggior parte degli Stati

del mondo dopo l’11 settembre, su avviso del CdS delle Nazioni Unite88. In Cina sono stati adottati

86 R. Gunaratna, A. Acharya, W. Pengxin, op. cit., pp. 151-158.

87 Banco di prova del sistema sono state le Olimpiadi di Pechino del 2008. Squadre di soccorso formate da autobus,

tassisti e lavoratori erano pronte a distribuire generi di prima necessità in caso di attacco terroristico; inoltre la popolazione era stata istruita attraverso campagne porta a porta.

88 Le risoluzioni ONU all’indomani degli attacchi terroristici dell’11 settembre sono state nello stesso mese la No. 1368

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il documento “Notice on Strictly Combating Terrorism Activity in Accordance with Law”, nel

novembre del 2001, e un emendamento all’articolo 120 del Codice penale89.

IV.IV La politica del “tunken”90. Il reinsediamento e l’assimilazione della periferia al centro L’hanizzazione dello Xinjiang è una pratica che risale all’epoca Qing e che fu rafforzata dagli

ultimi imperatori cinesi dopo la provincializzazione avvenuta nel 1884 (junxian)91. Durante la prima

epoca imperiale essa si presentò sotto forma di aziende di stato strutturate militarmente secondo il

modello noto come tuntian92 che avrebbe anticipato la politica maoista prima e quella della “Porta

aperta” degli anni Ottanta-Novanta poi. La prima colonia statale Qing aperta nello XUAR93 risaliva

al primo Settecento, anche se fu solo dopo il 1759 che tale tipo di struttura assunse l’aspetto più articolato di cui oggi siamo a conoscenza, ovvero quello di fungere da centro di ricezione di condannati all’esilio e di soldati reimpiegati come contadini accanto alla popolazione locale. Dopo la riconquista dello Xinjiang avvenuta nel 1879 il fenomeno invece interessò in particolar modo l’amministrazione pubblica dove mongoli, manciù e uiguri, che fino a quel momento avevano ricoperto i ranghi più alti della burocrazia, furono sostituiti con personale di origine han, soprattutto ex soldati smobilitati dello Hunan che avevano militato nelle file dell’Esercito di Liberazione di

89 L’emendamento ha previsto una nuova fattispecie di reato quale quella del terrorismo, nonostante la lettera della

legge penale sia ancora molto vaga. I criteri per l’individuazione del reato di terrorismo sono stati definiti in un documento a parte redatto dal Ministero della Sicurezza Pubblica il 15 dicembre dello stesso anno. La pena coinvolge tutte le fasi dell’attività terroristica, dalla formazione di gruppi del terrore alla partecipazione diretta in attentati.

90 Gunaratna parla indifferentemente di tunken o juntun, mentre Becquelin riporta l’uso dell’espressione chan shazi

(“mescolamento della sabbia”). Si vedano R. Gunaratna, A. Acharya, W. Pengxin,op.cit. N. Becquelin, Xinjiang in

the…,cit.

91 Il sistema imperiale fu il primo a prevedere la “centralizzazione” delle periferie, nonostante gli spazi di autonomia

concessi a livello locale. Infatti benché la riforma dell’amministrazione avesse sfoltito le fila dell’esercito, eletto capitale amministrativa la città di Urumqi e suddiviso il Paese in contee e prefetture, pur dipendendo tutte da un governatore generale insieme al Gansu e allo Shaanxi, tuttavia era rimasta in piedi la classe dei beg (in uiguro “nobile”, termine alludente ai discendenti dei Moghul). L’idea di fare dello Xinjiang una provincia autonoma era stata di un tale Zuo Zongtang, convinto che fosse l’unica alternativa rimasta per salvare l’Impero. Egli fu osteggiato soprattutto dal Ministero della Difesa Marina, il cui portavoce di punta fu un certo Li Hongzhang, colui che a più riprese parlò di “inutile Xinjiang”, non essendoci terre a sufficienza da coltivare.

92 Un riferimento al sistema aggiornato al XX secolo è contenuto nel paragrafo Il grande Giallo maoista (1949-1980)

del presente lavoro. Per facilitare la comprensione si vuole qui ricordare che si trattò di un modello di migrazione relativo allo Xinjiang, per la prima volta sperimentato dall’antichissima dinastia Han, e predecessore del corpo dei

Bingtuan creati in epoca maoista e tutt’oggi, come si dirà più avanti, al centro della disputa sulla politica di integrazione

della provincia nel sistema han.

93 Le aziende imperiali erano principalmente presenti nel fertile nord dove, dopo la sconfitta dei Dungani, erano stati

abbandonati moltissimi ettari di terra. Infatti dai dati riportati da Millward, tra il 1760 e il 1830 mentre nella zona del fiume Tarim erano presenti solo un centinaio di mercanti cinesi, l’area di Urumqi vedeva già una forte presenza han. L’assimilazione del sud avvenne dopo quella data, anche se non fu affatto pacifica, ostacolata come fu dalle rivolte del 1860. Si veda J. Millward, Eurasian Crossroads…, cit., p. 104.

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Zongtang94 e prigionieri esiliati nelle province occidentali secondo l’usanza comune95. L’assimilazione non fu però totale. Infatti si mossero senza un preciso piano governativo anche masse di contadini del Gansu impoveriti dalla guerra di riconquista Qing contro i khojas centrasiatici. In questo periodo ci fu una sorta di “doppia migrazione” in quanto molti furono anche gli uiguri che, attratti dalle fertili terre del nord abbandonate dopo la guerra, emigrarono dal sud della provincia. Tale politica però diventò un uso consolidato solo a partire dall’epoca maoista, quando il flusso migratorio divenne costante grazie agli incentivi del PCC per lo sviluppo delle aree di confine, completando il processo di assimilazione etnica sul quale molto aveva insistito il Partito Nazionalista Cinese. Il picco degli spostamenti si ebbe sia negli anni della Rivoluzione Culturale sia

a causa della carestia96 provocata dal fallimento del Grande Balzo in avanti e riguardò personale

tecnico come pure lavoratori da ogni parte della Cina, i quali vennero per lo più inquadrati nei corpi

di lavoro militarizzati dei Bingtuan97, le “truppe d’assalto”, come amava chiamarle il Timoniere. La

strategia di Pechino ha certamente inciso sul quadro demografico d’insieme e alcuni dati danno agio di seguirne l’evoluzione. Per chiarezza si sono individuate tre grosse ondate migratorie. La prima, nel 1887, ebbe come destinazione i distretti di Aksu, Kashgar e Zhenxi-Dihua dove erano presenti 66.000 han, 33.114 tungani e 1.132.000 uiguri. Nel 1907-8 la popolazione totale oscillava tra 1.650.000 e 2.000.000 di persone, di cui la maggior parte, ancora uigura, viveva a Kashgar e

Aksu98. La seconda ondata coincise con la nascita della PRC. Nel 1949 gli uiguri costituivano

ancora l’82% della popolazione contro il 6.2% degli han99, che rimasero attestati intorno a questa

cifra anche negli anni successivi. Dal 1985 al 2001 (terzo grosso flusso migratorio) gli han sono diventati la seconda etnia dello Xinjiang, passando dal 6.2 al 37,6% (picco del 1990). In generale è diminuita la presenza delle minoranze. Per quanto riguarda gli uiguri essi sono passati dal 74,7% al

94 Tra il 1884 e il 1911 costituivano più della metà dei funzionari pubblici e la maggior parte non si era mai sottoposta

all’esame nazionale previsto per il reclutamento nell’amministrazione pubblica, potendo vantare solo il grado d’istruzione inferiore detto shengyuan. Si veda J. Millward, ivi, p.140.

95 Cfr. J. W.Cohen, Exile in Mid-Qing China: Banishment to Xinjiang, 1758-1820, New Haven, CT, Yale University

Press, 1991.

96

Se nel 1957 i bingtuan contavano una popolazione di 300.000 persone, dieci anni dopo essa era raddoppiata e la gran parte era costituita da giovani han andati nello Xinjiang a cercare una vita migliore. Cfr. T. P. Bernstein, Up to the

Mountains and Down to the Villages: The Transfer of Youth from Urban to Rural China, New Haven, CT: Yale

University Press, 1977, disponibile su URL: http://www.jstor.org/stable/2054245. Dagli anni Sessanta anche il sud era stato reso coltivabile attraverso questo sistema. Per maggiori dettagli si veda H. J. Wiens, Cultivation Development and

Expansion in China's Colonial Realm in Central Asia, in “The Journal of Asian Studies”, Vol. 26, n. 1, 1966, pp. 67-88,

disponibile in lettura online su URL: http://www.jstor.org/stable/2051832.

97 V. F. De Renzi, op.cit., capitolo I di questo testo. 98

J. A. Millward, Eurasian Crossroads…, cit., pp. 152-3.

99 A. Cappelletti, Gli uiguri del Xinjiang: processi politici e dissenso tra Cina e Asia centrale, in “ISPI”, n. 9, 2010,

reperibile in pdf sul sito dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale all’URL: http://www.ispionline.it/it/documents/Analysis_9_2010.pdf.

(18)

47,5% nello stesso arco temporale, mentre oggi ben il 95% della popolazione della capitale Urumqi è han100.

Ma cosa è cambiato tra il PCC maoista e il PCC attuale? Secondo Becquelin la politica di reinsediamento han oggi è meno diretta che nel passato. Sempre più raramente avviene in modo forzato e sempre più di frequente, invece, l’immigrazione viene incoraggiata attraverso incentivi

monetari, l’assegnazione di terre coltivabili101 e il potenziamento dei Bingtuan. Per quanto riguarda

quest’ultimo aspetto, nel marzo del 1990 i Corpi di Produzione e Costruzione sono stati trasformati in un vero e proprio ente associativo autonomo (jituan gongsi) sotto il profilo legale, amministrativo e finanziario. Il controllo sulla terra è quello che ha creato i maggiori problemi con

l’amministrazione locale, per lo più composta da musulmani102. A ciò si aggiungano le dispute

sull’acqua, sull’elettricità, sull’evasione fiscale, di cui i Corpi vengono di continuo accusati, e sulle strade. Non si dimentichi inoltre che l’ente ha un proprio sistema scolastico, gestisce una propria rete di ospedali e prigioni di esilio, molte delle quali appaiono ancora sotto forma di campi di

lavoro103, e il suo “reddito” resta un segreto, anche se con molta probabilità è proprio da Pechino

che riceve un finanziamento annuale. La riforma del 2004 ne ha snellito la struttura e riorganizzato le competenze, rafforzandone la dipendenza dal governo centrale e l’indipendenza dal governo provinciale, e attribuendo all’entità il nome nuovo di “Associazione per la nuova costruzione dello Xinjiang”. La struttura paramilitare che li caratterizza dagli anni Cinquanta non è stata toccata e oggi la struttura appare ramificata in un corpo di polizia detto wujing e in una milizia di 100.000

soldati detta minbing104, cui restano affidati tre compiti principali: protezione delle frontiere,

100 Dati testualmente dedotti da F. De Renzi, op. cit., p.189. In realtà, nelle fonti esaminate le cifre sono piuttosto

oscillanti. Per esempio, su una popolazione complessiva di poco più di 4 milioni di abitanti nel 1949, Gunaratna riporta una presenza uigura al 75.9% e han al 6.7%; mentre secondo il censimento del 2000, su un totale di 18.5 milioni di abitanti il 45% era uiguro e ben il 40.6% han. La popolazione han cresce a una media annua del 31.6%, due volte la crescita degli uiguri. Inoltre, le statistiche pubbliche non riportano le cifre relative al numero di soldati presenti nello XUAR. R. Gunaratna, A. Acharya, W. Pengxin, op. cit., cap.6.

101 «Le vaste dimensioni del Turkestan orientale non devono trarre in inganno: qui la terra abitabile è scarsa, dato che il

territorio è occupato dal vasto deserto del Taklamakan e dalle catene montuose Tianshan, Altai, a nord, e Kunlun, a sud. […]L’immigrazione massiccia sta dunque creando anche una catastrofe ecologica ogni giorno più evidente, nei confronti della quale le autorità cercano di applicare politiche di emergenza -come le recenti campagne di rimboschimento- che al momento non stanno producendo alcun risultato». P. Affatato, E. Giordana, A Oriente del

Profeta. L’Islam in Asia oltre i confini del mondo arabo, Milano, ObarraO ed., 2005, pp. 107-108.

102 Sono sotto la sua giurisdizione il 40% del totale della terra disponibile nello Xinjiang e del 30% di tutta quella

coltivabile.

103 I campi di lavoro sono previsti dal progetto di sviluppo per il sud dello XUAR, finanziato dalla Banca Mondiale e

che si è posto l’audace obiettivo di portare l’acqua in quella parte di provincia. Tuttavia il fatto che ai Corpi sia stato regalato il viso nuovo di un’associazione lo ha reso certamente più accettabile a livello internazionale, per esempio proprio alla Banca Mondiale che, con riferimento agli anni 1990-1997, pare abbia elargito finanziamenti per 20 miliardi di yuan. N. Becquelin, Xinjiang in the…, cit., pp. 79-80.

104La veste militare ha loro consentito di farla da protagonisti in diverse campagne repressive lanciate da Pechino. Negli

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