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Capitolo IV°

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Academic year: 2021

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Capitolo IV°

Analisi del film: La classe operaia va in paradiso.

Il seguente capitolo si propone di ripercorrere le varie tappe del percorso di scrittura intrapreso da Elio Petri e Ugo Pirro per realizzare il film che, per primo in Italia, ha affrontato il tema delicato e complesso del lavoro in fabbrica, ripetitivo e alienante, e delle conseguenze di tale alienazione nei rapporti interpersonali: a partire dalla pratica tipicamente neorealista di condurre un’inchiesta preparatoria al film fino alla descrizione delle singole sequenze che lo compongono, ho voluto proporre un’analisi principalmente volta ad illustrare in che modo i due autori hanno lavorato sull’idea iniziale e come quest’ultima si sia evoluta strada facendo.

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L'inchiesta preparatoria ( inverno 1970)

“Da principio esisteva in Petri e in me la voglia di realizzare un film sul mondo operaio. Era il nostro argomento ed era la nostra aspirazione, quanto bastava cioè a definire i materiali da ricercare, a iniziare un dialogo fra noi e con noi stessi. Non eravamo fuori e non eravamo dentro l'universo della fabbrica. Stavamo, per così dire, sui cancelli con il nostro passato politico, resi febbricitanti da quanto accadeva, aggrediti dall'impazienza. Da troppi anni svolgevamo la precaria funzione di alleati della classe operaia. La fabbrica era per noi niente altro che una galleria di figure e di oggetti, di voci che sentivamo distanti, irraggiungibili come avviene a volte nei sogni che non si riesce ad afferrare nella loro interezza. Eppure l'operaio e lo studente – questa guardia rossa inattesa – erano protagonisti assoluti dello scenario fiammeggiante di quegli anni. L'uno immerso nel suo universo rumoroso e stressante, schiavo del suo orgoglio muto, così indecifrabile; l'altro, fuori, in posa davanti ai cancelli della fabbrica, sudato, offeso dallo sfruttamento che gli altri dentro subivano e accettavano1”.

Ecco l'idea cinematografica, il primo fotogramma, l'immagine ferma dalla quale, però, può prendere avvio un cammino per qualsiasi

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destinazione. Petri intendeva realizzare un film sulla condizione operaia, sul lavoro in serie e sui danni fisici e psichici capace di provocare, sulle conseguenze che tale alienazione aveva nei rapporti familiari; voleva realizzare un film “di classe” senza però incappare nel rischio di fare un film “militante”, destinato ad un pubblico di militanti o di intellettuali impegnati, né tantomeno in quello di dare un'immagine falsata dei problemi reali attraverso il ritratto edificante di un operaio “simpatico”; voleva dar voce al suo dissenso e sostenere, con i mezzi a lui propri, la protesta degli operai, osservandoli da vicino, guardandoli lavorare, cercando di capire appieno le ragioni del loro profondo disagio ed evitando di perdersi in un'arida ricerca sui modi di organizzazione del lavoro di fabbrica. Racconta Pirro: “Bisognava avvicinarsi di più. L'obiettivo ipotetico che avevamo adoperato fino a quel momento non inquadrava le mani. Dovevamo non soltanto avvicinarci al soggetto fabbrica-operaio-studente,ma tentare un diretto coinvolgimento nostro e, nello stesso tempo, indagare senza sollevare sospetti(...) occorreva, cioè, rassicurare tutti, partecipando ai rischi che ogni lotta comporta, vivendo, in altre parole, da militanti2”.

Fu tale urgenza di documentarsi - e documentare al tempo stesso – a suggerire l'idea di condurre, secondo un modus operandi tipicamente

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neorealista e ormai caduto in disuso, un'inchiesta preparatoria al film. Poco distante da Cinecittà, a Roma, davanti ai cancelli di una fabbrica di apparecchiature telefoniche, la Fatme, i militanti di Poter Operaio urlavano con i megafoni verso gli operai asserragliati nei reparti e nelle officine: “(...)Li spingevano alla lotta con linguaggio ardente e ardito, colto e agitatorio, nuovissimo e disorientante. I sindacalisti legati al vecchio lessico sindacale erano scavalcati da quei proclami incendiari, zeppi di neologismi3”. Petri, insieme a Pirro e a Luigi Kuveiller, si presentava ogni mattina per filmare quelle energiche proteste che avevano, tra l'altro, provocato qualche licenziamento per ritorsione. Fu il caso dell'operaio Timperi, licenziato perché, unitosi agli studenti, aveva dato il via alla pratica dei cortei interni e, per primo, interrotto il lavoro alla catena:“ Si lottava per farlo rientrare in fabbrica; dall'esterno della fabbrica, arrampicati sui cancelli, studenti e operai licenziati urlavano nel megafono per incitare i compagni di lavoro a scioperare senza abbandonare la fabbrica. Scontento e disperato, indomabile e impaurito dalla sua stessa audacia, Timperi era l'ultimo prototipo prodotto dalla classe operaia. Divenne il nostro protagonista, si chiamò Lulù Massa4”.

3Ugo Pirro, op. cit., 2001, pag.45 4Ugo Pirro, op. cit., 2001, pag.46

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Lavori di sceneggiatura (Luglio-Agosto 1970)

Nell'estate di quello stesso anno, Petri e Pirro si trasferirono a Tor Vaianica, nella casa al mare del regista dove erano soliti rifugiarsi per lavorare ad un nuovo soggetto.

Una testimonianza preziosa di questa primissima fase creativa è data dai documenti contenuti nel faldone che ho potuto reperire presso il Museo nazionale del cinema di Torino perché gentilmente donato dalla signora Paola Petri: si tratta di appunti per il soggetto, di una prima versione dello stesso e dei dialoghi definitivi, il tutto scritto a macchina, quando da Petri quando da Pirro, e spesso corretto o commentato a margine. Sopratutto nei fogli contenenti i dialoghi definitivi, è affascinante osservare le piccole modifiche sulle battute, probabilmente inserite durante le riprese, o le note sui movimenti di macchina tra uno scarabocchio e l'altro: è stato emozionante avere tra le mani un documento tanto importante del modo in cui l'idea cinematografica, da quel primo fotogramma contenente la figura isolata di un operaio afflitto dal lavoro e castrato negli affetti, si sia evoluta fino a diventare storia quanto mai, ancora oggi, attuale ed intensa.

L'idea di realizzare un film sull'alienazione prodotta dal lavoro e sulle conseguenze a livello dei rapporti umani, Petri l'ha coltivata da sempre. Abbiamo già avuto modo di sottolineare quale rapporto di continuità

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esista tra il film del '62, I giorni contati, e La classe operaia va in paradiso5: decisamente differenti a livello formale – il primo, e molto apprezzato, fu definito “antonioniano” mentre il secondo rappresenta appieno l'approdo a quell'espressionismo linguistico elaborato da Petri nella fase più matura del suo cinema e spesso denigrato dalla critica – i due film riflettono sul conflitto interiore dei personaggi in campo come proiezione del conflitto in atto nella società, sulla scissione prodotta nell'individuo dal lavoro, sull'incapacità di re-inventare il proprio tempo esistenziale al di là della produttività. Possiamo, con tranquillità, dichiarare, sostenuti dallo stesso Petri, che I giorni contati può essere considerato come una prima versione de La classe operaia6: lo si deduce chiaramente, tra l'altro, sfogliando gli appunti per il soggetto, nei quali, nel periodo dal 6 luglio fino al 22 dello stesso mese, il protagonista della storia di Petri si chiama ancora Cesare Conversi. Vediamo, a questo proposito, in che modo si sono evoluti, a partire dagli appunti in questione, i personaggi principali del film e, con loro, l'idea che ne sta alla base.

5Vedi pagina 34 del terzo capitolo.

6 A questo proposito, Jean Marie Barbaro addirittura sostiene che “il personaggio di Militina, di un'importanza fondamentale nella presa di coscienza di Lulù, potrebbe essere il “fantasma” di Ce-sare Conversi, del quale, del resto non si sa con certezza se è morto nel finale, un pò “irreale”, de I Giorni contati”.(Jean Marie Barbaro, Si je peux vous suggerer une difference dans mon ouvre, in Jean Gili, Elio Petri, Facultè des Lettres et de Sciences Humaines, Nice, 1974, pag.159)

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Dagli appunti per il soggetto...

Si tratta di una quarantina di pagine nelle quali, come detto poco sopra, Petri e Pirro annotano, dai primi di luglio del 1970 fino al 24 agosto dello stesso anno, tanti possibili spunti da sviluppare, cercando, in questo modo, di definire il tema del film e di costruirne l'intreccio. Ecco una prima ipotesi. Protagonisti della vicenda sono due operai, Ce-sare Conversi e Medelina: il primo, ancora impiegato in fabbrica, il se-condo, da quest'ultima reso folle e rinchiuso in manicomio. Sin dalle primissime righe, Petri sottolinea con forza l'intento di mettere in chia-ra evidenza il pachia-rallelo tchia-ra la fabbrica e il manicomio: per quanto l'idea iniziale abbia poi subito numerose modifiche e per quanto, nella versio-ne definitiva del film, il ruolo di Medelina sia stato ridimensionato, la centralità della riflessione sulla pazzia come conseguenza necessaria ed inevitabile della vita in fabbrica – che del manicomio può essere consi-derata l'anti-camera – rimane immutata.

Nonostante l'internamento, Medelina è il più lucido tra i suoi compagni: sospetta un imbroglio dei padroni ai danni degli operai e per questo obbliga Cesare a portargli le loro buste-paga. I suoi sospetti sono confermati: i padroni truffano i lavoratori di cento lire (poi mille) alla settimana. È dunque questa la “trovata” iniziale, la causa scatenante le prime mobilitazioni. Conversi, diffidente verso la

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commissione interna, comunica la scoperta di Medelina ai compagni “di linea”: non è un militante ma si lascia coinvolgere nella lotta perché invogliato dai due milioni di arretrati a cui ha diritto.

Si ipotizza poi che Cesare abbia una doppia personalità: un leone in fabbrica, dove ha un'amante estremista di sinistra, e una pecora a casa, dove lo aspetta la moglie, che teme il suo coinvolgimento nella lotta e i suoi tradimenti. Non si fa ancora alcun cenno all'impotenza sessuale di Cesare-Lulù: anzi, si ipotizza che la moglie lo costringa ad avere continui rapporti per smorzarne l'aggressività e “per renderlo meno pronto alla rissa e alle avventure amorose7”.

Petri e Pirro manifestano presto alcuni dubbi sulla trovata dei tre miliardi (ovvero la cifra che la fabbrica ha sottratto con la truffa ai lavoratori): “(...)è forse troppo eccentrica e restringe tutto al rapporto tra l'operaio e il denaro”. Tra le tante osservazioni di carattere vario – interessante, ad esempio, quella sulla necessità di veicolare contenuti “rivoluzionari” attraverso forme tradizionali, che rimanda alle infinite polemiche sulla mancata novità formale del cinema di Petri (“Ma che cos'è un film rivoluzionario?Ugo dice:”Un film compatto in cui i contenuti siano eversivi” intendendo per “compatto” qualcosa come “narrativo” o tradizionale”) - leggiamo inoltre tra gli appunti: “C'è un

7La maggior parte delle citazioni di questo paragrafo sono tratte dagli appunti di Petri dei quali ci stiamo occupando.

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grido di terrore: io dico infatti “attenzione al Peppe De Santis che si annida in noi (...)Ugo si dichiara d'accordo. Tanto è vero che propone di ridimensionare Medelina nei limiti di un rapporto umano tra lui e Cesare senza svolti romanzeschi (...)”.

Scartando dunque le soluzioni troppo eccentriche, evitando le “peppate”, Petri e Pirro tracciano un nuovo possibile schema del racconto, tentando di ridimensionare la faccenda dei tre miliardi: la cacciata di Cesare dalla fabbrica è una conseguenza delle sue rivelazioni sulla truffa ma le successive mobilitazioni degli operai per farlo riassumere sono il frutto di una loro reale presa di coscienza che prescinde dalla questione economica. Vediamo, qui di lato, una pagina tratta dal plico degli appunti utile ad illustrare il modus operandi dei due autori (fig.1). Si profila chiaramente la possibilità di eliminare ogni riferimento alla truffa dei tre miliardi, riflettendo sul fatto che gli inganni dei padroni “si attuano per le normali vie del super-sfruttamento” ovvero per mezzo del cottimo. Leggiamo, negli appunti di tre giorni dopo, la proposta di Pirro a proposito del protagonista della storia: “(...) il personaggio passa alla lotta da uno stato di completo – sia pure anarchico – asservimento al sistema produttivo della fabbrica. Egli è addirittura un “campione” sul quale si provano i nuovi ritmi produttivi. Un incidente e la solidarietà degli altri lo spingono a

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(fig.1) prendere partito per le avanguardie”. Gli elementi di novità introdotti – l'incidente accorso a Cesare e il suo ruolo di cottimista-stakanovista – andranno, da ora in poi, a costituire il fulcro della storia e a definirne, con maggior precisione, gli intenti ideologici: “ Quando finalmente immaginammo che un cambiamento profondo, un “rovesciamento” intervenisse nei comportamenti pubblici di Lulù e precisamente allorché egli restava vittima di un incidente sul lavoro, di una

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mutilazione minima a un dito, avvistammo il tema8”. A tale passo avanti nella definizione del tema contribuì, come testimonia nuovamente Pirro, la scelta del titolo da dare al film9: “(...)nel

momento in cui pensammo di intitolarlo La classe operaia va in paradiso afferrammo il tema. Capimmo che Lulù Massa e gli altri come lui lottavano per un paradiso che si presentava come uno spazio vuoto, delimitato da un muro che gli operai dovevano e volevano abbattere, che il paradiso consistesse, appunto, nella fatica lunga, forse perpetua, necessaria ad abbattere quel muro che nascondeva niente altro che loro stessi. Tutto ciò divenne il sogno di Lulù rientrato in fabbrica, alla catena, a conclusione della lotta che aveva costretto la direzione a ritirare il licenziamento e un uomo a tornare ad essere macchina, bullone, pompa. Lulù quel sogno sospeso lo racconta ai suoi compagni di lavoro nel frastuono assordante delle macchine che copre la sua voce e trasforma alle orecchie degli altri il senso delle sue parole10”.

Ma torniamo agli appunti. Un minuscolo accidente provoca un profondo cambiamento nella coscienza del giovane operaio (Cesare-Lulù). La perdita della falange di un dito è la “trovata” attraverso la quale si produce il “rovesciamento” del personaggio che, per la prima

8Ugo Pirro, op. cit., 2001, pag.47

9 Fonte d'ispirazione fu un film russo dell'epoca rivoluzionaria, L'armata rossa va in paradiso. 10Ugo Pirro, op. cit., 2001, pag.48

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volta, percepisce lucidamente le miserabili condizioni della sua esistenza, nella fabbrica e in famiglia: “Senza quella ferita-trovata, Lulù Massa non avrebbe mai scoperto il disprezzo di cui godeva presso i suoi compagni di lavoro, il suo errore quotidiano, i suoi dolori privati11”.

Con la medesima ostinazione con la quale, fino a poco tempo prima, Lulù aveva rifiutato di farsi coinvolgere dalle proteste dei compagni del sindacato, abbraccia, adesso, la causa rivoluzionaria, le posizioni più estremiste degli studenti, accusando il sindacato stesso di complicità e di connivenza nei confronti della politica dei padroni: viene licenziato. Tra le pagine degli appunti, Petri e Pirro valutano di introdurre e sviluppare nuovi spunti: si ipotizza di inserire la scena di uno scontro, in fabbrica, tra fascisti e operai, che causa l'arresto di Lulù e dei suoi compagni di lotta; si accenna alle tre donne delle quali è innamorato (Lidia, Adalgisa e la studentessa estremista di sinistra); si propone, infine, di sottolineare il ruolo fondamentale che, nella vita dell’operaio – e, più in generale, nella società tutta – è svolto dalla televisione che “(…)rappresenta l'autorità con la quale non si può mai parlare direttamente, che non ci ascolta”. Delle tre proposte, l’unica effettivamente sviluppata dal film è l’ultima, come avremo modo di

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osservare nel paragrafo dedicato all’analisi delle singole sequenze: la presenza costante, nelle scene di ambientazione “domestica”, dell’apparecchio televisivo e della luce bluastra che emana e che avvolge i membri della famiglia intorno ad essa religiosamente adunati, ne indica la sostanziale centralità e la conseguente capacità di indirizzarne i gusti, gli interessi, i pensieri.

Riporto, nuovamente, due pagine degli appunti di luglio, nelle quali è interessante osservare in che modo i due autori tracciano le conclusioni del lavoro fatto fino a quel momento e verificano che il film risponda all'assunto ideologico dal quale aveva tratto le mosse, ovvero che - così come Indagine aveva sviluppato un'analisi dei rapporti tra cittadino e autorità visti dalla parte dell'autorità – approfondisca la natura dei rapporti tra il cittadino e autorità, visti dalla parte del cittadino (fig. 2- 3)

Da queste pagine, datate 20 luglio, si passa direttamente agli appunti degli ultimi giorni di agosto nei quali la trama del film è quasi del tutto definita e vicina al soggetto definitivo. Si fa cenno, ad esempio, allo spirito di adattamento piccolo-borghese del personaggio e alle sue nevrosi sessuali e, soprattutto, si sottolinea la presenza tra gli operai di un alto tasso di malati: “È importante stabilire in efficaci sequenze iniziali che il mondo della fabbrica è un mondo malato. Far vedere che

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le operaie si infilano i busti contro la scoliosi, che gli operai marcano

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Fig.3 visita, che tutti, più o meno, hanno mali di testa, ulcere, disappetenze, coliti croniche, mali di fegato. Cioè, nella fabbrica, regna un malessere fisico, espressione somatica di quello che Freud chiama “immenso malessere nevrotico” e che Marx chiama “lavoro estraniato”(...)La descrizione dell'inferno e del mondo malato del lavoro è una

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“invenzione”, una interpretazione che va molto al di là del dato politico-cronachistico (cioè della routine) ed è forse il dato sul quale costruire l'intero film: in sé, è anti-dialettale, cioè è comprensibile da tutti, italiani e no”.

Tali considerazioni sulla necessità di rappresentare la fabbrica come luogo nel quale il malessere psichico produce o alimenta malattie nervose che vanno a sommarsi a tutte quelle patologie che affliggono i lavoratori di determinati settori dell’industria, diverranno, come sottolinea Petri stesso, il dato dal quale prendere le mosse per costruire l’intero film e per definire le caratteristiche del suo protagonista: vediamo, nel paragrafo successivo, in che modo tali importantissimi spunti hanno preso forma nel testo definitivo, per poi concludere analizzando ciascuna delle sequenze che compongono la pellicola e sottolineando brevemente i procedimenti formali in esse attivati.

...alla sceneggiatura definitiva.

Entro la fine dell'estate, Petri e Pirro conclusero i lavori di scrittura del film. Grazie agli appunti dei quali abbiamo sinteticamente riassunto il contenuto, è stato possibile ripercorrere le tappe del processo creativo che ha condotto fino al testo che noi oggi conosciamo e che, nel

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paragrafo successivo, verrà segmentato ed analizzato più dettagliatamente e in relazione alle soluzioni stilistiche adottate in fase di ripresa. Rivediamo, in breve, quali sono i temi centrali nel film, che abbiamo già enunciato nel terzo capitolo ma che è utile riprendere prima di procedere a tale analisi delle singole sequenze.

Come si legge nella pagina riportata in fig.2, il principale intento della pellicola è quello di riflettere sui rapporti tra cittadino e autorità visti dalla parte del cittadino: è il punto di vista del giovane operaio, schiacciato dai meccanismi alienanti di un potere economico senza volto che ne condiziona l'esistenza facendo leva sul suo desiderio di “riscatto” sociale, a indirizzare lo spettatore e ad introdurlo nel mondo della fabbrica. È la storia di Ludovico Massa, detto Lulù, operaio cottimista il cui cognome-concetto rimanda chiaramente al contesto nel quale la sua vicenda si inserisce e del quale si sostanzia: è l'epoca nel quale, all'operaio professionale e altamente qualificato si è avvicendata la figura dell'operaio-massa, la cui alta sostituibilità è direttamente proporzionale alla dequalificazione delle sue mansioni e, quindi, alla sua sostanziale indifferenziabilità all'interno del ciclo produttivo.

Massa è l'operaio perfetto, servo del padrone, rispettoso delle regole ed orgoglioso di dimostrare la propria capacità di lavorare più veloce della macchina, a dispetto dell'umiliazione dei compagni. E' concentrato sul

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pezzo che produce, ad occhi fissi e denti digrignati, in un costante grido di rabbia, convulso, fino allo scoccare dell'ottava ora di lavoro, quando torna a casa e si lascia cadere di fronte ad un televisore perennemente acceso. Lavora per combattere la noia delle otto ore, per mantenere le due famiglie che perde ogni giorno di più.

Lulù è solo e spersonalizzato, impassibile di fronte al disprezzo dei compagni e ostinatamente indifferente alle loro battaglie politiche: vive per lavorare, per “incrementare la produttività”, per potersi permettere la macchina, il televisore e tutti quegli oggetti che può godersi nel poco tempo che gli rimane da vivere fuori dalla fabbrica, assieme alla sua compagna, Lidia, una parrucchiera spoliticizzata che scimmiotta le borghesi e con la quale Lulù non riesce più a fare l'amore. Prendono pienamente forma le nevrosi sessuali alle quali Petri accennava negli appunti, inevitabile conseguenza del rapporto di sudditanza che l'individuo instaura con un potere castrante e alienante: Petri mette in scena l'impotenza nella sua duplice valenza - letterale e simbolica - di disturbo della sessualità frutto della “repressione che comincia nell'infanzia per permettere alla società di impiegare pienamente tutte le energie dell'uomo12” e sintomo di una più generale incapacità di agire, di ribellarsi, di prendere coscienza delle proprie risorse perché

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passivamente assuefatti al pensiero dominante. Ma quando la macchina gli mozza un dito, Lulù apre gli occhi e percepisce l'assurdo della sua vita non vissuta: “Tutta la sua moralità, il suo corpo, la stessa vita familiare vengono investiti dall'urgenza di essere, ma non sa misurarsi, diventa un ribelle, un agitatore, abbraccia l'utopia degli studenti, si unisce a loro, sceglie la lotta dura, vede la fabbrica con altri occhi e la mostra agli spettatori finalmente quale è ma, nello stesso tempo,esperimenta, a sue spese, il distacco ancora esistente fra chi il socialismo lo sogna e chi lo deve costruire13”.

L'elemento grottesco del film, come sottolinea Roberto De Gaetano, risiede proprio in questa “illimitatezza” del desiderio che fa sì che Lulù indossi, di volta in volta, una maschera che ne occulta il sostanziale infantilismo: “L'assolutezza del desiderio, l'adesione troppo mimetica alla maschera del lavoratore-modello prima, e dello scioperante poi, non possono che rappresentare le forme di un'esasperazione ed esagerazione grottesca14”.

Impossibile non emozionarsi di fronte alla magistrale interpretazione di Gianmaria Volontè che fa del suo viso la maschera che Lulù, a seconda dell'occasione, indossa, senza mai smettere – brechtianamente – di

13Ugo Pirro, op. cit., 2001, pag.69

14Roberto De Gaetano, Il corpo e la maschera. Il grottesco nel cinema italiano, Bulzoni Editore, Roma, 1999.

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“mostrare” quella maschera e l'atto stesso del sussumerla. Altrettanto mirabile Salvo Randone nel ruolo del vecchio Militina, ex operaio pazzo che cerca ancora di abbattere il suo muro, fra le pareti fredde di un manicomio, ma che a sprazzi di lucidità guida Lulù alla consapevolezza.

Non è dunque l'intelligenza, ma l'istinto, il “desiderio illimitato”, a condurre Lulù alla lotta e, quando viene allontanato, quando non è più preda del bagno di folla che lo espone ogni mattina come vessillo della protesta, si ritira nel suo guscio scomparendo alla vista. Emblematica la scena in cui accatasta su un tavolo oggetti inutili che descrive e stima in prezzo di ore lavoro, premi ridicoli per una vita buttata nel caos della fabbrica, a farsi sputare in faccia schiuma da un tubo bollente. Quando la lotta sindacale riesce a riportarlo al suo lavoro, Lulù non gioisce; inebetito, non fa altro che riprendere il suo posto, ma questa volta alla catena di montaggio. Ormai alle soglie della pazzia, racconta, nel frastuono delle macchine che impedisce ai suoi compagni di capirlo, il sogno di un muro da abbattere oltre il quale si trova il paradiso, il cui accesso è interdetto agli operai: “(...)questi si mettono d'accordo per abbattere il muro, l'abbattono e trovano una nebbia spessa da cui emergono...essi stessi. Il problema del socialismo è interno a noi, il problema obbiettivo non è forse quello di abbattere il muro?Ecco il

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film15”.

Sopralluoghi (autunno 1970)

Come è ovvio che sia, l'ultima fase di lavoro prima di iniziare le riprese fu quella dei sopralluoghi. Petri aveva in mente un'ambientazione precisa per la sua storia - cercava una fabbrica il cui modello produttivo prevedesse la presenza della catena di montaggio - e spesso le visite alle officine ne deludevano le aspettative: fu, ad esempio, il caso del Tubettificio Ligure di Lecco considerato, dal regista, del tutto inadatto proprio perché il tipo di lavorazione ivi condotta era incompatibile con la sceneggiatura. Lo scenario preferito in cui ambientare la storia sarebbe stato, senza dubbio, la Fiat, ma in quegli anni caldi di contestazioni era decisamente improbabile pensare che una grande fabbrica permettesse ad una troupe cinematografica di varcare i propri cancelli. Come racconta lo stesso Pirro, il progetto di realizzare un film sulla classe operaia, il cui titolo sembrava tra l'altro preconizzare indescrivibili sventure16, aveva insospettito o addirittura “indignato” i

tanti imprenditori ai quali Petri si era rivolto: non sarebbe stato

15 Citazione di Petri in Alfredo Rossi, Elio Petri, La nuova Italia, Firenze, 1979, pag.78.

16“Gli industriali o i manager interpellati erano indignati soprattutto da una parola del titolo: “paradiso”, che, in ogni caso avrebbe dovuto rassicurarli o almeno incuriosirli. Al contrario bastava perché si rifiutassero persino di conoscere il contenuto del film, come se nella loro immaginazione scambiassero il paradiso per l'inferno o per l'Unione Sovietica”. (Ugo Pirro, Il cinema della nostra vita, Lindau, Torino,2001, pag.85)

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semplice trovare una location adatta se non si fosse presentata l'occasione “fortuita” della Falconi di Novara. La fabbrica novarese aveva dovuto interrompere, a causa di oscure manovre finanziarie, la produzione di ascensori, lasciando senza lavoro tutti gli operai ivi impiegati che, rifiutando di rassegnarsi alla chiusura definitiva, ne avevano occupato abusivamente i reparti, continuando a lubrificare le macchine nella speranza che potessero riprendere quanto prima a funzionare. Neanche la Falconi, in realtà, aveva la catena di montaggio: lo scenografo Dante Ferretti fu incaricato di costruirne una finta per la scena finale del film. Petri richiese al Tribunale l'autorizzazione per girare all'interno dei locali della fabbrica e impiegò quegli stessi operai che la presidiavano come comparse nel film: avrebbero interpretato loro stessi e replicato, per finta, i gesti fatti per una vita intera.

La realizzazione: Segmentazione e descrizione.

Titoli di testa (durata: 1'44''): scorrono sulle musiche originali di Ennio Morricone; dopo circa 1'30'' la musica lascia spazio al ticchettìo rapido della lancetta dei secondi di un orologio - offscreen - che funge da raccordo con la sequenza iniziale del film.

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Il ticchettare della sveglia - adesso onscreen - è il sottofondo del sonno agitato di Lulù ed è anche, a mio parere, un primo indizio del rapporto angosciante che egli ha con il tempo: così come, in fabbrica, Massa si distingue per essere il campione della produttività sui tempi del quale gli altri operai devono regolarsi e, come tale, ottimizza ogni singolo secondo, ripensato nei termini della sua capitalizzazione, allo stesso modo, a casa, non può dormire perché irrimediabilmente condizionato dal quel ticchettìo costante che gli ricorda che il tempo passa, da quel rumore che ormai ha “nel cranio17”. Si sveglia più volte durante la notte, accende la luce e si guarda intorno: sul comodino, delle gocce, probabilmente sonniferi; attorno, nella stanza, oggetti inutili e di pessimo gusto (un animale di pelouche che sembra fissarlo in atto di sfida e una gondola-soprammobile, souvenir di un viaggio probabilmente mai fatto) sono i simboli di quel “benessere” borghese per permettersi i quali Lulù lavora a ritmi disumani; accanto a lui, nel letto, Lidia, la seconda moglie, dorme e ansima, forse eccitata dal sogno di un rapporto sessuale che col marito non ha più.

L'inserto di una scritta al neon (BAN: ovvero il nome della fabbrica in cui lavora l'operaio Massa) introduce il suono della sveglia. Lulù si alza. La m.d.p indugia sui dettagli della stanza in cui dorme il figlio di

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Lidia, Arturo. In cucina, prepara il caffè e legge un giornale sportivo. Di nuovo in camera, Lulù sveglia Lidia e, chiaramente alterato, sudato, quasi disperato nel tono di voce, le espone la sua teoria per cui l'individuo altro non è che una “fabbrica di merda”: “Nel cervello c'è la direzione centrale...decide....fa i progetti e dà il via alla produzione...L'individuo entra in pista e si mette in movimento...i bracc...i gamb...la bucca...li occh...la lingua...tutto...mette in movimento e t'èl chi che lavure...agguanta il cibo...la materia prima(...)Uno...l'individuo lavora per mangiare...il mangiare viene giù...e qui c'è una macchina che schiaccia...ed è pronto per l'uscita...uguale che in una fabbrica...l'individuo è uguale ad una fabbrica...fabbrica di merda!18

La sequenza si conclude così, con lo sproloquio di Lulù che si rivolge al piccolo Arturo, camuffato da robot: “È un bambino quello lì?...È una truffa...è un marziano...un lunatico...un venereo...”

Già dalle primissime immagini, è possibile osservare l'intensità dell'interpretazione di Volonté, la sua inarrivabile bravura:i pochi gesti che compie nella prima parte della sequenza, da soli, descrivono un personaggio psicologicamente provato, angosciato; nel successivo scambio di battute con Lidia-Mariangela Melato, si comprende meglio

18 Tutte le citazioni del film presenti in questo capitolo sono tratte dalla sceneggiatura originale del film che ho potuto reperire presso la biblioteca del Museo Nazionale del Cinema di Torino perché gentilmente donate dalla signora Paola Pegoraro Petri.

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che tale angoscia deriva dall'alienante rapporto che Lulù ha con la fabbrica, con il sistema di produzione che la organizza e che egli non può fare a meno di applicare al suo corpo, a sé stesso, che della fabbrica è una mera appendice. A livello dell'inquadratura, notiamo che, nella maggior parte della sequenza – ed è questa una peculiarità del regista – Petri privilegia il primo piano e la mezza figura.

2° sequenza (durata: 1'42''): mattina - esterno fabbrica.

La sequenza si apre con una serie di quattro fotogrammi: i primi tre mostrano ciascuno una lettera che va a comporre, nell'ultimo, l'insegna della fabbrica in cui lavora Massa: la BAN. In sottofondo, una voce parla al megafono. Il commento musicale riprende quello dei titoli di testa. L'intera sequenza mostra come gli studenti dei gruppi rivoluzionari cerchino, fuori dai cancelli della fabbrica, di convincere gli operai che stanno entrando ad allearsi con loro, a costituire i CUB (comitati unitari di base),“per spezzare l'unione tra padroni e sindacati”, per abolire il cottimo: “Oggi...quando uscirete...sarà già buio...per voi la luce del sole oggi non splenderà...vi cuocerete al cottimo duro... otto ore di cottimo duro... uscirete vecchi...svuotati...credendo di aver guadagnato la vostra giornata e invece sarete stati derubati...di otto ore della vostra vita”. Le frasi violente degli studenti risuonano nell'aria ghiacciata di un terso mattino

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d'inverno. Si aprono i cancelli. Le inquadrature, in questa sequenza, sono quasi tutte plongée, dall'alto. La m.d.p.,posta frontalmente rispetto agli operai che entrano in fabbrica, arretra e mostra, in campo lungo, quella massa indistinta e indifferente alle parole dei rivoluzionari. Lulù sbadiglia. Di nuovo dall'alto, la m.d.p. sposta il suo punto di vista e va a seguire, con una carrellata in avanti, gli operai che camminano a passo svelto verso l'entrata. Per un momento, Petri abbandona il silenzioso corteo di lavoratori per mostrare la statua di un operaio che domina l'ingresso della fabbrica. L'inquadratura finale – la m.d.p. è posta alle spalle della suddetta statua – mostra, sempre dall'alto, il vialetto fino a pochi secondi prima tanto trafficato e ora completamente vuoto, immerso nella neve e nel silenzio. In lontananza, l'insegna della BAN, adesso al contrario: siamo entrati in fabbrica.

3° sequenza (durata: 12'21''): interno fabbrica.

La sequenza in questione è piuttosto articolata. Nel complesso, introduce e descrive il personaggio Massa, operaio stakanovista malvisto dai colleghi perché considerato un “leccaculo”, lo strumento del super-sfruttamento, il servo del padrone. Per un'analisi più dettagliata,conviene suddividere l'unità narrativa in tre sottosequenze: l'ingresso in fabbrica e l'avvio delle macchine; la mensa; il calcolo dei tempi di lavorazione.

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La prima sottosequenza (durata:4'06'' ) si apre con l'immagine di Lulù in testa alla processione di operai che entrano in fabbrica: la m.d.p. si mischia a loro e li segue da vicino. Una voce all'altoparlante si rivolge ai lavoratori, augurando loro un buongiorno ed esortandoli ad avere cura della macchina alla quale sono assegnati: “(...)badate alla sua manutenzione, le misure di sicurezza suggerite dall'azienda garantiscono la vostra incolumità, la vostra salute dipende dal vostro rapporto con la macchina, rispettate le sue esigenze e non dimenticate che macchina+ attenzione=produzione. Buon lavoro”. La m.d.p. segue, senza stacchi, gli operai che prendono posto: qualcuno si consola con la foto di una donna nuda, qualcuno si fa il segno della croce, qualcuno sputa sulla macchina con disprezzo. Lulù non perde tempo: accende la macchina, si sgranchisce gambe e spalle e inizia a lavorare. Il sottofondo musicale che accompagna quasi tutta la prima sottosequenza si interrompe per pochi secondi e lascia spazio agli effetti di avviamento e funzionamento delle macchine, per poi riprendere a commento del lavoro di Lulù: il suo sguardo è ormai completamente assorto ed è come se gli arti andassero da soli19. La

m.d.p. è vicinissima ai dettagli del suo corpo, soprattutto alle mani, al

19 Etienne Ballerini sottolinea come questa scena rimandi a quella assai celebre di Tempi moderni di Charles Chaplin nella quale Charlot, che avvita bulloni alla catena di montaggio, quando esce per la strada, continua ad avvitare qualsiasi cosa gli ricordi un bullone. (Etienne Ballerini, La classe ouvriere va au paradis, in jean Gili, Elio Petri, Faculté des Lettres et Sciences Humaine, Nice, 1974, pag.176)

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volto sudato, ai piedi: a queste inquadrature si alternano piani ravvicinati della macchina e zoomate sui singoli ingranaggi. La musica cessa su di un'immagine particolarmente significativa: la m.d.p., posta alle spalle dell'operaio che lavora, ne sfoca i contorni per mostrare, di fronte a lui, il disegno, su una parete, di un dito indice rivolto verso il basso, a ricordare simbolicamente agli operai la loro condizione di sottomessi. Accanto al disegno, l'ufficio del capo-officina, che scende per affidare a Lulù due nuovi assunti da erudire. Questi borbotta perché ha perso il ritmo. Ancora, montaggio alternato dei primissimi piani di Massa e dei dettagli sulla macchina. La m.d.p., infine, con un movimento ampio, segue i tecnici addetti a controllare i tempi di produzione che rimproverano l'operaio malato di prostata e quello con i capelli lunghi.

La seconda sottosequenza (durata: 2'93'') si apre con l'immagine delle sagome, nella nebbia, degli studenti che protestano fuori dai cancelli e che, con i megafoni, si rivolgono ai lavoratori. Siamo nella mensa. Gli operai che aderiscono al sindacato commentano l'iniziativa dei rivoluzionari:“(...)tentano una manovra scissionista...e organizzata...secondo me qua ci sono delle spie...”

Massa si siede coi nuovi arrivati e cede loro il suo pasto: non è generoso, è malato, ha l'ulcera e non riesce a mangiare. Spiega in due

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parole il perché e il come dei suoi ritmi disumani: “È che io in fabbrica mi annoio...mi rompo i coglioni...allora lavoro no...cosa devo fare...senti il concetto...la vita...traguardo..striscione...tutti dentro in pista...qui dentro siam tutti in corsa...io sono un campioncino qui dentro(...)poi ci sono i terroni...come questo qui, che sono pendolari...arrivano già stanchi e io li frego sul ritmo(...)io sono concentrato...ho una tecnica per concentrarmi...mi fisso col cervello...penso a un culo..qui dentro non c'è mica tanto da fare...visto che dobbiamo lavorare, lavoriamo..senza tante storie”. La sirena richiama gli operai al lavoro.

La terza sottosequenza ( durata: 5'23'') descrive la ragione per la quale Massa è tanto mal visto in fabbrica: i tecnici lo chiamano a controllare i tempi del cottimo e redarguiscono gli operai incapaci di sostenere gli stessi alienanti ritmi di lavoro. Petri adotta, anche in questo caso, primi piani e dettagli sulle mani che lavorano alternati ad ampi movimenti di macchina e inquadrature dall'alto degli operai del reparto c€he assistono alla prova di Lulù. Gli aderenti al sindacato si ribellano al caporeparto e protestano per l'immediata entrata in vigore dei nuovi tempi. Lulù torna alla sua macchina, al gesto meccanico e ripetitivo che lo porta, pian piano, ad assentarsi. Gli operai intorno a lui danneggiano le luci al neon e i megafoni del reparto, ma lui non si accorge più di

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nulla, straparla, sempre più sudato e sofferente, lo sguardo ormai completamente alienato: “(...) giovanotti, guardare e imparare..io sono già concentrato,sono già in un altro mondo..pensare solo al pezzo anche se non serve a niente..ogni pezzo è un buco, ogni buco è un pezzo..basta non cascare nel buco..per non cascare in questo buco...pensare al culo dell'Adalgisa...chiaro il concetto?”

La sequenza si chiude sul dettaglio degli occhi allucinati di Lulù.

4° sequenza ( durata: 4'51''): interno casa Massa

Una volta descritto il personaggio Massa al lavoro, Petri ne racconta la dimensione privata: la sequenza si apre sull'immagine di Lulù, in cucina, imbambolato davanti alla televisione, immerso nella luce bluastra proveniente dall'apparecchio. La m.d.p. mostra, accanto a lui, il piccolo Arturo e la compagna, Lidia, allo stesso modo ipnotizzati dalle immagini e dal suono del carosello in sottofondo. Lidia e Massa discutono senza mai distogliere lo sguardo dal televisore. Il problema principale tra i due è quello dell'apatia sessuale di Lulù: stanco, dopo una lunga giornata di lavoro, dopo gli insulti dei compagni che lo considerano un servo del padrone – ma “chi lo conosce il padrone?”, commenta - non ha più voglia di fare l'amore. In camera da letto Lulù borbotta mentre Lidia, che continua a rimproverarne l'impotenza, si spoglia : “Come si fa a fare l'amore con la carne in scatola...sembri

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finta...capelli finti...tette finte...unghie finte..”. Il tono di voce si fa sempre più lamentoso. Lulù, come un bambino, si mette a piangere: “io non lo so...sarà la stanchezza...ma lo vuoi capire, brutta porca maledetta che io per tirar su 'ste venti carte di più al mese mi faccio un culo così...e mi attaccano...mi sfottono...mi contestano...e so solo io quello che soffro...come un cane..”. Intenerita dalla sua reazione, Lidia, nel buio della stanza, tenta di stimolarne l'eccitazione: ma Lulù non può fare a meno di tornare con la mente alla fabbrica, ai pezzi che produce senza sapere a cosa servono e al culo dell'Adalgisa che lo aiuta ad essere più produttivo.

5° sequenza (durata:2’13’’ ): esterno fabbrica, mattino.

Davanti ai cancelli della fabbrica, i sindacalisti, da una parte, e gli studenti, dall'altra, si rivolgono agli operai che attraversano il vialetto nevoso che porta all'ingresso: come nella seconda sequenza, la m.d.p. passa sopra le loro teste con movimenti ampi per poi avvicinarsi ai volti dei due oratori. È senza dubbio questa la sequenza nella quale è messa maggiormente in evidenza la distanza tra le posizioni “attendiste” del sindacato e quelle più rivoluzionarie degli studenti: gli uni davanti agli altri, si contendono, come in una battaglia, le attenzioni degli operai, disorientati e indifferenti. Il rappresentante sindacale propone una contrattazione sul cottimo: “Il cottimo va pagato di

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più...più pezzi, più soldi!”

Dapprima fuori campo, e poi, dopo una carrellata sui lavoratori, in primo piano, lo studente replica: “Meno pezzi, più soldi, meno lavoro, più soldi, meno lavoro, più potere, dentro e fuori la fabbrica...operai..imponete al sindacato una piattaforma rivoluzionaria...il cottimo non si contratta, si abolisce!”

È altresì evidente il fatto che Petri abbia voluto dare una rappresentazione piuttosto stilizzata e schematica dei personaggi in campo: notiamo, ad esempio, la differenza nell'abbigliamento dei due schieramenti oppure la posa da volantino di propaganda dello studente barbuto, detto Marx: “I sindacalisti e gli studenti sono volutamente schematizzati. Si tratta di un settore della sinistra che è anche un settore della nostra coscienza: gli uni rappresentano il “tutto e subito”, e gli altri il buon senso. Le due forze sono simboliche della nostra costruzione mentale; ma bisognerebbe attivare tra di loro un processo dialettico. Sindacalisti, comunisti, socialisti e gli altri soffrono di un settarismo spaventoso(..)20”.

Si aprono i cancelli. Lulù è sempre il primo ad entrare. Come nella seconda sequenza, la m.d.p. segue, dall'alto, gli operai che procedono verso la fabbrica. Scambio di battute tra Lulù e Bassi, suo compagno di

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lavoro e attuale convivente della sua prima moglie: Massa ha un figlio e per il suo mantenimento dovrebbe dare diecimila lire settimanali ma rifiuta di farlo perché non guadagna abbastanza e perché già si deve occupare del figlio di Lidia.

6° sequenza (durata:4'25'' ): interno fabbrica

La sequenza si apre con una ripresa decisamente anomala. La m.d.p. è posizionata sul muletto guidato da Adalgisa che si avvicina lentamente a Lulù che lavora: questa scelta fa sì che la ripresa sia particolarmente instabile poiché sensibile agli sbalzi nell'andatura del mezzo. Scambio di battute tra Adalgisa e Lulù, la cui figura, come in una sorta di “quadro nel quadro”, è delimitata dal profilo del muletto stesso: oggetto della loro breve conversazione la verginità della giovane operaia, che Massa mette in discussione. La sequenza in questione è piuttosto importante poiché descrive l'evento che provoca il cambiamento di Lulù, il rovesciamento della trama, ovvero la ferita al dito. La m.d.p. si sposta nel reparto mostrando gli operai che, ad uno ad uno, lasciano il loro posto e vanno ad insultare Massa, che riprende con maggiore foga il suo lavoro alla macchina, sempre più veloce, sempre più sudato, sempre più alienato: al dettaglio sul volto di Massa si alterna il dettaglio sul pezzo che produce. La macchina si blocca. Massa tenta di estrarre con le mani il pezzo e si ferisce. Fuori campo il suono

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metallico della lama. Primissimo piano sul volto e particolare del sangue sugli ingranaggi. Urlo di dolore. Gli operai accorrono e immediatamente propongono lo sciopero. La concitazione della scena è resa attraverso l'uso della macchina a mano che si muove tra gli operai in agitazione e le riprese in campo lungo che ne sottolineano la mobilitazione in massa.

7° sequenza ( durata:2'70'') : interno casa Bassi

Lulù va a trovare suo figlio Armandino che vive, con la madre, a casa del collega Bassi. Come nella quarta sequenza, anche qui l'intera famiglia è immersa nella luce bluastra emessa dal televisore: è interessante notarlo perché indicativo del fatto che il tempo libero e i rapporti familiari ruotano esclusivamente attorno a quell'apparecchio ormai fondamentale simbolo di benessere, sostituto di qualsiasi altra forma di aggregazione e socialità. Bassi non ha detto nulla a proposito dell'incidente di Lulù che borbotta il suo disappunto. La famiglia della moglie lo guarda a mala pena, il figlio chiama “papà” il compagno della madre che, una volta rimasta sola con lui, ne teme le molestie: Petri sottolinea, ancora una volta, la negatività e la sgradevolezza del personaggio Massa, l'aridità dei suoi rapporti interpersonali frutto dell'assoluta e patologica devozione al lavoro.

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Ancora uno spaccato di vita familiare. Esattamente come nella quarta sequenza, la m.d.p. è piazzata dietro il televisore, che è in primo piano e al centro dell'inquadratura, e da quella prospettiva riprende la cena di Lulù con Lidia e Arturo. Il carosello in sottofondo e la luce bluastra nella stanza. Lulù si innervosisce perché mal tollera il disordine sul tavolo. A questo proposito, è interessante riportare l'aneddoto di Pirro circa l'evento che suggerì lo spunto per questa scena. Impegnato nelle riprese di un film con Comencini, Pirro aveva dovuto intervistare diversi operai dell'Olivetti di Pozzuoli. Fu particolarmente colpito dal racconto di uno di loro: “Quel gentile operaio dai capelli bianchi e dagli occhi celesti mi disse che, dopo tanti anni di lavoro alla catena, tutte le volte che si sedeva al tavolo per il pranzi insieme ai suoi familiari non riusciva a mangiare, a restare seduto se una sola forchetta, un qualunque coltello o bicchiere situati sulla tavola imbandita era fuori posto di un solo centimetro se , cioè, non rispettava la simmetria. Era costretto, allora, a raddrizzare, a ordinare i pezzi, ad irregimentarli, affinchè il gesto per afferrarli potesse essere compiuto nel tempo più breve possibile. Ormai egli considerava il pasto come una fase della lavorazione e si sentiva inconsciamente obbligato a rispettare la tabella oraria21”.

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9° sequenza (durata: 7'33''): manicomio

La m.d.p., posta al di qua delle sbarre di un manicomio, passa in rassegna i malati ivi rinchiusi, mentre Massa chiede loro informazioni su Militina: con un unico lungo movimento, Petri ne inquadra i volti assenti. La m.d.p. si sposta poi alle loro spalle e la carrellata ne riprende le nuche rivolte verso quella grata che li separa dal triste panorama dell'ospedale. Lulù trova Militina, intento a leggere un libro, “Spartacus”, dal quale strappa le pagine per nasconderle in tasca. Particolare sulle mani. Militina è un ex operaio della BAN, un vecchio comunista rivoluzionario, impazzito dopo tanti anni di lavoro ripetitivo e alienante. Massa ha portato con sé un piccolo taccuino rosso22 e le

buste paga che l'anziano amico vuole controllare. Lulù è chiaramente scosso e rivolge a Militina una serie di domande per sapere cosa lo ha fatto ad impazzire e come se n'è accorto: quella ferita alla mano ha provocato in Lulù un profondo cambiamento, una sorta di punto di non ritorno e questo dialogo con Militina è il primo segno della sua presa di coscienza, è una sorta di “faccia a faccia” con la sua ombra. Paradossalmente, è il folle ad aprire gli occhi al giovane operaio sulla condizione dei lavoratori nella fabbrica: “Sono gli altri che lo decidono quando uno deve diventare matto (…) a te...ti piacerebbe

22 “È il filosofo folle della condizione umana; legge Spartacus e si fa portare da Lulù il libretto rosso di Mao (...)” (Alfredo Rossi, Elio Petri, La Nuova Italia, Firenze, 1979, pag.76)

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sapere che cazzo fabbrichiamo noi nella fabbrica...a che servono tutti questi pezzi?(...) ma questa non è pazzia, perché un uomo ha diritto di sapere quello che fa...ha diritto di sapere a cosa serve...si o no?”

Ecco chiaramente espresso uno dei temi centrali in Petri, quello della fragile opposizione tra follia e normalità: Militina è rinchiuso in manicomio per essersi ribellato alla norma che gli imponeva di accettare silenziosamente gli ordini da eseguire, senza porsi domande, senza cercare di capire. Egli è la saggezza stessa, il personaggio chiave del film, l'unico veramente rivoluzionario: il folle che, come nella letteratura popolare italiana, è custode della verità, “il più vicino al paradiso, il visionario23”.

Dai primi piani di Lulù e Militina, la m.d.p., mentre quest'ultimo continua a parlare, si sposta per mostrare gli altri matti che stanno attorno. Uno di loro canta a squarciagola la sigla di carosello. Militina si alza e saluta il suo visitatore:“buona permanenza” gli dice, e se ne va, canticchiando “sciopero..sciopero”. Dallo sfondo sfuocato dell'immagine, Lulù raggiunge Militina e gli ricorda che è lui a doversene andare. Esemplare la risposta del vecchio: “Lulù..quando ti ricoverano...porta le armi...”

10°sequenza (durata:2’33’’) : esterno fabbrica, mattino.

23 Alfredo Rossi, op. cit., 1979, pag.39

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Fuori dai cancelli, come ogni mattino, si fronteggiano i sindacati e gli studenti: protestano per le sospensioni avvenute in seguito all'incidente di Lulù. Le riprese, come di consueto, mostrano le vicende atto in modo anomalo, da prospettive stravaganti, segno di una intenzionalità comunicativa che va esplicitamente oltre la semplice raffigurazione. Come nella 2° e nella 5° sequenza la m.d.p. segue dall'alto e con una carrellata in avanti gli operai che entrano in fabbrica. Questa volta però Lulù è l'ultimo ad entrare e, quando i cancelli si chiudono dietro di lui, torna indietro per sapere chi sono gli operai sospesi. La sequenza si chiude con l'immagine di Massa che procede a passo lento, ormai svogliato, da solo verso la fabbrica. L'intera scena ha, come sottofondo, il coro dei sindacati (“Unità sindacale”) e quello degli studenti (“Padroni borghesi...soltanto pochi mesi”).

11°sequenza (durata:5'47''): interno fabbrica

La voce dell'altoparlante che si rivolge “amorevolmente” agli operai introduce la sequenza: dalla postazione del caporeparto,dalle sue pareti di plastica colorata, l'ingegner Valli osserva gli operai e poi scende, seguito da un unico movimento della m.d.p., verso Lulù. Scambio di battute tra i due. Valli lamenta il calo del sette per cento nella produzione dopo l'incidente di Massa e incita paternalisticamente i lavoratori a “ritrovare quello spirito di collaborazione che aveva fatto

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dell'industria un gioiello in cui si componevano gli interessi dell'operaio e quelli del capitale...”.

Stacco netto sul cronotecnico. Ripresa dall'alto sul particolare del cronometro e delle mani dell'operaio. Fuori campo la voce di Massa che inizia a cantare. Ora in campo, Lulù continua a cantare mentre il tecnico lo rimprovera a causa del suo scarso rendimento - “i tempi che stai facendo sono da bambini...” - minacciando di dargli una multa. La risposta di Massa dice molto di un altro tema ricorrente nella filmografia di Petri ovvero l'infantilismo dei suoi personaggi, frutto della struttura paternalistica dominante nella società moderna - “(...)perchè qui non siamo trattati come bambini che vanno all'asilo infantile? Anzi...al riformatorio...” - fondata, come già osservato, sul rapporto gerarchico e profondamente conservativo che sta alla base anche dell'idea di famiglia.

Massa si ribella. Non può più accettare ciò che ha per troppo tempo subìto. La sua ferita è piccola eppure tanto profonda da raggiungere la coscienza.

12°sequenza (durata:2'31''): interno fabbrica, ufficio assistente sociale.

Lo psicologo sottopone Lulù a una serie di test di memorizzazione. Lulù ridacchia insieme ad un operaio che, dall'altra parte del vetro, lo osserva: un piccolo segno di complicità che mostra quanto il suo gesto

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di ribellione lo abbia già avvicinato ai colleghi della fabbrica. Particolare sulle mani dello psicologo che riordina nervosamente le matite sulla scrivania (così come Lulù in casa mette in bell'ordine le posate). Campo e controcampo sul dialogo dei due. Lo psicologo annota su un'incomprensibile tabella le risposte di Lulù. La discussione verte essenzialmente sulle sue capacità sessuali, messe in discussione in seguito all'associazione che Massa fa tra il dito che il dottore gli mostra e il membro virile: “Se vogliamo essere conseguenti...senza quel dito...è come se fosse castrato...”

Il tono con il quale si rivolge al dottore che lo osserva è sempre più lamentoso: come un bambino, Lulù difende la propria virilità, si giustifica, ne cerca la comprensione e l'approvazione, forse perché, dopo l'incontro con Militina, egli stesso sospetta di essere sulla strada della pazzia.

13°sequenza (durata:3’11''): esterno fabbrica, cancelli

È sera. La m.d.p., posta frontalmente rispetto al corteo degli operai che escono dalla fabbrica, con un movimento verso l'alto, mostra “l'imparziale”, il dispositivo di controllo che “sceglie” chi perquisire tra coloro che vi passano sotto. Commento musicale. Massa rifiuta di essere controllato dai custodi. Gli studenti continuano ad incitare la protesta, ad urlare nelle orecchie dei lavoratori con i loro megafoni nel

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tentativo di suscitarne, con frasi violente e provocatorie, una reazione. Quella di Massa non si fa aspettare: quando Marx lo segue alla macchina, picchiettandone il finestrino e incalzando con insistenza, Lulù scende e lo aggredisce, nella generale concitazione provocata dal suo gesto. Anche in questa sequenza, la maggior parte delle riprese sono dall'alto. Lulù sale nuovamente in macchina: è scosso, gli occhi pieni di lacrime, l'espressione disperata sul volto. La sequenza si chiude con una soggettiva dall'abitacolo della macchina che si allontana tra le urla e le proteste degli studenti, che Lulù cerca di coprire con il suono ininterrotto del clacson.

14°sequenza (durata:6’27''): interno fabbrica/esterno

Filo conduttore dell'intera unità narrativa, articolata in due sotto-sequenze, è la descrizione dell'avvenuto mutamento di Lulù, frutto di un conflitto silenzioso, di un percorso, fino a quel momento, del tutto interiore: Lulù prende coscienza del proprio ruolo politico e dà finalmente – e pubblicamente - voce al suo dissenso, alla profonda amarezza che prova nel rendersi conto di aver sacrificato la propria esistenza al lavoro. Tale processo di affrancazione è seguito da un atto di “liberazione” della libido: la scena della vettura e dell'amore con Adalgisa si inserisce in questo più generale discorso di acquisizione di consapevolezza.

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La prima sotto-sequenza mostra gli operai riuniti in assemblea. La m.d.p. indugia tra le macchine spente nel reparto buio mentre, in sottofondo, si sente discutere: gli operai sono divisi tra coloro che sono a favore del cottimo e ne propongono una semplice regolamentazione e coloro che sono contrari e ne chiedono la totale abolizione. Ai primi piani dei rappresentanti sindacali che parlano, si alternano campi lunghi sull'assemblea, quasi a sottolineare la coralità della scena. Si propone una votazione. Sottofondo di fischi e proteste. I tecnici appuntano i nomi dei sostenitori della posizioni più estremiste: in tutto, dodici. Tra loro, Massa, che prende la parola, sventolando innanzi a sé il dito amputato: “ Lo studente li fuori...ha detto che noi entriamo qui dentro di giorno....quando è buio..e usciamo di sera, quando è buio...ma che vita è la nostra??!(...) dice che noi siamo come le macchine...capito?! Che io sono una macchina...una puleggia..io sono un bullone...io sono una vite..io sono una cinta di trasmissione...io sono una pompa..e adesso...la pompa s'è rotta...e non c'è più verso d'aggiustarla!”

Lulù propone di abbandonare subito il lavoro e, seguito dallo sparuto gruppo di compagni, attraversa la folla e esce, mentre il sindacalista, sguardo in macchina, continua a parlare nel tentativo di farlo desistere per evitare la rottura dell'unità sindacale.

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Raccordo musicale tra la prima e la seconda sotto-sequenza. Esterno fabbrica:Lulù e gli operai che con lui hanno abbandonato il posto di la-voro, insultano quelli che ancora entrano, accompagnati dalle invettive degli studenti al di là della rete che delimita il confine della fabbrica. Quando questi ultimi si affrettano a raggiungere i cancelli, Lulù insie-me ad Adalgisa, scappa altrove. Stacco e soggettiva dall'abitacolo della macchina sul panorama desolato di una fabbrica abbandonata. Campo lungo della Cinquecento bianca di Lulù immersa nel nevoso paesag-gio, che entra nel capannone vuoto. L'incontro amoroso tra Massa e Adalgisa, ancora vergine, si consuma in modo frettoloso e ridicolo. Pe-tri sottolinea chiaramente la differenza nella concezione dell'amore, bassamente materialista da parte dell'uomo e sostanzialmente dialettica da pare della donna. La m.d.p. rimane sempre vicinissima ai personag-gi, sui dettagli del volto, del corpo, degli oggetti nell'auto. Si allontana solo per un istante, quello della conclusione dell'atto sessuale, sottoli-neato dall'urlo di dolore di Adalgisa. Lei, delusa dalla freddezza di Lulù, si riveste in fretta. Lui, cinicamente, commenta l'ottimo affare che ha fatto comprando la macchina e altrettanto rapidamente si riveste e, finalmente soddisfatto, mette in moto e se ne va.

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La sequenza in questione mette in scena l'esacerbazione delle proteste all'esterno della fabbrica: i sindacati che hanno organizzato uno sciope-ro di due ore incitano gli operai a non accettare le psciope-rovocazioni degli estremisti o della polizia. Camionette arrivano da ogni parte. Gli stu-denti, e con loro Massa e i pochi altri che hanno abbracciato le tesi dei rivoluzionari, sostengono la necessità dello sciopero ad oltranza e sono intenzionati ad impedire l'ingresso dei dirigenti e degli impiegati. Si aprono i cancelli e nessuno entra. Il pullman degli impiegati viene lette-ralmente assalito. Arriva, in macchina, l'ingegnere. Mentre dalle camio-nette scendono poliziotti in tenuta anti-sommossa, Massa si getta sul cofano dell'autovettura in movimento, che non accenna a rallentare. La situazione ben presto degenera:scoppiano i tafferugli, partono le manganellate, nella concitazione generale qualcuno dà fuoco all'auto mentre Valli scappa circondato dalle urla di protesta; gli operai si di-sperdono nel parco innevato che circonda la fabbrica e Massa rimane coinvolto in un pestaggio. L'intera sequenza è ripresa attraverso rapidi movimenti di macchina, intesi a restituire la concitazione del momento. Si osserva una marcata attività della m.d.p, che ricerca gli effetti di mo-bilità e di inquietudine tipici della macchina a mano.

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Effetto campanello d'ingresso sull'immagine di Lidia vista attraverso lo spioncino della porta. Lulù la fa entrare e guarda circospetto che nessu-no l'abbia seguita. L'unità narrativa in questione è assai interessante poiché nella reazione di Lidia alla scelta di Lulù di sostenere e ospitare gli studenti ricercati dalla polizia per i tafferugli alla fabbrica, nella pa-role che lei pronuncia si trova riassunta – e, se vogliamo, anche voluta-mente schematizzata – quella mentalità piccolo-borghese e il gretto in-dividualismo che ne deriva: “(...)io parlo eccome, perchè tanto io co-munista non lo diventerò mai! Perchè sono per la libertà io, hai capi-to? A me mi piace il visone e un giorno ce l'avrò perchè me lo merito, hai capito?Perchè lavoro io, è da quando avevo 12 anni che lavoro, hai capito? E me lo merito e sono brava”.

Gli studenti sono accampati nel salotto e, come di consueto in tutte le scene domestiche, immersi nella luce bluastra del televisore: Lidia ba-sita e sospettosa corre in camera per controllare che non le manchi nul-la. Un secondo suono del campanello annuncia un nuovo arrivo:è Marx con altri due “compagni” e il materiale necessario per accamparsi per la notte. Lidia esplode mentre quegli ospiti indesiderati ragionano di poli-tica: “Ma perchè te senza i padroni cos'è che saresti? Un morto di fame saresti!!e invece guarda che ci hanno dato tutto... e avresti anche un avvenire sicuro con i padroni!!”

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Prende il figlio e la televisione e se ne va. La porta si chiude e la m.d.p., immobile, aspetta che dopo pochi secondi, si riapra: gli studenti allarmati da fatto che Lidia possa chiamare la polizia se ne vanno fret-tolosamente lasciando Lulù solo.

17° sequenza (durata:5'33'): esterno fabbrica

I cancelli della fabbrica sono presidiati dalla polizia. I sindacalisti invi-tano gli operai a riprendere il proprio posto di lavoro e convocano un'assemblea nella mensa. La macchina a mano, segue gli operai che entrano in fabbrica, e si sofferma sulla macchina dell'ingegnere com-pletamente distrutta. Lulù viene bloccato sul cancello dai guardiani che gli impediscono di entrare e che lo trascinano nel gabbiotto per conse-gnarli la lettera di licenziamento. Lulù è disperato. Urla al megafono perchè i suoi compagni lo sentano, perchè facciano qualcosa per lui, perchè scioperino. Corre ai cancelli laterali nel tentativo di saltare den-tro ma, anche qui, i guardiani, lo bloccano. Interessante la posizione che la m.d.p. assume in questo frangente: la ripresa frontale di una delle sbarre del cancello definisce due campi, due quadri, l'uno nel quale agi-sce Lulù, l'altro nel quale si muovono i due guardiani. Lulù è solo e aspetta novità fuori dai cancelli: i compagni del sindacato gli comuni-cano che la proposta dello sciopero ad oltranza è stata respinta, tentano di rincuorarlo, promettono di continuare a combattere per lui.

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18°sequenza (durata:4'11'') : università

Accompagnato dalla voce fuori campo di uno studente al megafono che intima ai genitori di allontanarsi, Lulù si avvicina alle porte dell'Uni-versità, dove si tiene un picchetto. Si fa largo tra la folla ed entra: sta cercando Marx. Sta cercando il sostegno degli studenti che fino al gior-no prima ne avevagior-no incitato la ribellione. Lulù è stato licenziato per-chè si è ribellato: ma ora il suo è un caso personale e gli studenti, impe-gnati e divisi, non hanno né il tempo né l'interesse ad occuparsene: “Non possiamo stare dappertutto..ieri stavamo nelle officine, oggi nel-le scuonel-le, domani saremo giù nel sud, con i braccianti...noi cerchiamo di far esplodere le contraddizioni..per cambiare questo sistema di vita (…) il tuo è un caso individuale..personale...e non è questo che voglia-mo...noi vogliamo un discorso di classe...” Critico tanto nei confronti dell'attendismo che caratterizza la politica dei sindacati quanto nei con-fronti dell'estremismo di talune posizioni “gruppettare”, Petri è interes-sato esclusivamente – e in questa sequenza ma soprattutto nelle tre suc-cessive, lo esplicita a gran voce – alla disperata solitudine dell'operaio Massa, alla sua irrimediabile incapacità di ri-pensare il suo tempo esi-stenziale al di là del lavoro.

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Un vociare indistinto di bambini accompagna l'intera sequenza: Lulù va a trovare il piccolo Arturo all'uscita della scuola. Esordisce sottoli-neando che “sembrano operai piccoli”:la m.d.p. dopo una breve carrel-lata sui cancelli, si sofferma sul piccolo e ordinato corteo che esce. Bre-ve scambio di battute tra i due.

20°sequenza (durata:3'31'' ): manicomio

La sequenza si apre con l'immagine di Lulù, sfocato, sullo sfondo, die-tro alle sbarre, in primo piano, di quello che veniamo di lì a poco sco-prire essere il manicomio: è tornato a trovare Militina. In sottofondo, il coro indistinto delle voci dei ricoverati. “Se vuoi diventare matto, credi a me, devi tornare in fabbrica...io sono diventato matto in fabbrica...” Militina si scaglia contro il muro del manicomio nel tentativo disperato di abbatterlo per poi crollare, catatonico, su una sedia. Lulù lo osserva e se ne va, circondato dalla folla dei malati, che pronunciano confusa-mente frasi spezzate, parole:“muro...cervello...muro”.

21°sequenza (durata: 8’09’’): interno casa Massa

Suono del campanello e dettaglio dei piedi di Massa che si trascina stancamente verso la porta. Soggettiva di Lulù che guarda attraverso lo spioncino: l'immagine deformata dalla lente curva di quest'ultimo è quella dei volti degli studenti – con loro anche Adalgisa – tornati per

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spronarlo a riprendere il suo posto tra i protestatari, per i quali è dive-nuto un simbolo. Ma lui, ormai completamente inebetito e disilluso e paradossalmente consapevole della sua imminente pazzia, non apre. È, questa, una delle sequenze più importanti e significative nel film: Lulù prende lucidamente coscienza, nell'osservare i tanti e inutili oggetti che lo circondano, nel convertire il loro valore economico in ore di lavoro, di aver fatto scivolare via la sua vita, di averla impiegata per potersi permettere tutte quelle inutili cianfrusaglie. Il paperone gonfiabile sem-bra osservarlo, controllarlo: ormai delirante, Lulù lo aggredisce, quasi fosse il suo reale nemico, in preda alla paranoica sensazione di essere spiato. Lidia entra in casa e lo trova accasciato sul divano coperto dal cellophane e circondato dai resti dei tanti pasti lì consumati: entrambi tacciono mentre lei rassetta velocemente quel disordine e riporta in casa le sue cose. Lulù, stordito, le gira intorno e non dice nulla per poi ributtarsi su quel divano e addormentarsi biascicando parole confuse: “un muro...un muro...”

22°sequenza( durata:3’37’’ ):interno cassa Massa

Il suono del campanello, nel cuore della notte, sveglia il piccolo Arturo che va ad aprire la porta: sono i compagni del sindacato che cercano Lulù per avvisarlo che è stato riassunto in fabbrica. La luce della camera da letto si accende e Lidia sveglia il compagno che, sdraiato

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