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39 Capitolo 2. Ampliamento e ridimensionamento della fattispecie: verso la valorizzazione del ruolo valutativo dell’amministratore interessato

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Capitolo 2.

Ampliamento e ridimensionamento della fattispecie: verso la valorizzazione del ruolo valutativo dell’amministratore interessato

SOMMARIO: §1. L’ampliamento quantitativo ed il conflitto potenziale. – 1. Rilievi introduttivi: interesse non in conflitto? – 2. Prospettiva ex ante e prospettiva ex post: il termine di riferimento. – 3. Segue. Conflitto attuale e danno (potenziale ed effettivo). – 4. Il conflitto potenziale. – 5. La «determinata operazione della società». – 6. Interesse dell’amministratore e interesse della società. – 7. Segue. Interesse compatibile e interesse neutro. – 8. Solo una questione di nomen? – 9. Segue. L’effettiva portata della novella. – §2.La delimitazione della fattispecie ed il ruolo dell’amministratore interessato. – 1. Rischi di un’eccessiva estensione della fattispecie. – 2. Segue. Interesse sempre sussistente? – 3. La delimitazione: possibili itinerari. – 3. 1. L’interesse patrimoniale. – 3. 2. La «determinata operazione della società». – 3. 2. 1. Operazioni “gestionali” ed “organizzative”. L’incidenza sul patrimonio sociale. – 3. 2. 2. La singola operazione. – 3. 2. 3. L’operazione come condizione del soddisfacimento dell’interesse. – 3. 2. 4. Operazioni “bagatellari”. Altre possibili operazioni esenti. – 3. 3. La “rilevanza” dell’interesse. – 3. 4. Segue. La riconoscibilità sociale dell’interesse. – 3. 5. Il nesso funzionale. – 3. 6. L’interesse coincidente. – 4. Il momento soggettivo: il ruolo dell’amministratore interessato.

§1.

1. Si è visto come sia assolutamente dominante1 in dottrina l’idea che uno dei principali profili di novità della disciplina riformata risieda

1 Al proposito, si è ricordato che sostanzialmente senza seguito è rimasta la tesi

sostenuta da D.MAFFEIS, Il nuovo conflitto, cit., 531, per cui non vi sarebbe alcun ampliamento dell’ambito di applicazione della norma, «essendo, invece, la nozione rilevante di conflitto di interessi la medesima, ed essendo soltanto il giudizio sulla sussistenza di un conflitto rimesso dall’amministratore interessato al consiglio» (cfr. altresì ID., Il “particolare rigore”, cit., 1062 ss.). Invero, se, come si vedrà, sembra potersi effettivamente criticare l’idea di un ampliamento quantitativo, nondimeno non pare condivisibile il rilievo sollevato dall’A. Ritenere che la nozione di conflitto sia la stessa e che tuttavia sia oggetto di uno spostamento, soggettivo e “temporale” (se ne parlerà diffusamente nel prosieguo), presuppone ineluttabilmente che, avendo riguardo al singolo amministratore interessato e dunque ad un momento preliminare, ci si confronti con una nozione più ampia di quella poi oggetto di valutazione da parte del consiglio. Delle due infatti l’una: o si nega lo spostamento della valutazione, potendosi allora ammettere che la nozione sia la stessa e non risulti ampliata. O si ammette detto spostamento, dovendosi però riconoscere che la nozione, ex ante, sia differente e più ampia. Non escludo, peraltro, che alla base della

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nell’ampliamento della fattispecie su cui si regge l’intera impalcatura costruita dal legislatore con la disposizione in esame: ampliamento che sarebbe realizzato per il tramite del riferimento ad ogni interesse che l’amministratore abbia in una determinata operazione della società, anziché al solo interesse in conflitto con quello di quest’ultima.

Si tratta qui di prendere atto dei rischi insiti in un simile ampliamento e della conseguente necessità – vero e proprio punto di passaggio obbligato, come si vedrà – di procedere (con l’ausilio dell’interpretazione) ad una delimitazione della fattispecie rilevante, dando conto (questo l’aspetto che maggiormente ci impegnerà) di alcune possibili vie attraverso le quali può pervenirsi a siffatto risultato.

Occorre prima, peraltro, soffermarsi sull’essenza dell’anzidetto ampliamento, conducendo un’indagine che non si arresti alle mere formule impiegate dal legislatore, o meglio che tenti di sviscerarne l’autentico significato.

Può muoversi dalla diffusissima equazione per cui la sostituzione della locuzione «interesse in conflitto» con quella (più generica, forse anodina2, parrebbe comunque generale, nel senso tecnico di delineante

un genus) «ogni interesse» determini l’inclusione nell’ambito della fattispecie rilevante anche dell’interesse non in conflitto3.

Quest’ultimo, poi, viene ad essere variamente qualificato4: qui può

ricordarsi la caratterizzazione in termini di interesse «neutro»,

ricordata impostazione (qui criticata) vi sia, in ultima istanza, un sostanziale fraintendimento. Ma sul punto si rimanda al testo.

2 Così si esprime G.MINERVINI (nt. 1, cap. 1), 584, come si è già avuto modo di

ricordare (v. supra, cap. 1).

3 V. ex multis G.GUIZZI (nt. 7, cap. 1), 654; M.VENTORUZZO (nt. 9, cap. 1), 440; U.

PATRONI GRIFFI (nt. 107, cap. 1), 462; C.MARCHETTI (nt. 31, cap. 1).

4 Lo ricorda anche D. MAFFEIS, Il “particolare rigore”, cit., 1066 s., nt. 40: che, oltre

a C.MACRÌ (nt. 128, cap. 1), 138 (su cui v. immediatamente infra), cita, tra gli altri, F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e di

diritto pubblico dell’economia, Padova, 2003, 261, che parla di «interesse solidale».

V. altresì S.PACCHI (nt. 21, cap. 1), 683, la quale si esprime in termini di «interesse condiviso».

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prospettata da uno dei primi commentatori5; nonché quella di interesse «conforme» o «compatibile» con quello della società, ancor più diffusa in dottrina6.

Ma ci si può chiedere (e la domanda è, forse, solo apparentemente provocatoria): davvero esiste un interesse che possa dirsi non in conflitto? Davvero, cioè, salvo il caso limite dell’interesse coincidente (il quale peraltro risulta di non facile enucleazione)7, residua uno spazio per un interesse neutro o compatibile con quello della società, che si contrapponga ad un interesse in conflitto?

Ho ragione di dubitarne. Ma si impone al riguardo un’attenta riflessione.

2. Reputo, anzitutto, fondamentale sottolineare la discrasia tra

prospettiva ex ante e prospettiva ex post8.

Occorre tuttavia intendersi: predicare il carattere preventivo o successivo (della prospettiva, ma altresì di una situazione, un obbligo, un istituto) è operazione intrinsecamente relativa, posto che – è ovvio – sottende un termine di riferimento, rispetto al quale solo può assumere significato una caratterizzazione quale quella in parola.

5 V. C.MACRÌ (nt. 128, cap. 1), 138 (che si avvale di una definizione tratta da P.

SPADA,L’Amministrazione della società per azioni tra interesse sociale e interesse di

gruppo, in Riv. dir. civ., 1989, I, 233 ss.). Siffatta caratterizzazione (in termini di

interesse «neutro o addirittura conforme all’interesse della società»; sull’interesse conforme v. infra nel testo) si trova poi citata adesivamente da M.VENTORUZZO (nt. 9, cap. 1), 440, F. BONELLI (nt. 17, cap. 1), 147, nt. 200-bis.

6 V., oltre a C.MACRÌ (nt. 128, cap. 1), 138, L.ENRIQUES A.POMELLI (nt. 51, cap.

1), 760; G.M.ZAMPERETTI (nt. 17, cap. 1), 1086. Di «interesse concordante» parla D.U.SANTOSUOSSO (nt. 10, cap. 1), 143; di interesse «convergente» F. BONELLI (nt. 17, cap. 1), 147.

7 L’interesse coincidente sarà oggetto di approfondita analisi nel prosieguo (v. infra,

in questo capitolo).

8 Sulla distinzione tra le due prospettive v.D.MAFFEIS, Il nuovo conflitto, cit., 522: il

quale (ivi, nt. 9) ne trae motivo per evidenziare l’inadeguatezza della ricostruzione (sulla quale v. S. AMBROSINI, L’amministrazione e i controlli nella società per

azioni, in La riforma delle società. Profili della nuova disciplina, a cura di S.

Ambrosini, Torino, 2003, 65; cfr. altresì S.PACCHI (nt. 21, cap. 1), 682 s.) secondo cui «la prima novità» della disciplina riformata risiederebbe nella circostanza che l’obbligo di informazione dell’amministratore operi anche allorquando «l’operazione sia nell’interesse della società» [(corsivo nel testo); si osservi peraltro che una simile ricostruzione è mutuata dalla stessa Relazione al d.lgs 6/2003].

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Ora, nella materia oggetto di indagine un simile termine di riferimento può essere invero duplice, ed è siffatta duplicità, a ben vedere, che si pone all’origine delle sovrapposizioni terminologiche (quando non dei veri e propri fraintendimenti) che contraddistinguono detta materia. In primo luogo, soccorre l’attività deliberativa9 dell’amministratore,

estrinsecantesi fondamentalmente (per limitarsi all’ipotesi più semplice di deliberazione in seno ad un regime di amministrazione pluripersonale, rectius di deliberazione affidata ad un organo pluripersonale10) nella partecipazione alla discussione (ed alle attività a questa connesse) e culminante poi nella votazione.

È con riguardo a siffatto referente che si apprezza l’anteriorità o posteriorità rispetto all’eventuale abuso, dunque rispetto al conflitto di interessi: giacché è nel momento in cui l’amministratore è chiamato a prender parte alla procedura deliberativa che si paventa la possibilità che egli orienti la propria attività in direzione altra rispetto a quella che sarebbe richiesta ai fini del corretto espletamento della propria funzione11. Ed è nel momento in cui siffatta procedura ha avuto termine (con l’assunzione della deliberazione) che può per converso rilevarsi se quella possibilità di deviazione si sia davvero concretizzata; insomma se quel conflitto di interessi, ex ante solo in potenza, si sia – per usare l’efficace (pur se spesso abusata) terminologia aristotelica – tradotto in atto.

Al riguardo, allora, davvero sembrano appropriate (a dispetto delle critiche talora mosse in dottrina12) le categorie del conflitto di interessi

potenziale ed attuale.

9 Cfr. D.MAFFEIS, Il nuovo conflitto, cit., 521.

10 Invero, nel caso di amministrazione monocratica, o nel caso di organo delegato

monocratico, un’attività deliberativa neppure si darebbe: ma v. infra, in questo capitolo.

11 Il rischio di abusi può certo prospettarsi anche in sede attuativa, sub specie di

(indebite) deviazioni dal deliberatum: v. peraltro i rilievi sviluppati infra, in questo capitolo, e nel cap. 3.

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3. Viene poi in considerazione – è questo il secondo termine di

riferimento prima evocato – la fase (almeno logicamente successiva) di attuazione della deliberazione, dunque di trasposizione della stessa all’esterno13: è qui che si situa la possibilità di un danno alla società, il

quale, in linea di massima14, solo con siffatta trasposizione è destinato (ovviamente si tratta solo di un’eventualità) a divenire effettivo.

In altri termini, se prima e dopo l’attività deliberativa si hanno rispettivamente il conflitto di interessi potenziale ed attuale, prima e dopo l’attuazione della delibera si hanno per converso il danno potenziale ed il danno effettivo (o attuale)1516.

Ed è opportuno sottolineare come – già lo si è anticipato17 – tra la situazione di conflitto di interessi attuale e quella di danno potenziale vi sia piena coincidenza.

Il primo, infatti, «si avrà quando l’operazione sia deliberata a condizioni tali da ledere l’interesse sociale», non richiedendosi peraltro l’effettivo prodursi della lesione, ma risultando per contro sufficiente

13 Di «conformazione […] della realtà al deliberatum» parla L.ENRIQUES (nt. 2, cap.

1), 288 con riguardo al «compimento dell’operazione».

14 Per le delibere self-executing v. nt. 16.

15 Queste fondamentalmente le sovrapposizioni terminologiche di cui si diceva. Si

osservi, poi, che la duplicità dei termini di riferimento che si è qui analizzata implica altresì che ciò che può dirsi successivo rispetto all’uno ben possa apparire preventivo rispetto all’altro: emblematico al riguardo l’istituto dell’impugnabilità della deliberazione contemplato dal 3° comma della disposizione in commento, che è stato efficacemente definito (con un evidente ossimoro, peraltro pienamente giustificabile alla luce dell’anzidetta duplicità) quale «rimedio […] preventivo» (così L.ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), 473; v. altresì L.ENRIQUES –A.POMELLI (nt. 51, cap. 1), 768). Detto istituto, infatti, per un verso è destinato ad intervenire ex post, successivamente cioè all’abuso (donde la configurazione come rimedio – e si ricordi che di sanzione si è parlato nel primo capitolo); per altro verso, tuttavia, è destinato a porsi come (v. sempre L.ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), 332) «strumento, per così dire, «cautelare», [atto, di regola, ad] evitare il danno che la società subirebbe qualora fosse eseguita la deliberazione» “abusiva” (e di qui allora l’ulteriore qualificazione in termini preventivi).

16 Non si nasconde che la ricostruzione possa apparire semplicistica; non in grado,

quanto meno, di fornire un quadro esaustivo dell’esistente: giacché i due momenti (deliberativo ed attuativo) non sempre ricorrerebbero, ben potendosi rinvenire ipotesi in cui manchi il primo (è il caso dell’attività monocratica), ed ipotesi in cui manchi il secondo (è il caso delle delibere self- executing). Ma il rilievo è forse superabile, ove si consideri che, a ben vedere, nelle anzidette ipotesi i due momenti, pur non esteriormente percepibili come distinti, dovrebbero pur sempre reputarsi esistenti.

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che la stessa sia ragionevolmente prevedibile nel momnto in cui l’operazione venga ad essere deliberata18.

Si impone, dunque, al riguardo una valutazione prognostica (destinata ad assumere la veste di una prognosi postuma, se condotta quando ormai la deliberazione sia stata assunta – come tipicamente accade in sede di giudizio ex art. 23913 c.c.19), che tenga conto «di tutte le informazioni note agli amministratori (o da loro conoscibili usando l’ordinaria diligenza) nel momento in cui presero la deliberazione»20 21.

Non è pertanto sufficiente ad escludere la sussistenza del conflitto di interessi attuale la circostanza22 che, per eventi successivi non prevedibili al momento dell’assunzione della deliberazione, l’esecuzione della stessa non abbia cagionato danno alla società23: non

basta cioè che manchi il danno effettivo, risultando quel conflitto ancorato ad un quid minoris, che si estrinseca appunto nella (sola) potenzialità dannosa24.

18 Così L.ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), 190 s., nell’ambito di un’ampia ricostruzione dei

possibili modi di atteggiarsi del rapporto tra interesse dell’amministratore ed interesse della società in relazione ad una determinata operazione.

19 Cfr. al riguardo L.ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), 344. Sostanzialmente negli stessi

termini (pur esprimendosi invero dubitativamente sulla possibile qualificazione del giudizio ex art. 23913 c.c. in termini di prognosi postuma) si pronuncia altresì G.

MINERVINI (nt. 1, cap. 1), 594.

20 Così ancora L.ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), 343.

21 Invero siffatta valutazione prognostica vale soprattutto ad escludere che, nel caso

di deliberazioni non potenzialmente dannose ex ante, che però si rivelino effettivamente dannose ex post, sia ammissibile l’impugnazione delle stesse (cfr. L. ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), 344, nonché 346 s., nt. 46). Quanto alla (diametralmente opposta) discrasia tra danno potenziale e danno effettivo (cui ci si riferisce nel testo), che ricorre quando si dia il primo (ex ante) e non già il secondo (ex post), v. le precisazioni di cui alla nt. 24.

22 Oltre a quella – ma sembra davvero un’ovvietà (tanto da non essere neppure presa

in considerazione da Enriques, nei passi citati in questa sede) – che il danno ancora non si sia prodotto, essendo intervenuta l’impugnazione prima che la deliberazione abbia trovato esecuzione (in consonanza, d’altro canto, con il carattere preventivo dell’istituto che si è sopra rilevato).

23 Così L.ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), 191, nt. 149.

24 Il che, appunto, ai fini dell’enucleazione della nozione di conflitto attuale. Sembra

peraltro doversi condividere l’opinione (sulla quale v. ivi, 344) per cui, alla luce della

ratio dell’istituto dell’impugnazione della delibera, la stessa deve escludersi, ove la

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4. D’altro canto, più che sul discrimen che intercorre tra danno

potenziale (e pertanto conflitto di interessi attuale) e danno effettivo, occorre qui soffermarsi sul binomio precedente: quello che contrappone conflitto potenziale e conflitto attuale.

Deve al riguardo osservarsi come, al pari del secondo, anche il primo ruoti intorno alla portata lesiva dell’operazione nei riguardi dell’interesse della società; e come peraltro, sempre al pari del secondo, anche il primo non necessariamente presupponga l’effettivo verificarsi della lesione, richiedendo per converso che la stessa possa ammettersi in via prognostica25.

A differenziare le due nozioni si pone tuttavia il fatto che, ai fini della sussistenza del conflitto potenziale, risulta sufficiente un grado minore di probabilità che la lesione effettivamente si produca.

Ove si volesse trasporre in termini schematici l’opposizione in parola, potrebbe allora affermarsi che, se il conflitto attuale postula la

probabilità del verificarsi di un danno alla società, il conflitto

potenziale è per converso ancorato alla mera possibilità di un danno. Quest’ultimo, infatti, «si avrà quando, ipotizzando che l’operazione venga deliberata dall’amministratore interessato e che questi scelga di perseguire il proprio interesse, sia ragionevolmente prevedibile che l’operazione risulti […] lesiva del[l’interesse della società]»26.

Invero, una simile definizione (riferendosi alla ragionevole prevedibilità della lesione) sembra prospettare un giudizio pur sempre probabilistico; e purtuttavia a venire in rilievo è una sorta di “probabilità condizionata”, subordinata cioè alla condizione che l’amministratore persegua il proprio interesse. Donde la rilevanza della mera possibilità di un danno, posto che il verificarsi di quella

eseguita, per qualunque motivo, recato danno alla società» (né il danno possa più verificarsi).

25 Cfr. L.ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), 189. 26 Così ivi, 188 s.

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condizione è solo eventuale, non potendosi preventivamente escludere che l’amministratore rinunci a perseguire il proprio interesse27.

E l’accento deve porsi proprio sul carattere inevitabilmente preventivo della prospettiva adottata, allorquando ci si volga a valutare la sussistenza del conflitto potenziale.

Al proposito, la distanza che separa le due nozioni di conflitto di interessi (in termini di anteriorità e posteriorità della visuale prospettica, e su cui invero già ci si è soffermati) emerge con chiarezza dalle definizioni appena analizzate: per un verso, infatti, asserire che il conflitto attuale «si avrà quando l’operazione sia deliberata a condizioni tali da…» significa ancorare quel conflitto ad una situazione in cui l’attività deliberativa sia già stata posta in essere, attribuendo altresì rilevanza alle modalità di estrinsecazione (il

quomodo) della stessa; per altro verso, poi, ammettere che il conflitto

potenziale «si avrà quando, ipotizzando che l’operazione venga deliberata dall’amministratore interessato […], sia ragionevolmente prevedibile che…» significa per contro postulare che in tal caso l’attività deliberativa (che si ipotizza sarà orientata in una qual certa direzione) non abbia ancora trovato compimento, in pari tempo negando qualsivoglia rilievo alla «verifica dell’effettivo contenuto, lesivo o meno dell’interesse sociale, della deliberazione poi presa»28.

5. Ora, per dare significato a simili rilievi, sì da poter progredire

nella nostra indagine – evitando per converso di ridurli ad una sterile ripetizione del già detto29 – , occorre introdurre un’ulteriore variabile30: il riferimento è alla «determinata operazione della società», cui risulta

27 Cfr., ad esempio, N.SALANITRO (nt. 21, cap. 1). 28 Così L.ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), 189 (corsivo mio). 29 Forse poi neppur così sterile, giacché, si sa, repetita iuvant.

30 Alla quale, invero, non si è mancato di rinviare – difficile, del resto, poter fare

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ancorata la rilevanza dell’interesse dell’amministratore ai sensi del primo comma dell’art. 2391 c.c.31.

Si avrà modo nel prosieguo di analizzare compiutamente una simile locuzione, nel tentativo di ricavarne indicazioni utili ai fini della delimitazione della fattispecie rilevante. In questa sede, in cui si tratta di dare risposta alla domanda da cui si è partiti, ci si può limitare ad una sola considerazione: forse di per sé banale; invero, decisiva.

Si tratta di constatare che, in una prospettiva ex ante (quale quella che connota la valutazione del conflitto potenziale), la determinata operazione – che costituisce l’imprescindibile referente dell’interesse dell’amministratore – non può (quanto meno di regola) presentarsi come già esaustivamente qualificata in tutti i suoi dettagli.

In altri termini, si prospetta al riguardo (e pressoché ineluttabilmente) un margine di indeterminatezza, che solo ex post potrà colmarsi, allorquando sia intervenuta l’attività deliberativa, la quale è appunto preordinata a definire an e quomodo dell’operazione32.

Ed è pur vero che quest’ultima deve risultare comunque (già ex ante33)

sufficientemente caratterizzata; giacché, se così non fosse, si perverrebbe all’esito paradossale di riconoscere un interesse rilevante

ex art. 2391 c.c. in capo a tutti gli amministratori, pressoché in

qualsivoglia situazione34.

Ma è altresì vero che, in un momento antecedente all’attività deliberativa, non può pretendersi che siano già pienamente precisati contorni, contenuti, circostanze dell’operazione35: il che, a ben vedere,

31 Si ricordi, peraltro, che la riforma si limita qui a recepire quanto già previsto dal

legislatore del 1942 e, prima ancora, da quello del 1882.

32 Di qui allora l’insostenibilità della tesi (già richiamata: v. supra, cap. 1) che

pretende di ancorare la valutazione del conflitto di interessi alle «concrete condizioni dell’operazione»: ma v. altresì infra, in questo capitolo.

33 Allorquando, cioè, si tratti di valutare se debba attivarsi il meccanismo

contemplato dalla disciplina in esame.

34 Sulla destituzione di significato della disciplina che deriverebbe da un

indiscriminato ampliamento dell’ambito operativo della stessa v. infra, in questo capitolo.

35 Cfr. L.ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), 207, ove peraltro la mancata precisazione di «tutti

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per ragioni, per così dire, strutturali, che riposano appunto sull’anteriorità del contesto rispetto all’anzidetta attività, alla quale – lo si ripete – è demandata quell’opera di precisazione, in una con la valutazione dell’opportunità dell’operazione.

6. Una simile considerazione, come anticipato, mi pare assuma

valore decisivo per la nostra indagine.

Una volta, infatti, che si ammetta che in un contesto ex ante si abbia, per così dire, solo uno “scheletro” di operazione, semplicemente abbozzata in qualche suo elemento chiave; che si ammetta che detto “scheletro” sia suscettibile di trovare (ex post) plurime concretizzazioni in operazioni (esse sì) pienamente definite; che si ammetta che – bisogna qui aggiungere un nuovo elemento – siffatte concretizzazioni possano soddisfare o meno (uno o entrambi) i due interessi in gioco (quello dell’amministratore e quello della società); una volta che si ammetta tutto ciò, sembra anzitutto risultarne avvalorata la possibilità di rappresentare detti interessi alla stregua di due insiemi (o aree): nel cui ambito ricomprendere36 quelle operazioni

che ne garantiscano (in tutto o in parte) il soddisfacimento.

Soccorre qui il rilievo per cui, in linea di massima, la realizzazione di un interesse37 possa essere assicurata da una pluralità di concreti

assetti, dunque da una pluralità di operazioni. E ciò, può aggiungersi, quand’anche simili operazioni si rivelino quali differenti concretizzazioni di uno stesso “scheletro”: perché ciò accada, è sufficiente che le stesse si differenzino per profili all’uopo irrilevanti,

meramente eventuale, anziché come (tendenzialmente) necessaria o strutturale (ex

ante), secondo quanto qui sostenuto.

36 Quali elementi degli insiemi (o punti delle aree).

37 Così è, quanto meno, per quello della società – e il rilievo è ampiamente diffuso:

(v. a titolo meramente esemplificativo C. ANGELICI, Interesse sociale e business

judgment rule, in Riv. dir. comm., 2012, I, 573 ss., in particolare 580; G. M. ZAMPERETTI (nt. 17, cap. 1), 1088). Ma detto rilievo, in ispecie alla luce di quanto si preciserà immediatamente nel testo, deve dirsi, per lo più, valevole anche per l’interesse dell’amministratore.

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per profili cioè che non valgano ad incrinarne la pari idoneità a soddisfare quell’interesse38.

Ora, la configurazione dei due interessi quali insiemi rende, certo, più agevole affrontare il nodo problematico dell’enucleazione dei possibili rapporti intercorrenti tra gli stessi. Al riguardo, sembrano fondamentalmente prospettarsi due sole alternative39: il caso di sovrapposizione piena40, che vale ad individuare una situazione di coincidenza di interessi; e quello di sovrapposizione solo parziale, o addirittura nulla41, meno agevolmente qualificabile.

7. Rivolgendo l’attenzione a questa seconda alternativa, parrebbero

qui poter trovare collocazione le ipotesi di interesse compatibile e di interesse neutro.

Ove si tenti, allora, di riempire di senso queste due nozioni42, potrebbe anzitutto affermarsi che la prima43 ricorra allorquando l’operazione risulti pienamente satisfattiva dei due interessi, e purtuttavia gli stessi si pongano, in altre situazioni, come divergenti44.

38 Per ricorrere ad un esempio banale, può risultare del tutto irrilevante nell’ottica qui

considerata l’identità concreta dell’acquirente, ove l’interesse sia semplicemente a spuntare il miglior prezzo nella vendita: e dunque possono risultare parimenti funzionali al soddisfacimento dell’interesse (del venditore) due operazioni che si differenzino per il solo profilo in parola.

39 Lo sguardo è, si capirà, ex ante: ed ex ante proiettato alle concretizzazioni

dell’operazione che possono aversi ex post.

40Al quale è possibile, a questi fini, assimilare l’ipotesi di inclusione dell’interesse

dell’amministratore in quello della società: l’ipotesi dunque – per perpetuare l’immagine tratta dall’insiemistica – in cui il primo si atteggi quale sottoinsieme del secondo.

41 Siffatte due ipotesi sono considerate unitariamente (ma alla luce di quanto si dirà

nel testo una simile precisazione si rivela invero superflua) per la ragione che a rilevare è il solo fatto che vi sia un’area di discrasia tra i due interessi; un’area cioè in cui solo uno sia destinato a trovare soddisfacimento (e segnatamente quello dell’amministratore, potendosi assimilare l’opposta ipotesi al caso di coincidenza piena); risultando per converso (in questa sede) irrilevante che si dia o meno anche un’area di sovrapposizione, nella quale entrambi trovino realizzazione.

42 Operazione, invero, tutt’altro che scontata.

43 In quanto la si intenda come distinta dall’interesse coincidente (cfr. ad esempio L.

ENRIQUES –A.POMELLI (nt. 51, cap. 1), 760.

44 Giacché, se così non fosse, verrebbe meno il profilo differenziale rispetto

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A questa semplicistica ricostruzione deve peraltro obiettarsi45 che solo

ex post può valutarsi se l’operazione effettivamente rientri nell’area di

sovrapposizione (o intersezione46) dei due interessi, ovvero in quella di discrasia47. Ex ante, per converso, ci si può solo limitare48 a prendere atto della possibilità dei due distinti esiti. E se con riguardo al primo

nulla quaestio, con riguardo al secondo, per contro, residua il problema

di dare un nome ed una collocazione ad una simile discrasia.

A ben vedere, siffatto problema si pone altresì con riguardo alla nozione di interesse neutro, che ricorrerebbe – così sembra doversi ammettere – allorquando l’operazione soddisfi il solo interesse dell’amministratore49, senza peraltro che ciò incida

pregiudizievolmente sull’interesse della società: in tal modo, in effetti, i reciproci rapporti verrebbero ad essere inquadrati sotto il segno dell’indifferenza, appunto della “neutralità”.

Ma – qui il punto focale – davvero un’operazione che non soddisfi l’interesse della società50 può altresì rivelarsi “neutra” rispetto allo

stesso?

Al proposito, deve rammentarsi che a venire in rilievo è un’operazione oggetto di possibile deliberazione da parte degli amministratori nell’espletamento della propria funzione.

Conseguentemente, anche astenendosi dal prendere posizione sull’essenza dell’interesse sociale – a fronte, certo, dell’indubbia problematicità insita nello stesso51, ma altresì in ragione della volontà di condurre qui un discorso il più possibile condiviso – , sembra

45 E qui si apprezza appieno il senso della distinzione, su cui lungamente ci si è

soffermati, tra prospettiva ex ante e prospettiva ex post.

46 Per impiegare ancora il lessico dell’insiemistica. 47 In insiemistica, l’insieme differenza.

48 È questa la conseguenza di quel margine di indeterminatezza sopra rilevato. 49 Si tratterebbe dunque dell’ipotesi cui prima ci si è riferiti in termini di

“sovrapposizione nulla”.

50 Perché delle due l’una: o l’operazione in parola (satisfattiva dell’interesse

dell’amministratore) soddisfa (anche) l’interesse della società (e si ricade allora nell’ipotesi di sovrapposizione), o non lo soddisfa.

51 Negata peraltro da L.SAMBUCCI (nt. 11, cap. 1) 756, il quale si avvale della

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difficile ammettere che un’operazione, quale quella appena prospettata, rivolta al soddisfacimento, non già di quell’interesse, bensì di un interesse altro non integri un’ipotesi di deviazione dal corretto espletamento dell’anzidetta funzione: un’ipotesi, insomma, di abuso; quell’abuso in cui, peraltro, si è fatto consistere il conflitto di interessi. Invero, non penso sia eccessivo ravvisare nell’ipotesi in parola gli estremi della possibilità di un danno alla società52: quanto meno ove si intenda siffatto elemento in senso ampio, evitando per converso di ridurlo – in un’ottica oltremodo restrittiva, d’altro canto neppure suffragata dal dato letterale53 – al mero pregiudizio al patrimonio della società.

In fondo, deliberare un’operazione così connotata significa profondervi risorse (in primo luogo materiali e umane, ma altresì sub specie di tempo disponibile54), che si sarebbero potute destinare al compimento di operazioni (esse sì!) rivolte al soddisfacimento dell’interesse della società.

Ma allora – e può finalmente rispondersi alla domanda sollevata in apertura – risulta difficile non riconoscere che quell’interesse, che si pretende neutro ovvero compatibile con quello della società, altro non sia che un interesse comunque conflittuale: purché di conflitto qui si accolga la nozione potenziale, estrinsecantesi nella mera possibilità di un abuso (di un danno, lato sensu inteso). Giacché, come si è visto, una simile possibilità risulta pur sempre adombrata dalle due succitate nozioni, che, ex ante, non potrebbero allora differenziarsi da un (in ipotesi distinto) interesse in conflitto55.

52 E di mera possibilità si tratta, posto che, in un contesto ex ante quale quello in cui

ci si sta muovendo, l’operazione in esame è solo una fra le tante suscettibili di trovare concretizzazione a seguito dell’attività deliberativa degli amministratori.

53 Il riferimento è alla diversa formulazione di cui all’art. 2475-ter c.c.

54 Risorsa, questa, tutt’altro che trascurabile, in ispecie in una logica di competitività

dell’impresa (peraltro valorizzata dalla riforma: v. la legge delega – art. 2, 1°c., lett. a), l. 366/2001).

55 Cfr., per una prospettiva invero solo in parte coincidente (sul punto v. infra), D.

MAFFEIS, Il nuovo conflitto, cit., 522, che pone l’accento sulla necessità di «sgomberare il campo dalla vuota distinzione fra interessi “in conflitto” che

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8. Sarebbe, nondimeno, fuorviante credere che per tale via si

pervenga ad un esito totalmente rivoluzionario.

Si tratta certo di dare alle cose il proprio nome. Si tratta di riconoscere, peraltro con le doverose cautele, che il conflitto di interessi non sia stato espunto, non già solo dalla ratio della disciplina – lo si è ampiamente analizzato56 – , ma, ad uno sguardo attento (e a condizione di qualificare quel conflitto come potenziale), neppure dalla fattispecie contemplata dalla disposizione in commento.

E purtuttavia, non è fuori luogo ripetere che un simile rilievo acquista senso in una prospettiva ex ante, protesa all’individuazione appunto della fattispecie rilevante, alla quale consegua l’attivazione dei meccanismi procedurali apprestati dal legislatore.

Invero, ex post occorrerà pur sempre procedere ad una valutazione (tendenzialmente collegiale? Sul punto si avrà modo di ritornare diffusamente nel prosieguo57) in ordine all’insussistenza di quell’abuso di cui ex ante si prospettava la mera possibilità: in ordine dunque all’insussistenza del conflitto (attuale). Ed una simile valutazione, ora sì, potrà condursi, non ponendosi più innanzi un mero “scheletro” di operazione, ma risultando per converso già precisate, in linea di massima almeno58, le condizioni dell’operazione59.

sarebbero realmente “incompatibili” ed interessi che, seppure “in conflitto”, sarebbero purtuttavia “convergenti”». Uno spunto in tal senso può forse cogliersi anche in P.MONTALENTI (nt. 48, cap. 1), ove si legge che la nuova disciplina impone all’amministratore un obbligo di disclosure relativamente alla circostanza che egli si trova in conflitto di interessi.

56 V. supra, cap. 1. 57 V. infra, cap. 3.

58 Ovviamente potrà trattarsi di delibera generica, bisognevole di un successivo

momento di specificazione (anche solo in sede attuativa): ciò che non vale ad incrinare le conclusioni cui si è giunti. A rilevare, infatti (e può qui fugarsi un possibile fraintendimento della ricostruzione che si è tracciata) è la circostanza che (ex post) sia stata prescelta una delle plurime soluzioni che (ex ante) si prospettavano come possibili; che, cioè, ci sia valsi di quel margine di discrezionalità che rappresenta il presupposto necessario e sufficiente «per la stessa configurabilità di un conflitto di interessi» (così L.ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), 445, citando C. ANGELICI,

Amministratori di società, conflitto di interessi e art. 1394 cod. civ., in Riv. dir. comm., 1979, I, 164).

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Al riguardo, sembra allora potersi ammettere che (dovrebbe peraltro trattarsi di una mera precisazione delle considerazioni fin qui sviluppate) davvero non sia possibile valutare ex ante la sussistenza del conflitto di interessi, in quanto però qui lo si assuma nella sua accezione attuale60.

9. Ora, la distinzione tra prospettiva ex ante e prospettiva ex post, e

tra conflitto potenziale e conflitto attuale, vero e proprio Leitmotiv di queste pagine, ci guida verso un ultimo, conclusivo, rilievo.

Si vuol qui fornire una chiave di lettura della disciplina riformata, sulla falsariga di quella già prospettata con riguardo all’estensione qualitativa dell’obbligo informativo61: una chiave di lettura che

conduca a riconsiderare il preteso ampliamento quantitativo, nel tentativo di sondarne l’idoneità a cogliere l’effettiva portata della novella.

Ci si può valere, in primo luogo, delle anzidette osservazioni sulla rilevanza (nella vigente disciplina) del conflitto potenziale ai fini della fattispecie in esame.

Soccorre, poi, la constatazione che nel vigore della precedente

disciplina una diffusa linea interpretativa reputava necessario, onde

poter ritenere integrata detta fattispecie, il ricorrere del conflitto

attuale62. È questa, d’altro canto, la premessa teorica per dare ragione

della sostanziale elusione degli obblighi procedurali di fatto registratasi

59 Qui (dunque, in un contesto ex post) si recupera la rilevanza delle «concrete

condizioni dell’operazione», cui si è fatto riferimento supra.

60 Come anticipato, solo parzialmente si ritiene di poter accogliere l’impostazione

prospettata da D. MAFFEIS, Il nuovo conflitto, cit., 521 s. (cfr. altresì ID., Il “particolare rigore”, cit., 1066 ss.), il quale riferisce una simile impossibilità di

giudizio ex ante al conflitto di interessi tout court. In effetti, il rilievo, pienamente condivisibile, come si è visto, per il conflitto attuale, inevitabilmente si scontra, se riferito al conflitto potenziale, con l’obiezione per cui a risultare preclusa ex ante è solo la valutazione dell’effettivo verificarsi dell’abuso, non già della sua possibilità.

61 V. supra, cap. 1.

62 V. per ampi riferimenti di dottrina e giurisprudenza L.ENRIQUES (nt. 2, cap. 1),

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ante riforma, e su cui già ci si è intrattenuti63: solo attribuendo rilievo alle concrete condizioni dell’operazione (dunque al conflitto attuale) può infatti demandarsi al singolo amministratore interessato quell’amplissimo potere valutativo poi destinato, sostanzialmente, a porre nel nulla il meccanismo apprestato dal legislatore.

Deve, peraltro, segnalarsi come autorevole dottrina, vigente quella disciplina, avesse evidenziato la fallacia di una simile impostazione ed avesse pertanto proposto di ancorare fattispecie (ed obblighi procedurali) ad una situazione di conflitto potenziale64: suffragando altresì detta posizione con dovizia di argomenti (storici, letterali, sistematici, comparatistici, teleologici)65, che davvero appaiono (ora più, ora meno) persuasivi.

Ma allora, non sembra azzardato leggere genesi, estrinsecazione ed esito della novella in quegli stessi termini in cui si è ritenuto di poter guardare alle innovazioni intervenute con riguardo al contenuto dell’obbligo di comunicazione.

Anche sotto l’aspetto qui in esame, potrebbe così ammettersi, anzitutto, che il legislatore abbia fondamentalmente preso atto66 del

rischio di una lettura, quale quella succitata, oltremodo blanda (ed anzi sostanzialmente elusiva) della disciplina originariamente dettata67.

Potrebbe poi riconoscersi che (nell’intento di ovviare ad una simile elusione) egli abbia posto mano ad un «processo di progressiva chiarificazione» di quella disciplina, sostituendo la precedente formula

63 V. supra, cap. 1.

64 Il riferimento è in primis a L.ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), il cui dichiarato scopo (v.

ivi, 10) è quello di riportare alla luce la «funzione cautelare, di prevenzione degli

abusi» della disciplina in esame, che sarebbe affidata proprio alla nozione potenziale (e non già attuale) del conflitto di interessi. Ma v. altresì i riferimenti bibliografici riportati ivi, 189, nt. 143.

65 Ivi, 192 ss.

66 Dando prova allora di un atteggiamento «realistico» (v. supra, cap. 1).

67 Una lettura, invero, non ostacolata – ancora una volta (cfr. supra, cap. 1) – dal dato

letterale, che, riferendosi genericamente ad un «interesse in conflitto», ben avrebbe potuto implicare il rimando alla nozione di conflitto attuale.

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«interesse in conflitto» con l’attuale «ogni interesse»68: in tal modo,

egli avrebbe «[tolto] di mezzo qualsiasi equivoco» sulla possibilità di subordinare la sussistenza della fattispecie ad un giudizio sulle concrete condizioni dell’operazione69.

E purtuttavia, l’esito cui sarebbe per tale via approdato sarebbe (anche qui70) eccessivo, o quanto meno fuorviante71: giacché capace di ingenerare il convincimento che nell’ambito della fattispecie rilevante sia da includere un ipotetico interesse non in conflitto sub specie di interesse neutro o compatibile.

Orbene, ove si accolgano siffatte considerazioni, non si vede come possa ragionevolmente parlarsi di un effettivo ampliamento quantitativo: quanto meno ove si abbia riguardo, non già alle deviazioni interpretative (e della prassi) di cui la previgente disciplina è stata oggetto, bensì a quella che si è assunta come l’autentica ricostruzione di una simile disciplina. Più propriamente, parrebbe allora potersi discorrere (anche alla luce delle anzidette deviazioni) di

riconquista dell’effettiva dimensione quantitativa della disciplina in esame.

Di qui, altresì, l’ulteriore rilievo per cui solo con queste stesse precisazioni può ammettersi che la novella venga ad imporre una dimensione autenticamente preventiva (e rigorosa) alla regolamentazione.

Se, infatti, si pone mente al fatto che il profilo preventivo risulta insito nella nozione di conflitto potenziale (e se si accoglie il binomio tra disciplina preventiva e disciplina rigorosa72), deve riconoscersi che,

68 V. D.MAFFEIS, Il “particolare rigore”, cit., 1068, testo e nt. 42 (e v. supra, cap.

1).

69 Cfr. ibidem, per quanto nella prospettiva dell’A. ad essere fugato sia il dubbio circa

la possibilità di un giudizio preventivo sul conflitto di interessi. Al riguardo v. supra, in questo capitolo.

70 Cfr. supra, cap. 1.

71 Non saprei, dunque, dire se «la nuova formula legislativa» davvero risulti «più

felice» di quella previgente: così invece ancora D.MAFFEIS, Il “particolare rigore”, cit., 1068.

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anche qui, si abbia, non l’introduzione di un aliquid novi, bensì il

recupero di un assetto invero già delineato e, per così dire,

semplicemente offuscato.

A tal proposito, si osservi peraltro che l’anzidetto carattere preventivo (e rigoroso) risulterebbe parimenti affermato, anche laddove si ammettesse che la novella avesse dato ingresso ad un interesse non in conflitto nella duplice veste di interesse neutro e di interesse compatibile.

Un simile interesse si è qui inteso criticare, fosse anche solo in una dimensione puramente nominalistica73.

In quel nomen, peraltro, si può ravvisare un concetto. Forse, vi si può ravvisare, altresì, il senso della disciplina. Una disciplina che allora si rivela, sempre più, disciplina sul conflitto di interessi.

§ 2.

1. Quand’anche si accetti di ridimensionare il preteso ampliamento

quantitativo74, si pone pur sempre il problema di far fronte ai rischi connessi ad un’eccessiva estensione della fattispecie rilevante: dunque ad un’eccessiva (quando non assolutamente irragionevole) dilatazione dell’ambito di applicazione della disciplina.

Simili rischi si estrinsecherebbero, anzitutto, negli «appesantimenti» che, «inevitabil[mente]», ne seguirebbero «nell’azione degli organi sociali»75: il riferimento è, per un verso, all’obbligo di adeguata motivazione delle deliberazioni consiliari – e dunque a quelle ulteriori attività alla stessa preliminari e strumentali, che sarebbero parimenti

73 E se così fosse, se fosse cioè solo una questione di nomen, dovrebbe non essere

particolarmente difficile accogliere una ricostruzione quale quella qui prospettata.

74 Rectius, quand’anche si riconosca che (anche) nella previgente disciplina la

fattispecie non fosse circoscritta al solo interesse in conflitto attuale. Quanto, poi, all’ulteriore considerazione per cui (anche) nella vigente disciplina verrebbe in rilievo il solo interesse in conflitto potenziale, si tratta di conclusione (questa sì) destinata ad assumere rilevanza a fronte dell’eccessiva dilatazione di cui si sta per fare menzione nel testo: e su cui si avrà modo di diffonderci in questa sede.

75 Così L. SAMBUCCI (nt. 11, cap. 1), 758, il quale, peraltro, fa rinvio a G. M.

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oggetto della previsione normativa76. Per altro verso, all’obbligo, facente capo all’amministratore delegato, di astenersi dal compimento dell’operazione nella quale abbia (direttamente o meno) un interesse: un obbligo – contemplato dal primo comma (secondo periodo) della disposizione in esame – cui risulta inscindibilmente connesso (per espressa previsione normativa) quello di rimessione dell’operazione all’organo collegiale. Di qui, allora, oltrechè la «paralisi temporanea dell’operazione»77, i maggiori costi derivanti dal coinvolgimento di

quell’organo78: e che, invero, si sarebbero intesi evitare proprio con il

ricorso all’istituto della delega7980.

A ciò si aggiunga, poi, l’ulteriore rilievo connesso alla necessaria significatività dei flussi informativi rispetto alle decisioni da assumere: informazioni che fossero sfornite di siffatto carattere81 non potrebbero che rivelarsi, non già solo inutili, ma, a ben vedere, controproducenti, in quanto capaci di ingenerare quell’eccesso informativo (information

overload) che ben può tradursi82 in un ostacolo all’assunzione di decisioni ottimali8384.

76 Si è avuto modo di farvi cenno supra, cap. 1.

77 Così G. M. ZAMPERETTI (nt. 17, cap. 1), 1088. Inutile ricordare ancora

l’importanza della dimensione temporale in un contesto di impresa: v. supra, in questo capitolo.

78 In primis, d’altro canto, proprio connessi ai più lunghi tempi di convocazione e

deliberazione del consiglio: v. ad es. M.VENTORUZZO (nt. 9, cap. 1), 472 s..

79 Qui si tralasciano i risvolti problematici derivanti dall’applicazione di un simile

obbligo in un contesto di gruppo.

80 Persuade, pertanto, la raffigurazione dell’obbligo in parola (prospettata da G.

GUIZZI (nt. 11, cap. 1), 27 ss.) come destinato a «sterilizzare» il riparto verticale delle funzioni gestorie eventualmente realizzato con l’attribuzione di deleghe al singolo amministratore. Sul punto, e più in generale sulla portata dell’obbligo di astensione, v. infra, cap. 3.

81 Le quali, a fronte di un’eccessiva dilatazione della fattispecie, sono destinate a

moltiplicarsi.

82 Complice, certo, la limitata capacità umana di processare le informazioni

disponibili.

83 Il che, fondamentalmente, per la ragione che detto eccesso implica la necessità di

procedere ad una maggior selezione delle informazioni disponibili: con la conseguenza, pressoché inevitabile, di esporre alcune tra queste (non escluse quelle che sarebbero invero potute risultare rilevanti) ad una dispersione (c.d. dilution

effect). Su tutti questi rilievi (invero dalla dottrina sviluppati con riguardo alla diversa

tematica dei contratti col consumatore, ma a mio avviso pienamente estensibili alla materia in esame) piace qui rinviare a E. PELLECCHIA, Dall’insolvenza al

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2. Vi è, peraltro, un rischio ulteriore, da cui ancor più ci si deve

guardare. Discende dalla circostanza che, da una qual certa prospettiva almeno, un «interesse […] in una determinata operazione della società» potrebbe sempre essere ravvisato in capo all’amministratore85. Con la conseguenza – questo il rischio cui si allude – di condannare la disciplina in esame ad una totale destituzione di significato86.

Deve, in effetti, rilevarsi che la nozione di interesse87 risulta indubbiamente connotata da una significativa ampiezza semantica: circostanza, questa, diffusamente esaminata dalla dottrina, la quale non ha mancato di fare all’uopo rinvio all’etimo del vocabolo88.

Ora, ove di interesse si accolga un’accezione lata, in prima approssimazione risolventesi nella prospettiva del conseguimento di un’utilità (di qualsivoglia natura) a fronte del compimento (o del mancato compimento) dell’operazione, si arriva a ricomprendervi sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazione dei debiti, Torino, 2012, in specie 34 ss., ove ampi riferimenti bibliografici.

84 Di decisioni, qui, lato sensu intese: ci si intende riferire, in altri termini, non già

solo, com’è ovvio, al possibile peggioramento qualitativo delle scelte propriamente gestorie; ma altresì all’indebolimento – che parimenti potrebbe conseguire a quel sovraccarico informativo – dell’efficacia del(le decisioni attinenti al) controllo, con le conseguenti ripercussioni negative che potrebbero aversi sul governo dell’impresa: sul punto v. L. SAMBUCCI (nt. 11, cap. 1), 758. Sulla strumentalità dei flussi informativi rispetto a decisioni intese in un’accezione lata si tornerà ampiamente

infra, cap. 3.

85 Sul punto v. G.M.ZAMPERETTI (nt. 17, cap. 1), 1087 (il quale parla al riguardo di

un vero e proprio «paradosso»); M.VENTORUZZO (nt. 9, cap. 1), 442; L.SAMBUCCI (nt. 11, cap. 1), 758. Ma v. altresì, con riferimento alla disciplina previgente, L. ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), 187 (cui, per lo più, fanno rinvio gli Autori appena citati), il quale rimanda a sua volta a G.MINERVINI, Il conflitto d’interessi fra rappresentante

e rappresentato nella recente codificazione, in Arch. giur. Filippo Serafini, 1946, II,

134 s. Una simile prospettiva è poi (implicitamente, ma inequivocabilmente) accolta (nel vigore dell’attuale disciplina) anche da D.MAFFEIS, Il “particolare rigore”, cit., 1063, nt. 29 (che alle riflessioni dei due Autori da ultimo menzionati si riferisce espressamente); nonché da L.ENRIQUES – A. POMELLI (nt. 51, cap. 1), 763. Sulle posizioni dei singoli Autori si avrà comunque modo di ritornare a breve.

86 Qui potrebbe allora apprezzarsi l’irragionevolezza di un’estensione della

fattispecie così concepita, cui sopra ci si è richiamati.

87 Di cui manca un’espressa definizione legislativa: cfr. al riguardo G. M.

ZAMPERETTI (nt. 17, cap. 1), 1087, nt. 13, che richiama altresì le osservazioni di G. GORLA, L’interpretazione del diritto, Milano, 1941, 150.

88 V. L.ENRIQUES (nt. 2, cap, 1), 142 ss.; G.M.ZAMPERETTI (nt. 17, cap. 1), 1087; P.

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anche ipotesi quali quelle dell’interesse a non subire sanzioni89;

dell’interesse a che sia ottimale il «risultato dell’attività di gestione, sul quale si basa il giudizio che soci e mercato esprimono sull’operato del consiglio»90: dell’interesse, dunque, alla riconferma nell’incarico (nonché a non subire sanzioni metagiuridiche); dell’interesse, altresì, alla miglior scelta possibile91 delle «risorse che la società metterà a disposizione dei membri dell’organo di gestione»92.

Risulta, allora, agevole comprendere come, in questi termini, possa prospettarsi comunque – a fronte, cioè, di qualsivoglia operazione della società – un interesse dell’amministratore.

Non dovrebbe, peraltro, risultare particolarmente difficile comprendere altresì come davvero possa dirsi irragionevole la pretesa di una sì estesa operatività della disciplina in parola.

Ad una simile conclusione può certo pervenirsi, ove si accolga il rilievo per cui siffatta disciplina sarebbe connotata da una dimensione di eccezionalità93.

Peraltro, a dare pienamente ragione a detto rilievo (e, dunque, a quella conclusione), è, a ben vedere, una riflessione che si appunta sulla ratio della disciplina: quella ratio che, lo si è ricordato più volte, si estrinseca nella prevenzione del conflitto di interessi.

Si tratta qui, anzitutto, di fare applicazione del canone ermeneutico basato su una simile prospettiva teleologica, e al quale, invero, già si è fatto rinvio94.

89 Si pensi a quelle della responsabilità per i danni cagionati (alla società) e della

revoca per giusta causa: così L.ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), 187, sulla scorta – come ricordato – di G.MINERVINI (nt. 86), 134 s. (che peraltro si riferisce all’ipotesi del rappresentante volontario); G. M.ZAMPERETTI (nt. 17, cap. 1), 1087; L.SAMBUCCI (nt. 11, cap. 1), 758; D.MAFFEIS, Il “particolare rigore”, cit., 1063, nt. 29. V. altresì L.ENRIQUES –A. POMELLI (nt. 51, cap. 1), 763, i quali si riferiscono all’interesse all’adempimento degli obblighi inerenti alla carica, nonché all’interesse alla conservazione della carica.

90 V. M.VENTORUZZO (nt. 9, cap. 1), 442.

91 Migliore, evidentemente, alla stregua delle proprie, personali, inclinazioni. 92 V. M.VENTORUZZO (nt. 9, cap. 1), 442..

93 Così espressamente G. M.ZAMPERETTI (nt. 17, cap. 1), 1089. 94 V. supra, cap. 1.

(22)

Ne seguirebbe che, nelle prime due delle tre ipotesi sopra menzionate (interesse a non subire sanzioni; interesse alla riconferma nell’incarico) non potrebbe ravvisarsi alcun conflitto da prevenire: sarebbero, dunque, ipotesi riconducibili alla categoria dell’interesse coincidente95. Ammettere, pertanto, che la disciplina divenga operante anche in siffatti casi significherebbe rinnegarne (o travisarne) la ratio96.

Diversa, e più problematica, risulta la terza ipotesi (interesse alla scelta delle risorse oggetto di personale fruizione).

Qui, per converso, un conflitto (potenziale, certo) è pienamente ravvisabile97.

E purtuttavia, a contrastare la generalizzata98 operatività della disciplina si pone, se non l’anzidetto criterio interpretativo, la considerazione che la ratio in parola non possa affatto ritenersi un valore intangibile.

Già ci si è ampiamente intrattenuti sul fatto che all’obiettivo di contenere il rischio di falsi negativi si affianchi l’ulteriore e parimenti rilevante esigenza di limitare il rischio di falsi positivi99: la quale ultima sarebbe, per contro, inevitabilmente destinata a risultare sacrificata, ove si accogliesse l’intangibilità del primo.

Deve qui aggiungersi100 come la disciplina effettivamente apprestata

dal legislatore, nel risolversi in un articolato (e costoso) meccanismo di assunzione delle scelte decisorie, sembri evidenziare la piena consapevolezza da parte del conditor juris della necessità che la suddetta ratio in concreto si confronti con altre esigenze: della

95 Cfr. L.ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), 187 s. 96 Sul punto si tornerà infra, in questo capitolo. 97 V. infra, in questo capitolo.

98 Peraltro, non incondizionata: a differenza delle altre due ipotesi, cioè, l’interesse

ora considerato non potrebbe predicarsi sempre e comunque sussistente.

99 V. supra, cap. 1.

(23)

necessità, dunque, che al riguardo si proceda, in sede applicativa, ad un vero e proprio bilanciamento101102.

Se così non fosse103, potrebbe forse congetturarsi che la disciplina si sarebbe diversamente atteggiata, in modo meno penetrante, meno incisivo, meno costoso. Si vuol dire che quegli appesantimenti e quei costi in tanto possano giustificarsi, in quanto l’esigenza di prevenzione dei conflitti, esposta all’anzidetto bilanciamento, non sempre104 trovi

applicazione; richiedendosi per converso a tal fine che la stessa si riveli poziore rispetto alle altre concorrenti esigenze: in primis, quella di contenimento degli oneri e dei costi per le imprese (imprescindibile in una logica di mercato, e forse sorretta altresì da un «riscontro indiretto nella legge delega»105)106.

3. Sembra, allora, potersi pervenire ad un punto fermo: non può

ammettersi un’eccessiva estensione della fattispecie delineata dall’art.

101 V. L.SAMBUCCI (nt. 11, cap. 1), 758, il quale postula la ricerca di un «punto di

equilibrio tra l’esigenza di prevenire l’asservimento della gestione a interessi

estranei» ed altre, contrapposte esigenze (corsivo mio).

102 Si rimette al prosieguo la questione dell’individuazione del soggetto cui sia

demandato un simile bilanciamento.

103 Se non si prospettasse una simile necessità, a fronte dell’intangibilità di quella

ratio.

104 Di qui l’eccezionalità sopra richiamata.

105 Così L. ENRIQUES-A. POMELLI (nt. 51, cap. 1), 759, i quali desumono dal

«principio del favore per la competitività delle imprese», di cui alla legge delega (art. 2, 1°c., lett. a), l. 366/2001), «l’obiettivo della riduzione degli oneri per le imprese», ed il connesso «canone ermeneutico» che «impone di interpretare le [disposizioni introdotte dalla riforma] nel significato che meno accresc[a] i costi per le imprese in rapporto ai benefici» che «poss[ano] derivar[ne] sul piano del benessere collettivo» (gli stessi Autori, peraltro, non mancano di rilevare come detto criterio interpretativo possa comunque dirsi dotato di una generalizzata operatività). Cfr. altresì L. SAMBUCCI (nt. 11, cap. 1), 759.

106 Non può, peraltro, trascurarsi l’ulteriore (e più spinoso) profilo relativo

all’operatività della disciplina in esame nell’ambito dei gruppi societari. Qui prospettandosi fondamentalmente il problema di conciliare l’esigenza della prevenzione degli abusi con quella (parimenti meritevole di riconoscimento) di non ostacolare ingiustificatamente il funzionamento di un’articolazione di gruppo. In questa sede ci si limita a rilevare come a risultarne avvalorata sia l’impossibilità di ammettere l’intangibilità della ratio del contenimento del conflitto di interessi. A ben vedere, anzi, se l’ipotesi menzionata nel testo può, in ultima istanza, ricondursi ad un’analisi costi – benefici della disciplina dettata dall’art. 2391 c.c., qui per converso non può sfuggirsi alla necessità che l’anzidetta ratio si confronti con un’esigenza davvero esterna.

(24)

2391 c.c., ma si impone per converso (ed ineluttabilmente) di enuclearne i limiti di rilevanza, erigendo in via interpretativa argini capaci di contenere possibili, indebiti, straripamenti107.

Molteplici, invero, sono le strade che al riguardo si prospettano, senza che l’adesione all’una implichi la necessaria esclusione delle altre. Alcune, peraltro, pur intraprese dalla dottrina (e dalla giurisprudenza), non possono, ad un’attenta analisi, dirsi percorribili.

3. 1. Al proposito, soccorre anzitutto il tentativo di attribuire rilievo

ai soli interessi aventi natura economico-patrimoniale, per confinare nell’ambito del giuridicamente irrilevante quelli privi di siffatta connotazione.

Una simile prospettiva, che tanti consensi ha riscosso nel vigore della precedente disciplina108, non può invero accogliersi. Decisivo mi pare al riguardo il rilievo109 per cui non vi sarebbe ragione – in assenza di

indicazioni in tal senso orientate nella disposizione normativa – «per

ridurre alla sola dimensione del benessere materiale le funzioni-obiettivo degli esseri umani e per ritenere che il legislatore abbia implicitamente introdotto la finzione che essi siano motivati esclusivamente dallo scopo di massimizzare la propria ricchezza»110.

D’altro canto, nella disciplina attuale non mancano indici capaci (forse) di guidare l’interprete in questa stessa direzione. Ci si riferisce, per un verso, all’attributo «ogni», che oggi qualifica l’interesse

107 Il punto trova ampi consensi in dottrina: v. ex multis G.MINERVINI (nt. 1, cap. 1),

588; G.M.ZAMPERETTI (nt. 17, cap. 1), 1087; G.GUIZZI (nt. 7, cap. 1), 654; ID. (nt. 11, cap. 1), 21, nt, 6; L.SAMBUCCI (nt. 11, cap. 1), 758; D.MAFFEIS, Il “particolare

rigore”, cit., 1063.

108 In tal senso, infatti, dovevano dirsi orientate la giurisprudenza e la dottrina

prevalenti: sul punto v. L.ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), 149 s., testo e nt. 24, il quale rimanda altresì alla «panoramica» giurisprudenziale [l’espressione si legge in D. CANDELLERO (nt. 11, cap. 1), 750, nt. 4] tratteggiata da L.SOLIMENA (nt. 60, cap. 1), 113 ss.

109 Formulato vigente quella disciplina, ma di perdurante validità. 110 Così L.ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), 150.

(25)

rilevante111; per altro verso, all’obbligo, espressamente contemplato dalla novella, di precisare la «natura» dell’anzidetto interesse112113.

111 Valorizzano espressamente a questi fini la locuzione normativa G. M.

ZAMPERETTI (nt. 17, cap. 1), 1087; L.NAZZICONE, Commento all’art. 2391 c.c., in L. NAZZICONE e S. PROVIDENTI, Società per azioni. Amministrazione e controlli, Milano, 2003, 149; L.SAMBUCCI (nt. 11, cap. 1), 757 [che rimanda, inter alios, a S. PACCHI (nt. 21, cap. 1), 682 e 684, la quale, invero, si limita a rimarcare che la norma si applichi a fronte di «qualsiasi interesse – nel senso di tutti gli interessi e nel senso di “qualsiasi natura, dimensione, origine” esso abbia – », senza peraltro fare espresso riferimento alla dimensione della patrimonialità]; nonché, pur in termini dubitatitivi, D.CANDELLERO (nt. 11, cap. 1), 750. Cfr. anche M.VENTORUZZO (nt. 9, cap. 1), 440 (ove l’ulteriore, condivisibile rilievo per cui non sempre risulterebbe agevole tracciare il discrimen tra interessi patrimoniali e non patrimoniali).

112 Così G.M.ZAMPERETTI (nt. 17, cap. 1), 1086, nt. 11, e 1087; M.VENTORUZZO

(nt. 9, cap. 1), 448 s. (nonché L.ENRIQUES – A.POMELLI (nt. 51, cap. 1), 764, nt. 19, che a quest’ultimo espressamente si richiamano); G.GUIZZI (nt. 11, cap. 1), 25.

113 Non escludo, peraltro, che i due indici appena menzionati possano essere intesi

come assolutamente “silenti” sul punto, come inidonei, cioè, a fornire indicazioni sulla questione qui in esame. Con riguardo alla locuzione «ogni interesse», le considerazioni sviluppate nelle pagine precedenti evidenziano, in effetti, come a muovere in tal senso il legislatore della novella sia stata (verosimilmente) una preoccupazione ben diversa da quella di sancire l’inclusione nella fattispecie degli interessi non patrimoniali (ed un simile rilievo, ovviamente, rimarrebbe valido, quand’anche si ammettesse la configurabilità di un interesse non in conflitto nella veste di interesse neutro o compatibile). E forse davvero scorgervi per converso un indice in favore di quest’ultima lettura null’altro è se non il frutto di una forzatura interpretativa. Quanto, poi, al riferimento alla «natura» dell’interesse, che pure sembrerebbe fornire un aggancio più concreto all’anzidetta lettura, dello stesso potrebbe nondimeno prospettarsi una diversa interpretazione, cui parimenti risulti estranea la dimensione della (non) patrimonialità. Vi si potrebbe, infatti, cogliere il rimando all’opposizione tra interessi attuali e potenziali [così M.VENTORUZZO (nt. 9, cap. 1), 449, il quale, peraltro, come si è ricordato, ad una simile opposizione affianca pur sempre, quale ulteriore possibile contenuto della formula legislativa, quella tra interessi patrimoniali e non patrimoniali]; nonché il rimando (ma, evidentemente, solo ove non si accedesse alla tesi dell’inesistenza dell’interesse neutro o compatibile) all’ulteriore opposizione tra interessi conflittuali e non conflittuali (v. ivi, 449). E, forse, a dare colore alla “dimensione” della «natura» dell’interesse potrebbero essere altri profili ancora, di ordine qualitativo, anch’essi distanti dalla (non) patrimonialità.

D’altro canto, perplessità analoghe a quelle ora riscontrate potrebbero altresì sollevarsi con riguardo all’ulteriore preteso indice dato dal riferimento, nella Relazione al d.lgs. 6/2003, ai vantaggi «indiretti» dell’amministratore. Qui, anzi, ancor più fondate parrebbero quelle perplessità. Al di là, infatti, dell’indubbia capacità di una simile locuzione di evocare «una chiave estensiva della fattispecie» (così G.M.ZAMPERETTI (nt. 17, cap. 1), 1087), residua il fatto che siffatta locuzione appare oltremodo generica: prestandosi ad essere intesa come rivolta a dare rilievo a quelle utilità che l’amministratore possa bensì conseguire da una determinata operazione della società, appunto, però, non in via diretta, per non essere egli la

diretta controparte della società medesima (si pensi ai casi di interposizione reale o

fittizia di persona). Ed è vero che in molti casi utilità in tal senso indirette per l’amministratore vengono ad assumere veste non patrimoniale [può rinviarsi al catalogo delle utilità benthamiane riportato da L.ENRIQUES (nt. 2, cap. 1), 151, che offrirebbe ampi spunti in tal senso]. Ma è altresì vero che – sembra peraltro un’ovvietà – non mancano ipotesi di utilità indirette patrimoniali. Né mancano

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