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Nascita e indipendenza del Ducato di Firenze (1530-1543) CAPITOLO I

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CAPITOLO I

Nascita e indipendenza del Ducato di Firenze (1530-1543)

Il 1530 e il 1543 sono due date cruciali per la storia di Firenze e, più in generale, per la storia della Toscana.

Nel 1530 la repubblica fiorentina ebbe la sua sanguinosa fine al termine dell’assedio ad opera delle truppe imperiali e pontificie. La guerra, e gli eventi immediatamente successivi ad essa, riportarono in città la famiglia Medici ponendola definitivamente in una posizione di assoluta preminenza, dotata di un potere non più “di fatto” ma “di diritto” ed ereditario1. Un protagonista di questi anni è Giulio de’ Medici, al tempo già salito al soglio pontificio col nome di Clemente VII, che grazie agli accordi con l’imperatore Carlo V riuscì finalmente a imporre il controllo e il predominio della sua famiglia a Firenze nella figura del duca Alessandro de’ Medici. Il 1543 rappresenta invece l’anno in cui il principato mediceo, alla cui testa stava ora il giovane successore di Alessandro Cosimo I de’ Medici, riuscì dopo circa sei anni di assestamento e di “lotta per il potere”, a conquistare una piena sovranità nei confronti dell’imperatore con la restituzione delle fortezze di Firenze e Livorno2.

Gli anni che intercorrono tra queste due date attraversano tutto il regno del duca Alessandro de’ Medici, assassinato il 6 gennaio del 1537, e i primi anni al potere del duca Cosimo I de’ Medici, eletto dal Senato dei Quarantotto nel giro di tre giorni dall’omicidio del suo predecessore. Sono questi gli anni in                                                                                                                

1     D.   Marrara,   Studi   giuridici   sulla   Toscana   medicea.   Contributo   alla   storia   degli   stati   assoluti  in  Italia,  Milano,  Giuffrè,  1965,  pp.  4  e  sgg.  

2  G.  Spini,  Cosimo  I  e  l’indipendenza  del  principato  mediceo,  Firenze,  Vallecchi,  1980,  p.  

VII;  E.  Fasano  Guarini,  Lo  Stato  regionale  in  Storia  della  Toscana,  Vol  1:  Dalle  origini  al  

Settecento,   a   cura   di   E.   Fasano   Guarini,   G.   Petralia   e   P.   Pezzino,   Roma-­‐Bari,   Laterza,  

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cui emergono e vengono affrontati i problemi di politica interna ed internazionale dal nuovo governo: dalla pacificazione dei conflitti locali nei centri più caldi del dominio fiorentino, alla ripresa economica al termine di un periodo di guerre e devastazioni, e ad una lotta sul piano internazionale per conquistare la dignità e la sovranità proprie di uno Stato indipendente o, quantomeno, non occupato da forze straniere.

Questi sono anche gli anni in cui il potere mediceo, nella figura del duca, riesce a superare le restrizioni impostegli dalle stesse “ordinazioni” del 27 aprile 1532 che, frutto delle manovre di papa Clemente VII e dei suoi collaboratori, lo avevano definito e dotato della sua forma. Si tratta di un processo che, iniziato fin dai primi giorni del principato di Alessandro, porterà a considerare il potere del principe come preminente su tutte le altre magistrature, esautorando di fatto tutti quegli organi che nell’intento originario delle “ordinazioni” avrebbero dovuto fargli da contrappeso e rappresentare il potere degli ottimati.

Un processo, questo, innescato e portato avanti da entrambi i giovani duchi anche attraverso la collaborazione di uomini che ne seguirono giorno per giorno i passi e le mosse. Questi per la maggior parte giunsero nella stanza del potere grazie al patrocinio di Clemente VII, interessato a porre accanto al duca Alessandro delle figure esperte e capaci di indirizzarlo, o in virtù di una datata esperienza di servizio presso vari membri della famiglia Medici. Alla morte del primo duca alcuni di loro rimasero al servizio di Cosimo in qualità di segretari, con tutta l’esperienza maturata nei cinque anni precedenti, ottenendo (come vedremo nei successivi capitoli) ruoli più o meno importanti rispetto al passato. Oltre a essi, Cosimo fu affiancato in questi anni (e anche in quelli successivi, fino alla loro morte) da altre figure già presenti sulla scena politica fiorentina, ma in qualche modo meno legate al duca precedente se non per i rapporti intessuti con i servitori di più vecchia data. Le più importanti furono due: Maria Salviati de’ Medici, sua madre, che morirà

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proprio sul finire dell’anno 1543, e Pierfrancesco Riccio da Prato, suo precettore.

La fine della Repubblica di Firenze (1530-1532)

Il 12 agosto 1530, a seguito di un lungo assedio che funestò la città di Firenze e il suo Dominio, fu sottoscritta la capitolazione dell’ultima repubblica fiorentina3. La vittoria dell’esercito imperiale segnò l’inizio di una nuova era per Firenze: i Medici, cacciati nel 1494 e per la seconda volta nel 1527, potevano finalmente rientrare in città e stavolta vi sarebbero rimasti per i secoli a venire. E’ da questi eventi che prese avvio la formazione del principato a Firenze4.

La capitolazione, firmata da Ferrante Gonzaga (sostituto alla guida delle truppe imperiali del principe d’Orange, caduto il 3 agosto a Gavinana), dal commissario generale del papa Bartolomeo Valori e dai rappresentanti della città (i capitoli furono firmati dal Gonfaloniere assieme alla Balìa), stabiliva il giuramento d’obbedienza di Firenze all’imperatore Carlo V e lasciava a questo la facoltà di stabilire, entro quattro mesi, una nuova forma di governo                                                                                                                

3     Assediata   dalle   truppe   imperiali   e   pontificie,   la   repubblica   di   Firenze   si   difese  

duramente.  Il  lungo  assedio,  durato  dall’ottobre  del  1529  all’agosto  del  1530,  lasciò   delle   profonde   ferite   sul   territorio   della   repubblica,   come   il   Varchi   ben   ricorda:   “Io  

trovo  che  in  quest’assedio,  de’  soldati  di  fuora  furono  uccisi  dintorno  a  quattordicimila,  e   tra   essi   ottanta   capitani,   e   di   quegli   di   dentro   presso   a   ottomila,   e   tra   essi   ottanta   capitani,  senza  la  gente  bassa  e  i  contadini  dell’un  sesso  e  dell’altro,  i  quali  in  Firenze  e   nel  suo  distretto  morirono  in  numero  innumerevole  di  fame,  di  ferro,  di  peste  e  di  stento.   Non  è  già  possibile  raccontare  l’infinito  danno,  oltre  gli  infiniti  disagi,  che  soffersero  per   tutto  il  dominio  fiorentino,  così  i  poveri  all’avvenante  come  i  ricchi,  e  tanto  gli  uomini   quanto   le   femmine;   perché   lasciando   stare   quanto   rovinarono   i   Fiorentini   propri,   e   quanto  spesero  per  conto  di  questa  guerra,  il  che  fu  tesoro  inestimabile;  egli  non  fu  né   città   né   castello   né   borgo   o   villaggio   nessuno   …   il   quale   non   fosse,   e   bene   spesso   più   volte,  o  saccheggiato  o  …  gravemente  dannificato”  (B.  Varchi,  Storia  fiorentina,  Firenze,  

Le   Monnier,   1858,   vol.   3,   Libro   XI,   p.   370).   Per   l’assedio   cfr.   A.   Monti,   La  guerra  dei  

Medici.   Firenze   e   il   suo   dominio   nei   giorni   dell’assedio   (1529-­‐1530).   Uomini,   fatti,   battaglie,   Firenze,   La   nuova   Toscana   editrice,   2007   oltre   a   C.   Roth,   L’ultima   Repubblica  fiorentina,  Firenze,  Vallecchi,  1929.  

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per la città “intendendosi sempre che sia conservata la libertà”5. Con questa mossa l’imperatore si garantiva il diritto e il pieno potere di dare allo stato fiorentino un nuovo assetto politico-istituzionale. Papa Clemente VII avrebbe tuttavia preferito una resa incondizionata da parte degli sconfitti e una più attenta considerazione delle sue richieste da parte dell’imperatore, i cui giuramenti garantivano alcuni diritti alla città che essa avrebbe potuto far valere di fronte a imposizioni troppo pesanti da parte del papa6.

Il 20 agosto tutto il popolo fu convocato “ad parlamentum adunantiam

generalem” e venne così eletta una Balìa di dodici cittadini dotata di

amplissimi poteri, capeggiata di fatto dal commissario generale di papa Clemente VII Bartolomeo Valori, esecutore in Firenze della volontà del pontefice. La Balìa si occupò di nominare tutte le maggiori magistrature della città, sostituendone i vecchi membri con gli esuli che stavano in quelle settimane rientrando a Firenze dopo la vittoria imperiale; costituì la nuova Signoria il 1° settembre, alla quale fu data la facoltà di nominare tutti gli uffici “intrinseci” ed “estrinseci”. Giovanni Corsi fu eletto, su desiderio di Clemente VII, nuovo Gonfaloniere7. Il pontefice aveva ora in mano gli strumenti per controllare e dirigere la trasformazione degli ordinamenti costituzionali fiorentini nel caso in cui la soluzione imposta da Carlo V non                                                                                                                

5  Il   testo   della   capitolazione   si   trova   in   ASFi,   Notarile   antecosimiano,   G   74   (1529-­‐

1530),  Protocollo  di  Ser  Bernardo  Gamberelli,  cc.  207-­‐210v.,  pubblicato  in  L.  Cantini,  

Legislazione  Toscana,  vol.  I,  Firenze,  1800,  p.  32  e  sgg.  Cfr.  G.  Pansini,  ivi.  

6  R.   Von   Albertini,   Firenze   dalla   Repubblica   al   Principato,   Torino,   Einaudi,   1970,   p.  

180.   Cfr.   inoltre   A   Monti,   op.   cit.,   pp.   170-­‐174,   C.   Roth,   op.   cit.,   pp.   460-­‐461,   M.   Rastrelli,  Storia  d’Alessandro  de’  Medici,  2  voll.,  Firenze,  1781,  vol  I,  pp.  64  e  sgg.  

7    I  dodici  cittadini  eletti  furono:  Bartolomeo  di  Filippo  di  Bartolomeo  Valori,  Raffaello  

di   Francesco   Girolami,   gonfaloniere   di   giustizia,   Luigi   di   Angelo   della   Stufa,   Ormannozzo   di   Tommaso   Deti,   Matteo   di   Angelo   Niccolini,   Leonardo   di   Bernardo   Ridolfi,   Filippo   di   Alessandro   Machiavelli,   Antonio   di   Piero   Gualtierotti,   Andrea   di   Tommaso   Minerbetti,   Ottaviano   di   Lorenzo   de’   Medici,   Zanobi   di   Bartolomeo   Bartolini,   Niccolò   di   Bartolomeo   del   Troscia.   Per   il   provvedimento   di   nomina   della   Balìa  cfr.  ASFi,  Balìe,  48,  n.  39.  La  Balìa  verrà  in  seguito  ampliata  fino  a  raggiungere  i   146  membri.  Per  una  trattazione  dettagliata  dei  vari  provvedimenti  presi  dalla  Balìa   cfr.  G.  Pansini,  op.  cit.,  pp.  IX-­‐XV.  Cfr  inoltre  R.  Von  Albertini,  op.  cit.,  p.  180,  C.  Roth,  op.  

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avesse aderito in pieno ai suoi disegni 8 . La risoluzione fu presa dall’imperatore con il diploma del 28 ottobre, che investiva il giovane Alessandro de’ Medici, Duca di Penne e nipote del papa, del titolo a vita ed ereditario di “Capo del governo, dello stato e del regime della Repubblica

fiorentina” col potere di presiedere alle tradizionali magistrature. Il diploma,

frutto del trattato concluso il 20 giugno del 1529 a Barcellona tra l’imperatore e il papa, oltre a risultare formalmente rispettoso delle tradizionali libertà repubblicane, stabiliva perfino che la nomina delle cariche dovese seguire lo stesso sistema della repubblica9.

La situazione economica di Firenze, come abbiamo accennato, era disastrosa. L’aristocrazia e gli esuli che rientravano in città trovarono rovinati i loro possedimenti e le loro fortune, trovandosi così nella necessità di chiedere continuamente favori a Roma e ai Medici per ottenere posizioni e incarichi amministrativi lautamente remunerati. Nel settembre, dopo lunghe trattative e un grande esborso di denaro ottenuto tramite prestiti forzosi imposti ai cittadini, i lanzichenecchi furono licenziati e lasciarono la città. Qui rimase un contingente di seicento uomini che, sul finire dell’anno, fu affidato ad Alessandro Vitelli, inviato a Firenze dal papa assieme all’arcivescovo di Capua Niccolò Schomberg. Questo, giunto in città il 29 gennaio 1531, sostituì il Valori (richiamato dal suo servizio) come rappresentante dei Medici e della volontà del papa e, quindi, come effettivo signore di Firenze10.

Lo Schomberg s’insediò presso il palazzo dei Medici da dove iniziò a governare lo stato assieme ai cittadini, cercando di calmare le acque e preparare il terreno alla venuta di Alessandro de’ Medici che si trovava alla                                                                                                                

8  I.  Domenichini,  Alle  origini  del  principato  cosimiano  cit.,  p.  5.  

9  Il  diploma  è  pubblicato  in  L.  Cantini,  op.  cit.,  vol.  I,  p.  35  e  sgg,  mentre  l’originale  è  in  

ASFi,  Diplomatico.  Riformagioni  atti  pubblici,  1530  ottobre  28.  G.  Pansini,  op.  cit.,  pp.   IX-­‐X;   I.   Domenichini,   op.   cit.,   p.   4;   F.   Diaz,   Il   Granducato   di   Toscana,   Torino,   UTET,   1976,  pp.  37-­‐38;  O.  Rouchon,  L’invention  du  principat  cit.,  pp.  68-­‐69.  

10  R.  Von  Albertini,  op.  cit.,  pp.  180-­‐183;  F.  Diaz,  op.  cit.,  pp.  39-­‐41;  C.  Roth,  op.  cit.,  pp.  

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corte imperiale a Bruxelles. Il giovane, il 17 febbraio del 1531, venne dichiarato, con una deliberazione della Balìa che dava esecuzione al diploma del 28 ottobre, capo perpetuo di tutte le magistrature cittadine. Il 5 luglio di quell’anno Alessandro poté finalmente fare il suo trionfale ingresso in città: incontrato ed omaggiato dalla nobiltà cittadina, fu scortato dalla guardia di Alessandro Vitelli fino a Palazzo Medici. Il giorno successivo, alla presenza delle magistrature e della Signoria, nel salone dei Duecento, ebbe luogo la solenne lettura del decreto imperiale di Carlo V ad opera del Primo cancelliere della repubblica Francesco Campana da Colle. Benedetto Buondelmonti ringraziò l’imperatore a nome di tutta la Repubblica, giurandogli fedeltà, riconoscendo Alessandro de’ Medici degno di ogni onore e servitù in quanto salvatore della Patria: il decreto fu poi solennemente baciato dal Buondelmonti e, di seguito, dai rappresentanti della Signoria e delle magistrature11.

Dal gennaio del 1531 Clemente VII iniziò a raccogliere i vari “pareri” riguardanti la forma che avrebbe dovuto avere il nuovo ordinamento del governo di Firenze per poter garantire un potere stabile e duraturo alla sua famiglia. Questi venivano da parte dei fautori medicei appartenenti alla fazione degli ottimati: parliamo qui dei vari discorsi del 1531 riportati allo Schomberg (ancora figura di riferimento in città) o a Bartolomeo Lanfredini (destinati direttamente al papa) da Francesco e Luigi Guicciardini, Francesco Vettori e Filippo Strozzi, e di quelli richiesti direttamente a Roma dal papa                                                                                                                

11  M.  Rastrelli,    op.  cit.,  vol.  I,  pp.  72-­‐83;  G.  Capponi,  Storia  della  repubblica  di  Firenze,  

Firenze,   Barbèra,   1876,   vol.   III,   pp.   317-­‐318;   R.   Von   Albertini,   op.   cit.,   p.   192;   I.   Domenichini,  op.  cit.,  pp.  6-­‐7.  Riguardo  alla  figura  del  Campana  cfr.  i  capitoli  successivi   del  presente  lavoro;  riguardo  alla  carica  di  Primo  cancelliere  della  repubblica,  da  lui   ricoperta   dal   1°   maggio   del   1531   e   che   ricoprì   anche   l’anno   successivo,   cfr.   M.   G.   Cruciani   Troncarelli,   Francesco   Campana   in   Dizionario   Biografico   degli   Italiani,   vol.   XVII,   Roma,   1974;   D.   Marzi,   La   cancelleria   della   Repubblica   cit.,   pp.   326   e   514.   Benedetto  Buondelmonti  ricopriva  a  quel  tempo  la  carica  di  Gonfaloniere  di  Giustizia,   a  tal  proposito  cfr.  G.  De  Caro,  Benedetto  Buondelmonti  in  Dizionario  Biografico  degli  

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nel 1532 (ai cui autori si aggiunse Roberto Acciaiuoli). Nell’inverno 1531-1532 furono convocati a Roma Filippo Strozzi, Bartolomeo Lanfredini, Iacopo Salviati, Benedetto Buondelmonti ed altri per discutere della riforma costituzionale che si sarebbe dovuta operare di lì a breve a Firenze e sondare l’umore generale. Quanto emerge, nonostante la posizione fedele alla repubblica sostenuta da Iacopo Salviati (fedele al tradizionale metodo di governo mediceo), è che oramai sembrano non esserci più alternative alla signoria medicea. Le posizioni sono più o meno intransigenti, dall’idea di costruire una fortezza (fortemente sostenuta da Filippo Strozzi) a quella di mantenere una parvenza di repubblica (come abbiamo visto sostenuta dal Salviati), e l’idea di fondo che emerge è quella di un governo oligarchico di tipo veneziano, con al posto del doge un duca di famiglia medicea con trasmissione ereditaria del potere. Francesco Vettori, ad esempio, appare convinto che non vi sia alternativa a quella di imporre il potere di Alessandro, facendolo riconoscere a tutti gli effetti come signore di Firenze, pur lasciando alla città “questo nome vano di libertà”12. Le preoccupazioni di Clemente VII rimanevano quelle di legare la sorte degli ottimati a quella della sua casata, cosa effettivamente già avvenuta, e quella di instaurare un regime che garantisse il controllo su Firenze pur senza violare quanto stabilito dal diploma di Carlo V.

Questi “pareri” riflettono, come ha ben spiegato Furio Diaz, i limiti sia della classe politica degli ottimati, che si riteneva comunque la più adatta al governo della città, sia i limiti degli apparati dello stato fiorentino, i quali mostravano ancora un carattere cittadino pur applicandosi e proponendosi di reggere un territorio dalla dimensione regionale. Il mutamento costituzionale e di regime, infatti, si attuò tutto all’interno delle mura cittadine. Gli ottimati sembravano ritenere che sarebbe bastato qualche ritocco costituzionale per                                                                                                                

12  F.  Vettori,  Scritti  storici  e  politici,  Laterza,  Bari,  1972  e  M.  Rastrelli,  op.  cit.,  vol.  I,  pp.  

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sistemare le cose e giungere a quel governo oligarchico “sul tipo veneziano” che desideravano13.

Questi anni, in particolare a seguito dell’allargamento della Balìa a 150 membri appartenenti alla fazione degli ottimati filomedicei nell’ottobre del 1530, furono inoltre quelli della repressione. Operata contro gli esponenti del vecchio regime repubblicano e popolare dai grandi rientrati in possesso del loro potere, portò a torture, incarcerazioni, esecuzioni ed esili che colpirono fin nel dominio fiorentino14.

Clemente VII ebbe in tutto questo l’astuzia di lasciar sfogare la frustrazione e l’odio degli ottimati, lasciando che la colpa delle iniziali scelte impopolari operate dal governo fiorentino dopo la capitolazione, come i vari balzelli e accatti per risanare le finanze della città, ricadesse principalmente su di loro, mostrando come tutto egli “lo consentisse e non ordinasse e tutto si facesse per satisfare alle voglie de’ cittadini”15.

A seguito delle ultime consultazioni, nel 1532 Clemente VII decise infine che era giunto il momento di avviare la riforma costituzionale volta ad assicurare ad Alessandro de’ Medici e alla sua casata il potere a Firenze. Inviò                                                                                                                

13  F.   Diaz,   op.   cit.,   p.   45;   E.   Fasano   Guarini,   Principe   ed   oligarchie   nella   Toscana   del   Cinquecento   in   Ead.,   L’Italia  moderna  e  la  Toscana  dei  Principi.  Discussioni  e  ricerche   storiche,   Firenze,   Le   Monnier,   2008,   p.   221,   originariamente   in   Forme  e  tecniche  del   potere   nella   città   (secoli   XIV-­‐XVII),   a   cura   di   S.   Bertelli,   in   “Annali   della   Facoltà   di  

Scienze   politiche”,   Università   di   Perugia,   1979-­‐1980,   16,   Materiali   di   Storia,   4,   pp.   105-­‐126.   Per   una   trattazione   adeguata   della   vicenda   e   un   esaustivo   esame   dei   “pareri”,  cfr.  F.  Diaz,  op.  cit.,  pp.  41-­‐50  e  soprattutto  R.  Von  Albertini,  op.  cit.,  pp.  179-­‐ 279.    

14  Noto,  è  ad  esempio,  il  caso  di  Luigi  Guicciardini,  giunto  a  Pisa  come  Commissario  

Generale  il  19  agosto,  che  fece  incarcerare,  torturare  (secondo  il  Varchi  e  il  Segni)  e   giustiziare  infine  il  31  ottobre  Pieradoardo  Gioachinotti,  suo  predecessore  e  fervente   repubblicano.  P.  Zanetti,  L’aristocrazia  fiorentina  e  la  periferia  pisana  dopo  la  caduta  

della   Repubblica   (1530-­‐1532)   in   “Ricerche   Storiche”,   XXVI   (1986),   pp.   44-­‐47;   Id.,   Potere  fiorentino  e  periferia  pisana  agli  inizi  del  principato  mediceo,  Facoltà  di  Lettere  

e  Filosofia,  tesi  di  laurea  in  storia  moderna,  Università  di  Pisa,  relatore  M.  Mirri,  1983-­‐ 194,   p.   40;   F.   Diaz,   op.   cit.,   p.   41;   S.   Ammirato,   Istorie  fiorentine,  Firenze,   Stamperia   d’Amadore  Massi  e  Lorenzo  Landi,  1641,  vol.  III,  parte  II,  p.  415.  

15  P.   Zanetti,   op.   cit.,   p.   41;   la   citazione   proviene   da   una   lettera   del   Buondelmonti   a  

Francesco  Antonio  Nori  del  31  gennaio  del  1532,  citata  in  R.  Von  Albertini,  op.  cit.,  p.   193  e  trascritta  in  M.  Rastrelli,  op.  cit.,  vol.  I,  p.  234.  

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qui a febbraio Filippo de’ Nerli per rendere nota la sua volontà ai cittadini più influenti e agli alleati, e lo stesso fece più tardi con Roberto Pucci e Filippo Strozzi, che molto probabilmente giunsero in città già a conoscenza del programma di riforma definitivamente deciso dal papa negli ultimi mesi. Tra il 4 e il 5 aprile la Balìa elesse dodici “riformatori”16 e il 27 dello stesse mese la nuova costituzione fiorentina vide la luce con le “ordinazioni fatte dalla repubblica fiorentina insieme con l’excellentia del Duca Alessandro dei Medici dichiarato capo della medesima”17.

La Signoria fu abolita, come il Gonfaloniere di Giustizia, le cui attribuzioni sarebbero passate al Duca chiamato a presiedere a tutte le magistrature. Furono creati il Consiglio dei Duecento, in cui confluirono tutti i membri della Balìa e della Signoria (oltre a un gruppo di cittadini nominati dai riformatori stessi), e il Consiglio dei Quarantotto (che prese poi il nome di Senato), i cui membri furono eletti a vita dai riformatori tra i membri del Consiglio dei Duecento e sarebbero poi stati sostituiti alla loro morte dal duca. Altra nuova magistratura fu quella dei quattro Consiglieri, che si sarebbe chiamata poi Magistrato supremo. Alessandro de’ Medici ricevette il titolo di “Duca della Repubblica Fiorentina, come si chiama il Doge di Venezia”.

Citando Pansini, “le ‘ordinazioni’ costituivano formalmente una monarchia ‘temperata’ basata su due assemblee”18. Vediamo adesso più nel dettaglio le principali modifiche apportate.

                                                                                                               

16  I   dodici   cittadini,   eletti   per   un   mese   con   l’incarico   di   riformare   lo   stato,   furono:  

Matteo   Niccolini,   Francesco   Guicciardini,   Roberto   Pucci,   Agostino   Dini,   Roberto   Acciaiuoli,   Jacopo   Gianfigliazzi,   Matteo   Strozzi,   Palla   Rucellai,   Francesco   Vettori,   Giovan  Francesco  Ridolfi,  Giuliano  Capponi,  Bartolomeo  Valori.  La  delibera  della  Balìa   si  trova  in  ASFi,  Balìe,  55,  c.  91,  mentre  l’atto  d’elezione  dei  dodici  riformatori  del  5   aprile  in  ASFi,  Signori  e  collegi,  134,  c.  109.  G.  Pansini,  op.  cit.,  p.  XIV.  

17  Ivi,   p.   XV.   Le   “ordinazioni”   vennero   così   titolate   nella   pubblicazione   operata   dal  

Cantini  in  L.  Cantini,  op.  cit.,  vol.  I,  pp.  5-­‐17.  Il  testo  originale  si  trova  in  ASFi,  Senato  

dei   Quarantotto,   12,   cc.   1-­‐8.   Un’altra   trascrizione   delle   “ordinazioni”   si   trova   in   M.  

Rastrelli,  op.  cit.,  vol.  I,  pp.  304  e  sgg.  

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Il magistrato dei quattro Consiglieri, poi Magistrato Supremo, insieme al duca ottiene le prerogative della vecchia Signoria eccetto che per alcune materie la cui competenza sarà trasferita ad altri uffici (principalmente agli Otto di Pratica); tale magistrato ha funzione sia di Consiglio di Stato, sia consultiva, e oltre alla funzione amministrativa avrà anche quella di tribunale d’appello. Quando il duca non vi presiede, è un suo luogotenente a farlo; come già fa Pansini possiamo citare ad esempio la delega regolarmente scritta dal duca il 18 novembre del 1532 al Cardinale Cybo19.

Il Consiglio dei Duecento ha l’autorità di approvare le provvisioni riguardanti particolari persone o comunità nel dominio ma solo dopo che esse siano state approvate dai Dodici Procuratori di Palazzo; elegge inoltre altri uffici che non sono di competenza del Senato dei Quarantotto quali quelli dei “quattordici et undici et otto provveditori”, e non può riunirsi se non alla presenza del Duca o di un suo sostituto, dei Consiglieri, dei Collegi e dei Procuratori di palazzo. I suoi membri rimangono in carica a vita.

Il Senato dei Quarantotto è formato da 48 membri nominati tra gli appartenenti al Consiglio dei Duecento, eletti per la prima volta dai Riformatori e in seguito dal principe. Esso approva le leggi generali e finanziare, e nomina alcuni magistrati sia cittadini sia del dominio (attribuisce ad esempio anche le cariche degli Otto di Pratica), i commissari e gli ambasciatori. Le sue sedute non si possono tenere senza la presenza del duca o di un suo delegato; eccetto che per le prerogative del duca e dei suoi Consiglieri, ha tutti i poteri della Balìa del 1530. Elegge inoltre i Consiglieri.

Infine, i componenti delle magistrature degli Otto di Pratica, Otto di Guardia e balìa, Conservatori di leggi, dei Capitani e Provveditori delle fortezze, Dodici procuratori di palazzo e Dodici buoni uomini devono provenire per tutto o in parte da i sopradetti due consigli. Gli ottimati si assicurarono così, se non altro, la presenza in un gruppo di magistrature                                                                                                                

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appartenenti al vecchio sistema, e lasciate in piedi a seguito della riforma costituzionale20.

Questa costituzione rappresenta formalmente un compromesso tra il principato e le richieste dell’aristocrazia, sulla quale il potere del principe sembrava doversi appoggiare per esercitarsi21. Tuttavia, nei fatti, tutto ciò non si realizzò: i consigli formati dagli ottimati, vincolati al permesso del duca, perdettero la loro indipendenza, mentre, di fatto, le nomine agli impieghi erano nelle stesse mani del principe e dei suoi sostenitori. L’aristocrazia, radicalmente opposta al popolo e spaventata da qualunque spiraglio che lasciasse intravedere un ritorno al vecchio regime, raggiunse il suo obiettivo. Essa però non riuscì in sostanza a ottenere quel potere che desiderava nella forma di un governo veramente “misto”, rimanendo così dipendente dal potere mediceo e aprendo alla possibilità (che il governo personale del duca sfrutterà e porterà a compimento negli anni successivi) di perdere in sostanza ogni funzione politica e decisionale, per finire relegata ad una funzione quasi solo meramente consultiva22. E’ da tutto ciò che si avvierà quel processo che, parafrasando il Litchfield, porterà all’esistenza di “due governi” in Firenze: l’uno formato dagli agenti e dagli uomini di fiducia del Duca, l’altro formato dalle magistrature istituite nel 153223. L’effettivo potere politico sarà, tra i due, appannaggio del primo, il prestigio sociale del secondo.

                                                                                                               

20  Per   una   trattazione   esaustiva   e   puntuale   del   funzionamento   delle   nuove  

magistrature  cfr.  G.  Pansini,  Le  “ordinazioni”  del  27  aprile  1532  e  l’assetto  politico  del  

principato   mediceo   in   Studi   in   memoria   di   Giovanni   Cassandro   Roma,   Pubblicazioni  

degli  Archivi  di  Stato,  1991,  vol.  III,  pp.  759-­‐785  e  la  trascrizione  ivi  presente,  nonché   I.  Domenichini,  op.  cit.,  pp.  8-­‐9;  cfr.  inoltre  F.  Diaz,  op.  cit.,  pp.  50-­‐53,  R.  Von  Albertini,   op.   cit.,   pp.   199-­‐201   e   N.   Rubinstein,   Dalla   Repubblica   al   Principato,   in   Firenze   e   la  

Toscana   dei   Medici   nell’Europa   del   ‘500,   Atti   del   Convegno   internazionale   di   studio  

tenutosi  a  Firenze  dal  9  al  14  giugno  1980  nell'ambito  della  XVI  Esposizione  europea   di  Arte,  Scienza  e  Cultura  dedicata  a  "Firenze  e  la  Toscana  dei  Medici  nell'Europa  del   Cinquecento",  Firenze,  Olschki,  1983,  vol.  I,  p.  172.  

21  R.  Von  Albertini,  op.  cit.,  p.  200.  

22  Ivi,  pp.  200-­‐201;  N.  Rubinstein,  op.  cit.,  pp.  167-­‐176.  

23  R.   B.   Litchfield,   Emergence  of  a  bureaucracy.  The  Florentine  Patricians  1530-­‐1790,  

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Alessandro e i suoi sostenitori non persero occasione, citando nuovamente Pansini, per “considerare le ordinazioni come superate sin dal giorno della loro pubblicazione”24; le basi per uno sviluppo del potere del principe in senso “assoluto” erano poste, sebbene le “ordinazioni” in se stesse non lo definissero tale25.

Il papa e il duca: Alessandro de’ Medici e i primi anni di regno (1510-1534)

La data di nascita di Alessandro de’ Medici, figlio naturale di Lorenzo de’ Medici duca di Urbino e di una serva, è tradizionalmente posta al 1510, sebbene il datato studio di Pieraccini la ponga al 1512 ed avanzi l’ipotesi che egli fosse in realtà figlio dello stesso papa Clemente VII (al tempo Giulio de’ Medici)26. Una piccola busta di carte anonime, appunti e foglietti risalenti al XVI secolo (preparatori, molto probabilmente, a un lavoro di storiografia sul duca) pongono la data di nascita al 1510 o al 151127.

Dal 1519, a seguito della morte del duca di Urbino, Alessandro fu allevato presso la corte di papa Leone X dal cardinale Giulio de’ Medici assieme alla sorellastra Caterina de’ Medici, figlia legittima di Lorenzo duca d’Urbino. Assieme al cugino Ippolito, figlio di Giuliano di Nemours (fratello di Leone X), la famiglia volle farlo il continuatore delle fortune della dinastia28.

                                                                                                               

24  G.  Pansini,  op.  cit.,  p.  XVIII.  

25  Sebbene  il  Varchi  scrisse  che  fu  “creato  il  duca  Alessandro  nel  modo  che  s’è  detto  

signore  assoluto  di  Firenze”  (B.  Varchi,  op.  cit.,  vol.  III,  p.  2).  Cfr.  N.  Rubinstein,  op.  cit.,   pp.  172-­‐173.  

26  G.   Pieraccini,   La   stirpe   dei   Medici   Cafaggiolo,   2a   ediz.,   3   voll.,   Firenze,   Vallecchi,  

1947,  vol.  I,  pp.  429-­‐436;  cfr.  per  la  biografia  Alessandro,  oltre  alla  precedentemente   citata  opera  settecentesca  del  Rastrelli,    G.  Spini,  Alessandro  de’  Medici,  primo  duca  di  

Firenze  in  Dizionario  Biografico  degli  Italiani,  Vol.  II,  1960.  Il  Rastrelli  pone  la  nascita  

di  Alessandro  al  1510.  

27  ASFi,  Miscellanea  Medicea,  586,  inserto  4,  cc.  1-­‐11;  non  sono  riuscito  a  comprendere  

a  chi  risalgano  questi  scritti.  Li  riporto  qui  per  completezza  d’informazione,  sebbene   la  loro  affidabilità  e  validità  storica  sia  da  accertare.  Per  la  datazione  di  queste  carte   cfr.   Miscellanea   Medicea,   Inventario,   III,   B.   Biagioli,   G.   Cibei,   V.   Vestri,   Pubblicazioni   degli  Archivi  di  Stato,  Roma,  2014,  p.  236.  

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Il 19 novembre del 1523 Giulio de’ Medici fu eletto papa col nome di Clemente VII ed Alessandro continuò a risiedere alla sua corte in quegli anni. Nel 1522 gli fu procurato, attraverso maneggiamenti dello zio, il feudo del ducato di Penne nel Regno di Napoli, con una rendita annua di diecimila scudi29.

Il 19 giugno del 1525, inviato dal papa, Alessandro giunse a Firenze dove già si trovava il cugino Ippolito per rappresentare la, allora “di fatto”30, signoria medicea. I due furono posti sotto la guida e tutela del cardinal Passerini, Legato del papa; di loro si occuparono anche Giovanni Corsi, il quale divenne una sorta di precettore per i ragazzi, e Ottaviano de’ Medici31.

Con il Passerini, i due rampolli fuggirono da Firenze in occasione della seconda cacciata della famiglia nel maggio del 1527. I tre si spostarono a Lucca, e quindi a Massa presso il Cardinale Innocenzo Cybo, il quale li raggiunse poi nuovamente a Parma nell’ottobre dello stesso anno32 . Accenniamo qui al fatto che Angelo e Pier Paolo Marzi, “segretari medicei”, accompagnarono i fuggitivi prima a Lucca e, in seguito, a Roma33. Clemente VII, riconciliato con l’imperatore, elevò al cardinalato Ippolito e spianò quindi la strada ad Alessandro per ottenere il dominio su Firenze. Ciò anche                                                                                                                

29  Ibid.;  M.  Rastrelli,  op.  cit.,  vol.  I,  pp.  5-­‐10.     30  Cfr.  supra,  p.  11.  

31  M.   Rastrelli,   op.   cit.,   vol.   I,   pp.   14-­‐15;   P.   Malanima,   Giovanni   Corsi   in   Dizionario   Biografico   degli   Italiani,   vol.   XXIX,   1983.   Cfr.   il   paragrafo   precedente   per   i   ruoli  

rivestiti  dai  due  nelle  vicende  fiorentine  a  seguito  dell’assedio.  Ottaviano  de’  Medici   sposò   Francesca   di   Iacopo   Salviati,   sorella   di   Maria   Salviati   madre   di   Cosimo   I.   Per   una  breve  sintesi  della  biografia  di  Ottaviano  de’  Medici,  cfr.  G.  Pansini,  op.  cit.,  p.  XIX,   nota  60.    

32  L.   Staffetti,   Il   Cardinale   Innocenzo   Cybo.   Contributo   alla   storia   della   politica   e   dei   costumi  italiani  nella  prima  metà  del  secolo  XVI,  Firenze,  Le  Monnier,  1899,  pp.  73-­‐74.  

Il  Cardinale  era  molto  affezionato  ai  due  “nipoti”,  come  ad  essi  si  riferiva,  (ivi,  p.  84).   Sui  vari  spostamenti  dei  due  in  questo  periodo  cfr.  anche  L.  A.  Ferrai,  Lorenzino  de’  

Medici  e  la  società  cortigiana  del  Cinquecento,  Milano,  Hoepli,  1891,  p.  72.  

33  V.   Arrighi,   Angelo   Marzi   in   Dizionario   Biografico   degli   Italiani,   vol.   LXXI,   2008.  

Angelo   Marzi,   impiegato   nella   cancelleria   della   repubblica,   riuscì   a   portare   con   sé   i   sigilli  ufficiali  con  i  quali  si  segnava  la  corrispondenza,  causando  non  pochi  problemi   al  sistema  di  trasmissione  degli  ordini  del  regime  repubblicano.  

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in virtù degli accordi di Barcellona del 1529, con cui Carlo V promise al papa che gli avrebbe dato in sposa la figlia naturale Margherita d’Austria. Alessandro assistette alle trattative che si svolsero a Genova nell’agosto del 1529 in occasione dello sbarco dell’imperatore riconciliatosi col papa (il quale come sappiamo desiderava il suo aiuto per riconquistare Firenze) e a cui parteciparono anche ambasciatori inviati dalla repubblica fiorentina34. Passato del tempo a seguito della corte imperiale, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, Alessandro rientrerà a Firenze soltanto nel 1531, come “capo” della stessa città che lo aveva cacciato e che aveva perseguitato la sua famiglia, ottenendo il titolo di “Duca della Repubblica di Firenze” l’anno successivo.

Come accennato nel paragrafo precedente, le disposizioni delle “ordinazioni” vennero quasi immediatamente disattese: il magistrato dei Consiglieri non ebbe il ruolo che avrebbe dovuto avere nel coadiuvare il duca nel governo dello stato, in quanto questo continuò a servirsi degli uomini che gli erano già stati posti a fianco da papa Clemente VII. Come ricorda il Varchi, il duca “si serviva dell’arcivescovo di Capova [lo Schomberg] per consigliere e di messer Giovanni de Statis35 per auditore perché così aveva ordinato il papa”36. Il de Statis è definito dal Rastrelli, come anche dal Ferrai e dallo Staffetti, “auditore nelle cause civili”37. Altri favoriti al suo servizio, noti nella tradizione storiografica per il loro assecondare il duca nelle violente                                                                                                                

34  A.  Monti,  op.  cit.,  p.  194;  M.  Rastrelli,  op.  cit.,  vol.  I,  pp.  42-­‐47.  

35  Egli   fu   inviato   da   Clemente   VII   nel   1530   a   Firenze   per   curare   la   restituzione   dei  

beni  ecclesiastici  confiscati  dalla  repubblica  durante  l’assedio.  Sotto  Alessandro  ebbe   il  titolo  di  auditore.    Su  di  lui  cfr.  G.  Pansini,  op.  cit.,  p.  XVIII,  nota  56;  M.  Rastrelli,  op.   cit.,  vol  I.,  p.  84.  In  ASFi,  Mediceo  del  Principato,  3262,  2,  c.  73r  si  trova,  in  una  lettera   spedita   da   Angelo   Niccolini   da   Roma   a   Ugolino   Grifoni   (segretario   prima   del   duca   Alessandro   e   successivamente   del   duca   Cosimo   di   cui   avremo   modo   di   parlare   in   seguito)  a  Firenze  il  5  luglio  del  1539,  la  notizia  della  sua  morte  [The  Medici  Archive   Project,  doc.  18846].  

36  Varchi,  op.  cit.  vol.  III,  p.  2.  

37  L.  A.  Ferrai,  op.  cit.,  pp.  127-­‐129,  che  attribuisce  a  lui  e  allo  Schomberg  la  riforma  

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passioni, furono i famigerati Giomo da Carpi e l’Unghero, due bravacci, assieme all’odiata figura del cancelliere degli Otto di Guardia e Balìa “Ser Maurizio da Milano”, simbolo quasi dell’arbitraria giustizia attribuita al primo duca di Firenze, il quale (citando Furio Diaz) si affidava alla sua opera poliziesca nel governo delle cose interne38. Alessandro si dotò di una guardia personale, altro tipico tratto del tiranno che il Rastrelli non manca di enfatizzare, la quale lo accompagnava nei suoi spostamenti in città, e creò capitano della guardia cittadina Alessandro Vitelli, come abbiamo visto inviato a Firenze dal papa39.

Tra gli stretti collaboratori del duca vi era anche il già ricordato Francesco Campana da Colle, primo segretario (una carica che inizierà ad assumere un’enorme importanza nel principato mediceo), che secondo quanto racconta il Rastrelli fu preso al fianco di questo “giovane inesperto nella scuola della politica” su consiglio di Francesco Vettori. Egli vantava un servizio di lunga data presso la famiglia Medici, in particolare presso papa Clemente VII come vedremo più diffusamente in seguito, oltre ad aver già ricoperto la carica di primo cancelliere dall’anno 153140. Tra il 1531 e il 1533 giunse a Firenze anche Lelio Torelli da Fano per ricoprire l’incarico di giudice di Ruota; egli aveva in precedenza ricoperto cariche politiche nello Stato della Chiesa al servizio di Clemente VII e si guadagnerà il favore del duca Alessandro proprio in questi anni, per divenire in seguito uno dei segretari più importanti di Cosimo I41. Sempre in seno alla segreteria, argomento che sarà trattato nel capitolo successivo, in questo periodo troviamo già Pirro Musefilo, Iacopo Polverini, Angelo Marzi (vescovo di Assisi, che “fu segretario del duca

                                                                                                               

38  Si  tratta  di  Maurizio  Albertani.  Cfr.  R.  Von  Albertini,  op.  cit.,  pp.  202-­‐203;  F.  Diaz,  op.  

cit.,  pp.  54-­‐55;  L.  Staffetti,  op.  cit.,  p.  110.  

39  M.  Rastrelli,  op.  cit.,  vol.  II,  pp.  6-­‐9.   40  Ivi,  pp.  4-­‐5.  Cfr.  supra,  p.  16.    

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Alessandro” che se ne serviva “per suo luogotenente nelle udienze dei piati et differenze dei sudditi”)42 e Ugolino Grifoni43.

Alessandro si circondò così di un gruppo di collaboratori, segretari e consiglieri non formalmente definito dalla nuova costituzione44, di cui facevano parte anche uomini di estrazione tutt’altro che aristocratica e per di più forestieri, svincolati da qualunque influenza che non fosse la volontà del duca. Cosa, questa, che comprensibilmente suscitò malcontento tra gli ottimati che vi si posero in contrasto45. Questo tratto caratteristico del governo di Alessandro emergerà ancor di più a seguito della morte di Clemente VII, per consolidarsi con Cosimo I, come vedremo nei paragrafi e capitoli successivi.

L’Anzilotti, come Von Albertini e soprattutto Diaz rifacendosi al Rastrelli e al Rossi46, vide in questo un elemento di influenza sul duca che portò a riconoscergli dopo la morte un “senso egualitario e indipendente di giustizia”,                                                                                                                

42  La   citazione   proviene   da   S.   Ammirato,   Opuscoli,   Firenze,   Stamperia   d’Amadore  

Massi  e  Lorenzo  Landi,  1642,  vol.  III,  p.  155,  citato  in  G.  Pansini,  op.  cit.,  p.  XX,  a  cui  si   rimanda  anche  per  una  breve  biografia  di  di  Pirro  Musefilo.  Per  Iacopo  Polverini  basti   qui   accennare   al   fatto   che   egli   fu   inserito   nella   cancelleria   da   Iacopo   Modesti,   cancelliere  delle  Riformagioni,  poco  prima  della  sua  morte  il  23  dicembre  del  1531.   Angelo  Marzi  era  rientrato  a  Firenze  nel  gennaio  del  1531  (cfr.  V.  Arrighi,  op.  cit.);  si   rimanda  inoltre  a  quanto  accennato  supra,  p.  23,  e  ai  capitoli  II,  III  e  IV  del  presente   lavoro.  

43  Su  di  lui  si  vedano  i  capitoli  III  e  IV  del  presente  lavoro.  Basti  qui  ricordare  che  egli  

figura  già  come  segretario  del  duca  Alessandro  nel  1533  (cfr.  I.  Domenichini,  op.  cit.,   p.   117).   Vedasi,   a   ulteriore   conferma   della   notizia,   anche   una   lettera   del   1534   presente  in  ASFi,  Mediceo  del  Principato,  181,  c.  32,  lettera  al  vicario  di  San  Miniato,   23  maggio  1534:  “La  S  V  intenderà  da  messer  Francesco  Grifoni  fratello  di  Ugolino  mio  

secretario   quel   tanto   luj   desidera   conseguir   da   lej   …   per   certo   credito”.   Dalla   lettera  

emerge   inoltre   che   il   vicario   dovrà   ordinare   “al   prefacto   Francesco   che   con   le   sue  

ragioni  si  conferisca  a  Firenze  davanti  al  nostro  Reverendo  Monsignore  d’Assisj  [Angelo  

Marzi]  il  quale  terminerà  tal  differentia  secondo  troverrà  convenirsi  per  il  dover  d’essa  

iustitia”.   Francesco   Grifoni   era   uno   dei   fratelli   di   Ugolino,   come   anche   Carlo   che   fu  

capitano  della  guardia  di  una  delle  porte  di  Pisa  sotto  il  governo  di  Alessandro  (a  tal   proposito   cfr.   S.   Calonaci,   Ugolino   Grifoni   in   Dizionario   Biografico   degli   Italiani,   vol.   LIX,  2002).  

44  A.  Anzilotti,  La  costituzione  interna  cit.,  p.  119   45  P.  Zanetti,  op.  cit.,  p.  131.  

46  In   particolare   essi   si   rifanno   ad   A.   Rossi,   Francesco   Guicciardini   e   il   governo   fiorentino  dal  1527  al  1540,  Bologna,  Zanichelli,  1896-­‐1899,  vol.  II,  pp.  225-­‐230.  

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che si concretizzò anche nell’assenza di riguardi per la posizione sociale degli aristocratici quando si trattava di citarli in tribunale. Questo lo rese anche bersaglio delle critiche di alcuni ottimati in precedenza favorevoli alla sua ascesa; in particolare Diaz si sofferma su questo punto, ipotizzando che ciò derivasse principalmente dall’influenza del Campana. C’è da dire tuttavia, come ancora fa notare sempre Diaz, che durante il governo del primo duca non mancarono dimostrazioni di giustizia arbitraria nei confronti dei suoi nemici o dei suoi favoriti47.

Sia qui brevemente accennato, dato che l’argomento sarà meglio trattato nel capitolo successivo, che questa nuova pratica amministrativa cominciata sotto il primo duca di Firenze rappresentò quell’elemento che permetterà al principato mediceo di superare i limiti del governo repubblicano e di legare finalmente il potere centrale – inteso come città di Firenze – al resto del dominio, superando gli interessi particolari e i conflitti strettamente cittadini delle varie fazioni al potere48. Basti qui citare il Diaz a proposito di Francesco Campana: “uomo di esperienza e capacità, in grado di portare nel governo quel motivo di ammodernamento, di riorganizzazione amministrativa, di raccordo tra autorità centrali e locali, che aveva figurato in prima linea fra le carenze delle istituzioni e della prassi amministrativa della repubblica, e quindi fra gli elementi determinanti della sua crisi”49. Sarà proprio in questi anni, infatti, che si affermerà la prassi, per il duca o i suoi segretari, di tenere una regolare e giornaliera corrispondenza con i rappresentanti fiorentini nelle

                                                                                                               

47  A.   Anzilotti,   La   crisi   costituzionale   cit.,   pp.   123-­‐124;   R.   Von   Albertini,   op.   cit.,   pp.  

202-­‐203;   F.   Diaz,   op.   cit.,   p.   55.   Cfr.   inoltre,   per   la   politica   volta   ad   eguagliare   gli   abitanti  del  dominio  ai  cittadini,  R.  Galluzzi,  Istoria  del  Granducato  di  Toscana  sotto  il  

governo  della  casa  Medici,  Capolago,  Tipografia  Elvetica,  1841,  vol.  I,  p.  XLIII.   48  Cfr.  A.  Anzilotti,  op.  cit.,  pp.  121-­‐148.  

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zone del dominio, prassi che Cosimo I farà successivamente osservare con estremo rigore negli anni del suo principato50.

Come giustamente fa notare ancora una volta Von Albertini, in questi primi anni di vita del ducato “l’aristocrazia fiorentina fornì consiglieri, ambasciatori e rappresentanti politici nel territorio, finché il principato non ebbe formato con le proprie forze una classe di magistrati e di segretari”. Uomini come Francesco Vettori, Roberto Acciaiuoli, Matteo Niccolini, Matteo Strozzi e Francesco Guicciardini figurano accanto al cardinal Cybo come amici e consiglieri del duca. Essi, come scrive Von Albertini, si erano riconciliati col principato mediceo, sia per interesse personale, sia perché a causa della situazione in cui versava la città non vedevano alcuna possibile e realistica alternativa ad esso. Quello che però è evidente è che gran parte di essi svolsero i loro compiti su un piano “privato” e lontano dalle cariche istituite dalle “ordinazioni” del 27 aprile 153251.

Tra i provvedimenti presi in questi primi mesi di governo da Alessandro de’ Medici, “o da chi governava per lui”52, oltre all’imposizione di alcune gabelle sul sale e sulla farina, vi fu quello di far edificare un baluardo sul fiume Arno alla Porta alla Giustizia col pretesto di riporvi le armi consegnate                                                                                                                

50  P.  Zanetti,  op.  cit.,  p.  132,  che  indica  il  già  citato  registro  di  copialettere  del  1534-­‐

1535   ASFi,   Mediceo   del   principato,   181.   Valgano   qui   inoltre,   come   altri   sporadici   esempi   di   questa   corrispondenza   per   il   periodo   di   Alessandro,   le   carte   risalenti   ad   alcuni   giorni   del   1532   scambiate   tra   il   duca   insieme   agli   Otto   di   Pratica   e   il   Commissario   di   Borgo   San   Sepolcro   (in   ASFi,   Miscellanea   Medicea,   659/2),   quelle   scambiate  tra  il  duca  e  il  commissario  d’Arezzo  risalenti  al  1535  (in  ASFi,  Strozziane,  I,   361,  cc.  23-­‐26),  e  infine  quelle  riguardanti  il  particolare  caso  del  1535  di  un  sonetto   composto   a   Pietrasanta   contro   il   precedente   capitano   di   quella   terra   (in   ASFi,  

Miscellanea   Medicea,   586/36;   qui,   a   c.   3,   il   capitano   Giovanni   Ubertini   informa  

Alessandro  sulla  situazione  dei  banditi  presenti  in  quella  terra).  Sia  nel  caso  del  1532   che  in  quello  di  Pietrasanta  si  nota  la  presenza  di  lettere  scambiate  direttamente  col   duca,  anziché  solo  con  la  magistratura  degli  Otto  di  Pratica.  Per  il  periodo  di  Cosimo  I   basti   vedere   i   registri   successivi   al   n.   181   (ASFi,   Mediceo   del   Principato,   Registri   di  

lettere  spedite,  182-­‐207).  

51  R.  Von  Albertini,  op.  cit.,  p.  202;  altri  ottimati  “amici”  di  Alessandro,  rappresentanti  

della  politica  medicea  nel  dominio,  erano  ad  esempio  Luigi  Guicciardini  e  Filippo  de’   Nerli.  

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dai cittadini dopo il disarmo. Egli inoltre iniziò, secondo il Rastrelli, a organizzare le bande di descritti del contado, concedendo ai descritti esenzioni fiscali, ritrovandosi così una milizia fedele di cui poter disporre contro la città in caso di insurrezione53. Risale a questo periodo la presenza di Filippo Strozzi alla corte di Alessandro in veste di amico e consigliere, il quale fu tra i più forti sostenitori dell’idea di costruire una fortezza in città54.

Nel settembre del 1532 lo Schomberg lasciò Firenze. Fu sostituito nel novembre dal cardinale Innocenzo Cybo55, che si avvicinò al duca in qualità di uomo di fiducia e consigliere tanto che ricoprirà anche il ruolo di luogotenente nelle sedute del Magistrato Supremo. Per comprendere l’importanza della figura del cardinale, basti ricordare che quando nel novembre del 1532 Alessandro de’ Medici lasciò Firenze per raggiungere l’imperatore, il quale si doveva incontrare a Bologna col papa, lasciò il governo nelle sue mani. Secondo lo Staffetti è in questo momento che iniziò a nascere l’inimicizia tra il cardinale e Filippo Strozzi, a quel tempo a Firenze56. Quest’ultimo, richiamato dal papa a seguito di una vicenda giudiziaria che coinvolse i suoi figli e che bastò a insospettire il duca, lasciò la città per trasferirsi a Roma e, in seguito, in Francia57.

La situazione economica di Firenze e del suo dominio era critica. Le entrate dello Stato diminuivano, in un momento in cui le spese per la ricostruzione e per il consolidamento del nuovo potere richiedevano una quantità di denaro sempre maggiore. Già dal 1532 era parso evidente che il                                                                                                                

53  M.  Rastrelli,  op.  cit.,  vol.  II,  pp.  11-­‐12.   54  Ivi,  pp.  13-­‐15.  

55  R.   Von   Albertini,   op.   cit.,   pp.   201-­‐202.   Secondo   lui   questo   avrebbe   incoraggiato   il  

dispotismo  di  Alessandro,  anziché  moderarlo.  Cfr.  inoltre  L.  Staffetti,  op.  cit.,  p.  113.  

56  L.   Staffetti,   op.   cit.,   pp.   113-­‐115;   F.   de’   Nerli,   Commentarj   dei   fatti   civili   occorsi   dentro  la  città  di  Firenze  dall’anno  1215  al  1537,  Trieste,  Colombo  Coen,  1859,  p.  212.   57  M.  Rastrelli,  op.  cit.,  pp.  35-­‐36;  R.  Von  Albertini,  op.  cit.,  p.  203.  Lo  Strozzi  da  quel  

momento   curò   i   suoi   affari   presso   la   corte   romana,   e   fu   incaricato   insieme   a   Maria   Salviati  di  accompagnare  la  sorellastra  di  Alessandro,  Caterina  de’  Medici,  in  Francia   in  occasione  del  suo  matrimonio  col  duca  d’Orleans  nell’autunno  del  1533.  Anticipò   inoltre  i  soldi  per  la  dote  di  Caterina.  

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nuovo regime doveva concentrarsi sulla riorganizzazione del sistema tributario: il 14 maggio di quell’anno fu preso infatti un provvedimento per riordinare i libri catastali al fine di aggiornare la decima che dal 1498 gravava sui beni fondiari58. Nel novembre del 1533 Alessandro ricorse a una misura monetaria che vietava la coniazione di fiorini, sostituiti da scudi d’oro con una percentuale inferiore di metallo (recanti l’arme dei Medici e il nome del duca) generando svalutazione. Ricorse inoltre, sempre in quell’anno, a una nuova ondata di repressione, prolungando di tre anni e peggiorando i luoghi di confino per gli esponenti della repubblica del 1530: molti dei colpiti si ribellavano esulando, e così il duca poteva incamerarne i beni confiscandoli. Importante fu per il nuovo governo prendere provvedimenti verso l’attività manifatturiera e mercantile sia per la sua situazione di crisi, sia perché era soggetta a una tassa speciale detta arbitrio. Infine nel 1534 una carestia colpì il ducato, rendendo necessarie delle misure annonarie, sgradite ai cittadini e gradite dal popolino59.

Non mancarono interventi nel dominio, volti a pacificarlo e risanarlo dopo le recenti devastazioni, oltre a risolvere problemi di più lunga data. Ne è un esempio il caso di Pisa e del suo contado, diffusamente trattato dal già citato Zanetti. La questione, che sarà meglio descritta nei capitoli successivi, inizia ad acquistare molta importanza sin dalla caduta della repubblica, e sarà costantemente affrontata dal governo fiorentino durante l’arco di tempo coperto dal presente lavoro, e anche oltre60.

Risale al 1534 la vicenda che vide coinvolta una figlia di Filippo Strozzi, Luisa, insidiata da un favorito del duca, Giuliano Salviati. Questi fu malmenato e ferito, e a ciò seguì l’incarcerazione di Piero Strozzi, figlio di

                                                                                                               

58  Tale  provvedimento  sarà  esteso,  nel  1536,  anche  agli  abitanti  del  contado.     59  M.  Rastrelli,  op.  cit.,  pp.  40-­‐41,  47-­‐49,  54-­‐60;  F.  Diaz,  op.  cit.,  pp.  55-­‐57.  

60  Cfr.  le  opere  precedentemente  citate  di  Zanetti;  basti  qui  citare  intanto,  per  la  linea  

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Filippo e sospettato del crimine, che fu poi liberato solo grazie all’intervento personale di Clemente VII61.

Filippo tuttavia teneva già da tempo un atteggiamento ambiguo nei confronti del principato, avvicinandosi già ai tempi della residenza a Roma al gruppo di oppositori formatosi qui attorno ai cardinali Salviati, Ridolfi, Gaddi e a Ippolito de’ Medici62. Clemente VII, sempre più preoccupato per le posizioni ambigue dello Strozzi (imparentatosi con Baccio Valori tramite il matrimonio di sua sorella con il figlio di questo, e creditore di vari cittadini fiorentini), sollecitò Alessandro ad avviare la costruzione della fortezza da lui ideata. Oltre a questo, il papa stipulò con Alfonso d’Este, duca di Ferrara, un trattato per fargli cacciare dal suo stato tutti i ribelli fiorentini che vi si trovassero, poi firmato anche da Alessandro63.

Il 15 luglio fu celebrata dall’arcivescovo di Firenze, assieme al vescovo d’Assisi Angelo Marzi, una solenne messa per la posa della prima pietra della Fortezza di San Giovanni Battista (che sarà chiamata Fortezza da Basso), per la cui costruzione il duca impose ulteriori tasse64.

Clemente VII, ammalato da giugno, si spense il 24 settembre. Ebbe termine così il suo controllo sull’operato del duca e in generale sul governo di Firenze, mantenuto negli anni attraverso uomini di fiducia come i fratelli Pier Paolo e Angelo Marzi65 e l’ambasciatore fiorentino a Roma Benedetto Buondelmonti. Quest’ultimo “essendo confidentissimo del Papa scriveva di punto in punto tutto quello che Clemente comandava si facesse in Firenze in ogni cosa quantunque minima”66. Francesco Guicciardini, che si trovava a                                                                                                                

61  Sulla  vicenda  cfr.  M  Rastrelli,  op.  cit.,  vol.  2,  pp.  41-­‐47.   62  F.  Diaz,  op.  cit.,  p.  55;  R.  Von  Albertini,  op.  cit.,  p.  203.   63  M  Rastrelli,  op.  cit.,  vol.  2,  pp.  49-­‐53.  

64  Sarà   proprio   Angelo   Marzi   a   porre   la   prima   pietra   della   fortezza.   Cfr.   Ibid.   e   V.  

Arrighi,  op.  cit.;  sulla  Fortezza  cfr.  inoltre  O.  Rouchon,  op.  cit.,  pp.  70-­‐71.  

65  Cfr.  supra,  pp.  23,  26,  e  i  capitoli  II  e  III  del  presente  lavoro.  

66  M.   Rastrelli,   op.   cit.,   vol.   II,   p.   42;   citazione   mutuata   dal   VI   libro   del   Segni   (cfr.   B.  

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Roma e non mancava di informare e dare consigli per lettera al duca, tornò a Firenze ed entrò nella ristretta cerchia di consiglieri privati di Alessandro67.

Su consiglio di Ottaviano de’ Medici, depositario generale del duca fin dal 153168, e di Alessandro Vitelli, il duca assoldò delle fanterie da tenere pronte per ogni evenienza, assegnandole alla città; questo provvedimento andava contro la delibera del magistrato dei Consiglieri di mantenere le cose nel loro stato attuale. Alessandro si preparava al rischio di uno scontro diretto con i fuoriusciti e gli oppositori del regime in città69.

Le esequie per la morte del pontefice furono celebrate dal vescovo di Assisi in Santa Maria del fiore il 19 ottobre mentre a Roma, pochi giorni prima, veniva creato il nuovo pontefice nella figura di Alessandro Farnese col nome di Paolo III. L’ambasceria inviata dal duca per rendere omaggio al nuovo pontefice era formata da Bartolomeo Valori, Giovanni Corsi, Francesco Antonio Nori e, in teoria, da Filippo Strozzi. Egli, tornato dalla corte di Francia, si rifiutò di parlare a nome di Alessandro e di ritornare a Firenze, entrando ora definitivamente, assieme al Valori, nello schieramento degli oppositori al regime ducale. Alessandro fu avvertito della cosa dagli altri due ambasciatori70.

Gli esuli rialzarono la testa e alla fine i repubblicani e gli aristocratici presenti tra questi si trovarono d’accordo, dopo diverse discussioni, sul progetto di fare di Ippolito de’ Medici il nuovo signore di Firenze. Strinsero con lui un accordo ai primi del 153571.

                                                                                                               

67  R.  Von  Albertini,  op.  cit.,  pp.  203-­‐205.   68  G.  Pansini,  op.  cit.,  p.  XIX,  nota  60.   69  M.  Rastrelli,  op.  cit.,  p.  61.  

70  Ivi,  pp.  202-­‐203;  M.  Rastrelli,  op.  cit.,  vol.  II,  pp.  61-­‐62.   71  R.  Von  Albertini,  op.  cit.,  p.  203;  F.  Diaz,  op.  cit.,  p.  58.  

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