CAPITOLO I
Nascita e indipendenza del Ducato di Firenze (1530-1543)
Il 1530 e il 1543 sono due date cruciali per la storia di Firenze e, più in generale, per la storia della Toscana.Nel 1530 la repubblica fiorentina ebbe la sua sanguinosa fine al termine dell’assedio ad opera delle truppe imperiali e pontificie. La guerra, e gli eventi immediatamente successivi ad essa, riportarono in città la famiglia Medici ponendola definitivamente in una posizione di assoluta preminenza, dotata di un potere non più “di fatto” ma “di diritto” ed ereditario1. Un protagonista di questi anni è Giulio de’ Medici, al tempo già salito al soglio pontificio col nome di Clemente VII, che grazie agli accordi con l’imperatore Carlo V riuscì finalmente a imporre il controllo e il predominio della sua famiglia a Firenze nella figura del duca Alessandro de’ Medici. Il 1543 rappresenta invece l’anno in cui il principato mediceo, alla cui testa stava ora il giovane successore di Alessandro Cosimo I de’ Medici, riuscì dopo circa sei anni di assestamento e di “lotta per il potere”, a conquistare una piena sovranità nei confronti dell’imperatore con la restituzione delle fortezze di Firenze e Livorno2.
Gli anni che intercorrono tra queste due date attraversano tutto il regno del duca Alessandro de’ Medici, assassinato il 6 gennaio del 1537, e i primi anni al potere del duca Cosimo I de’ Medici, eletto dal Senato dei Quarantotto nel giro di tre giorni dall’omicidio del suo predecessore. Sono questi gli anni in
1 D. Marrara, Studi giuridici sulla Toscana medicea. Contributo alla storia degli stati assoluti in Italia, Milano, Giuffrè, 1965, pp. 4 e sgg.
2 G. Spini, Cosimo I e l’indipendenza del principato mediceo, Firenze, Vallecchi, 1980, p.
VII; E. Fasano Guarini, Lo Stato regionale in Storia della Toscana, Vol 1: Dalle origini al
Settecento, a cura di E. Fasano Guarini, G. Petralia e P. Pezzino, Roma-‐Bari, Laterza,
cui emergono e vengono affrontati i problemi di politica interna ed internazionale dal nuovo governo: dalla pacificazione dei conflitti locali nei centri più caldi del dominio fiorentino, alla ripresa economica al termine di un periodo di guerre e devastazioni, e ad una lotta sul piano internazionale per conquistare la dignità e la sovranità proprie di uno Stato indipendente o, quantomeno, non occupato da forze straniere.
Questi sono anche gli anni in cui il potere mediceo, nella figura del duca, riesce a superare le restrizioni impostegli dalle stesse “ordinazioni” del 27 aprile 1532 che, frutto delle manovre di papa Clemente VII e dei suoi collaboratori, lo avevano definito e dotato della sua forma. Si tratta di un processo che, iniziato fin dai primi giorni del principato di Alessandro, porterà a considerare il potere del principe come preminente su tutte le altre magistrature, esautorando di fatto tutti quegli organi che nell’intento originario delle “ordinazioni” avrebbero dovuto fargli da contrappeso e rappresentare il potere degli ottimati.
Un processo, questo, innescato e portato avanti da entrambi i giovani duchi anche attraverso la collaborazione di uomini che ne seguirono giorno per giorno i passi e le mosse. Questi per la maggior parte giunsero nella stanza del potere grazie al patrocinio di Clemente VII, interessato a porre accanto al duca Alessandro delle figure esperte e capaci di indirizzarlo, o in virtù di una datata esperienza di servizio presso vari membri della famiglia Medici. Alla morte del primo duca alcuni di loro rimasero al servizio di Cosimo in qualità di segretari, con tutta l’esperienza maturata nei cinque anni precedenti, ottenendo (come vedremo nei successivi capitoli) ruoli più o meno importanti rispetto al passato. Oltre a essi, Cosimo fu affiancato in questi anni (e anche in quelli successivi, fino alla loro morte) da altre figure già presenti sulla scena politica fiorentina, ma in qualche modo meno legate al duca precedente se non per i rapporti intessuti con i servitori di più vecchia data. Le più importanti furono due: Maria Salviati de’ Medici, sua madre, che morirà
proprio sul finire dell’anno 1543, e Pierfrancesco Riccio da Prato, suo precettore.
La fine della Repubblica di Firenze (1530-1532)
Il 12 agosto 1530, a seguito di un lungo assedio che funestò la città di Firenze e il suo Dominio, fu sottoscritta la capitolazione dell’ultima repubblica fiorentina3. La vittoria dell’esercito imperiale segnò l’inizio di una nuova era per Firenze: i Medici, cacciati nel 1494 e per la seconda volta nel 1527, potevano finalmente rientrare in città e stavolta vi sarebbero rimasti per i secoli a venire. E’ da questi eventi che prese avvio la formazione del principato a Firenze4.
La capitolazione, firmata da Ferrante Gonzaga (sostituto alla guida delle truppe imperiali del principe d’Orange, caduto il 3 agosto a Gavinana), dal commissario generale del papa Bartolomeo Valori e dai rappresentanti della città (i capitoli furono firmati dal Gonfaloniere assieme alla Balìa), stabiliva il giuramento d’obbedienza di Firenze all’imperatore Carlo V e lasciava a questo la facoltà di stabilire, entro quattro mesi, una nuova forma di governo
3 Assediata dalle truppe imperiali e pontificie, la repubblica di Firenze si difese
duramente. Il lungo assedio, durato dall’ottobre del 1529 all’agosto del 1530, lasciò delle profonde ferite sul territorio della repubblica, come il Varchi ben ricorda: “Io
trovo che in quest’assedio, de’ soldati di fuora furono uccisi dintorno a quattordicimila, e tra essi ottanta capitani, e di quegli di dentro presso a ottomila, e tra essi ottanta capitani, senza la gente bassa e i contadini dell’un sesso e dell’altro, i quali in Firenze e nel suo distretto morirono in numero innumerevole di fame, di ferro, di peste e di stento. Non è già possibile raccontare l’infinito danno, oltre gli infiniti disagi, che soffersero per tutto il dominio fiorentino, così i poveri all’avvenante come i ricchi, e tanto gli uomini quanto le femmine; perché lasciando stare quanto rovinarono i Fiorentini propri, e quanto spesero per conto di questa guerra, il che fu tesoro inestimabile; egli non fu né città né castello né borgo o villaggio nessuno … il quale non fosse, e bene spesso più volte, o saccheggiato o … gravemente dannificato” (B. Varchi, Storia fiorentina, Firenze,
Le Monnier, 1858, vol. 3, Libro XI, p. 370). Per l’assedio cfr. A. Monti, La guerra dei
Medici. Firenze e il suo dominio nei giorni dell’assedio (1529-‐1530). Uomini, fatti, battaglie, Firenze, La nuova Toscana editrice, 2007 oltre a C. Roth, L’ultima Repubblica fiorentina, Firenze, Vallecchi, 1929.
per la città “intendendosi sempre che sia conservata la libertà”5. Con questa mossa l’imperatore si garantiva il diritto e il pieno potere di dare allo stato fiorentino un nuovo assetto politico-istituzionale. Papa Clemente VII avrebbe tuttavia preferito una resa incondizionata da parte degli sconfitti e una più attenta considerazione delle sue richieste da parte dell’imperatore, i cui giuramenti garantivano alcuni diritti alla città che essa avrebbe potuto far valere di fronte a imposizioni troppo pesanti da parte del papa6.
Il 20 agosto tutto il popolo fu convocato “ad parlamentum adunantiam
generalem” e venne così eletta una Balìa di dodici cittadini dotata di
amplissimi poteri, capeggiata di fatto dal commissario generale di papa Clemente VII Bartolomeo Valori, esecutore in Firenze della volontà del pontefice. La Balìa si occupò di nominare tutte le maggiori magistrature della città, sostituendone i vecchi membri con gli esuli che stavano in quelle settimane rientrando a Firenze dopo la vittoria imperiale; costituì la nuova Signoria il 1° settembre, alla quale fu data la facoltà di nominare tutti gli uffici “intrinseci” ed “estrinseci”. Giovanni Corsi fu eletto, su desiderio di Clemente VII, nuovo Gonfaloniere7. Il pontefice aveva ora in mano gli strumenti per controllare e dirigere la trasformazione degli ordinamenti costituzionali fiorentini nel caso in cui la soluzione imposta da Carlo V non
5 Il testo della capitolazione si trova in ASFi, Notarile antecosimiano, G 74 (1529-‐
1530), Protocollo di Ser Bernardo Gamberelli, cc. 207-‐210v., pubblicato in L. Cantini,
Legislazione Toscana, vol. I, Firenze, 1800, p. 32 e sgg. Cfr. G. Pansini, ivi.
6 R. Von Albertini, Firenze dalla Repubblica al Principato, Torino, Einaudi, 1970, p.
180. Cfr. inoltre A Monti, op. cit., pp. 170-‐174, C. Roth, op. cit., pp. 460-‐461, M. Rastrelli, Storia d’Alessandro de’ Medici, 2 voll., Firenze, 1781, vol I, pp. 64 e sgg.
7 I dodici cittadini eletti furono: Bartolomeo di Filippo di Bartolomeo Valori, Raffaello
di Francesco Girolami, gonfaloniere di giustizia, Luigi di Angelo della Stufa, Ormannozzo di Tommaso Deti, Matteo di Angelo Niccolini, Leonardo di Bernardo Ridolfi, Filippo di Alessandro Machiavelli, Antonio di Piero Gualtierotti, Andrea di Tommaso Minerbetti, Ottaviano di Lorenzo de’ Medici, Zanobi di Bartolomeo Bartolini, Niccolò di Bartolomeo del Troscia. Per il provvedimento di nomina della Balìa cfr. ASFi, Balìe, 48, n. 39. La Balìa verrà in seguito ampliata fino a raggiungere i 146 membri. Per una trattazione dettagliata dei vari provvedimenti presi dalla Balìa cfr. G. Pansini, op. cit., pp. IX-‐XV. Cfr inoltre R. Von Albertini, op. cit., p. 180, C. Roth, op.
avesse aderito in pieno ai suoi disegni 8 . La risoluzione fu presa dall’imperatore con il diploma del 28 ottobre, che investiva il giovane Alessandro de’ Medici, Duca di Penne e nipote del papa, del titolo a vita ed ereditario di “Capo del governo, dello stato e del regime della Repubblica
fiorentina” col potere di presiedere alle tradizionali magistrature. Il diploma,
frutto del trattato concluso il 20 giugno del 1529 a Barcellona tra l’imperatore e il papa, oltre a risultare formalmente rispettoso delle tradizionali libertà repubblicane, stabiliva perfino che la nomina delle cariche dovese seguire lo stesso sistema della repubblica9.
La situazione economica di Firenze, come abbiamo accennato, era disastrosa. L’aristocrazia e gli esuli che rientravano in città trovarono rovinati i loro possedimenti e le loro fortune, trovandosi così nella necessità di chiedere continuamente favori a Roma e ai Medici per ottenere posizioni e incarichi amministrativi lautamente remunerati. Nel settembre, dopo lunghe trattative e un grande esborso di denaro ottenuto tramite prestiti forzosi imposti ai cittadini, i lanzichenecchi furono licenziati e lasciarono la città. Qui rimase un contingente di seicento uomini che, sul finire dell’anno, fu affidato ad Alessandro Vitelli, inviato a Firenze dal papa assieme all’arcivescovo di Capua Niccolò Schomberg. Questo, giunto in città il 29 gennaio 1531, sostituì il Valori (richiamato dal suo servizio) come rappresentante dei Medici e della volontà del papa e, quindi, come effettivo signore di Firenze10.
Lo Schomberg s’insediò presso il palazzo dei Medici da dove iniziò a governare lo stato assieme ai cittadini, cercando di calmare le acque e preparare il terreno alla venuta di Alessandro de’ Medici che si trovava alla
8 I. Domenichini, Alle origini del principato cosimiano cit., p. 5.
9 Il diploma è pubblicato in L. Cantini, op. cit., vol. I, p. 35 e sgg, mentre l’originale è in
ASFi, Diplomatico. Riformagioni atti pubblici, 1530 ottobre 28. G. Pansini, op. cit., pp. IX-‐X; I. Domenichini, op. cit., p. 4; F. Diaz, Il Granducato di Toscana, Torino, UTET, 1976, pp. 37-‐38; O. Rouchon, L’invention du principat cit., pp. 68-‐69.
10 R. Von Albertini, op. cit., pp. 180-‐183; F. Diaz, op. cit., pp. 39-‐41; C. Roth, op. cit., pp.
corte imperiale a Bruxelles. Il giovane, il 17 febbraio del 1531, venne dichiarato, con una deliberazione della Balìa che dava esecuzione al diploma del 28 ottobre, capo perpetuo di tutte le magistrature cittadine. Il 5 luglio di quell’anno Alessandro poté finalmente fare il suo trionfale ingresso in città: incontrato ed omaggiato dalla nobiltà cittadina, fu scortato dalla guardia di Alessandro Vitelli fino a Palazzo Medici. Il giorno successivo, alla presenza delle magistrature e della Signoria, nel salone dei Duecento, ebbe luogo la solenne lettura del decreto imperiale di Carlo V ad opera del Primo cancelliere della repubblica Francesco Campana da Colle. Benedetto Buondelmonti ringraziò l’imperatore a nome di tutta la Repubblica, giurandogli fedeltà, riconoscendo Alessandro de’ Medici degno di ogni onore e servitù in quanto salvatore della Patria: il decreto fu poi solennemente baciato dal Buondelmonti e, di seguito, dai rappresentanti della Signoria e delle magistrature11.
Dal gennaio del 1531 Clemente VII iniziò a raccogliere i vari “pareri” riguardanti la forma che avrebbe dovuto avere il nuovo ordinamento del governo di Firenze per poter garantire un potere stabile e duraturo alla sua famiglia. Questi venivano da parte dei fautori medicei appartenenti alla fazione degli ottimati: parliamo qui dei vari discorsi del 1531 riportati allo Schomberg (ancora figura di riferimento in città) o a Bartolomeo Lanfredini (destinati direttamente al papa) da Francesco e Luigi Guicciardini, Francesco Vettori e Filippo Strozzi, e di quelli richiesti direttamente a Roma dal papa
11 M. Rastrelli, op. cit., vol. I, pp. 72-‐83; G. Capponi, Storia della repubblica di Firenze,
Firenze, Barbèra, 1876, vol. III, pp. 317-‐318; R. Von Albertini, op. cit., p. 192; I. Domenichini, op. cit., pp. 6-‐7. Riguardo alla figura del Campana cfr. i capitoli successivi del presente lavoro; riguardo alla carica di Primo cancelliere della repubblica, da lui ricoperta dal 1° maggio del 1531 e che ricoprì anche l’anno successivo, cfr. M. G. Cruciani Troncarelli, Francesco Campana in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XVII, Roma, 1974; D. Marzi, La cancelleria della Repubblica cit., pp. 326 e 514. Benedetto Buondelmonti ricopriva a quel tempo la carica di Gonfaloniere di Giustizia, a tal proposito cfr. G. De Caro, Benedetto Buondelmonti in Dizionario Biografico degli
nel 1532 (ai cui autori si aggiunse Roberto Acciaiuoli). Nell’inverno 1531-1532 furono convocati a Roma Filippo Strozzi, Bartolomeo Lanfredini, Iacopo Salviati, Benedetto Buondelmonti ed altri per discutere della riforma costituzionale che si sarebbe dovuta operare di lì a breve a Firenze e sondare l’umore generale. Quanto emerge, nonostante la posizione fedele alla repubblica sostenuta da Iacopo Salviati (fedele al tradizionale metodo di governo mediceo), è che oramai sembrano non esserci più alternative alla signoria medicea. Le posizioni sono più o meno intransigenti, dall’idea di costruire una fortezza (fortemente sostenuta da Filippo Strozzi) a quella di mantenere una parvenza di repubblica (come abbiamo visto sostenuta dal Salviati), e l’idea di fondo che emerge è quella di un governo oligarchico di tipo veneziano, con al posto del doge un duca di famiglia medicea con trasmissione ereditaria del potere. Francesco Vettori, ad esempio, appare convinto che non vi sia alternativa a quella di imporre il potere di Alessandro, facendolo riconoscere a tutti gli effetti come signore di Firenze, pur lasciando alla città “questo nome vano di libertà”12. Le preoccupazioni di Clemente VII rimanevano quelle di legare la sorte degli ottimati a quella della sua casata, cosa effettivamente già avvenuta, e quella di instaurare un regime che garantisse il controllo su Firenze pur senza violare quanto stabilito dal diploma di Carlo V.
Questi “pareri” riflettono, come ha ben spiegato Furio Diaz, i limiti sia della classe politica degli ottimati, che si riteneva comunque la più adatta al governo della città, sia i limiti degli apparati dello stato fiorentino, i quali mostravano ancora un carattere cittadino pur applicandosi e proponendosi di reggere un territorio dalla dimensione regionale. Il mutamento costituzionale e di regime, infatti, si attuò tutto all’interno delle mura cittadine. Gli ottimati sembravano ritenere che sarebbe bastato qualche ritocco costituzionale per
12 F. Vettori, Scritti storici e politici, Laterza, Bari, 1972 e M. Rastrelli, op. cit., vol. I, pp.
sistemare le cose e giungere a quel governo oligarchico “sul tipo veneziano” che desideravano13.
Questi anni, in particolare a seguito dell’allargamento della Balìa a 150 membri appartenenti alla fazione degli ottimati filomedicei nell’ottobre del 1530, furono inoltre quelli della repressione. Operata contro gli esponenti del vecchio regime repubblicano e popolare dai grandi rientrati in possesso del loro potere, portò a torture, incarcerazioni, esecuzioni ed esili che colpirono fin nel dominio fiorentino14.
Clemente VII ebbe in tutto questo l’astuzia di lasciar sfogare la frustrazione e l’odio degli ottimati, lasciando che la colpa delle iniziali scelte impopolari operate dal governo fiorentino dopo la capitolazione, come i vari balzelli e accatti per risanare le finanze della città, ricadesse principalmente su di loro, mostrando come tutto egli “lo consentisse e non ordinasse e tutto si facesse per satisfare alle voglie de’ cittadini”15.
A seguito delle ultime consultazioni, nel 1532 Clemente VII decise infine che era giunto il momento di avviare la riforma costituzionale volta ad assicurare ad Alessandro de’ Medici e alla sua casata il potere a Firenze. Inviò
13 F. Diaz, op. cit., p. 45; E. Fasano Guarini, Principe ed oligarchie nella Toscana del Cinquecento in Ead., L’Italia moderna e la Toscana dei Principi. Discussioni e ricerche storiche, Firenze, Le Monnier, 2008, p. 221, originariamente in Forme e tecniche del potere nella città (secoli XIV-‐XVII), a cura di S. Bertelli, in “Annali della Facoltà di
Scienze politiche”, Università di Perugia, 1979-‐1980, 16, Materiali di Storia, 4, pp. 105-‐126. Per una trattazione adeguata della vicenda e un esaustivo esame dei “pareri”, cfr. F. Diaz, op. cit., pp. 41-‐50 e soprattutto R. Von Albertini, op. cit., pp. 179-‐ 279.
14 Noto, è ad esempio, il caso di Luigi Guicciardini, giunto a Pisa come Commissario
Generale il 19 agosto, che fece incarcerare, torturare (secondo il Varchi e il Segni) e giustiziare infine il 31 ottobre Pieradoardo Gioachinotti, suo predecessore e fervente repubblicano. P. Zanetti, L’aristocrazia fiorentina e la periferia pisana dopo la caduta
della Repubblica (1530-‐1532) in “Ricerche Storiche”, XXVI (1986), pp. 44-‐47; Id., Potere fiorentino e periferia pisana agli inizi del principato mediceo, Facoltà di Lettere
e Filosofia, tesi di laurea in storia moderna, Università di Pisa, relatore M. Mirri, 1983-‐ 194, p. 40; F. Diaz, op. cit., p. 41; S. Ammirato, Istorie fiorentine, Firenze, Stamperia d’Amadore Massi e Lorenzo Landi, 1641, vol. III, parte II, p. 415.
15 P. Zanetti, op. cit., p. 41; la citazione proviene da una lettera del Buondelmonti a
Francesco Antonio Nori del 31 gennaio del 1532, citata in R. Von Albertini, op. cit., p. 193 e trascritta in M. Rastrelli, op. cit., vol. I, p. 234.
qui a febbraio Filippo de’ Nerli per rendere nota la sua volontà ai cittadini più influenti e agli alleati, e lo stesso fece più tardi con Roberto Pucci e Filippo Strozzi, che molto probabilmente giunsero in città già a conoscenza del programma di riforma definitivamente deciso dal papa negli ultimi mesi. Tra il 4 e il 5 aprile la Balìa elesse dodici “riformatori”16 e il 27 dello stesse mese la nuova costituzione fiorentina vide la luce con le “ordinazioni fatte dalla repubblica fiorentina insieme con l’excellentia del Duca Alessandro dei Medici dichiarato capo della medesima”17.
La Signoria fu abolita, come il Gonfaloniere di Giustizia, le cui attribuzioni sarebbero passate al Duca chiamato a presiedere a tutte le magistrature. Furono creati il Consiglio dei Duecento, in cui confluirono tutti i membri della Balìa e della Signoria (oltre a un gruppo di cittadini nominati dai riformatori stessi), e il Consiglio dei Quarantotto (che prese poi il nome di Senato), i cui membri furono eletti a vita dai riformatori tra i membri del Consiglio dei Duecento e sarebbero poi stati sostituiti alla loro morte dal duca. Altra nuova magistratura fu quella dei quattro Consiglieri, che si sarebbe chiamata poi Magistrato supremo. Alessandro de’ Medici ricevette il titolo di “Duca della Repubblica Fiorentina, come si chiama il Doge di Venezia”.
Citando Pansini, “le ‘ordinazioni’ costituivano formalmente una monarchia ‘temperata’ basata su due assemblee”18. Vediamo adesso più nel dettaglio le principali modifiche apportate.
16 I dodici cittadini, eletti per un mese con l’incarico di riformare lo stato, furono:
Matteo Niccolini, Francesco Guicciardini, Roberto Pucci, Agostino Dini, Roberto Acciaiuoli, Jacopo Gianfigliazzi, Matteo Strozzi, Palla Rucellai, Francesco Vettori, Giovan Francesco Ridolfi, Giuliano Capponi, Bartolomeo Valori. La delibera della Balìa si trova in ASFi, Balìe, 55, c. 91, mentre l’atto d’elezione dei dodici riformatori del 5 aprile in ASFi, Signori e collegi, 134, c. 109. G. Pansini, op. cit., p. XIV.
17 Ivi, p. XV. Le “ordinazioni” vennero così titolate nella pubblicazione operata dal
Cantini in L. Cantini, op. cit., vol. I, pp. 5-‐17. Il testo originale si trova in ASFi, Senato
dei Quarantotto, 12, cc. 1-‐8. Un’altra trascrizione delle “ordinazioni” si trova in M.
Rastrelli, op. cit., vol. I, pp. 304 e sgg.
Il magistrato dei quattro Consiglieri, poi Magistrato Supremo, insieme al duca ottiene le prerogative della vecchia Signoria eccetto che per alcune materie la cui competenza sarà trasferita ad altri uffici (principalmente agli Otto di Pratica); tale magistrato ha funzione sia di Consiglio di Stato, sia consultiva, e oltre alla funzione amministrativa avrà anche quella di tribunale d’appello. Quando il duca non vi presiede, è un suo luogotenente a farlo; come già fa Pansini possiamo citare ad esempio la delega regolarmente scritta dal duca il 18 novembre del 1532 al Cardinale Cybo19.
Il Consiglio dei Duecento ha l’autorità di approvare le provvisioni riguardanti particolari persone o comunità nel dominio ma solo dopo che esse siano state approvate dai Dodici Procuratori di Palazzo; elegge inoltre altri uffici che non sono di competenza del Senato dei Quarantotto quali quelli dei “quattordici et undici et otto provveditori”, e non può riunirsi se non alla presenza del Duca o di un suo sostituto, dei Consiglieri, dei Collegi e dei Procuratori di palazzo. I suoi membri rimangono in carica a vita.
Il Senato dei Quarantotto è formato da 48 membri nominati tra gli appartenenti al Consiglio dei Duecento, eletti per la prima volta dai Riformatori e in seguito dal principe. Esso approva le leggi generali e finanziare, e nomina alcuni magistrati sia cittadini sia del dominio (attribuisce ad esempio anche le cariche degli Otto di Pratica), i commissari e gli ambasciatori. Le sue sedute non si possono tenere senza la presenza del duca o di un suo delegato; eccetto che per le prerogative del duca e dei suoi Consiglieri, ha tutti i poteri della Balìa del 1530. Elegge inoltre i Consiglieri.
Infine, i componenti delle magistrature degli Otto di Pratica, Otto di Guardia e balìa, Conservatori di leggi, dei Capitani e Provveditori delle fortezze, Dodici procuratori di palazzo e Dodici buoni uomini devono provenire per tutto o in parte da i sopradetti due consigli. Gli ottimati si assicurarono così, se non altro, la presenza in un gruppo di magistrature
appartenenti al vecchio sistema, e lasciate in piedi a seguito della riforma costituzionale20.
Questa costituzione rappresenta formalmente un compromesso tra il principato e le richieste dell’aristocrazia, sulla quale il potere del principe sembrava doversi appoggiare per esercitarsi21. Tuttavia, nei fatti, tutto ciò non si realizzò: i consigli formati dagli ottimati, vincolati al permesso del duca, perdettero la loro indipendenza, mentre, di fatto, le nomine agli impieghi erano nelle stesse mani del principe e dei suoi sostenitori. L’aristocrazia, radicalmente opposta al popolo e spaventata da qualunque spiraglio che lasciasse intravedere un ritorno al vecchio regime, raggiunse il suo obiettivo. Essa però non riuscì in sostanza a ottenere quel potere che desiderava nella forma di un governo veramente “misto”, rimanendo così dipendente dal potere mediceo e aprendo alla possibilità (che il governo personale del duca sfrutterà e porterà a compimento negli anni successivi) di perdere in sostanza ogni funzione politica e decisionale, per finire relegata ad una funzione quasi solo meramente consultiva22. E’ da tutto ciò che si avvierà quel processo che, parafrasando il Litchfield, porterà all’esistenza di “due governi” in Firenze: l’uno formato dagli agenti e dagli uomini di fiducia del Duca, l’altro formato dalle magistrature istituite nel 153223. L’effettivo potere politico sarà, tra i due, appannaggio del primo, il prestigio sociale del secondo.
20 Per una trattazione esaustiva e puntuale del funzionamento delle nuove
magistrature cfr. G. Pansini, Le “ordinazioni” del 27 aprile 1532 e l’assetto politico del
principato mediceo in Studi in memoria di Giovanni Cassandro Roma, Pubblicazioni
degli Archivi di Stato, 1991, vol. III, pp. 759-‐785 e la trascrizione ivi presente, nonché I. Domenichini, op. cit., pp. 8-‐9; cfr. inoltre F. Diaz, op. cit., pp. 50-‐53, R. Von Albertini, op. cit., pp. 199-‐201 e N. Rubinstein, Dalla Repubblica al Principato, in Firenze e la
Toscana dei Medici nell’Europa del ‘500, Atti del Convegno internazionale di studio
tenutosi a Firenze dal 9 al 14 giugno 1980 nell'ambito della XVI Esposizione europea di Arte, Scienza e Cultura dedicata a "Firenze e la Toscana dei Medici nell'Europa del Cinquecento", Firenze, Olschki, 1983, vol. I, p. 172.
21 R. Von Albertini, op. cit., p. 200.
22 Ivi, pp. 200-‐201; N. Rubinstein, op. cit., pp. 167-‐176.
23 R. B. Litchfield, Emergence of a bureaucracy. The Florentine Patricians 1530-‐1790,
Alessandro e i suoi sostenitori non persero occasione, citando nuovamente Pansini, per “considerare le ordinazioni come superate sin dal giorno della loro pubblicazione”24; le basi per uno sviluppo del potere del principe in senso “assoluto” erano poste, sebbene le “ordinazioni” in se stesse non lo definissero tale25.
Il papa e il duca: Alessandro de’ Medici e i primi anni di regno (1510-1534)
La data di nascita di Alessandro de’ Medici, figlio naturale di Lorenzo de’ Medici duca di Urbino e di una serva, è tradizionalmente posta al 1510, sebbene il datato studio di Pieraccini la ponga al 1512 ed avanzi l’ipotesi che egli fosse in realtà figlio dello stesso papa Clemente VII (al tempo Giulio de’ Medici)26. Una piccola busta di carte anonime, appunti e foglietti risalenti al XVI secolo (preparatori, molto probabilmente, a un lavoro di storiografia sul duca) pongono la data di nascita al 1510 o al 151127.
Dal 1519, a seguito della morte del duca di Urbino, Alessandro fu allevato presso la corte di papa Leone X dal cardinale Giulio de’ Medici assieme alla sorellastra Caterina de’ Medici, figlia legittima di Lorenzo duca d’Urbino. Assieme al cugino Ippolito, figlio di Giuliano di Nemours (fratello di Leone X), la famiglia volle farlo il continuatore delle fortune della dinastia28.
24 G. Pansini, op. cit., p. XVIII.
25 Sebbene il Varchi scrisse che fu “creato il duca Alessandro nel modo che s’è detto
signore assoluto di Firenze” (B. Varchi, op. cit., vol. III, p. 2). Cfr. N. Rubinstein, op. cit., pp. 172-‐173.
26 G. Pieraccini, La stirpe dei Medici Cafaggiolo, 2a ediz., 3 voll., Firenze, Vallecchi,
1947, vol. I, pp. 429-‐436; cfr. per la biografia Alessandro, oltre alla precedentemente citata opera settecentesca del Rastrelli, G. Spini, Alessandro de’ Medici, primo duca di
Firenze in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. II, 1960. Il Rastrelli pone la nascita
di Alessandro al 1510.
27 ASFi, Miscellanea Medicea, 586, inserto 4, cc. 1-‐11; non sono riuscito a comprendere
a chi risalgano questi scritti. Li riporto qui per completezza d’informazione, sebbene la loro affidabilità e validità storica sia da accertare. Per la datazione di queste carte cfr. Miscellanea Medicea, Inventario, III, B. Biagioli, G. Cibei, V. Vestri, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Roma, 2014, p. 236.
Il 19 novembre del 1523 Giulio de’ Medici fu eletto papa col nome di Clemente VII ed Alessandro continuò a risiedere alla sua corte in quegli anni. Nel 1522 gli fu procurato, attraverso maneggiamenti dello zio, il feudo del ducato di Penne nel Regno di Napoli, con una rendita annua di diecimila scudi29.
Il 19 giugno del 1525, inviato dal papa, Alessandro giunse a Firenze dove già si trovava il cugino Ippolito per rappresentare la, allora “di fatto”30, signoria medicea. I due furono posti sotto la guida e tutela del cardinal Passerini, Legato del papa; di loro si occuparono anche Giovanni Corsi, il quale divenne una sorta di precettore per i ragazzi, e Ottaviano de’ Medici31.
Con il Passerini, i due rampolli fuggirono da Firenze in occasione della seconda cacciata della famiglia nel maggio del 1527. I tre si spostarono a Lucca, e quindi a Massa presso il Cardinale Innocenzo Cybo, il quale li raggiunse poi nuovamente a Parma nell’ottobre dello stesso anno32 . Accenniamo qui al fatto che Angelo e Pier Paolo Marzi, “segretari medicei”, accompagnarono i fuggitivi prima a Lucca e, in seguito, a Roma33. Clemente VII, riconciliato con l’imperatore, elevò al cardinalato Ippolito e spianò quindi la strada ad Alessandro per ottenere il dominio su Firenze. Ciò anche
29 Ibid.; M. Rastrelli, op. cit., vol. I, pp. 5-‐10. 30 Cfr. supra, p. 11.
31 M. Rastrelli, op. cit., vol. I, pp. 14-‐15; P. Malanima, Giovanni Corsi in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XXIX, 1983. Cfr. il paragrafo precedente per i ruoli
rivestiti dai due nelle vicende fiorentine a seguito dell’assedio. Ottaviano de’ Medici sposò Francesca di Iacopo Salviati, sorella di Maria Salviati madre di Cosimo I. Per una breve sintesi della biografia di Ottaviano de’ Medici, cfr. G. Pansini, op. cit., p. XIX, nota 60.
32 L. Staffetti, Il Cardinale Innocenzo Cybo. Contributo alla storia della politica e dei costumi italiani nella prima metà del secolo XVI, Firenze, Le Monnier, 1899, pp. 73-‐74.
Il Cardinale era molto affezionato ai due “nipoti”, come ad essi si riferiva, (ivi, p. 84). Sui vari spostamenti dei due in questo periodo cfr. anche L. A. Ferrai, Lorenzino de’
Medici e la società cortigiana del Cinquecento, Milano, Hoepli, 1891, p. 72.
33 V. Arrighi, Angelo Marzi in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LXXI, 2008.
Angelo Marzi, impiegato nella cancelleria della repubblica, riuscì a portare con sé i sigilli ufficiali con i quali si segnava la corrispondenza, causando non pochi problemi al sistema di trasmissione degli ordini del regime repubblicano.
in virtù degli accordi di Barcellona del 1529, con cui Carlo V promise al papa che gli avrebbe dato in sposa la figlia naturale Margherita d’Austria. Alessandro assistette alle trattative che si svolsero a Genova nell’agosto del 1529 in occasione dello sbarco dell’imperatore riconciliatosi col papa (il quale come sappiamo desiderava il suo aiuto per riconquistare Firenze) e a cui parteciparono anche ambasciatori inviati dalla repubblica fiorentina34. Passato del tempo a seguito della corte imperiale, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, Alessandro rientrerà a Firenze soltanto nel 1531, come “capo” della stessa città che lo aveva cacciato e che aveva perseguitato la sua famiglia, ottenendo il titolo di “Duca della Repubblica di Firenze” l’anno successivo.
Come accennato nel paragrafo precedente, le disposizioni delle “ordinazioni” vennero quasi immediatamente disattese: il magistrato dei Consiglieri non ebbe il ruolo che avrebbe dovuto avere nel coadiuvare il duca nel governo dello stato, in quanto questo continuò a servirsi degli uomini che gli erano già stati posti a fianco da papa Clemente VII. Come ricorda il Varchi, il duca “si serviva dell’arcivescovo di Capova [lo Schomberg] per consigliere e di messer Giovanni de Statis35 per auditore perché così aveva ordinato il papa”36. Il de Statis è definito dal Rastrelli, come anche dal Ferrai e dallo Staffetti, “auditore nelle cause civili”37. Altri favoriti al suo servizio, noti nella tradizione storiografica per il loro assecondare il duca nelle violente
34 A. Monti, op. cit., p. 194; M. Rastrelli, op. cit., vol. I, pp. 42-‐47.
35 Egli fu inviato da Clemente VII nel 1530 a Firenze per curare la restituzione dei
beni ecclesiastici confiscati dalla repubblica durante l’assedio. Sotto Alessandro ebbe il titolo di auditore. Su di lui cfr. G. Pansini, op. cit., p. XVIII, nota 56; M. Rastrelli, op. cit., vol I., p. 84. In ASFi, Mediceo del Principato, 3262, 2, c. 73r si trova, in una lettera spedita da Angelo Niccolini da Roma a Ugolino Grifoni (segretario prima del duca Alessandro e successivamente del duca Cosimo di cui avremo modo di parlare in seguito) a Firenze il 5 luglio del 1539, la notizia della sua morte [The Medici Archive Project, doc. 18846].
36 Varchi, op. cit. vol. III, p. 2.
37 L. A. Ferrai, op. cit., pp. 127-‐129, che attribuisce a lui e allo Schomberg la riforma
passioni, furono i famigerati Giomo da Carpi e l’Unghero, due bravacci, assieme all’odiata figura del cancelliere degli Otto di Guardia e Balìa “Ser Maurizio da Milano”, simbolo quasi dell’arbitraria giustizia attribuita al primo duca di Firenze, il quale (citando Furio Diaz) si affidava alla sua opera poliziesca nel governo delle cose interne38. Alessandro si dotò di una guardia personale, altro tipico tratto del tiranno che il Rastrelli non manca di enfatizzare, la quale lo accompagnava nei suoi spostamenti in città, e creò capitano della guardia cittadina Alessandro Vitelli, come abbiamo visto inviato a Firenze dal papa39.
Tra gli stretti collaboratori del duca vi era anche il già ricordato Francesco Campana da Colle, primo segretario (una carica che inizierà ad assumere un’enorme importanza nel principato mediceo), che secondo quanto racconta il Rastrelli fu preso al fianco di questo “giovane inesperto nella scuola della politica” su consiglio di Francesco Vettori. Egli vantava un servizio di lunga data presso la famiglia Medici, in particolare presso papa Clemente VII come vedremo più diffusamente in seguito, oltre ad aver già ricoperto la carica di primo cancelliere dall’anno 153140. Tra il 1531 e il 1533 giunse a Firenze anche Lelio Torelli da Fano per ricoprire l’incarico di giudice di Ruota; egli aveva in precedenza ricoperto cariche politiche nello Stato della Chiesa al servizio di Clemente VII e si guadagnerà il favore del duca Alessandro proprio in questi anni, per divenire in seguito uno dei segretari più importanti di Cosimo I41. Sempre in seno alla segreteria, argomento che sarà trattato nel capitolo successivo, in questo periodo troviamo già Pirro Musefilo, Iacopo Polverini, Angelo Marzi (vescovo di Assisi, che “fu segretario del duca
38 Si tratta di Maurizio Albertani. Cfr. R. Von Albertini, op. cit., pp. 202-‐203; F. Diaz, op.
cit., pp. 54-‐55; L. Staffetti, op. cit., p. 110.
39 M. Rastrelli, op. cit., vol. II, pp. 6-‐9. 40 Ivi, pp. 4-‐5. Cfr. supra, p. 16.
Alessandro” che se ne serviva “per suo luogotenente nelle udienze dei piati et differenze dei sudditi”)42 e Ugolino Grifoni43.
Alessandro si circondò così di un gruppo di collaboratori, segretari e consiglieri non formalmente definito dalla nuova costituzione44, di cui facevano parte anche uomini di estrazione tutt’altro che aristocratica e per di più forestieri, svincolati da qualunque influenza che non fosse la volontà del duca. Cosa, questa, che comprensibilmente suscitò malcontento tra gli ottimati che vi si posero in contrasto45. Questo tratto caratteristico del governo di Alessandro emergerà ancor di più a seguito della morte di Clemente VII, per consolidarsi con Cosimo I, come vedremo nei paragrafi e capitoli successivi.
L’Anzilotti, come Von Albertini e soprattutto Diaz rifacendosi al Rastrelli e al Rossi46, vide in questo un elemento di influenza sul duca che portò a riconoscergli dopo la morte un “senso egualitario e indipendente di giustizia”,
42 La citazione proviene da S. Ammirato, Opuscoli, Firenze, Stamperia d’Amadore
Massi e Lorenzo Landi, 1642, vol. III, p. 155, citato in G. Pansini, op. cit., p. XX, a cui si rimanda anche per una breve biografia di di Pirro Musefilo. Per Iacopo Polverini basti qui accennare al fatto che egli fu inserito nella cancelleria da Iacopo Modesti, cancelliere delle Riformagioni, poco prima della sua morte il 23 dicembre del 1531. Angelo Marzi era rientrato a Firenze nel gennaio del 1531 (cfr. V. Arrighi, op. cit.); si rimanda inoltre a quanto accennato supra, p. 23, e ai capitoli II, III e IV del presente lavoro.
43 Su di lui si vedano i capitoli III e IV del presente lavoro. Basti qui ricordare che egli
figura già come segretario del duca Alessandro nel 1533 (cfr. I. Domenichini, op. cit., p. 117). Vedasi, a ulteriore conferma della notizia, anche una lettera del 1534 presente in ASFi, Mediceo del Principato, 181, c. 32, lettera al vicario di San Miniato, 23 maggio 1534: “La S V intenderà da messer Francesco Grifoni fratello di Ugolino mio
secretario quel tanto luj desidera conseguir da lej … per certo credito”. Dalla lettera
emerge inoltre che il vicario dovrà ordinare “al prefacto Francesco che con le sue
ragioni si conferisca a Firenze davanti al nostro Reverendo Monsignore d’Assisj [Angelo
Marzi] il quale terminerà tal differentia secondo troverrà convenirsi per il dover d’essa
iustitia”. Francesco Grifoni era uno dei fratelli di Ugolino, come anche Carlo che fu
capitano della guardia di una delle porte di Pisa sotto il governo di Alessandro (a tal proposito cfr. S. Calonaci, Ugolino Grifoni in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LIX, 2002).
44 A. Anzilotti, La costituzione interna cit., p. 119 45 P. Zanetti, op. cit., p. 131.
46 In particolare essi si rifanno ad A. Rossi, Francesco Guicciardini e il governo fiorentino dal 1527 al 1540, Bologna, Zanichelli, 1896-‐1899, vol. II, pp. 225-‐230.
che si concretizzò anche nell’assenza di riguardi per la posizione sociale degli aristocratici quando si trattava di citarli in tribunale. Questo lo rese anche bersaglio delle critiche di alcuni ottimati in precedenza favorevoli alla sua ascesa; in particolare Diaz si sofferma su questo punto, ipotizzando che ciò derivasse principalmente dall’influenza del Campana. C’è da dire tuttavia, come ancora fa notare sempre Diaz, che durante il governo del primo duca non mancarono dimostrazioni di giustizia arbitraria nei confronti dei suoi nemici o dei suoi favoriti47.
Sia qui brevemente accennato, dato che l’argomento sarà meglio trattato nel capitolo successivo, che questa nuova pratica amministrativa cominciata sotto il primo duca di Firenze rappresentò quell’elemento che permetterà al principato mediceo di superare i limiti del governo repubblicano e di legare finalmente il potere centrale – inteso come città di Firenze – al resto del dominio, superando gli interessi particolari e i conflitti strettamente cittadini delle varie fazioni al potere48. Basti qui citare il Diaz a proposito di Francesco Campana: “uomo di esperienza e capacità, in grado di portare nel governo quel motivo di ammodernamento, di riorganizzazione amministrativa, di raccordo tra autorità centrali e locali, che aveva figurato in prima linea fra le carenze delle istituzioni e della prassi amministrativa della repubblica, e quindi fra gli elementi determinanti della sua crisi”49. Sarà proprio in questi anni, infatti, che si affermerà la prassi, per il duca o i suoi segretari, di tenere una regolare e giornaliera corrispondenza con i rappresentanti fiorentini nelle
47 A. Anzilotti, La crisi costituzionale cit., pp. 123-‐124; R. Von Albertini, op. cit., pp.
202-‐203; F. Diaz, op. cit., p. 55. Cfr. inoltre, per la politica volta ad eguagliare gli abitanti del dominio ai cittadini, R. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana sotto il
governo della casa Medici, Capolago, Tipografia Elvetica, 1841, vol. I, p. XLIII. 48 Cfr. A. Anzilotti, op. cit., pp. 121-‐148.
zone del dominio, prassi che Cosimo I farà successivamente osservare con estremo rigore negli anni del suo principato50.
Come giustamente fa notare ancora una volta Von Albertini, in questi primi anni di vita del ducato “l’aristocrazia fiorentina fornì consiglieri, ambasciatori e rappresentanti politici nel territorio, finché il principato non ebbe formato con le proprie forze una classe di magistrati e di segretari”. Uomini come Francesco Vettori, Roberto Acciaiuoli, Matteo Niccolini, Matteo Strozzi e Francesco Guicciardini figurano accanto al cardinal Cybo come amici e consiglieri del duca. Essi, come scrive Von Albertini, si erano riconciliati col principato mediceo, sia per interesse personale, sia perché a causa della situazione in cui versava la città non vedevano alcuna possibile e realistica alternativa ad esso. Quello che però è evidente è che gran parte di essi svolsero i loro compiti su un piano “privato” e lontano dalle cariche istituite dalle “ordinazioni” del 27 aprile 153251.
Tra i provvedimenti presi in questi primi mesi di governo da Alessandro de’ Medici, “o da chi governava per lui”52, oltre all’imposizione di alcune gabelle sul sale e sulla farina, vi fu quello di far edificare un baluardo sul fiume Arno alla Porta alla Giustizia col pretesto di riporvi le armi consegnate
50 P. Zanetti, op. cit., p. 132, che indica il già citato registro di copialettere del 1534-‐
1535 ASFi, Mediceo del principato, 181. Valgano qui inoltre, come altri sporadici esempi di questa corrispondenza per il periodo di Alessandro, le carte risalenti ad alcuni giorni del 1532 scambiate tra il duca insieme agli Otto di Pratica e il Commissario di Borgo San Sepolcro (in ASFi, Miscellanea Medicea, 659/2), quelle scambiate tra il duca e il commissario d’Arezzo risalenti al 1535 (in ASFi, Strozziane, I, 361, cc. 23-‐26), e infine quelle riguardanti il particolare caso del 1535 di un sonetto composto a Pietrasanta contro il precedente capitano di quella terra (in ASFi,
Miscellanea Medicea, 586/36; qui, a c. 3, il capitano Giovanni Ubertini informa
Alessandro sulla situazione dei banditi presenti in quella terra). Sia nel caso del 1532 che in quello di Pietrasanta si nota la presenza di lettere scambiate direttamente col duca, anziché solo con la magistratura degli Otto di Pratica. Per il periodo di Cosimo I basti vedere i registri successivi al n. 181 (ASFi, Mediceo del Principato, Registri di
lettere spedite, 182-‐207).
51 R. Von Albertini, op. cit., p. 202; altri ottimati “amici” di Alessandro, rappresentanti
della politica medicea nel dominio, erano ad esempio Luigi Guicciardini e Filippo de’ Nerli.
dai cittadini dopo il disarmo. Egli inoltre iniziò, secondo il Rastrelli, a organizzare le bande di descritti del contado, concedendo ai descritti esenzioni fiscali, ritrovandosi così una milizia fedele di cui poter disporre contro la città in caso di insurrezione53. Risale a questo periodo la presenza di Filippo Strozzi alla corte di Alessandro in veste di amico e consigliere, il quale fu tra i più forti sostenitori dell’idea di costruire una fortezza in città54.
Nel settembre del 1532 lo Schomberg lasciò Firenze. Fu sostituito nel novembre dal cardinale Innocenzo Cybo55, che si avvicinò al duca in qualità di uomo di fiducia e consigliere tanto che ricoprirà anche il ruolo di luogotenente nelle sedute del Magistrato Supremo. Per comprendere l’importanza della figura del cardinale, basti ricordare che quando nel novembre del 1532 Alessandro de’ Medici lasciò Firenze per raggiungere l’imperatore, il quale si doveva incontrare a Bologna col papa, lasciò il governo nelle sue mani. Secondo lo Staffetti è in questo momento che iniziò a nascere l’inimicizia tra il cardinale e Filippo Strozzi, a quel tempo a Firenze56. Quest’ultimo, richiamato dal papa a seguito di una vicenda giudiziaria che coinvolse i suoi figli e che bastò a insospettire il duca, lasciò la città per trasferirsi a Roma e, in seguito, in Francia57.
La situazione economica di Firenze e del suo dominio era critica. Le entrate dello Stato diminuivano, in un momento in cui le spese per la ricostruzione e per il consolidamento del nuovo potere richiedevano una quantità di denaro sempre maggiore. Già dal 1532 era parso evidente che il
53 M. Rastrelli, op. cit., vol. II, pp. 11-‐12. 54 Ivi, pp. 13-‐15.
55 R. Von Albertini, op. cit., pp. 201-‐202. Secondo lui questo avrebbe incoraggiato il
dispotismo di Alessandro, anziché moderarlo. Cfr. inoltre L. Staffetti, op. cit., p. 113.
56 L. Staffetti, op. cit., pp. 113-‐115; F. de’ Nerli, Commentarj dei fatti civili occorsi dentro la città di Firenze dall’anno 1215 al 1537, Trieste, Colombo Coen, 1859, p. 212. 57 M. Rastrelli, op. cit., pp. 35-‐36; R. Von Albertini, op. cit., p. 203. Lo Strozzi da quel
momento curò i suoi affari presso la corte romana, e fu incaricato insieme a Maria Salviati di accompagnare la sorellastra di Alessandro, Caterina de’ Medici, in Francia in occasione del suo matrimonio col duca d’Orleans nell’autunno del 1533. Anticipò inoltre i soldi per la dote di Caterina.
nuovo regime doveva concentrarsi sulla riorganizzazione del sistema tributario: il 14 maggio di quell’anno fu preso infatti un provvedimento per riordinare i libri catastali al fine di aggiornare la decima che dal 1498 gravava sui beni fondiari58. Nel novembre del 1533 Alessandro ricorse a una misura monetaria che vietava la coniazione di fiorini, sostituiti da scudi d’oro con una percentuale inferiore di metallo (recanti l’arme dei Medici e il nome del duca) generando svalutazione. Ricorse inoltre, sempre in quell’anno, a una nuova ondata di repressione, prolungando di tre anni e peggiorando i luoghi di confino per gli esponenti della repubblica del 1530: molti dei colpiti si ribellavano esulando, e così il duca poteva incamerarne i beni confiscandoli. Importante fu per il nuovo governo prendere provvedimenti verso l’attività manifatturiera e mercantile sia per la sua situazione di crisi, sia perché era soggetta a una tassa speciale detta arbitrio. Infine nel 1534 una carestia colpì il ducato, rendendo necessarie delle misure annonarie, sgradite ai cittadini e gradite dal popolino59.
Non mancarono interventi nel dominio, volti a pacificarlo e risanarlo dopo le recenti devastazioni, oltre a risolvere problemi di più lunga data. Ne è un esempio il caso di Pisa e del suo contado, diffusamente trattato dal già citato Zanetti. La questione, che sarà meglio descritta nei capitoli successivi, inizia ad acquistare molta importanza sin dalla caduta della repubblica, e sarà costantemente affrontata dal governo fiorentino durante l’arco di tempo coperto dal presente lavoro, e anche oltre60.
Risale al 1534 la vicenda che vide coinvolta una figlia di Filippo Strozzi, Luisa, insidiata da un favorito del duca, Giuliano Salviati. Questi fu malmenato e ferito, e a ciò seguì l’incarcerazione di Piero Strozzi, figlio di
58 Tale provvedimento sarà esteso, nel 1536, anche agli abitanti del contado. 59 M. Rastrelli, op. cit., pp. 40-‐41, 47-‐49, 54-‐60; F. Diaz, op. cit., pp. 55-‐57.
60 Cfr. le opere precedentemente citate di Zanetti; basti qui citare intanto, per la linea
Filippo e sospettato del crimine, che fu poi liberato solo grazie all’intervento personale di Clemente VII61.
Filippo tuttavia teneva già da tempo un atteggiamento ambiguo nei confronti del principato, avvicinandosi già ai tempi della residenza a Roma al gruppo di oppositori formatosi qui attorno ai cardinali Salviati, Ridolfi, Gaddi e a Ippolito de’ Medici62. Clemente VII, sempre più preoccupato per le posizioni ambigue dello Strozzi (imparentatosi con Baccio Valori tramite il matrimonio di sua sorella con il figlio di questo, e creditore di vari cittadini fiorentini), sollecitò Alessandro ad avviare la costruzione della fortezza da lui ideata. Oltre a questo, il papa stipulò con Alfonso d’Este, duca di Ferrara, un trattato per fargli cacciare dal suo stato tutti i ribelli fiorentini che vi si trovassero, poi firmato anche da Alessandro63.
Il 15 luglio fu celebrata dall’arcivescovo di Firenze, assieme al vescovo d’Assisi Angelo Marzi, una solenne messa per la posa della prima pietra della Fortezza di San Giovanni Battista (che sarà chiamata Fortezza da Basso), per la cui costruzione il duca impose ulteriori tasse64.
Clemente VII, ammalato da giugno, si spense il 24 settembre. Ebbe termine così il suo controllo sull’operato del duca e in generale sul governo di Firenze, mantenuto negli anni attraverso uomini di fiducia come i fratelli Pier Paolo e Angelo Marzi65 e l’ambasciatore fiorentino a Roma Benedetto Buondelmonti. Quest’ultimo “essendo confidentissimo del Papa scriveva di punto in punto tutto quello che Clemente comandava si facesse in Firenze in ogni cosa quantunque minima”66. Francesco Guicciardini, che si trovava a
61 Sulla vicenda cfr. M Rastrelli, op. cit., vol. 2, pp. 41-‐47. 62 F. Diaz, op. cit., p. 55; R. Von Albertini, op. cit., p. 203. 63 M Rastrelli, op. cit., vol. 2, pp. 49-‐53.
64 Sarà proprio Angelo Marzi a porre la prima pietra della fortezza. Cfr. Ibid. e V.
Arrighi, op. cit.; sulla Fortezza cfr. inoltre O. Rouchon, op. cit., pp. 70-‐71.
65 Cfr. supra, pp. 23, 26, e i capitoli II e III del presente lavoro.
66 M. Rastrelli, op. cit., vol. II, p. 42; citazione mutuata dal VI libro del Segni (cfr. B.
Roma e non mancava di informare e dare consigli per lettera al duca, tornò a Firenze ed entrò nella ristretta cerchia di consiglieri privati di Alessandro67.
Su consiglio di Ottaviano de’ Medici, depositario generale del duca fin dal 153168, e di Alessandro Vitelli, il duca assoldò delle fanterie da tenere pronte per ogni evenienza, assegnandole alla città; questo provvedimento andava contro la delibera del magistrato dei Consiglieri di mantenere le cose nel loro stato attuale. Alessandro si preparava al rischio di uno scontro diretto con i fuoriusciti e gli oppositori del regime in città69.
Le esequie per la morte del pontefice furono celebrate dal vescovo di Assisi in Santa Maria del fiore il 19 ottobre mentre a Roma, pochi giorni prima, veniva creato il nuovo pontefice nella figura di Alessandro Farnese col nome di Paolo III. L’ambasceria inviata dal duca per rendere omaggio al nuovo pontefice era formata da Bartolomeo Valori, Giovanni Corsi, Francesco Antonio Nori e, in teoria, da Filippo Strozzi. Egli, tornato dalla corte di Francia, si rifiutò di parlare a nome di Alessandro e di ritornare a Firenze, entrando ora definitivamente, assieme al Valori, nello schieramento degli oppositori al regime ducale. Alessandro fu avvertito della cosa dagli altri due ambasciatori70.
Gli esuli rialzarono la testa e alla fine i repubblicani e gli aristocratici presenti tra questi si trovarono d’accordo, dopo diverse discussioni, sul progetto di fare di Ippolito de’ Medici il nuovo signore di Firenze. Strinsero con lui un accordo ai primi del 153571.
67 R. Von Albertini, op. cit., pp. 203-‐205. 68 G. Pansini, op. cit., p. XIX, nota 60. 69 M. Rastrelli, op. cit., p. 61.
70 Ivi, pp. 202-‐203; M. Rastrelli, op. cit., vol. II, pp. 61-‐62. 71 R. Von Albertini, op. cit., p. 203; F. Diaz, op. cit., p. 58.