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LLLOOO SSSTTTAAATTTOOO DDDEEELLLLLL ’’’ AAARRRTTTEEE

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«I tagli ai fondi per la cultura

significano far sprofondare il Paese in un baratro. E’ un baratro in cui il Paese finirà per essere declassato e inferiore ai Paesi che hanno ben altro rispetto per la cultura. Non è una cosa grave. E’ un delitto.»

(R. Muti, 2 Febbraio 2005)

1.1 Il Capocomico…

L’Italia ha da sempre avuto coscienza della vastità e della varietà del suo patrimonio ar-tistico ed ha sempre tenuto vive le ricche tradizioni culturali in cui venivano riproposte le diverse forme di espressione artistica volte all’intrattenimento. Così per rispondere ai cambiamenti sociali che negli ultimi quindici anni hanno toccato anche questo impor-tante settore si sono apportate rilevanti innovazioni nelle strutture e nelle logiche prepo-ste al suo governo.

Le trasformazioni che hanno attraversato il tessuto sociale hanno fatto assumere alla cultura un ruolo nuovo: è diventata un fattore importante nelle dinamiche politiche e civili poiché è emersa l’inequivocabile rete di condizionamenti che per le sue caratteri-stiche l’azione di questo settore è in grado di costruire. Inoltre a questa spinta bottom-up, prima debole e quasi latente poi sempre più forte ed evidente, si è accompagnato un profondo mutamento negli orientamenti delle filosofie istituzionali che vedono nella sussidiarietà il principio-guida delle costruzioni organizzative e delle nuove formulazio-ni legislative.

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2 L’impianto istituzionale ed il sistema di regole che sosteneva la gestione amministrati-va del settore culturale, dopo aver subìto una prima rileamministrati-vante modifica con la soppres-sione del Ministero per il Turismo e lo Spettacolo nel 19931 e la sua sostituzione con il Dipartimento dello Spettacolo2, grazie all’emanazione delle norme3 riguardanti i nuovi principî e le nuove logiche operative della pubblica amministrazione riceve l’impulso definitivo alla realizzazione di una totale e completa ridefinizione e riorganizzazione. Dalla legge 59/1997, interpretata nel modo più innovativo possibile, il capo del Dicaste-ro trae i nuovi principî e gli obiettivi primarî cui dovrà uniformarsi la nuova struttura: ogni sua attività dovrà essere svolta cercando la cooperazione strumentale fra tutti gli enti e perseguendo l’importante obiettivo di attrarre i privati nell’orbita dei beni cultura-li così da arrivare al coinvolgimento «del maggior numero di soggetti possibile nella na-scita di un’imprenditorialità legata alla cultura»4

. Per fare in modo che questi valori e questo modus operandi vengano assorbiti dalla nuova struttura sono messe in campo al-cune importanti iniziative procedurali: la creazione di un ufficio di promozione naziona-le, la “ricognizione” delle normative vigenti nel settore (preludio dell’elaborazione del testo unico che metta in ordine la materia), la costituzione di un organo (la cosiddetta “Commissione Cheli”) per studiare la riforma del Ministero e, per rispondere ai cam-biamenti istituzionali seguiti al referendum del 1993, il riaccorpamento in un unico or-gano decisionale ed operativo di tutte le competenze sulla cultura, fino a quel momento frammentate e disordinatamente sovrapposte.

Nella nuova realtà istituzionale saranno predisposti strumenti e procedure per distribuire risorse ed impegno in modo più equo ed equilibrato fra le tre attività cardine, soprattutto creando le condizioni per concepire in modo diverso la valorizzazione, considerata sempre più «un’azione locale, potenziata e riverberata da un’azione nazionale, in cui le diverse istituzioni entrano in sinergia e dialogano anche con le altre forze sociali e con

1 La soppressione è stata sancita dal Referendum abrogativo del 18 Aprile 1993. 2

Il Dipartimento, istituito con il D.P.C.M. del 12/03/1994, si curava di supplire a quanto si sarebbe dovu-to fare con l’attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 24/12/1993, n. 537: aveva precisi compiti ed una struttura organizzativa per prodotto e attività, dove ciascuno dei cinque uffici in cui era articolato era preposto all’amministrazione dei suoi tre comparti principali e delle due attività necessarie per il co-ordinamento delle politiche attuate a livello regionale ed il loro supporto (relazioni internazionali, indiriz-zo, coordinamento, studi e statistica, osservatorio dello spettacolo e servizio ispettivo).

3 Il “pacchetto Bassanini”, com’è chiamato l’insieme delle leggi che si è occupato di inserire questi

prin-cipî nella legislazione italiana, ha realizzato i necessarî cambiamenti principalmente conferendo funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali. Già nella prima legge, la n.59 del 15/03/97, l’orientamento al de-centramento si manifesta in modo forte, sancendo per le istituzioni l’impegno ad emanare entro nove mesi alcuni decreti legislativi che definiscano le specifiche per l’attuazione di tutti i conferimenti necessarî.

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3 le imprese»5. La strumentazione alla realizzazione di questi propositi viene fornita dal d. lgs. del 31/03/1998, n.1126.

Sulla scia dei propositi suscitati dall’osservazione delle esigenze emergenti e dall’impulso del decreto 112/1998, viene emanato il d.lgs. del 20/10/1998, n.3687

, con cui viene istituito il Ministero che, prima istituzione ministeriale ad aver iniziato ad at-tuare il decentramento8, ha poi neutralizzato la forza d’urto di tale innovazione scinden-do in due distinte normative l’applicazione dei principi enunciati dalla lg. 59/97. Il ministero disegnato dal D.Lgs. 368/98 si caratterizzava per alcune importanti innova-zioni. Per cominciare, sostituendo nella sua denominazione l’aggettivo “ambientali” con il sostantivo “attività”, si dichiarava di avere una vocazione globale, cioè di raggruppare le competenze riguardanti tutte le espressioni culturali, materiali (beni) ed immateriali (“servizi”di intrattenimento) e di volersi impegnare anche ad essere parte attiva nel pro-porre e nel collaborare a politiche che attivassero le potenzialità economiche e sociali di tali beni e servizi. Conseguentemente, in capo al dicastero si attua l’accorpamento delle funzioni del Dipartimento dello Spettacolo e dell’Ufficio per i Rapporti con gli Organi-smi Sportivi della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Un’altra innovazione, atta ad incarnare quel carattere di forza voluto dal ministro, è data dall’introduzione del Segretario Generale, una figura ”spoil system” che è chiamata ad affiancare il ministro nei compiti amministrativi.

Per realizzare la snellezza e dar così seguito alla volontà di decentramento, è stata previ-sta una struttura territoriale costituita dall’Ufficio del Sovrintendente Regionale che veva sovrapporsi ai sovrintendenti sottostanti, competenti per le singole materie, e do-veva essere l’unico referente territoriale per l’amministrazione centrale9

.

5 Si veda ibidem.

6 Tale decreto, denominato “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e

agli Enti Locali in attuazione del Capo I della legge 15 Marzo 1997, n. 59”, tratta specificamente dei beni e delle attività culturali al Capo IV (beni ed attività culturali in senso stretto) ed al Capo V (spettacolo); nel Capo V dà una definizione del bene culturale (art. 148) e, relativamente a tale tipologia di bene, espo-ne le funzioni dello Stato (art. 149), la definizioespo-ne delle caratteristiche e delle attività che sono ricompres-se nella gestione (art. 150), nella valorizzazione (art. 152) e nella promozione (art. 153), oltre che la di-stribuzione delle relative competenze. E’ in questa sede, inoltre, che viene creato un nuovo organo regio-nale, la “Commissione per i beni e le attività culturali”, di cui agli artt. 154-155 vengono descritte caratte-ristiche e funzioni. Riguardo la materia del Capo VI, vengono delineati solo i compiti di competenza dello Stato, essendo questa già in passato strutturata in modo decentrato, sia dal punto di vista operativo che da quello normativo.

7 Questi atti sono derivati dalla suddivisione dell’unico decreto a cui aveva lavorato la Commissione

Che-li; questa divisione ha fatto perdere forza al principio del decentramento ed alla manovra federalista, che peraltro il lavoro della Commissione aveva già posto in secondo piano, tradendo in parte quella perento-rietà con cui questi concetti erano stati affermati dalla lg. 59/97. Cfr. P. LEON (1999).

8 Cfr. M. CAMMELLI (1999).

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4 Nella direzione tracciata dai principî indicati dal ministro sulle modalità operative, muovono anche le opportunità previste dall’art. 10 dello stesso decreto per l’attività del ministero10:

stipulare accordi con amministrazioni pubbliche e con soggetti privati;

costituire o partecipare ad associazioni, fondazioni e società, anche conferendo in uso i beni che il ministero ha in consegna.

Purtroppo, né tutte queste innovazioni normative, né il generale accordo che si era regi-strato riguardo all’applicazione delle logiche che ne guidavano la realizzazione11

, pos-sono far conseguire certi obiettivi o adottare i metodi ispirati alla programmazione ed alla cooperazione12 se prima non si indaga circa la reale disposizione della materia alla semplificazione. Così, la ricchezza delle autonomie, di cui si è disseminato l’assetto or-ganizzativo, non riesce a realizzare l’auspicato snellimento: queste infatti non sono ac-compagnate da una definizione adeguata, che ne chiarisca il grado di similitudi-ne/differenziazione rispetto a quelle esistenti, né del resto rispecchiano in modo fedele il modello tracciato dai principî enunciati nella lg. 59/1997.

Perciò fondamentalmente la struttura organizzativa del nuovo ministero (come anche nel progetto uscito dai lavori della Commissione Cheli13) rimane divisa in due, persona-le tecnico e personapersona-le amministrativo; non si è cioè sviluppata alcuna coscienza sul ca-rattere prettamente amministrativo del ruolo dell’istituzione in cui è chiamato ad opera-re.

La riforma, che entusiasticamente aveva preso le mosse dai dettami della lg. 59/1997, non è riuscita nei suoi propositi, dando così seguito alle perplessità emerse già durante i

10 Cfr. E. BRUTI LIBERATI (1999).

11 L’unico punto su cui si era registrato un generale accordo era l’attivazione di maggiori rapporti

(finan-ziari e gestionali) con il privato, la necessità di una forte integrazione funzionale con le competenze di re-gioni ed enti locali, l’autonomia (non solo dal potere politico ed esterno, ma anche da quello amministra-tivo ed interno) del personale tecnico, un massiccio decentramento a favore delle sovrintendenze. Cfr. M. CAMMELLI (1999).

12

Così è accaduto che anche altre due importanti questioni, su cui verteva il dibattito precedente alla ri-forma, siano rimaste sostanzialmente irrisolte. Una questione controversa era quella riguardante il ruolo del ministero visto come “autorità di governo”: fra chi lo concepiva come luogo in cui si concentravano tutti gli interessi pubblici e chi lo vedeva come una delle istituzioni che componeva un variegato ed orga-nico corpus risultante da una differenziazione delle vocazioni (per Covatta quelle di valorizzazione e tute-la, mentre per Amorosino tutela dei beni e tutela dell’ambiente) con loro assegnazione al ministero ed alla rete di istituzionale locale oppure a due ministeri diversi (la Commissione De Vergottini aveva proposto di intitolarne uno ai Beni Culturali e uno al Territorio). Strettamente attinente a questa era la vexata quaestio riguardante la formula stessa del ministero. Posto che un forte decentramento territoriale ed un’accentuata tecnicità funzionale potessero presupporre a livello centrale un apparato articolato in sedi cooperative, agenzie ed uffici di staff, secondo alcuni ad un ministero sarebbe stato preferibile un ministro che risultasse essere l’espressione politica, in Consiglio dei Ministri e del Consiglio dei Ministri, degli interessi del settore e delle politiche per il settore. Cfr. ibidem.

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5 lavori della Commissione Cheli ed appalesando che, se si voleva continuare a tenere fermi certi obiettivi, tempi e procedure dovevano essere diversi.

Con questa discrasia fra mezzi ed obiettivi, nel Luglio del 2002 il Parlamento vota la delega14 al governo per procedere alla riforme del ministero e dopo circa un anno e mezzo il Consiglio dei Ministri dà il via alla ristrutturazione del ministero. A chi, deluso dalle disposizioni legislative precedenti, aveva sperato che questa fosse l’occasione per-ché la sussidiarietà avesse quel ruolo da protagonista da tempo assegnatele, il decreto legislativo dell’8/01/2004, n.3 ed il D.P.R. dell’8/06/2004, n.173, sul nuovo regolamen-to di organizzazione del ministero, hanno fatregolamen-to prontamente capire che su questa scena non c’è (ancora) posto per questo principio.

Lo iato fra le norme organizzative, che disegnano struttura e funzionamento, e la norma-tiva generale, quella ordinaria espressa dal Codice e quella costituzionale data dalla ri-forma del Titolo V, continua a permanere. Nonostante sia nella riri-forma degli artt. 117 e 118 sia nel Codice di ultima emanazione i principî di collaborazione e coordinamento siano stati ribaditi e le linee guida che supportavano un’azione in questo senso siano sta-te tracciasta-te, questo minissta-tero, chiamato ad essere insieme unitario nella funzionalità e pluralista per la diversità istituzionale che lo compone, non riesce ancora ad incarnare questa vocazione.

Di nuovo ci sono errori di logica organizzativa: la riorganizzazione del dicastero non tiene conto di quello che è, o meglio dovrebbe essere, il suo ruolo. Il ministero assume ancora compiti molto generali ed avoca a sé competenze assai ampie, di fatto rendendo del tutto inutile la puntuale ricognizione delle funzioni assegnate che di norma precede il ripartizione dei compiti tra Stato e sistema locale, la visione sistemica, insieme unita-ria e pluralistica, che consentirebbe di coordinare la programmazione corale delle attivi-tà di tutela e valorizzazione è sostituita da un malcelato rafforzamento delle competenze centrali nei campi della tutela e della valorizzazione, la cui programmazione e gestione sono fortemente accentrate. Gli interventi di riassetto, concentrati soprattutto a ridise-gnare le strutture interne del ministero, mirano ad «estendere l’influenza del momento politico rispetto a quello tecnico amministrativo»15. La figura del Segretario Generale viene soppressa ed al vertice della nuova struttura viene posto il Gabinetto del Ministro, ora denominato ufficio di diretta collaborazione, che ha funzione di staff e si è

13 Cfr. P. LEON (1999).

14

Legge delega del 6 Luglio 2002, n. 137.

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6 mato in un insieme di apparati al servizio del ministro stesso. L’ufficio, ora composto da dirigenti precari, ha perso i compiti di programmazione e controllo ed è invece chia-mato a svolgere operativamente le incombenze quotidiane e routinarie del “day by day”16

. Mancando il contraddittorio fra soggetti che mirano soprattutto a mantenere il proprio posto di vertice, il potere del ministro ne esce rafforzato e questi può far scende-re discende-rettamente dall’ufficio di gabinetto le discende-rettive generali, secondo una logica tipo top-down, dove il momento di traduzione degli obiettivi politici in piani di azione am-ministrativa così come la separazione-distinzione fra indirizzo e gestione sono assenti e la continuità politica è totale.

L’organizzazione degli uffici centrali, che presenta una notevole stabilità di istituzioni e compiti, è articolata in 10 direzioni generali distribuite a loro volta in quattro diparti-menti: Beni Culturali e paesaggistici, Archivi e Biblioteche, Spettacolo e Sport, Ricerca Innovazione ed Organizzazione. A questo stadio le novità sono rappresentate dalle nuo-ve funzioni assunte in capo alla direzione generale per l’Architettura e l’Arte Contem-poranee, da tutte le competenze concernenti lo spettacolo17 e dai compiti di vigilanza sul C.O.N.I. Sparisce la figura del Segretario Generale, mentre rimangono il Consiglio Na-zionale per i beni culturali ed ambientali, sebbene con una modifica nel numero dei rap-presentanti regionali, ed i comitati tecnico-scientifici. Le funzioni del ministero si sono molto ampliate così come, a dispetto della semplificazione amministrativo burocratica, il numero dei posti a funzione dirigenziale, che passano da 10 a 32. Per quanto riguarda le competenze funzionali, la fruizione e la valorizzazione sono assegnate ai capi dipar-timento (artt. 101-127 del Codice) mentre della tutela si occupano i direttori generali. A livello periferico il ministero prevede, in sostituzione dei sovrintendenti regionali, 17 Direzioni Regionali che rappresentano l’articolazione territoriale del Dipartimento per i Beni Culturali e Paesaggistici. Per rafforzarne la dimensione regionale/intersettoriale e sostanziare maggiormente il loro carattere regionale, tali direzioni, oltre alle funzioni delegate dai direttori generali e dal capo dipartimento, svolgono compiti di policy ma-king18, hanno poteri amministrativi ed organizzativi sia sul versante interno (organizza-zione e gestione delle risorse strumentali ed umane) che su quello esterno. Fra i compiti

16

Si veda G. D’AURIA (2005).

17 La competenza di questa materia tuttavia andrebbe rivista alla luce del la riforma del Titolo V della

Co-stituzione.

18 Appartengono a questa tipologia le proposte di intervento o per la dichiarazione di interesse (ex art. 13

del Codice) da inserirsi nei programmi annuali e pluriennali del ministero e nei relativi piani di spesa; a questi compiti di proposta vanno aggiunti compiti istruttorî (affidamento dei servizi culturali ex art. 115

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7 dei direttori regionali degni di rilievo sono quelli relativi all’affidamento diretto o in concessione di attività e servizi pubblici per la valorizzazione oltre ad altri di carattere tecnico19 già assegnati al segretario regionale.

In stretto collegamento con le direzioni regionali operano i Comitati Regionali di Coor-dinamento, organi collegiali a geometria variabile presieduti dal direttore regionale che hanno competenze intersettoriali e fungono da strutture di raccordo di carattere consul-tivo.

Permangono le Soprintendenze di Settore che, in questa nuova configurazione, sono ri-conducibili alla direzione regionale20; restano invece al di fuori della direzione regionale le Soprintendenze autonome, che peraltro non hanno alcun collegamento funzionale e-splicito neanche con l’amministrazione centrale. Le attribuzioni delle Soprintendenze di Settore, che al contrario di quanto avveniva nel precedente l’attuale regolamento non menziona, sono estrapolabili dal dettato del Codice. Oltre ai compiti assegnati loro su delega dei direttori regionali, i soprintendenti di settore mantengono due tipologie di compiti, quelli tecnici-scientifici e quelli amministrativo-gestionali, sebbene con qual-che limatura circa l’ampiezza delle relative responsabilità qual-che, essendo riconosciuto per alcune materie il carattere di intersettorialità, vengono condivise con i Comitati Regio-nali di Coordinamento.

Più articolata è la geografia dalle relazioni funzionali. Mentre nella struttura precedente erano ispirate soprattutto al principio del coordinamento e costruite secondo la logica del principio di univocità dei centri di responsabilità, in questo nuovo assetto si è co-struita una diversificata rete di relazioni. Un primo insieme è quello fra le direzioni re-gionali ed i vertici dei dipartimenti che elaborano programmi annuali e pluriennali (Dip. Beni culturali e paesaggistici e Dip. Beni archivistici e librari) e, su proposta dei diretto-ri regionali, allocano le diretto-risorse (Dip. Ricerca, Innovazione ed Organizzazione). Un altro interessante fascio di relazioni è quello esistente fra le direzioni regionali e le direzioni generali in seno al quale si elaborano iniziative di studio e ricerca si analizza il lavoro di programmazione su scala regionale svolto dai direttori regionali. Le proposte e le in-formazioni riguardo la definizione delle risorse materiali, umane e finanziarie, e degli aspetti più specificamente a carattere amministrativo-gestionali sono il frutto della del Codice), compiti consultivi (esercizio della prelazione ex art. 60 del Codice) oppure compiti a caratte-re misto, istruttorio e consultivo (verifica dell’intecaratte-resse ex art. 12 del Codice).

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8 zione fra direttore generale e direzioni regionali C’è poi tutto il gruppo delle relazioni funzionali, cioè dei rapporti fra le direzioni generali e gli organismi periferici che, si-milmente a quelli intercorrenti fra le strutture periferiche autonome e le strutture centrali di riferimento, sono diretti e indipendenti da qualsiasi interferenza mediatrice21.

A questa serie di relazioni a carattere verticale, vanno aggiunte le relazioni funzionali di tipo orizzontale, che rafforzano in tutta la struttura il principio di intersettorialità: in questo gruppo una vera novità è rappresentata da quelle fra tutti gli uffici, periferici e non, con i Comitati regionali di Coordinamento.

Il sistema delle relazioni, insomma, costituisce una vera e propria rete che, però, non dà luogo a decentramento ma piuttosto ad una pluralità di amministrazioni centrali. La lo-gica che presidia i processi decisionali è di tipo top-down ed i conferimenti concessi a queste strutture sono troppo limitati perché i principi tipici della sussidiarietà possano esplicare tutte le loro potenzialità. Non solo: dal momento che anche il potere di nomina del ministro si è esteso22, la deriva della politica centrale arriva fino ai lembi estremi dell’organizzazione. Il dilagare senza controllo dei poteri centrali non solo rischia di impoverire di professionalità tecnico-specialistiche gli organi di ogni livello, ma non riesce neanche a dare spazî operativo-decisionali ad un dirigente-manager che sappia tener conto della redditività della cultura oppure a strutture ed organi funzionali in grado di esercitare appieno la fruizione e la valorizzazione secondo moderne modalità attuati-ve della gestione pubblico/privata. La confusione che pervade la regolamentazione su appalti pubblici e le lacune e l’incertezza della normativa relativa alle società miste ren-de sterili le aperture ren-della preceren-dente normativa sugli accordi ed i rapporti di collabora-zione con il privato e con il sistema delle autonomie. Di contro non sembra che tutte queste importanti questioni oltre che quelle sollevate dal nuovo Codice possano trovare un adeguato luogo di composizione nel Consiglio nazionale per i Beni Culturali e Pae-saggistici, unico organo rimasto cui per funzioni e competenze sembra possano essere attribuiti questi compiti.

Il nuovo assetto, che poco concede al decentramento e all’alleggerimento burocratico, presenta però nelle Direzioni Regionali e nei Comitati di Coordinamento innovazioni

20 Le direzioni regionali sono strutture «gerarchicamente sovraordinate alle esistenti soprintendenze di

settore.» Si veda Consiglio di Stato, sez. cons. per gli atti normativi, 8 Marzo 2004, parere interlocutorio n. 2490.

21 Nel precedente ordinamento questi rapporti erano mediati dal sovrintendente regionale.

22 La quota di incarichi dirigenziali generali ad estranei all’amministrazione che il ministro può nominare

è aumentata dal 33% (d. lgs. 80/1998) ad un massimo del 70% per i dirigenti di prima fascia (lg. 350/2003).

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9 importanti dove sembrano trovare attuazione alcuni principi di modernizzazione buro-cratica; inoltre, tutto il sistema delle deleghe, connotato da parecchie aperture sia nell’«an» che nel «quantum», fa ben sperare in un futuro maggiormente segnato dall’azione di coordinamento e dall’intervento più incisivo dei governi locali.

1.2 …e i suoi commedianti

La sussidiarietà23, principio assai caldeggiato dall’U.E., e l’analisi del rapporto fra le i-stituzioni ed i cittadini, alla fine anche in Italia sono diventati oggetto di un dibattito po-litico che li promuovesse a strumenti operativi. Così l’accoglimento del principio di sus-sidiarietà ma soprattutto le magre risorse della finanza pubblica hanno avuto la meglio su tutte le forze accentratrici, alcune fisiologiche come l’azione di tutela24

, altre patolo-giche come il continuo rinvio dell’innovazione a regolamenti e riforme successivi, e qualcosa in questo senso è stato realizzato.

La prima grande riforma che ha riguardato gli Enti Locali si è avuta con la lg. 142/1990 che, per quanto attiene il settore culturale, realizzava questo cambiamento di rotta indi-cando nella “istituzione” la forma giuridica in cui tale settore avrebbe dovuto concretiz-zarlo. Questa forma era vista come un modello di gestione altamente destrutturato, quindi potenzialmente aperto all’innovazione, e contemporaneamente come una solu-zione organizzativo-gestionale capace di mediare fra le esigenze di flessibilità/ autono-mia ed il rispetto di principi fondanti così importanti in settori a forte interesse pubbli-co25.

Purtroppo sia l’oggettiva inadeguatezza dello strumento rispetto agli obiettivi prefissati sia l’uso distorto o l’applicazione inadeguata della normativa hanno impedito di realiz-zare i vantaggi che a livello organizzativo si puntava a conseguire.

Perché si possa attuare un processo di aziendalizzazione è necessario che il modello proposto preveda26 l’uso massiccio di strumenti di indirizzo e controllo da parte

23

Il Trattato sull’Unione in merito a questo principio dice: «La Comunità agisce nei limiti e nelle compe-tenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la comunità interviene secondo il principio do sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono a motivo essere realizzati meglio a livello comunitario.» Si veda art. 3B del Trat-tato CE, inserito dall’art.5 del TratTrat-tato sull’Unione Europea, Maastricht, 7/02/1992.

24 L’azione di tutela che, per sua fisiologica delicatezza concentra su di sé la maggior parte delle risorse,

mal si presta ad essere interessata da qualsiasi radicale cambiamento.

25 Cfr. P. CELLA, G. VALOTTI (1998).

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10 dell’Ente Locale ed un raccordo fra le decisioni strategiche in capo al soggetto pubblico e quelle esecutive appannaggio del soggetto privato, stabilendo una chiara identificazio-ne delle aree di autonomia e di responsabilità in ambito organizzativo e finanziario27. L’istituzione, invece, è costruita come un organismo non autonomo: non solo non ha personalità giuridica, ma non possiede né un riferimento gestionale proprio né appro-priati strumenti operativi28. La possibilità di stabilire un regolamento proprio, di fissare regole particolari per il proprio funzionamento ed ancora di poter creare un sistema di rilevazione evoluto ed utilizzare strumenti contabili e documentali più efficaci29, non ne influenza il grado di aziendalità, né le fa conseguire la flessibilità organizzativa e ge-stionale necessaria per raggiungere un adeguato equilibrio economico-finanziario e so-prattutto per attrarre risorse aggiuntive. Insomma l’”ambiente” giuridico amministrativo in cui sono collocate30, rende queste potenzialità inconcludenti e disincentiva la crea-zione di questa modalità gestionale.

▫ oggetto e dimensione, vale a dire un significativo ambito di intervento (tale cioè da garantire l’assorbimento dei costi fissi) ed un’influenza estesa su un reale spazio strategico (cioè che l’istituzione non si trasformi in un ufficio decentrato dell’amministrazione locale;

▫ accettabile livello di personalizzazione delle regole di funzionamento, in modo da garantire flessibilità rispetto alle tipicità del servizio reso;

▫ ridefinizione delle funzioni e dei poteri dei referenti istituzionali, in ossequio a chiare regole di decen-tramento;

▫ responsabilizzazione sul piano dell’equilibrio economico- finanziario in corrispondenza di una vera au-tonomia di bilancio libera da meccanismi di finanziamento troppo rigidi e vincolati e risultato anche dell’introduzione di ulteriori risorse integrative;

▫ responsabilizzazione sul piano dei risultati quali- quantitativi da garantire, perché già accettati ed ac-certati durante la programmazione svolta secondo la logica contrattuale. Cfr. ibidem.

27 «L’economia aziendale ci porta infatti a riscontrare che i livelli di autonomia debbono esistere ovunque

si abbia la formazione aziendale: è necessario riscontrarli non solo nella capogruppo, ma anche nelle sin-gole unità. Ognuno di questi livelli ha una sua responsabilità, ognuno di essi accanto alle proprie respon-sabilità può e deve rivendicare la relativa autonomia di scelte.» Si veda L . ANSELMI (2003): p. 64.

28 L’istituzione fa riferimento allo statuto del Comune e nella definizione dei rapporti di lavoro si avvale

del regolamento previsto per la pubblica amministrazione.

29 Non ci si può limitare alla contabilità generale ed al bilancio d’esercizio, bisogna andare oltre quanto

imposto dal D.M. del 26/04/1995: lo schema di bilancio deve essere basato su una contabilità economico- patrimoniale e non cristallizzarsi nel rispetto pedissequo del principio dell’universalità che prescrive il consolidamento del bilancio dell’istituzione con quello del Comune.

Piuttosto è necessario un sistema di rilevazione più complesso, che permetta:

 la verifica degli scostamenti fra le attività e gli obiettivi definiti nel bilancio di previsione;  il controllo dell’ampiezza del rispetto dei principi di efficienza ed economicità;

 la rilevazione dei costi e dei proventi di ogni singola area di attività o risultato;  l’analisi della congruità di prezzi e tariffe;

 la rilevazioni delle variazioni patrimoniali provocate dall’attività di innovazione.

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11 Così ci si orienta verso modelli giuridico-istituzionali che prevedono unicamente la ge-stione indiretta, destinata dalla legge 142/1990 alla gege-stione di altri servizi: si tratta di aziende speciali, accordi, convenzioni31.

Fra questi, il modello che ha raccolto i maggiori consensi è quello dell’azienda specia-le32 che, inserendosi in quel filone evolutivo iniziato con la municipalizzata, favorisce la modernizzazione gestionale poiché consente all’amministrazione di operare su un con-tinuum procedurale fortemente orientato al cambiamento ma senza le rotture e le di-scontinuità che tale percorso in genere comporta. Il modello gestionale in discorso pos-siede gli strumenti per impostare la gestione in modalità che sono innovative dal punto di vista scientifico e dottrinale e, al contempo, permettono di continuare la tradizione e la socialità tipiche del settore. La legge disegna l’azienda speciale con connotati azien-dali piuttosto definiti: le conferisce personalità giuridica33, la dota della capacità di ga-rantire la formazione di professionalità specializzate e flessibili, ma soprattutto al suo interno prevede la presenza di un direttore generale34.

Inoltre amplia le sue possibilità operative attribuendole due importanti requisiti: la poli-funzionalità e l’extraterritorialità35

che, soprattutto se considerati in ambiti territoriali non molto estesi36, consentono al soggetto di conseguire il ruolo critico che merita nello scenario politico locale. Il carattere della polifunzionalità non solo permette di gestire tutti gli aspetti del settore cultura come un multiservizio culturale integrato, ma soprat-tutto fa conseguire due obiettivi prioritari:

costituire un interlocutore facilmente raggiungibile dai cittadini con cui sarebbe pos-sibile instaurare un dialogo costruttivo e continuativo;

soddisfare le numerose esigenze di matrice economica, fondamentali per la soprav-vivenza ed il buon andamento dell’unità aziendale (monitoraggio dei costi e dei ricavi di

31 «Queste considerazioni non bastano, invece, ad escludere altre forme di gestione previste dalla 142 su

cui si indirizza l’attenzione di molti: l’istituzione e la S.p.A. (non si deve esaminare la concessione, che di fatto non può essere strumento di politica culturale pubblica; mentre le convenzioni e gli accordi di

pro-gramma, più che costituire linee valide sul piano generale, rappresentano una soluzione per situazioni

cir-coscritte.» Si veda F. FERRARI (1996): p. 248

32

L’opzione S.p.A. è considerata più adeguata ai casi in cui si cerchi una concreta alternativa economica.

33 Il requisito della personalità giuridica rende l’azienda terza rispetto al Comune, e questo è un’ ulteriore

garanzia di equilibrio fra le forze in gioco. Cfr. ibidem.

34

Quest’ultimo è un aspetto molto rilevante: infatti, grazie alle attribuzioni assegnate dallo stesso statuto, questa figura può effettuare operazioni finanziarie e quindi si pone nella posizione ideale per poter trattare direttamente con i privati ed attuare (potenzialmente) la spoliticizzazione della gestione delle politiche culturali. Cfr. ibidem: pag. 249.

35 Si veda ibidem: pag. 248. 36

A questo proposito è utile ricordare che l’Italia è considerata il paese dei mille campanili (cui è agevole pensare siano annessi altrettanti piazze e teatri)!

(12)

12 ogni attività, formazione delle professionalità specifiche, coordinamento nell’attuazione delle strategie e razionalità nelle modalità di intervento37).

L’extraterritorialità agisce in modo complementare ed implementare poiché permette di costruire una potenziale “rete” delle attività municipali, un vero e proprio “circuito delle autonomie”, grazie al quale si potrebbe ottenere sia un maggiore coinvolgimento delle associazioni, delle fondazioni e delle imprese presenti sul territorio, sia una maggiore promozione del territorio stesso a livello nazionale.

L’insieme di queste caratteristiche e di queste attribuzioni rende l’azienda speciale un sistema pensante, con la responsabilità di affrontare la sua attività e la sua mission as-sumendo un “atteggiamento mentale economico” e in quanto tale con la capacità di por-si in popor-sizione dominante od interlocutoria rispetto a por-situazioni e decipor-sioni importanti. La presenza dell’ente pubblico non viene né sminuita né annullata: l’ente dà gli indirizzi per fissare gli obiettivi ed interviene sia nella stesura del bilancio preventivo e sia nel controllo successivo, attraverso il reporting ed i consuntivi annuali.

Ed è proprio in riferimento a questi momenti critici e a questi passaggi così importanti che la formula dell’azienda speciale si rivela più efficace. L’azienda speciale, infatti, grazie al disegno legislativo, gode di una autonomia perfetta, che trova la sua precisa definizione nella delega relativa a finalità prestabilite e periodicamente verificate ed in un rapporto finanziario “aziendalistico”, dove i trasferimenti sono considerati ricavi e non risorse per il ripianamento delle perdite. Questa univocità di interpretazione fa an-che in modo an-che il carattere strumentale dell’ente, an-che pure emerge, non si traduca in una declinazione insolita e sostanzialmente simile della amministrazione comunale ma piuttosto realizzi compiutamente e produttivamente la spersonalizzazione dell’azione del Comune38.

Il modello delineato risulta particolarmente confacente alla gestione di attività culturali istituzionali ed complementari, ma la sua funzionalità operativa dipende dai requisiti in cui questa struttura opera. Soprattutto per strutture “multiservizio”, deve essere prevista la dotazione di spazî ed attrezzature a vocazione culturale con connotati non strutturati troppo rigidamente, ed inoltre lo spazio gestionale occupato dall’azienda speciale deve essere ricavato dal ridimensionamento dell’assessorato alla cultura e, sul versante

37«La polifunzionalità dell’azienda sarebbe altresì garanzia di un coordinamento e di una

razionalizzazio-ne gerazionalizzazio-nerali, molto utili in un settore così complesso, dove si rischiano sovrapposizioni, ripetitività e anche antagonismi e sprechi.» Si veda F. FERRARI (1996): p. 248.

(13)

13 co-economico, dalla ridefinizione del ruolo e degli strumenti da assegnare alla nuova struttura, a cominciare dalla consistenza patrimoniale.

Definire gli aspetti “più materiali” tuttavia non è sufficiente. E’ necessario che possano essere usati per incidere su quegli aspetti che caratterizzano il vero cambiamento:

la costruzione di relazioni che minimizzino le possibili frizioni fra organi con zone confinanti di operatività e competenza39,

l’introduzione di nuovi codici di comunicazione che favoriscano la partecipazione delle professionalità necessarie affinché questo nuovo assetto funzioni,

la realizzazione di una formazione che renda più facile accettare ed usare linguaggi, logiche e grandezze di impronta aziendalistica.

In questo senso si muove la legge del 04/01/1993, n. 4, detta Legge Ronchey, che rap-presenta il primo esplicito tentativo di operare una vera e propria esternalizzazione. Nel-la normativa in discorso vengono indicate le modalità in cui i privati potranno gestire i servizi aggiuntivi che saranno rivolti ai frequentatori di musei e luoghi di offerta cultu-rale. In tal modo si cerca di costruire un profilo organizzativo che possa proficuamente realizzare un mix fra pubblico e privato, dove «entrambi mettono a disposizione la pro-pria peculiarità»40: il primo le competenze specialistiche, il secondo l’esperienza di merchandising e le logiche operative. Ma l’efficacia di questo primo tentativo, viene fortemente penalizzata dal regolamento applicativo41, così gli esempi di gestione pub-blicprivato che ne sono derivati sono assai rari. Anche se successivamente questi o-stacoli vennero in parte rimossi dalle nuove regole sugli appalti42 e dalla nuova

38

«L’azienda speciale è la forma più moderna e più corretta di gestione dei servizi culturali dei Comuni, la più adatta a risolvere il grande problema dell’esternalizzazione: l’equilibrio fra autonomia tecnico-gestionale e strumentalità politico-amministrativa.» Si veda ibidem.

39 «Il problema dei problemi è la convivenza fra gli organi preposti. Il direttore generale, ulteriormente

responsabilizzato dall’azienda speciale, deve avere un rapporto sostanzialmente paritario con il Consiglio d’Amministrazione e con il Presidente; anche perché il direttore di un’”azienda di servizi culturali” non può che avere un ruolo creativo, basato sulla sua specifica professionalità, tutt’altro che confinato nell’esecutività tecnico-gestionale. Ma il problema si raddoppia: con le nuove norme un Comune vera-mente capace di elaborare indirizzi e di esercitare controlli ed una Direzione aziendale veravera-mente titolare di ogni aspetto gestionale costringono la Presidenza e il Consiglio d’Amministrazione in un ruolo ambi-guo, concretamente “inutile” (e questo è un problema che riguarda le aziende di tutti i settori).» Si veda

ibidem: p. 250.

40 Cfr. D. BERGER (2004).

41

Il regolamento che doveva essere emanato entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, venne emanato con il D. M. del 31/01/1994, n. 171, mentre il tariffario fu fissato con il D. M. del 8/04/1994, n. 139. Tale regolamento prevedeva: royalty molto alte, il versamento immediato del 50% del canone di gestione, procedure molto complesse per regolare le gare di appalto ed una rigida durata del contratto (minimo 4 anni); su tutto questo “pacchetto” burocratico pesava ancora di più il fatto che la no-vità (almeno in Italia) di questo tipo di investimento non permetteva proiezioni reddituali sufficientemen-te atsufficientemen-tendibili.

42

(14)

14 mentazione definita dalla lg. 75/1997, c.d. Legge Veltroni, e, aspetto forse più rilevante, l’atteggiamento ostinatamente conservatore degli addetti ai lavori si era notevolmente ammorbidito43, la situazione non cambiò in modo rilevante.

Affinché le disposizioni della Ronchey funzionino è necessario non solo che il compor-tamento di qualche responsabile diventi proficuamente collaborativo, ma soprattutto che le istituzioni stesse si strutturino adeguatamente ed operino secondo logiche diverse. Come dimostrano le numerose norme disattese, una legge non è sufficiente a cambiare la politica istituzionale: così il solo merito della legge Ronchey è quello di sancire un deciso cambiamento nell’orientamento delle politiche di settore44

, visto che per il resto non presenta vere innovazioni legislative né, come si poteva prevedere, riesce a fiaccare le resistenze dell’amministrazione interessata.

Per cercare di soddisfare l’esigenza di cambiamento e di innovazione che, sebbene con intensità e modalità diverse, era diventata insopprimibile, fu emanata la legge 352/1997, che cercava di definire meglio modi e forme dei rapporti tra pubblica amministrazione e soggetti esterni; ed inoltre con la legge 57/1997 fu creato tutto un sistema di deleghe che doveva guidare trasformazione in istituzioni private di enti ed organismi pubblici45. La significativa spinta riformatrice che deriva dalle leggi delega 59/1997 e 127/1997, dette “leggi Bassanini”, investe anche il settore dei beni e delle attività culturali in rife-rimento al quale si stabiliscono alcuni importanti principî e si ridisegnano assetto gene-rale e competenze. Innanzitutto la tutela dei beni culturali e del patrimonio storico ed ar-tistico viene definitivamente riservata allo Stato46, poi viene riconosciuto alle Regioni ed agli altri Enti Territoriali un ruolo rilevante nelle attività di promozione e valorizza-zione anche per quanto riguarda beni ed iniziative la cui gestione, proprio nell’ambito dell’esercizio della delega, è stata loro trasferita dallo Stato.

43 Daniel Berger, per trentotto anni responsabile del merchandising al Metropolitan Museum di New

York, rileva che i sovrintendenti con il passare degli anni «sono diventati molto attivi e collaborativi con i gestori concessionari, dando vita anche a nuove iniziative come i servizi didattici, le visite notturne ecce-tera.» Si veda P. LALLI (2004).

44 Lo stesso Berger definisce «la Ronchey» una legge rivoluzionaria, ma in realtà semplice, in cui si dice

che i servizi di merchandising possono essere installati all’interno degli istituti dello Stato, con un tariffa-rio ed un regolamento fatti in tempi record, sottolineando che per bandire la prima gara al museo di Arte Moderna si è dovuto aspettare fino al 1996. Comunque, continua, «la verità è che la legge Ronchey ha avuto il cosiddetto “effetto Ronchey”, che si è esteso nel pianeta beni culturali italiani statali e comunali.» Si veda ibidem.

45 Ci si riferisce alla trasformazione in fondazione di diritto privato del Centro sperimentale per la

Cine-matografia (d. lgs. 426/1997), alla trasformazione in società di cultura di tipo non commerciale della Bi-ennale di Venezia (d. lgs. 19/1998), alla trasformazione in fondazione dell’INDA (d. lgs. 20/1998), e so-prattutto alla trasformazione in fondazione degli enti lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate (d. lgs. 134/1998).

46

(15)

15 Così, per concretizzare i principî espressi in questa legge e nel d. lgs. 112/1998, come pure nel tentativo di realizzare un punto di saldatura tra i principi di sussidiarietà verti-cale e orizzontale, con l’art.10 del d. lgs. 368/1998 viene introdotta la possibilità di sti-pulare accordi con amministrazioni pubbliche e soggetti privati o di partecipare, anche costituendole, ad associazioni, fondazioni e società, affinché il ministero possa esercita-re in modo più efficace ed efficiente le sue funzioni, soprattutto quelle che finora sono state maggiormente trascurate, cioè gestione, valorizzazione e promozione.

Ma tutta la legislazione successiva, prodotta in applicazione dei nuovi principî, non rie-sce ad introdurre concretamente alcuna innovazione: buona parte delle norme che scatu-riscono dalla legge 59/1997 indirizza la politica verso tipi di privatizzazione formale, dove il soggetto gestore continua ad essere pubblico. Tuttavia l’inequivocabile apertura al mondo “privato” potrebbe diventare una base importante su cui impostare in futuro il reiterato processo di esternalizzazione.

Del resto l’art. 10 non propone innovazioni radicali, si limita soltanto a chiarire quale sia la direzione intrapresa, cercando di sostenere il processo di cambiamento che timi-damente si cerca di avviare. Tuttavia bisogna osservare che l’art. 10 contiene almeno una novità47: tutti gli atti ed “ruoli” sono attribuiti al ministero in via generale piuttosto che essere riferiti a specifici compiti o a particolari ambiti di intervento. Data la situa-zione presente, caratterizzata da profonde tensioni istituzionali (fra centro e periferia) ed organizzative (fra soggetti con competenze tecnico-amministrative diverse e ruoli ge-stionali e decisionali contrastanti), questo requisito di generalità contribuisce più che al-tro a creare ulteriori ambiguità ed a far nascere parecchi problemi giuridici in ordine all’interpretazione della norma ed alle modalità con cui realizzare le sue prescrizioni. L’obiettivo continua ad essere disatteso anche con gli istituti giuridici utilizzati per dare forma agli accordi fra Stato ed altri soggetti pubblici e privati. Istituti che, pur sancendo un forte legame fra principio di sussidiarietà e quello di parità, hanno carattere tipica-mente carattere pattizio e negoziale, trattandosi di accordo, associazione, fondazione e società48. La norma inoltre presenta un problema interpretativo per quanto riguarda la scelta della controparte e la regolamentazione del rapporto fra i contraenti.

47 Cfr. E. BRUTI LIBERATI (1999).

48 L’adozione dell’uno o dell’altro istituto dipende innanzitutto dal tipo di attività oggetto della

collabora-zione. L’istituto dell’accordo sarà utilizzato prevalentemente per esternalizzare funzioni o servizi ministe-riali, come l’affidamento in concessione dei c.d. “servizi aggiuntivi” o di attività assimilate, ma potrà es-sere impiegato anche per coinvolgere soggetti privati ed istituzioni pubbliche locali nello svolgimento di attività di valorizzazione e gestione. Infatti anche se questa eventualità non è chiaramente esplicitata, la generalità della normativa ed il modo incisivo e fortemente caratterizzante con cui viene presentato

(16)

16 Se i servizî aggiuntivi della Ronchey hanno una precisa collocazione giuridica, rien-trando nell’istituto privatistico dell’appalto di servizi o nella fattispecie di pubblico ser-vizio relativamente alla loro gestione e valorizzazione, quando si considerano le proce-dure concorsuali per la designazione del contraente emerge un vuoto legislativo. Tale silenzio diventa ancora più pesante allorché, presentandosi il bene cultura sotto certi “formati”49

, lo Stato nell’esercizio della sua funzione di tutela dovrà sottrarlo ad un uso troppo intensivo, limitando così il set di scelta a contraenti in grado di sacrificare il pro-fitto. Anche abbandonando la procedura standard basata su parametri economici50,la scelta potrebbe essere guidata da quelle regole di imparzialità e trasparenza poiché in questo modo non si tutelerebbe il mercato né si garantirebbe la concorrenza già operanti nella concessione di pubblico servizio, derogando così alla inadeguata normativa vigen-te51. Questa esigenza di adeguamento, già stimolata dai dettami della direttiva 92/50/Cee, era stata recepita dal d. lg. 157/199552 ed ha trovato una prima ed importante applicazione nella riforma53 della disciplina per l’assegnazione dei servizi aggiuntivi e delle attività assimilate elencati nella legge Ronchey.

Fra le due forme (appalto e concessione) che può assumere il rapporto fra Ministero e privato affidatario, si è scelto di applicare alla gestione ed alla valorizzazione la disci-plina della concessione, che ha un’impronta fortemente protezionistica e lascia ampî l’obiettivo di esercizio efficiente delle funzioni ministeriali (tutte le funzioni, prescindendo quindi dalle deleterie graduatorie che hanno finora guidato il modus operandi dell’organo statale) fanno propendere per la possibilità di utilizzare l’istituto dell’accordo in modo estensivo. Nel nostro ordinamento non vige, né per i contratti privatistici dell’amministrazione né per quelli pubblicistici, un principio di tipicità simile a quello applicato ai provvedimenti; perciò le ammnistrazioni possono attribuire agli accordi stipulati con i privati il contenuto che si ritiene possa maggiormente tutelare il pubblico interesse. Cfr. ibidem.

49

Ci si riferisce a dipinti particolarmente delicati ( ad es.“Ultima Cena”), a siti archeologici fortemente sensibili alla frequentazione (ad es. gli scavi di Pompei ed Ercolano) oppure ad apparecchiature sceniche complesse e costumi preziosi che mal si prestano ad una uso frequente ed indiscriminato.

50«Nell’ipotesi considerata, inoltre, appare dubbio che possa configurarsi un corrispettivo in senso proprio

a favore del concessionario e dunque un contratto oneroso tra il medesimo e lo Stato, poiché la entrate che a vario titolo il concessionario potrà acquisire ( contributi statali e pubblici in genere, biglietti d’entrata, servizi accessori), dovranno essere utilizzate, proprio per la natura istituzionalmente non profit del sogget-to.» Si veda P. CELLA, G. VALOTTI (1998).

51

Riguardo questo punto si rileva che la stessa legge quadro sui lavori pubblici, lg. 109/1994, all’art. 19, c.2, indica le concessioni assoggettate agli obblighi di gara da essa stabiliti come rapporti tra un’amministrazione aggiudicatrice ed un imprenditore, nell’ambito dei quali deve essere pattutito a favo-re del secondo un corrispettivo. Cfr. E. BRUTI LIBERATI (1999).

52

In tali normative per l’attribuzione di appalti di servizi culturali è prescritto soltanto il rispetto di parti-colari regole di pubblicità, oltre che di regole che impongono di definire specifiche tecniche: v. l’art. 3 d. lg. 157/1995. Cfr. ibidem.

53Ora l’art. 4 comma 3 come modificato dalla legge 8 Ottobre 1997 n. 352 prevede che l’assegnazione

dei servizi aggiuntivi debba avvenire «a norma delle disposizioni vigenti in materia» cioè, appunto, della direttiva 92/50/ Cee e del relativo decreto di recepimento: Quindi non è più operativa la previsione conte-nuta nell’art. 4, comma 4, del d. m. 24 Marzo 1997 n. 139, che,sulla base della disciplina originaria della legge Ronchey, prevedeva sempre l’affidamento mediante licitazione privata. Cfr. ibidem.

(17)

17 spazî all’ingerenza del soggetto pubblico, impedendo al soggetto privato di esplicare al meglio la vocazione aziendale.

Per realizzare una più efficace esternalizzazione sarebbe meglio che il soggetto pubblico si riservasse solo il ruolo di controllore, invece non solo nei comportamenti ma già nei regolamenti attuativi lo slancio innovativo espresso nella legge viene via via diluito fino ad annullarsi. Se per lo Stato i modi ed i modelli per esternalizzare sono tanti, anche se non adeguatamente calibrati sulle esigenze correnti, per gli Enti Locali la produzione normativa è assai scarsa ed anche i pochi strumenti disponibili sono assai usurati. In questo ambito si continua ad operare prediligendo la soluzione strutturale (cioè quella della costituzione o partecipazione ad organismi misti) a quella funzionale (rappresenta-ta dall’accordo), più efficiente ma disegna(rappresenta-ta e suppor(rappresenta-ta(rappresenta-ta da una normativa lacunosa ed incerta.

Con la produzione normativa successiva si è cercato di dare alla materia una sistema-zione più coerente ed organica, che potesse costituire una spinta all’innovasistema-zione.

L’intervento normativo più rilevante è quello fatto con gli artt. 33–35 della lg. 448/2001 (Legge Finanziaria per il 2002), che si occupano espressamente delle opportunità di e-sternalizzazione dello Stato e degli Enti Locali.

Con l’art. 33 si amplia lo spazio operativo dello Stato aggiungendo all’art. 10 del d. lgs. 368/1998 la lettera b-bis dove si prevede che si può dare in concessione a «soggetti di-versi da quelli statali» la gestione di servizi finalizzati «al miglioramento della fruizione pubblica e della valorizzazione del patrimonio artistico come definiti dall’art. 152, comma 3, del d. lgs. 31 Marzo 1998, n. 112».

Purtroppo anche questa volta le aspettative vengono deluse: anche se viene chiaramente sancita la possibilità di effettuare certe operazioni, la diffidenza nella collaborazione con i soggetti privati emerge nella presenza di numerosi punti ambigui. Non è ben chiaro quali siano i soggetti destinatari54, indicati genericamente come soggetti non statali, né se, relativamente alle funzioni citate nell’art. 152 cui ci si riferisce, sia possibile esterna-lizzare la gestione della totalità dei servizi funzionali55. L’oggetto cui attengono i

54 La locuzione soggetti non statali include anche i privati o si riferisce solo a quelli afferenti allo

Stato-Comunità (cioè Regioni, Enti locali e territoriali, autonomie funzionali, come università e camere di commercio? Se è vero che sarebbe pleonastico riferirsi a questi, visto che sono già messi in condizione di svolgere le attività in discorso, non bisogna dimenticare che la sostituzione della locuzione del disegno di detta legge, dove i privati erano espressamente citati, con questa locuzione fa dubitare che il riferimento ai privati sia assoluto e generale.

55 Certo considerando i «toni» fortemente orientati al principio di sussidiarietà orizzontale della riforma

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fat-18 zî, dovrebbe essere costituito solo dal patrimonio artistico, contraddicendo sia la tendenza legislativa a materializzare il bene culturale sia la formulazione del resto dell’art. 10, d. lgs. 368/1998, dove gli strumenti sono utilizzabili nella totalità dei beni culturali ed ambientali.

Diversamente impostato ed ispirato risulta essere l’art. 35 con cui si cerca di smussare (e. a quanto pare, ci si riesce) la rigida impostazione che dei servizi locali culturali dà l’art. 113 del T.U.E.L.56. Con l’art. 35, che introduce nel succitato Testo Unico l’art. 113 bis, il principio di abbinamento fra le forme gestorie ed i criteri di conferimento del servizio viene fortemente stemperato. Per non ridurre le garanzie a tutela del bene cultu-rale e del pubblico interesse, da una parte, e per fare in modo che il maggior spazio di operatività concesso al soggetto pubblico non favorisca indebite ingerenze, dall’altra, si prevede che l’assegnazione avvenga attraverso “procedure ad evidenza pubblica” e che per tutti i servizi, ivi inclusi quelli culturali, il rapporto fra ente locale e soggetto eroga-tore sia disciplinato da un contratto di servizio57.

Tutti i possibili progressi apportati da questi articoli sono in buona parte vanificati non solo dalla struttura “pesante” che continua ad avere il Ministero, ma soprattutto dalle logiche autoreferenziali con cui operano i suoi apparati periferici, affatto inclini ad in-staurare un dialogo proficuo con gli Enti Locali.

Conseguentemente a questo stato di cose, nessun impulso è stato dato alla costituzione di organi misti58, indicati come luogo privilegiato di flessibilità decisionale e di collabo-razione/coordinamento pubblico-pubblico e pubblico-privato59, trasferendo così i rac-cordi su un piano meramente amministrativo, dove l’impulso di un’azione “dal basso” è lasciata alla debole efficacia degli strumenti già in possesso delle regioni o è esposta al-le incursioni unilaterali decise dal centro.

to che il rinvio all’attività di valorizzazione di cui al d. lgs.112/98 sia completo, si sarebbe propensi ad una interpretazione estensiva della norma, ma bisogna ricordare che anche in questo caso il riferimento esplicito “all’intera gestione del servizio relativo alla fruizione e alla valorizzazione” presente nel disegno di legge della Finanziaria 2002 è stato emendato!

56 Testo Unico sugli Enti Locali identificato come il d. lgs. del 18/08/2000, n. 267. 57

Nel contratto di servizio vengono disciplinati i livelli di qualità, le condizioni economiche e di presta-zione del servizio, gli investimenti ed i contenuti di innovapresta-zione gestionale ed, in generale, tutti i diritti e gli obblighi reciproci che non possono essere unilateralmente decisi dalla pubblica amministrazione.

58 Si fa riferimento alle Commissioni regionali per i Beni e le Attività Culturali presenti nel precedente

ordinamento.

59

Gli organi di questo tipo che già esistono (Consiglio per i Beni Culturali ed ambientali e Conferenza dei presidenti delle commissioni) o diminuiscono la presenza delle regioni (il primo) oppure le esautorano di quelle competenze che le caratterizzano come luogo di confronto fra esigenze diverse (la seconda).

(19)

19 Questo quadro, che per lo sviluppo della fruizione e della valorizzazione dei beni cultu-rali risulta molto penalizzante, per le attività cultucultu-rali, da sempre gestite in forte auto-nomia, è addirittura deleterio. Ad attenersi alle pronunce della Corte Costituzionale60 ci sarebbe da sperare che la futura sistemazione della materia superi le attuali forme accen-trate di gestione per assegnare alle regioni ed alle autonomie un ruolo incisivo in ogni aspetto strategico e gestionale del comparto.

1.3 Quale musa ispira l’intervento dello Stato?

Costruire una struttura organizzativa e scegliere un assetto istituzionale adeguati per una gestione almeno buona del settore culturale è cosa assai difficile da attuare. Questo non solo perché il settore, per le sue caratteristiche, si trova in una zona grigia in cui è diffi-cile stabilire dove far arrivare l’intervento dello Stato e quanto spazio dare all’iniziativa ed all’intervento dei privati, ma anche perché, vista la fisiologica peculiarità che lo ren-de il simbolo e la seren-de ren-delle differenze esistenti fra le società, è difficilissimo importare, anche differenziandoli, modelli adottati altrove.

Ma è proprio necessario risolvere questo problema? E’ davvero così sicuro che il pro-blema esista nella sostanza e che non sia piuttosto una creazione artificiosa di statisti e burocrati?

Già A Smith61 e successivamente J. M. Keynes62 riconobbero la necessità di un inter-vento statale in questo settore, considerandolo assai importante per condizionare e

60 Sentenze 225 e 226 del 21 Luglio 2004.

61 «…esistono comunque due rimedi assai semplici ed efficaci che lo Stato potrebbe utilizzare

congiun-tamente per correggere senza violenze tutto ciò che di asociale di sgradevole e rigoroso ci fosse……Il se-condo di questi rimedi è la frequenza e la gaiezza dei divertimenti pubblici. Dando un incoraggiamento , cioè concedendo completa libertà a tutti coloro che, per interesse proprio, cercassero … di allietare e di-vertire la gente con la pittura, la poesia, la musica e la danza, e ogni specie di rappresentazione e spettaco-li, lo Stato dissiperebbe facilmente nella maggior parte del popolo la malinconia e l’umor tetro.» Si veda: A. SMITH (1776).

62 «Oggi il nostro esercizio più grandioso nell’arte della pubblica costruzione sono le strade di grande

comunicazione, che tuttavia, nascono sotto un manto di necessità economica e per il caso che un’imposta speciale ad esse destinata produce guadagni di proporzione inattesa, non tutti decentemente convertibili ad altre finalità. Ancora più importanti, rispetto agli eterni monumenti di dignità e bellezza attraverso i quali ogni generazione dovrebbe esprimere il proprio spirito per rappresentarlo lungo la parabola del tem-po, sono le effimere cerimonie, gli spettacoli e i divertimenti da cui l’uomo comune può trarre piacere e svago dopo aver compiuto il proprio lavoro, e che gli possono far sentire, come nient’altro può, che egli è in sintonia con, e parte di, una comunità più raffinata, più dotata, più radiosa, più spensierata di quanto egli potrebbe essere da solo. La nostra esperienza ha dimostrato chiaramente che tali attività non possono essere portaste a compimento se dipendono dal motivo del profitto e del successo finanziario. Lo sfrutta-mento e l’eventuale distruzione del dono divino dell’uomo di spettacolo che viene fatto prostituire all’obiettivo finanziario è uno dei peggiori crimini dell’odierno capitalismo. Come lo Stato potrebbe nel modo migliore svolgere il proprio ruolo è difficile dire. Dobbiamo imparare per tentativi. Ma ogni cosa sarebbe migliore dell’attuale sistema.» Si veda: J. M. KEYNES (1936).

(20)

20 smare gli assetti sociali e civili, vale a dire quel tessuto connettivo destinatario delle po-litiche economiche ed istituzionali. In verità verifiche e studi analitici sul settore, forse anche per l’autorevolezza delle teorie che lo riguardavano, non ce ne erano mai state. I primi studi di matrice economico-scientifica, centrati specificamente sull’oggetto sulle variabili che lo caratterizzano, si sono avuti solo nel 1966 ad opera di Baumol e Bo-wen63 e conclusero che il settore culturale è pesantemente condizionato dal cosiddetto “morbo dei costi”, poiché è un settore “non progressivo” dove cioè produttività e salari non crescono in modo proporzionale64.

Questi risultati fornirono una base scientifica alle affermazioni precedenti, confermando la necessità del sostegno statale al settore, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto fi-nanziario, e dando agli addetti ai lavori l’alibi per continuare a restare appiattiti su uno status quo, dove certi privilegi ed automatismi erano un prezzo inevitabile per la difesa di valori superiori di interesse generale per la società tutta65.

Tuttavia dopo tale studio è fiorito un ricco dibattito che, riprendendo gli spunti forniti dagli studî precedenti e formulando nuove elaborazioni, ha costruito un articolato per-corso fra assunti teorici ed evidenze empiriche.

In verità il comparto spettacolistico (e per estensione anche quello artistico) non è così statico come ipotizzato da Baumol e Bowen: analizzando la realtà da punti di vista di-versi ed alla luce dei cambiamenti portati dal tempo66, si è osservato come anch’esso sia

63 Si veda W. BAUMOL, W. BOWEN (1966). 64

Nell’elaborare la teoria i due studiosi iniziano considerando due aspetti caratterizzanti il comparto dello spettacolo:

 il comportamento delle imprese;

 le tecniche produttive.

Il primo aspetto si sostanzia principalmente nel fatto che le imprese non tendono alla massimizzazione del profitto poiché, mentre da un lato trascurano di perseguire un certo tasso di rendimento dal capitale inve-stito, dall’altro sono fortemente vincolate ad una mission molto particolare, cioè perseguire un obiettivo sociale. Il secondo punto è essenzialmente qualificato da due caratteri contraddittorî: la staticità della pro-duttività oraria e la contemporanea e continua crescita delle retribuzioni che, piuttosto che essere legate ai ritmi di produzione del settore, sono invece condizionati da ciò che accade nei settori cosiddetti progres-sivi, dove però produttività e crescita salariale procedono di pari passo. Quest’ultimo aspetto, condiziona-to da un tipo di comportamencondiziona-to che di fatcondiziona-to preclude l’applicazione della maggior parte dei possibili cor-rettivi, ha come diretta e più grave conseguenza il peggioramento del rapporto costi / ricavi, poiché i prezzi non riescono coprire i costi, sancendo così la necessarietà dell’intervento pubblico, pena la scom-parsa dell’istituzione culturale.

65 La strategia utilizzata dalle associazioni culturali può essere così sintetizzata: «In primo luogo

identifi-care “cultura” con “civiltà”…Ciò implica immediatamente una “gerarchia” dei gusti, con i beni culturali in cima alla lista. In secondo luogo, identificare ogni opposizione a questo luogo come “filistea”, sebbene non sia chiaro ciò che i Filistei fecero per essere associati agli “incolti”….In terzo luogo, tentare di con-vincere i governi e gli elettori che i produttori di beni culturali si trovano in una posizione migliore rispet-to agli altri per disegnare e perfino per dirigere le politiche culturali.» Cfr. A. T. PEACOCK (1993a): p. 54.

66 Si ricorda, ad esempio, il lavoro di T Cowen che nel lavoro pubblicato in occasione del trentennale

(21)

21 condizionato dal progresso tecnologico e dalle nuove dinamiche che interessano la so-cietà in generale ed il mondo del lavoro in particolare.

L’incidenza del costo del lavoro è diminuita parecchio nel corso del tempo perché que-ste istituzioni hanno assorbito (forse a volte “ob torto collo”, ma alla fine l’hanno fatto) parte delle innovazioni organizzative che erano state sperimentate altrove67. Inoltre gli artisti che, al contrario della lobby dei burocrati, sono sempre stati molto attenti all’aspetto economico, si sono impegnati a “produrre” con meno mezzi: ove possibile si è cercato di diminuire il numero degli attori in scena o si è accettato un uso più massic-cio della tecnologia nella messa in scena, oppure ancora la creazione e la divulgazione del prodotto artistico è stata spostata in forme, luoghi e supporti che meglio incontrasse-ro le esigenze di fruizione e le capacità di spesa delle comunità e che, quindi, garanten-do un rapporto più continuativo con il consumatore oltre che una platea di contatti di gran lunga più vasta, portassero ad avere nel tempo flussi di risorse più stabili e sicure (fig. 1.1).

Fig. 1.1: Incidenza di consumi per ricreazione, cultura e servizi ricreativi sul totale.

La tecnologia ha esplicato i suoi beneficî non solo nella filiera produttiva, dove ha favo-rito la diminuzione dei costi nelle attività di supporto, ma soprattutto nella fase distribu-tiva ed in quella di consumo, in questo caso, però, la valenza posidistribu-tiva del reasons. First, the productivity measures do not account for increases in product quality. Second, the pro-ductivity measures do not account for increases in diversity. Third, cost-disease studies usually select op-era, theatre and symphony orchestra. Cost-disease proponents display an unjustified bias toward “high culture”. We also should consider today’s cultural winners, such as rock and roll, country music, and heavy metal.» Si veda T. COWEN (1996): p. 211.

67 Per esempio, ove possibile, si sono aperte alla collaborazione con le associazioni di volontariato,

oppu-re hanno adottato logiche operative per l’impiego delle risorse mutuate da settori meno artistici ma più efficienti.

(22)

22 mento non è così lineare. In prima battuta l’introduzione della tecnologia ha prodotto sì un ampliamento del mercato ma ha anche provocato un effetto di sostituzione negativo poiché, riproponendo l’arte in formati artefatti, allontana il pubblico dal momento topi-co della produzione. Tuttavia nel medio periodo tale effetto di sostituzione diventa posi-tivo, poiché le “forme manipolate” dànno al prodotto artistico una maggiore diffusione, accrescendo il senso critico del pubblico ed indirizzandolo verso una fruizione maggiore e più consapevole68.

Il progredire degli studî traccia per il settore culturale un’identità economica, tesa ad e-videnziare meglio sia i connotati del prodotto culturale, disegnato come bene merito-rio69, sia il ruolo degli individui/fruitori che, essendo coinvolti nella crescita e nello svi-luppo di settori progressivi, hanno a disposizione i mezzi (informazione e tempo libero) ed il denaro necessarî per accrescere la propria partecipazione alla produzione ed anche al consumo di arte e cultura.

Tali evidenze gettano una luce diversa sugli aspetti quali-quantitativi del finanziamento pubblico. Il comportamento della domanda, che si caratterizza in modo complementare e spesso concorrente all’intervento pubblico, è ininfluente se la produzione del settore cultura non viene effettuata in quei modi e quelle quantità realizzabili soltanto con il fi-nanziamento pubblico.

I tratti della meritorietà fisiologicamente richiamano il finanziamento pubblico ed ma la tipologia e la forza della loro relazione emerge quando si analizzano le implicazioni e le restrizioni poste all’ambito di applicazione, l’individuo e la società. Se da un lato la me-ritorietà, imponendo che le preferenze siano interdipendenti ed in continuo mutamento, potrebbe mettere fortemente in discussione la logica paternalistico-liberale e quindi il finanziamento pubblico, dall’altro sono proprio tali assunzioni sulle preferenze a sotten-dere che gli individui possiedano capacità e dispongano di opportunità che possono es-sere conseguite solo con il finanziamento statale.

68

« Non vale l’obiezione che si tratta di mere riproduzioni o addirittura testi critici, a fronte della centrali-tà dello spettacolo sul palcoscenico che rimane di esclusiva pertinenza del produttore: per uno spettatore che abbia superato la smania rituale ottocentesca lo spettacolo è costituito da quello che avviene sul pal-coscenico insieme a una gamma estesa e indefinita di prodotti a contenuto informativo che ne integrano il valore, accrescendolo.» Si veda M. TRIMARCHI (2002b).

69

In questo caso ci si richiama alla teoria di Musgrave dove si introduce il concetto dei “merit goods”, ovvero dei beni destinati a soddisfare particolari bisogni (c. d. bisogni di merito, i “merit wants”) che so-no «così meritori che la loro soddisfazione è assicurata dal bilancio pubblico al di sopra o al di sotto di ciò che è offerto dal mercato e di quanto pagato dagli acquirenti privati. “Merit good” è infatti quel bene che viene offerto non in risposta alle pressioni di preferenza dei consumatori – espresse sia attraverso i canali di mercato che attraverso altri canali – ma come imposizione delle preferenze dello stesso offerente.» Si veda P. A. VALENTINO (1998).

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