tema Cinema sulla scuola idee per l’educazione MARZO 2009
nuova serie numero 72 - marZo 2009 (1. 2009) • Tariffa R.O.C.: Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, DCB (Como) • 8 euro
C’è vita su marte • La secondaria superiore tra rin- vii e cambiamenti • C’era una volta l’obbligo d’istru- zione per almeno dieci anni • morfologia della fia- ba ministeriale • Primum legere • non aprite quel portone • Palestina-israele. Coltivare la speranza
• Politica bipartisan o autogoverno? • mia figlia è
come le altre • insegnare in un bordello • La scuo-
la non è un’azienda • i musei della vita. un omag-
gio a Darwin • Dall’edificio alla città e al territo-
rio • Ludovico Geymonat, matematico e filosofo •
Lacrime per l’assassino • Il giardino dei limoni o
della dignità umana • il film sulla carta • Un voca-
bolario tutto per noi • robot@scuola • senza iro-
nia non c’è educazione • adolescenti in transito •
TEXT Per la scuola della Costituzione
Redazione via magenta 13, 22100 Como tel. 031.4491529 [email protected] www.ecolenet.it Direttrice responsabile Celeste Grossi Vicedirettore andrea Bagni Redattori
Capelli, Paolo Chiappe, Maurizio Disoteo, Marisa Notarnicola, Cesare Pianciola, Andrea Rosso, Gianpaolo Rosso, Giovanni Spena, Filippo Trasatti, Stefano Vitale Collaboratori Giovanna alborghetti, Monica Andreucci, Guido Armellini, Antonella Baldi, Marta Baiardi, Antonia Barone, Gabriele
Bonapace, Franco Calvetti, Andrea Canevaro, Minny Cavallone, Edoardo Chianura, angelo Chiattella, Rosalba Conserva, Vita Cosentino, Marina Di Bartolomeo, Lella Di Marco, Mauro Doglio, Lidia Gargiulo, Maria Letizia Grossi, Toni Gullusci, Monica Lanfranco, Mariateresa Lietti, Marco Lorenzini, Franco Lorenzoni,
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NUMERO 72 MARZO 2009
c o s t r u i r e l ’ u g u a g l i a n z a l i b e r a r e l e d i f f e r e n z e
Sisini, Monica Specchia, marcello vigli Grafica e impaginazione Natura e comunicazione Como
(Andrea Rosso con Marco Bracchi)
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3 C’è vita su marte • GianPaoLo rosso
eDIt
4 La secondaria superiore tra rinvii e cambiamenti • PAOLO CHIAPPE, PINO PATRONCINI
PRe tema
CINema SULLa SCUOLa a cura di CESARE PIANICIOLA7 ecco come siamo • arTuro marToreLLi 9 a scuola di cinema • GABRIELE BARRERA
11 Cinema e scuola in Francia e in italia • GiusePPe PaneLLa 13 Corto circuito africano • FaBio manTeGaZZa
IDee PeR L’eDUCaZIONe
15 C’era una volta l’obbligo d’istruzione per almeno dieci anni • DomeniCo CHiesa 17 morfologia della fiaba ministeriale • aLessanDro LarvaTo
18 Primum legere • marisa noTariCoLa
19 non aprite quel portone • moniCa anDreuCCi
20 FaCCiamo PaCe Palestina-israele. Coltivare la speranza • CeLesTe Grossi 21 Le LeGGi Politica bipartisan o autogoverno? • CorraDo mauCeri 22 nuovi arrivi mia figlia è come le altre • LiDia GarGiuLo 23 noTe in ConDoTTa insegnare in un bordello • anDrea BaGni
maPPamONDO
24 La scuola non è un’azienda • Pino PaTronCini
De ReRUm NatURa
26 i musei della vita. un omaggio a Darwin • eLisaBeTTa FaLCHeTTi 28 Dall’edificio alla città e al territorio • FeDeriCo oLiva
31 Ludovico Geymonat, matematico e filosofo • GasPare PoLiZZi
mODI e meDIa
32 inTervisTa Lacrime per l’assassino • FranCesCa CaPeLLi
34 CINEMA Il giardino dei limoni o della dignità umana • sTeFano viTaLe 35 SCRIPT il film sulla carta • maria LeTiZia Grossi
36 Un vocabolario tutto per noi • MONICA LANFRANCO 37 NAVIGO ERGO SUM robot@scuola • eDoarDo CHianura 38 iL LiBro senza ironia non c’è educazione • sTeFano viTaLe 39 HUMUS
43 anni verDi adolescenti in transito • sTeFano viTaLe 42 TEXT Per la scuola della Costituzione
teXt
48 TrenD • LorenZo sanCHeZ
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c o s t r u i r e l ’ u g u a g l i a n z a l i b e r a r e l e d i f f e r e n z e
C’è vita su Marte
GiAnPAolo RoSSo
C
i pensiamo anche noi e spesso ce lo chiediamo. Ha ancora senso? C’è una possibilità che la scuola pubblica, laica, plurale, ipotizzata dalla Costituzione possa davvero esistere? C’è la speranza che la fase di involuzione possa esaurirsi, contrastata finalmente da una nuova atten- zione delle persone alla scuola e alla formazione come elementi fondanti della società?E seppur con minore enfasi (conosciamo i nostri limiti), ci chiediamo anche che senso ab- bia la nostra rivista, così controcorrente da sembrare non tanto antagonista quanto extraterrestre.
Certamente non possiamo sperare che torni la scuola di ieri, quella del cen- trosinistra o della Falcucci. La difficoltà sta proprio nel fatto che non ci sembra proprio il caso di ritornare a ciò che era, anche se non abbia- mo dubbi che le novità (novità?) dei governi delle destre si accanisco- no sulle poche cose buone preesistenti per generare un devastante sce- nario di autoritarismo, formalismo, di ordine e disciplina tanto assurdo quanto antistorico.
Guardare avanti è difficile. ma tutte le volte che ci interroghiamo sulla scuola che vo- gliamo, in ogni occasione nella quale ci confrontiamo con altri soggetti – come “Per la scuola della Repubblica”, parti del sindacalismo di base e confederale, dell’associa- zionismo professionale, con organizzazioni e movimenti impegnati nella formazione e più in generale con l’arcipelago variopinto dei soggetti attivi per la costruzione di un nuovo mondo possibile – abbiamo la percezione di non essere soli. Forse c’è vita su marte. Forse il germe dell’idea che il mal di scuola possa essere curato, risolto insieme al male di vivere del nostro tempo, cresce e noi siamo tra coloro che hanno il compito di coltivarlo o almeno di manifestarne l’imprevista esistenza.
segnali ce ne sono: quando abbiamo iniziato l’avventura editoriale di école, l’idea che il merca- to fosse tutto – fosse il bene e la felicità, la giustizia e la religione, il sapere e il futuro – era inconfutabile e venivamo giudicati pazzi perché ne dubitavamo.
Quando organizzammo, alcuni decenni fa a Como, il convegno Scuola, mercato, sistema forma- tivo allargato le nostre tesi sul ben di scuola, sulla necessità di puntare sull’istruzione pubblica e sulla costruzione dell’uguaglianza liberando le differenze, contro l’omologazione mercantile e la valutazione della cultura e dell’apprendimento con categorie e strumenti economicisti- ci, fu netta la sensazione che, non solo i contenuti, ma anche i nostri linguaggi erano “fuori tempo”. Pensate, allora (come adesso) chiamavamo gli studenti “abitanti della scuola” e non
“utenti del servizio”.
oggi il contesto è mutato, sono pochi e marziani quelli che continuano a sostenere senza ride- re che è dal mercato che la cultura deve trarre insegnamento, diminuiscono e sono in malafede coloro che vedono nella scuola privata e nella negazione della laicità dell’istruzione il futuro radioso delle nuove generazioni.
Forse un senso c’è. E se c’è dovete abbonarvi. Ci serve il vostro aiuto.
pre
L
o slittamento è dovuto ad almeno tre fattori: l’oggettiva difficoltà ad attuare, nei pochi mesi mancanti alle iscrizioni, misure che ricadono su un corpo complesso (ordini, indirizzi, discipline…) e che in parte richie- dono persino di ridisegnare la mappa scola- stica; la paura di mettere altra legna ad ali- mentare l’incendio (cosa che ha impedito di annunciare per tempo, a ottobre, i nuovi or- dinamenti); il timore di una radicalizzazione dello scontro col coinvolgimento degli stu- denti medi, in stile greco.L’unica innovazione che già da quest’anno, 2008-09, entra in vigore sono le nuove nor- me disciplinari: il voto di condotta in qualche
modo fa media e ci sono modifiche allo sta- tuto degli studenti con nuove sanzioni impo- ste dal governo alle scuole. su ciò però c’è un discreto silenzio degli insegnanti, che proba- bilmente confidano in un aumento di autore- volezza, e tutto sommato anche degli studen- ti: l’onda, anche quando c’era, non ha avuto molto da dire in proposito. Mentre la preoc- cupazione per la radicalizzazione del conflit- to politico sugli ordinamenti è tutt’altro che fantasiosa. Lo dimostra una nota dell’Unione Europea in merito.
Transizione indefinita
Complessivamente si può dire che siamo an-
cora dentro un’indefinita transizione. La leg- ge 53 (moratti), abbastanza in linea con il nuovo e ambiguo titolo v della Costituzione voluto dal centro sinistra (uno dei motivi per cui non è stata abolita da Prodi e Fioroni) definiva e definisce tuttora una nuova ar- chitettura con due sistemi paralleli, uno di
“istruzione” e uno di “istruzione e Formazione Professionale”. il primo – sostanzialmente li- ceale – è ricondotto a competenze statali e regionali. Del secondo, esclusivamente di competenza regionale, non sono stati ancora creati gli strumenti finanziari e organizzativi.
La legge 40 del 2007 di Fioroni e Prodi, so- vrapponendosi (non sostituendosi) alla pre-
La secondaria superiore tra rinvii e cambiamenti
l’attuazione del nuovo ordinamento della scuola secondaria superiore è stata rinviata al 2010- 11. il rinvio non ha fermato i tagli del personale: i 3.500, circa, che quest’anno sono risparmiati alla secondaria superiore, la quale avrà comunque quelli derivanti dall’aumentato numero di alunni per classe (divisore a 27 anziché 25) e dalla colmatura della cattedra a 18 ore senza clausole di salvaguardia, sono stati spalmati su primaria e, soprattutto, secondaria inferiore. le motivazioni dello slittamento sono tecniche, ma anche politiche. Si tratta davvero solo di un rinvio, dal momento che il ministro Gelmini non intende certo rimettere in discussione le bozze di ordinamento finora elaborate, ormai abbastanza chiare per licei e istituti tecnici, ancora un po’ confuse quelle dell’istruzione professionale. Vista la complessità e la gravità, per certi aspetti, dei fenomeni in atto, accresciuta anche da elementi di scarsa conoscenza e di ambiguità, bisogna porsi il problema di come capitalizzare il rinvio ottenuto a fini utili per il movimento di resistenza scolastica esploso quest’autunno. in Francia il ministero ha persino ritirato una riforma dei licei − diversa ma parallela, nei tempi e nell’apertura di contraddizioni, a quella italiana −, ha riaperto la discussione per arrivare a una soluzione più condivisa.
Da noi il massimo che la Gelmini ha offerto è stato di utilizzare il tempo per addestrare gli insegnanti all’attuazione delle decisioni già assunte. ottenere che queste decisioni vengano finalmente portate alla conoscenza di tutti, vengano rimesse in discussione, almeno nei loro aspetti più insensati (e non sono pochi) e possibilmente vengano o radicalmente corrette o fermate, potrebbe essere l’obiettivo più immediato, senza attendere che la tegola cada anche sulle nostre teste
PAolo CHiAPPE, Pino PATRonCini
cedente, ha restaurato il carattere statale di istituti tecnici e professionali, ma, insistendo molto su una giustapposizione tra questi e i licei e su una distinzione di ruoli tra tecnici (“innovativi”) e professionali (“applicativi”) ha finito col favorire il ripristino, operato alla grande sotto la Gelmini, della quadripartizio- ne tra Licei, Istruzione tecnica, Istruzione Professionale e Formazione professionale.
il ruolo di Confindustria e del
“produttivismo”
La rivalutazione degli istituti tecnici era chiesta anche da Confindustria, che pro- prio su questo punto aveva già espresso il suo dissenso dalla moratti. il riconvolgimen- to di Confindustria è passato senza soluzioni di continuità da Prodi-Fioroni a Berlusconi- Gelmini, nel quadro di un accordo di pote- re che prevede organismi paritetici (Gelmini) e/o consigli di amministrazione (aprea) negli istituti tecnici e nei professionali con la pre- senza degli industriali.
Da un punto di vista dell’utenza le modifiche di ordinamento previste dalle norme Gelmini possono apparire limitate: potrebbero appari- re come una razionalizzazione dell’esistente, cioè della scuola post-gentiliana configuratasi vent’anni fa, e questa razionalizzazione si ri- collega più alle norme di Fioroni che alla legge moratti perché salvaguarda e rilancia, sempli- ficandola e ricompattandola, l’istruzione tecni- ca. in realtà inverte una tendenza all’unifica- zione di fatto dei percorsi e al riconoscimento reciproco tra gli stessi: si allontanano i tec- nici dai professionali, ed entrambi dai licei.
Sintomatica è la situazione dei bienni inizia- li: mentre tutto sommato alla fine i tecnici e i professionali avranno un’area comune, arduo è trovarla tra i licei e, naturalmente, tra questi e i tecnici e i professionali. Le uniche discipli- ne presenti in tutti i bienni e per un numero uguale di ore saranno religione, storia ed edu- cazione fisica! un bel passo indietro rispetto alla situazione attuale “brocchizzata” che or- mai vedeva la sola eccentricità dei licei classi- ci, scientifici e artistici tradizionali.
un grosso elemento di rottura è la soppres- sione degli istituti d’arte, che si somma alla scarsa considerazione per il bisogno di ore di cui il settore artistico, insieme al neonato li- ceo musicale, necessita: avremo artisti che non dipingono e musicisti che non suonano, perché non c’è il tempo!
incognite
Più che dall’ordinamento, le maggiori sorpre- se potrebbero derivare da dimensionamento e redistribuzione della rete scolastica sul terri- torio. Questa, infatti, sarà modificata a cau- sa della soppressione di alcuni degli attuali indirizzi tecnici (pensiamo ai PACLE/Erica o ai ragionieri programmatori/mercurio) e del- le sperimentazioni (soprattutto le più diffuse, come il liceo scientifico tecnologico o quello delle scienze sociali). Questo a sua volta in tutta una serie di casi inciderà sull’appeal e sulla consistenza delle scuole e quindi sulla loro titolarità e autonomia.
anche la nuova definizione dei titoli rilasciati dagli istituti tecnici potrebbe avere qualche influenza sull’appeal soprattutto per scuole
come quelle comunemente “definite per me- stiere”: geometri, ragionieri, ecc.
Infatti si prevede che i titoli dei tecnici sia- no per tutti “perito in…”, mentre per i pro- fessionali, come ora, “tecnico di…”. Che cosa questo in concreto voglia dire non è affatto chiaro. È certo una scelta che per un verso si può legare all’abolizione del valore legale dei titoli di studio (almeno di quelli rilasciati dalla secondaria superiore), per un altro alla posticipazione dei titoli professionali in per- corsi post-diploma (gli iTs?, gli iFTs?) o in lauree brevi. Entrambe le motivazioni sono, come minimo, cariche di equivoci e di ambi- guità sia per le spese delle famiglie che per le prospettive occupazionali.
Non è ancora ben chiarita nemmeno all’inter- no del governo la relazione che dovrà stabilirsi tra istituti professionali di Stato e Istruzione e Formazione Professionale, che dovrebbe a sua volta essere delegata a province e co- muni e quindi a consorzi e enti formatori.
L’Istruzione e Formazione Professionale infat- ti cercherà il più possibile di ottenere equiva- lenze formative che consentano passaggi al- l’istruzione professionale e tecnica di Stato e, soprattutto, all’istruzione tecnica superio- re che sembra essere il grande affare del se- colo, l’unico a cui il sistema delle aziende è veramente interessato.
Allo stato attuale i percorsi ispirati all’Istru- zione e Formazione Professionale sono in via di sviluppo in sole sei regioni, tutte del nord, mentre nel Centro-Sud sono in calo. Quello che si prefigura per l’istruzione professio- nale è perciò un ruolo di sussidiarietà del- l’Istruzione e Formazione Professionale nel Centro-Sud. Il rischio di fare dell’Istruzione e Formazione Professionale un doppione pa- rascolastico dei professionali di Stato, viene aggirato in questa maniera: con una divisione in due del Paese.
i tagli come unica finalità
il concetto di insegnamento-apprendimento che sottostà alle nuove norme sembra raffor- zare ancora un po’ la dimensione propriamente scolastica dominante nella tradizione italiana riducendo le ore di laboratorio negli artisti- ci, sopprimendo gli istituti d’arte, integrando con nuove materie il classico. Ma a sua volta questa tendenza è contraddetta dall’altra no- vità importante: la conferenza stato-regioni, in collegamento con l’unione europea e con tutti i vari portatori di interessi, va via via definendo i profili professionali richiesti dal mercato ai vari livelli, rispetto ai quali diplo- mi e curricoli diventano fattori dipendenti e condizionati (anche se questa definizione dei profili professionali segue un percorso molto farraginoso). sembrano due tendenze contra- stanti: da un lato meno scuola laboratorio, quindi più lezioni tradizionali, manualisti- che, frontali e dall’altro più dipendenza dei curricoli da fattori di mercato. Forse questa contraddizione si spiega con l’assenza, per la prima volta, di qualunque tentativo di giusti- ficare i mutamenti con il ricorso a elementi pedagogici e a teorie dei processi conoscitivi, che stavolta non sono tirati in ballo neanche come foglia di fico (vedi ruolo di Bertagna al- l’epoca di Moratti).
Le modifiche sono maggiori dal punto di vi- sta degli operatori che dovranno in gran par- te entrare in una fase di ridefinizione pro- fessionale – anche se più burocratica che di merito – dentro il grande processo di passag- gio dalle vecchie alle nuove cattedre aggra- vato dai tagli e dalla ridefinizione della rete scolastica. Per questo aspetto i regolamenti sono decisivi proprio nei particolari.
Gli insegnanti dovranno lavorare di più a pa- rità di ore cattedra settimanali perché tutte le ore vengono portate a sessanta minuti. Per gli studenti così l’allungamento della lezione e la riduzione del numero settimanale di le- zioni (tranne il classico dove aumentano) si compensano all’incirca.
vengono abolite le centinaia di sperimen- tazioni, che spesso però tali non erano in quanto corrispondevano piuttosto a esigenze microcorporative o di implementazione del numero degli studenti. a meno che le ten- denze microcorporative vincenti non decida- no per la prima volta di usare il 20% di modi- fiche al curricolo riservato alle singole scuole autonome, che nel triennio dei tecnici sale al 30-35%.
riguardo ai bienni viene purtroppo del tut- to mantenuta nel settore tecnico la tenden- za risalente agli anni ottanta di scaricare sui quattordici-quindicenni materie scientifiche di enorme complessità come fisica o dirit- to fingendo di poterne esaurire precocemen- te la trattazione. Questa pretesa alimenta- ta da esigenze microcorporative è stata ed è una delle cause della differenza tra istruzio- ne reale e istruzione di facciata.
Un’occasione da non sprecare
Dal 2006 il tavolo nazionale delle regioni e Province Autonome discute e analizza come attuare il nuovo Titolo V della Costituzione e la legge 53. uno dei nodi aperti è quello del trasferimento di parte almeno del personale docente dagli istituti professionali di stato all’Istruzione e Formazione Professionale, cioè alle regioni, che lo accolgono poco vo- lentieri per i costi e soprattutto perché vor- rebbero selezionarsi da sole i dipendenti. La questione ormai intrecciata a quella del fe- deralismo fiscale annunciato ma non anco- ra definito e su cui a febbraio è stato fat- to un convegno tripartisan da D’alema, Fini, Calderoli. in questo convegno si è proposto di affiancare al federalismo fiscale il fede- ralismo amministrativo. Forse ciò vuole dire la creazione di ministeri regionali sul mo- dello dei Laender tedeschi. Prospettiva as- sai problematica, anche perché implica per le regioni il passaggio dalla fornitura di ser- vizi complementari alla copertura univer- sale dell’utenza e ai Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep), cosa che spaventa in real- tà anche le regioni che si sono fieramente candidate a compiti di governo federale. e che comunque implica il passaggio anche alla piena potestà legislativa scolastica re- gionale, passaggio che probabilmente viene frenato anche per motivi non del tutto belli:
basti pensare al fatto che il Concordato e la seguente intesa del 1984 andrebbero river- sati dentro le varie leggi scolastiche regiona- li aprendo problemi a dir poco delicati.
O
ccuparsi di come la scuola è rappresentata nel cinema è evasivo rispetto alle grandi questioni attuali della scuola, delle lotte, della resistenza all’attacco che oggi le viene sferrato?sarebbe legittimo chiederselo soltanto all’interno di una considerazione del cinema come svago e intrattenimento e non come potente veicolo nella formazione del “sen- so comune” e dell’immaginario di grandi masse.
ripercorrere la storia del cinema anche limitatamente ai film sulla scuola e sui suoi abitanti è un compito impossibile da assolvere in breve. Ma è indubbiamente stimo- lante fornire, sia pure per cenni, per exempla e squarci parziali, qualche elemento per far chiarezza sul ruolo, l’evoluzione, la crisi di quell’ istituzione che è un passaggio obbligato nell’esperienza e nella memoria di intere generazioni e su come quel mon- do, che a tutti dovrebbe risultare familiare, è stato proposto nel cinema.
Come ha scritto Fabrizio Colamartino (www.camera.minori.it/pdf/pdf_filmografie_
scuola.pdf.), «il film sulla scuola si fa lastra sensibile, capace di riflettere attraver- so il tessuto dei microeventi narrati, il benessere [e il malessere] di una società, la sua struttura, soprattutto la natura del rapporto tra generazioni diverse». offre elementi significativi per riflettere sulla «relazione mai facile tra chi sta al di qua e coloro che si trovano al di là della cattedra». Per questo lo proponiamo ai nostri lettori come tema.
ARTURO MARTORELLI, CESARE PIANCIOLA
tema
Cinema sulla scuola
A CURA DI CESARE PIANICIOLA
N
on mancano, nella cinematografia del- le origini, le figure di monelli/ribelli, protago- nisti, con la loro irriverenza, di burle, scherzi, dispetti, il più delle volte sciocchi e odiosi e regolarmente puniti, e che rimandano indiret- tamente a un sistema educativo (familiare e scolastico) tale da indurre a scaricare indica- tivamente all’esterno la violenza che vi si ap- prende, ma non si registrano, nelle migliaia di storie narrate dal cinema per tutta l’era del muto, momenti nei quali il mondo della scuola sia oggetto di narrazione centrata su di esso né di sia pur parziale riflessione (aleggia, co- munque, nelle storie sull’infanzia, l’incubo di- ckensiano del collegio o, peggio ancora, del riformatorio).L’approccio più marcatamente realistico che il mezzo cinematografico tende nel tempo a sperimentare porta, in particolare a partire dal sonoro, a toccare i temi della scuola e dei suoi contenuti in modo più attento e approfondi- to. Non casualmente, è dalla scuola che pren- dono il via le vicende di due film, entrambi del 1930, all’apparenza molto lontani tra loro e che invece hanno un sottofondo comune, L’angelo azzurro (J. von sternberg, Germania) e All’Ovest niente di nuovo (L. Milestone, Usa).
Nel primo, l’attrazione erotica per la cantan- te Lola viene trasmessa all’austero professor unrat, attraverso il sequestro di una foto, dai
suoi studenti, molto più interessati a frequen- tare il cabaret che le aule scolastiche, attrazio- ne che, metafora di una crisi politico-culturale ben più ampia, lo porterà ad una progressiva caduta (in un disperato tentativo di ritrovare la dignità perduta, tornerà nella sua aula per morire abbracciato alla cattedra). Nel secon- do, è la sintonia tra un professore e gli allievi del suo liceo ad alimentare lo slancio patriot- tico che spinge i giovani ad arruolarsi volon- tari all’entrata in guerra del proprio paese e ad abbandonare i banchi di quella stessa scuo- la che li aveva formati all’ideologia bellicisti- ca (la catastrofe alla quale andranno incontro coinvolgerà non solo le loro esistenze private, ma il destino stesso dell’Europa).
La più limpida e feroce rappresentazione della violenza istituzionale incarnata dalla scuola si trova nel capolavoro di Jean vigo Zero in con- dotta (Francia, 1933). A partire da una real- tà vissuta in prima persona (l’ottusa brutalità del riformatorio), la sensibilità acquisita per il mondo dell’infanzia porta l’anarchico liber- tario surrealista vigo ad un’opera che vuol es- sere liberatoria anzitutto per lui: i due mon- di, quello dei bambini (metafora del popolo) e quello degli adulti (la borghesia) si con- trappongono senza mediazione e questa vol- ta sono i più giovani ad essere esplicitamente mostrati come vittime. Tranne che per la fi-
gura di un sorvegliante, Huguet, che è dalla parte dei bambini, tutti gli adulti sono fan- tocci, incarnazioni dell’autorità, in bilico tra il ridicolo e l’odioso, fino alla figura più ele- vata gerarchicamente e più grottesca, il ret- tore, un nano. L’assoluta libertà narrativa di vigo ha le sue radici nella vena surrealista che percorre tutto il film, che si conclude con la fuga finale dei quattro ragazzi che hanno ani- mato la rivolta.
se si eccettua la meteora del film di vigo, gli altri film che toccano il tema della scuola, in un’epoca nella quale sia l’infanzia che l’ado- lescenza sono comunemente viste come mo- mento preparatorio al mondo degli adulti, e prive in quanto tali di una propria dimensio- ne da comprendere e rispettare, si riducono in parte a tratteggiare pateticamente la scial- ba esistenza degli educatori (Addio, Mr Chips, s. Wood, GB, 1939), in parte a operare qual- che incursione comico-romantica nel mondo femminile (in particolare, nel cinema italiano meno incline a piegarsi alla retorica del regi- me fascista, si ricordano Maddalena: zero in condotta, V. De Sica, 1940 e Ore 9 lezione di chimica, m. mattoli, 1941, nei quali non man- cano venature psicologiche, anche nelle figure degli insegnanti).
Il sottinteso, comunemente diffuso nella cul- tura del tempo, che la scuola dovesse essere palestra di virtù patriottiche sarà messo alla prova della tragedia generata dalla seconda guerra mondiale, dopo la quale nulla, si può dire, sarà come prima. a partire dal dopoguer- ra una diversa attenzione si manifesta nei confronti del mondo dei più giovani che, so- pravvissuti alle macerie materiali e morali del conflitto, ne portano con sé segni indelebili ancor più degli adulti e alle cui storie la risor- gente cinematografia europea dedicherà uno sguardo particolare. ma se nei film di De sica, rossellini, visconti, Clément in particolare, e in qualche prodotto delle cinematografie ame- ricana e sovietica, il tema dell’infanzia è toc- cato con grande sensibilità, l’attenzione per il mondo della scuola spesso si limita ad accen- ti nostalgico-sentimentali, senza pervenire a una visione critica che tenga conto dei pro- fondi mutamenti che sono in atto nella socie- tà e che coinvolgono tutte le forme istituzio- nali. una felice eccezione è uno dei primi film francesi del dopoguerra, La gabbia degli usi- gnoli (J. Dreville, 1944-46), che affronta con toni delicati il tema dei metodi antiautoritari
Ecco come siamo Ripercorrere la storia del cinema e individuare in essa gli episodi nei quali la scuola e i suoi protagonisti hanno svolto un ruolo rilevante vuol dire, al tempo stesso, ripercorrere alcuni momenti della vita civile e istituzionale degli ultimi cento anni
ARTURO MARTORELLI*
in un riformatorio: la musica si rivela la peda- gogia più efficace, come, sessant’anni più tar- di, nel remake Les coristes - I ragazzi del coro (Ch. Barratier, 2004). Qualche anno più tar- di, in Addio, Mr. Harris (The Browning version, 1951), il regista inglese a. asquith, nell’ana- lisi della vita pubblica e privata di un seve- ro insegnante di materie classiche e alla sua presa di coscienza di un fallimento umano e pedagogico, apre una attenta riflessione sul- l’educazione (m. Figgis ne dirigerà un remake nel 1994, I ricordi di Abbey).
il cinema italiano
Il cinema italiano, nonostante la ventata rin- novatrice del neorealismo, non riesce, tutta- via, quando si tratta della scuola, ad allon- tanarsi dai toni nostalgico-sentimentali, a conferma di una cultura pedagogica che, dopo il fascismo, cerca ancora i propri modelli in quelli della vecchia italia liberale. Tra le mi- gliori prove, quelle di r. Castellani (Mio figlio professore, 1946, con A. Fabrizi, bidello di un liceo, che vuol realizzare il sogno di vedere il figlio in cattedra), quella di D. Coletti, che con Cuore (1946) traspone sullo schermo il
“classico” per eccellenza della letteratura dei buoni sentimenti, quella di L. emmer che in Terza liceo (1954) esplora con sensibilità il mondo di un gruppo di giovani alle soglie del- la maturità. il veterano mattoli, da una par- te, riprende i temi di Ore 9: lezioni di chimica (Le diciottenni, 1955), tentando di “aggior- narli” ai gusti giovanili di quegli anni, dal- l’altra, nel raccontare le vicende di un’anziana maestra elementare che vuol difendere dal- l’abbattimento l’edificio della scuola che di- rige, oppone la “cultura” dei sentimenti alla
“modernità” della speculazione (I giorni più belli, 1956).
lo scontro generazionale
Ma che la dimensione educativa debba essere ormai anche al cinema oggetto di una diver- sa attenzione è attestato da una serie di film i cui temi affrontano lo scontro generaziona- le, passando sempre più spesso per la scuola, come nel cinema Usa, attento alle problemati- che giovanili sin dagli anni Trenta: ne Il seme della violenza (r. Brooks, 1958), il sincero idealismo di un insegnante si scontra con la dura realtà degli allievi di una scuola della più degradata periferia di new York. Tuttavia, sarà solo F. Truffaut a rinnovare il discorso di vigo,
costruendo, ne I quattrocento colpi (1958), una storia vissuta totalmente nella prospet- tiva del piccolo protagonista, antoine Doinel (un personaggio che il regista riprenderà nei film successivi e che seguirà fino alla matu- rità), la cui condotta trasgressiva è il frutto spontaneo della disattenzione e del disamore che riceve nella scuola e in seno alla famiglia:
la sua rivolta culminerà in una lunga fuga che avrà termine solo davanti al mare. sui temi dell’infanzia e delle difficoltà insite anche nel più serio approccio pedagogico Truffaut ritor- nerà ne Il ragazzo selvaggio (1969), la storia vera del piccolo Victor cresciuto allo stato sel- vaggio nei boschi, e del tentativo del medico- naturalista J. Itard che si propone di riedu- carlo alla vita “civile”, fino a Gli anni in tasca (1976), tutto centrato sulle storie dei bambi- ni di una scuola della provincia francese.
La rivolta generazionale degli anni sessanta, che avrà nel mondo studentesco il suo epi- centro e vedrà “esplodere” il vecchio siste- ma scolastico e educativo, porterà alla luce le contraddizioni insite nel tradizionale rap- porto scuola-società, provocando una crisi, in Europa e nel mondo, che sembra col tempo sempre più aggravarsi, intrecciandosi con la più generale crisi dei sistemi democratici. il cinema, tuttavia, che di quei momenti e di quella cultura ha testimoniato le manifesta- zioni esteriori, raramente è riuscito a coglier- ne in profondità le istanze e le spinte reali.
In linea di massima, è il mondo autoritario del collegio ad essere individuato come me- tafora della società nel suo complesso nelle operazioni più riuscite di quegli anni (Se…, L. Anderson, GB, 1969; In nome del padre, M.
Bellocchio, it., 1972; anni più tardi, L‘attimo fuggente, P. Weir, usa,1989). Delle problema- tiche proprie di quegli anni il cinema tende, nel complesso, a raccogliere solo gli aspet- ti più superficiali, il ribellismo, l’esplosione della sessualità, le manifestazioni più accese di violenza. Fanno eccezione, in quegli anni, l’onesto e rigoroso Diario di un maestro (V. De Seta, It., 1972), cronaca di un’esperienza di- dattica nella periferia romana, condotta con lo stile del cinema-verità e, più tardi, la com- mossa rievocazione, in L. Malle, di una coe- rente figura di educatore (Arrivederci, ragaz- zi, Fr. 1987).
Dalla subcultura provinciale alla ripresa Col progressivo abbandono istituzionale del-
l’interesse per la scuola pubblica, e con la con- seguente marginalizzazione dei temi dell’edu- cazione dal dibattito politico-culturale, anche il cinema trascura i temi legati alla scuola. in italia, c’è spazio, addirittura, per tutti gli anni settanta fino agli ottanta, per un sottogenere della commedia di costume, nella quale (an- che prendendo spunto dalla rappresentazione grottesca che ne dà Fellini in Amarcord, It., 1972) la scuola serve da pretesto per una se- rie di film-barzelletta diretti a solleticare nel pubblico un’ infantile e mai estinta subcultura provinciale. Finirà per allinearsi al filone per- sino un film nato con altre ambizioni, come Porci con le ali (P. Pietrangeli, 1977, tratto da un best-seller letterario di quegli anni).
i segnali di ripresa che si avvertono nel ci- nema italiano e che mettono in luce alcune interessanti figure di cineasti comporteranno, negli anni novanta e oltre, un nuovo e spesso autentico interesse per il mondo giovanile e, di riflesso, per la scuola e per la stessa figu- ra dell’insegnante. È, tuttavia, singolare che l’immagine del professore conservi un carat- tere tra il grottesco e il caricaturale, con pun- te di caduta nel patetico (da Il portaborse, 1991, a La scuola, 1995, tutti e due per la regia di D. Luchetti a Auguri, professore, R.
Milani, 1997. Lo stesso attore, S. Orlando, in- terpreta un personaggio che vuole essere po- sitivo, ma al tempo stesso si carica di tutte le delusioni e le sconfitte di chi ha combattuto per cambiare la scuola). sembra, in ogni caso, che la distanza tra la parte migliore degli in- segnanti e gli allievi, preda del conformismo e sottomessi alla logica del consumo, sia incol- mabile. Per un curioso paradosso, la ribellione giovanile si sarebbe trasformata in un’ esal- tazione dell’esistente, la corsa all’effimero, il culto dell’immagine e del successo, il vuoto individualismo.
La prospettiva adottata dal cinema italiano di fine secolo sembra, insomma, tener conto di una vocazione alla sconfitta fatta propria da certa cultura politica di sinistra e, più in ge- nerale, di una visione disfattistica delle possi- bilità di realizzare profondi mutamenti attra- verso l’azione educativa, piuttosto che delle contraddizioni e dei fermenti operanti in un mondo, quello giovanile, tutt’altro che pacifi- cato e le cui potenzialità sono ancora da indi- viduare e far emergere.
* istituto italiano per gli studi Filosofici.
L
a qual cosa implica inevitabilmente un difetto. e cioè: mai che la scuola sia l’oggetto narrativo in sé, mai che sia il vero interesse di chi è dietro alla cinecamera (e, in fondo, anche di chi è seduto in sala). Al contrario.Si proietta su schermo non il ritratto della realtà scolastica, quanto l’allegoria del nostro Zeitgeist, lo spirito del tempo, della cultura e della società che attraverso la scuola tro- va una prima espressione. Si tratta, perciò, di un uso felicemente o infelicemente stru- mentale del soggetto-scuola, una scuola inte- sa sempre come “istituzione totale”, Asylum alla erving Goffman (1961), e, per ciò stes- so, macchina amplificatrice delle tendenze del mondo “fuori”. Trascurando volutamente il “dentro” nella sua specificità, il “fuori” è l’unico oggetto narrativo del filone dei film scolastici. solo accettando questa premessa paradossale – cioè che nessun film sulla scuo- la-in-sé sia stato recentemente girato, e per altro con pochissime eccezioni anche nel pas-
sato (da Truffaut a De seta, da vigo a Weir), dal momento che pochissimi registi si sono
“limitati” (umilmente, ma fors’anche utilmen- te) a pedinare zavattinianamente discenti e docenti nei loro percorsi fatti d’interni d’au- le e di corridoi, senza invece la tentazione di allargare l’obiettivo sui campi lunghissimi delle allegorie – solo accettando il parados- so di un cinema-scolastico che in realtà par- li solo marginalmente di scuola, scrivevamo, si può provare a fare un appello aggiornato, e ad osservare lo stile architettonico di dieci edifici scolastici di recente costruzione e fat- ti di celluloide, ossia di dieci film sulla scuola a loro modo esemplari per stili e tendenze del cinema contemporaneo. anni 2003-2008, un elenco di film recenti su cui riflettere, magari provando a riportare l’attenzione dal fuori al dentro, per vedere – se ci si riesce – che cosa i film, pur non volendolo, dicono sulla scuo- la-in-sé. ma ecco, la campanella è già suona- ta. Tutti seduti. e tu che sei là davanti spo-
stati, ché non vedo i titoli scritti col gessetto alla lavagna.
Prigione del tempo
1 e 2. La scuola è la prigione del tempo, il labirinto del pensiero, la stagnazione del- l’etica individuale e di conseguenza il mas- simo inganno delle promesse pedagogiche.
L’istituzione scolastica è veicolo del male, di una cattiva educazione in fondo domi- nata da pulsioni neppure troppo decifrabi- li. Il cupissimo La mala educación di Pedro almodóvar (2004) propone – il paragone non è immediato – la stessa asfissiante sospen- sione delle coordinate spaziotemporali già evidenziata, in altro contesto e con altri fat- ti di cronaca sottostanti (la strage nel liceo di Columbine), nell’implacabile Elephant di Gus Van Sant (2003). E nel corso d’un bien- nio, due film ambientati negli states d’oggi- dì e nella spagna d’antan propongono il me- desimo cortocircuito fra passato e presente,
A scuola di cinema Pensare ai rapporti fra il cinema e la scuola – alla scuola come ce la raccontano, in modo spesso sghembo, le nuove leve di brillanti ed ancora non-troppo- conosciuti registi delle new waves cinematografiche, o come la mettono in scena, in modo più diretto o (neo)classico, i registi (ri)conosciuti e facenti parte del pantheon della Storia del Cinema – pensare filmicamente alla scuola, si diceva, vuol dire ancora oggi, prendendo in esame il lustro 2003- 2008, fare della scuola stessa un’efficace allegoria della società
GABRiElE BARRERA
con conseguente senso di carcerazione dello spirito e di stuporosa confusione temporale.
Tutti i critici hanno parlato rispettivamente di melodramma e pedofilia (a proposito del plot proposto da almodóvar) e di generazio- ni di adolescenti anestetizzati e iperviolenti (a proposito del plot proposto da Van Sant).
ma se – invece – i due film, accantonando le loro intenzioni narrative, parlassero di sot- tecchi dell’inquietante rovescio del progressi- smo educativo?
lotta per la vita
3 e 4. La scuola è una lotta per la vita, una giungla la cui unica legge vincente è la soli- darietà fra i deboli (i ragazzi) per affrontare i pericoli forti (i professori, o meglio ancora gli adulti, o meglio ancora la vita in sé), e tutto il resto – le materie, lo studio – è insignifi- cante contorno. Charlie Bartlett è un film di Jon Poll, una commedia targata anno 2007.
ma è anche il nome di un tragicamente fragile studente – il protagonista – che, in un’istitu- zione che si vorrebbe educativa e che in real- tà dispensa farmaci come il ritalin per con- tenere in gabbia la disciplina degli studenti, diventa più forte solo quando capisce come non esser più vittima degli “assistenti” sco- lastici e come creare in proprio una società di mutua assistenza, spacciando medicine e psico-pareri di ogni genere ai suoi compagni di classe e di studi in una sorta di vorticoso smascheramento della scuola nella sua real- tà più castrante: una drogheria dello spirito, una farmacia organizzata a scopo di conten- zione. Poco diverso è Juno di Jason Reitman, nuovamente una storia di solidarietà fra ra- gazzi a partire dai guai della giovane studen- tessa Juno rimasta incinta del compagno di scuola Paulie: aborto, affidamento, matura- zione prematura delle persone in giovane età, immaturità senza speranza delle persone in età adulta. e se – in fondo – l’idea “eversi- va” partorita da Charlie così come il bambino dei due protagonisti di Juno non fosse sim- bolicamente la stessa cosa, e cioè il frutto di una fertilità – quella giovanile – che è l’uni- ca cosa vitale in una realtà – quella scola- stica – altrimenti sterile se non repressiva o mortifera?
Rovescio della responsabilità
5 e 6. La scuola è il rovescio della respon- sabilità, l’intervallo della vita reale, la va-
canza della sensibilità personale ed anche di ogni cura o senso di colpa. il folgorante Die Welle di Dennis Gansel (2008, definito da Der spiegel «uno dei film tedeschi più im- portanti dell’ultimo decennio») ed il pluripre- miato Paranoid Park sempre di Gus Van Sant (2007) paiono raccontare due storie diverse che – come detto sopra – dalla scuola non prendono che il pretesto. Il primo racconta di una lezione di Storia con la maiuscola che si trasforma in storia minuscola, si parte spie- gando i grandi totalitarismi del XX secolo e si finisce con il ricreare una dittatura vischio- sa e inoppugnabile fra insegnante e studenti stessi. il secondo, di un omicidio sanguino- so compiuto da uno studente e degli effica- ci sistemi – un diario, uno skateboard, una crisi d’autocoscienza in stile minimal e assai adolescenziale – che assicurano la tranquilli- tà d’animo ed al contempo la totale impunità all’imberbe e perfino simpatico criminale. ma – in fondo – si tratta di due agghiaccianti re- portage sulla facilità con cui ci si deresponsa- bilizza e si fondono le proprie responsabilità nel gran calderone del contesto in cui si vive e si circuita, simbolicamente rappresentato dal parco degli skateboarder (il Paranoid Park del titolo, appunto) nel film di Gus van sant.
una deresponsabilizzazione micidiale – quella raccontata dal primo e dal secondo film – che riesce bene tanto più se l’ambiente è propi- zio: e quale ambiente è più paradossalmen- te deresponsabilizzante, viene da chiedersi in maniera beffarda accostando i due titoli, di un buon istituto scolastico?
lontana dal mondo
7 e 8. La scuola è troppo lontana, così lon- tana dal mondo da rivelarsi un territorio ir- rimediabilmente onirico. Gli anni scolastici sono un bosco incantato, di un incanto più nefasto che benefico, che dalla realtà è og- gettivamente separato. il collegio femmini- le in cui si svolge Innocenza (2004) di Lucile Hadzihalilovic, lontano dal mondo conosciu- to e collegato alla realtà solo tramite tun- nel ferroviari sotterranei, ha radici antiche, esattamente quelle del racconto da cui è trat- to e che è stato scritto da Frank Wedekind nel 1903, Mine Haha “ovvero dell’educazio- ne fisica delle fanciulle”. il college e le aule scolastiche del film Helen di Christine Molloy (2008, buona scoperta dell’ultima edizio- ne del Torino Film Festival diretto da Nanni
Moretti) sono sospese in una bolla di sapo- ne, e nel momento in cui una studentessa mi- steriosamente scompare, le sue compagne si trovano a recitare in sua assenza una sorta di gioco delle parti pirandelliano. Innocenza sembra dover divenire ad ogni passaggio un horror, e non lo diventa mai. Helen sembra dover divenire un crime-movie, e resta sem- pre sospeso. Sullo sfondo, un’idea di scuola nel suo senso più assoluto, e cioè nel senso etimologico, di absolutus, slegato dal resto, come una rappresentazione rituale e teatrale in cui si-fa-finta-di rimanendo protetti da un isolamento più allarmante che splendido.
Cassa di risonanza
9 e 10. La scuola è troppo vicina, così vicina al mondo da rivelarsi la sua cassa di risonan- za, causando un frastuono che è il vero moti- vo del fallimento di ogni progetto didattico.
Il segreto di Esma di Jasmila Zbanic (2005) e La classe di Laurent Cantet (2008, premia- to con la Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes) condividono la stessa strisciante claustrofobia, la stessa valutazione apparen- temente neutrale, in realtà assai pessimistica sul funzionamento dell’istituzione scolastica.
nel film della giovanissima Zbanic (premiata per quest’opera con l’orso d’oro a Berlino), il sentimento d’amore per il padre nutrito e col- tivato dal cuore infantile di Sara si trasforma in disgusto, umiliazione, rabbia, quando un micidiale meccanismo di competizione scola- stica viene messo in moto fra compagni di classe: solo parzialmente la madre Esma, rive- landole il suo torturante segreto, per l’appun- to a proposito del padre, placherà così tanto dolore esploso fra i banchi di scuola, ripresa simbolica delle bombe della guerra serbo-bo- sniaca che lampeggia ancora sullo sfondo del- la storia dei personaggi. in Cantet, invece, e cioè nel suo film pluricelebrato e tratto da Entre le murs, il bel romanzo di Bégaudeau, tutto sembra svolgersi al sicuro, lontano da guerre e “dentro le mura”. e invece le gior- nate apparentemente tutte uguali del liceo multietnico parigino in cui è ambientata la vicenda scorrono fra frustrazioni e umiliazio- ni, fra momenti sordamente violenti (si veda la scena del consiglio disciplinare per l’allie- vo Souleymane) e intenzioni di creare un cli- ma di trasmissione del sapere e di fiducia re- ciproca, intenzioni che però rimangono solo parzialmente messe in pratica, tanto è vicina
«Tutto quello che non so l’ho imparato a scuola.» (ennio Flaiano)
D
opo una serie di film girati negli stati uniti (esattamente nove pellicole tra film a soggetto e documentari scaglionati tra il 1975 e il 1986), Louis malle torna in Francia nel 1987 per realizzare il suo ventottesimo film. il set è situato a Provins, nel circondario della Seine et Marne e precisamente presso l’institution sainte-Croix che finge di essere il Collegio del Bambin Gesù di Fontainebleau dove lo stesso regista ha soggiornato da ra- gazzo (nel 1944, anno in cui è ambientata laCinema e scuola in Francia e in Italia Per il cinema italiano la scuola è sempre stata un tema da esorcizzare con la
goliardia o con il rifiuto totale (nei casi migliori) e, a differenza della prospettiva di taglio esistenziale presente in quello francese, non è stato mai il luogo in cui analizzare e sperimentare le difficoltà, il disagio e l’inquietudine sociale. È sempre stato, soprattutto, l’occasione per riutilizzare i vecchi clichés di
sempre (dalle collegiali innamorate alle barzellette volgarotte di Pierino e i suoi epigoni)
GIUSEPPE PANELLA *
storia e il ricordo d’infanzia di malle, egli ave- va dodici anni).
le aule scolastiche e le strutture materiali dell’esclusione
ma, nonostante la dimensione autobiografi- ca della narrazione e la collocazione precisa, perfino puntigliosa della ricostruzione sceno- grafica, Arrivederci, ragazzi (Au revoir les en- fants) potrebbe essere situata dovunque data l’universalità e il rimpianto che la vicenda riesce a comunicare ai suoi spettatori. In un contesto così difficile e imprevedibile come quello degli ultimi anni della seconda guerra mondiale, un bambino, Julien Quentin, viene mandato, insieme al fratello maggiore, in un e contrastante (nonché rigorosamente fuori
campo) la realtà drammatica di ognuno dei ragazzi che non può non cozzare e far scin- tille con il mondo borghesemente “alieno”
del professore. si fa scuola “come se”, come se tutto ciò che è la realtà – fatta di guerre sociali latenti che deflagrano fuori da quelle quattro mura – in qualche modo non esistes- se, ed ecco che la condizione basilare stessa che è alla base di ogni fare scuola (lo stabi- lirsi di quel “come se”, di quella situazione chiusa in una Classe, e cioè Entre le murs) finisce per essere la causa della sua stessa sconfitta. L’ex Jugoslavia e la Francia delle banlieues: il rumore – là fuori – è ancora trop- po vicino, perché si possa far lezione senza esserne sommersi.
1. La mala educaciòn
di Pedro Almodòvar, 110 minuti, Spagna, 2004.
2. Elephant
di Gus Van Sant, 81 minuti, Usa, 2003.
3. Charlie Bartlett
di Jon Poll, 98 minuti, Usa, 2007.
4. Juno
di Jason Reitman, 92 minuti, Usa, Canada, Ungheria, 2007.
5. Die Welle
di Dennis Gansel, 101 minuti, Germania, 2008.
6. Paranoid Park
di Gus Van Sant, 90 minuti, Francia, Usa, 2007.
7. Innocenza
di lucile Hadzihalilovic, 107 minuti, Gran Bretagna, italia, Repubblica Ceca, 2005.
8. Helen
di Christine Molloy e Joe lawlor, 79 minuti, Gran Bretagna, irlanda, 2008.
9. Il segreto di Esma
di Jasmila Zbanic, 90 minuti, Bosnia- Herzegovina, 2006.
10. La classe - Entre les murs di l. Cantet, 128 minuti, Francia, 2008.
collegio tenuto da religiosi. Qui, privato della compagnia della madre, tutto gli sembra in- sopportabile ivi compresi i suoi compagni di camerata tranne un suo coetaneo che risponde al nome di Jean Bonnet. i due ragazzi fanno amicizia e scoprono di avere degli interessi in comune, anche se tra di loro si instaura presto un rapporto di rivalità misto ad invidia da par- te di Julien. A poco a poco, spiando le abitu- dini un po’ misteriose di Jean (il ragazzo non riceve visite né posta) egli scopre il suo vero nome: si chiama Kippelstein ed è un ebreo ri- fugiato nel convitto per sfuggire alla depor- tazione. Joseph, un ragazzo zoppo che lavora presso i religiosi, scopre anch’esso il segreto del giovane ebreo e lo denuncia alle autorità per vendicarsi di essere stato cacciato dai preti che intendevano punirlo per i suoi furti trop- po frequenti. nonostante i tentativi disperati di salvarsi, i ragazzi ebrei e il loro protetto- re nel collegio, padre michel, vengono porta- ti via e incamminati verso la morte nei campi di concentramento nazisti. sarà proprio que- st’ultimo a pronunciare la frase che chiude il film: «arrivederci, ragazzi. Ci vediamo presto».
inutile dire che nessuno li rivedrà mai più.
a prescindere dalla toccante poeticità del- l’aneddoto e della sua messa in scena, quel- lo che spicca è la rappresentazione dei luoghi in cui insegnanti e studenti si ritrovano ogni giorno e trascorrono la maggior parte del loro tempo. aule cupe e grigie, male illuminate da grandi finestroni sempre sporchi, con arredi dimessi che mostrano il trascorrere degli anni e il deteriorarsi del materiale di cui sono fatti.
Aule fatte di noia e di ripetizioni inutili e in- sulse, aule in cui insegnanti frustrati o nevro- tici continuano a fornire un sapere non richie- sto e i ragazzi a non volerlo ricevere se non per costrizione. È lo stesso ambiente in cui matura uno dei capolavori di Jean vigo (che, peraltro, pur avendo girato solo due film a soggetto, ha iniziato il percorso del grande cinema moder- no), quello Zero in condotta (Zéro de conduite, 1933) che è una delle descrizioni più straordi- narie dello squallore del mondo scolastico e in- sieme la rappresentazione anarchica del modo di riuscire a superarlo. Film maledetto (la cen- sura ne impedì la proiezione fin dopo la fine della seconda guerra mondiale) e modello di ogni possibile altro film sulla rivolta studente- sca (si pensi soltanto al finale di If…, 1968, di Lindsay Anderson che lo cita apertamente), Zero in condotta mostra in maniera mirabile il
modo in cui il dominio sulle giovani menti vie- ne esercitato in maniera spietata e anonima (ne sono testimonianza i fantocci del Potere che si mescolano ai corpi viventi dei professo- ri e delle autorità politico-religiose nella ceri- monia che costituisce l’apoteosi dell’anno sco- lastico).
Lo stesso senso di angustia e di rivolta che riemergerà nell’ultimo film di Laurent Cantet, intitolato La classe nell’edizione italiana e pre- miato a Cannes lo scorso anno, che fin dal ti- tolo (Entre les murs) rende l’idea della reclusio- ne e della condanna alla convivenza forzata di generazioni diverse ed etnicamente mescidate.
se ne è già parlato su questa rivista, ma vo- gliamo ricordarne alcuni tratti. il film è ispira- to ad un romanzo di François Bégaudeau che condanna, però, con una qual certa mancan- za di empatia generazionale sia i membri della classe multietnica di cui racconta le vicende che i professori (spesso squallidi e totalmen- te demotivati). il film di Cantet, invece, mette in scena i drammi, le angosce, le indifferen- ze, l’intolleranza e i meccanismi di espulsio- ne dalla scuola (uno degli studenti, suleiman, alla fine viene cacciato dalle aule scolastiche con una delibera del consiglio di disciplina) parteggiando in maniera non certo totale ma più significativa con quegli studenti disperati e fuori dalla norma del modo di vivere borghe- se. Quello che resta, trionfante, alla fine del- la storia, è la sopravvivenza della struttura di tipo segregativo che costituisce la dimensione materiale della scuola come meccanismo ideo- logico di formazione del consenso. un carcere che non è un carcere ma riesce benissimo a sembrarlo (come nel film di vigo, come nella ricostruzione storica di Malle).
in italia: goliardia, rifiuto e sempre i vec- chi clichés
Tradizionalmente, della scuola in Italia si par- la sempre male e, se non si sghignazza aper- tamente delle sue sorti tutt’altro che “ma- gnifiche”, se ne sorride con ironia mista al rimpianto per i bei tempi della giovinezza pas- sata. Il cinema non poteva fare diversamen- te nelle sue commedie di ispirazione scolasti- ca che vanno da Maddalena: zero in condotta, 1940, di un pur dignitoso vittorio De sica, a Ore 9: lezione di chimica, 1941, del bravo me- stierante Mario Mattoli, da Terza liceo, 1954, del grande Luciano emmer a La scuola, 1995, di Daniele Luchetti, da Ovosodo, 1997, di
Paolo virzì al “blockbuster” Notte prima degli esami, 2006, di Fausto Brizzi con la sua scon- tata attualizzazione di Notte prima degli esa- mi oggi dell’anno successivo, sempre ad opera dell’impagabile regista di cui sopra. La scuola è oggetto privilegiato di una comicità sempre attraversata di una vena più o meno esaspe- rata di goliardia. nonostante tutte le migliori intenzioni, le aule scolastiche non riescono a destare angoscia o inquietudine ma sono qua- si sempre il luogo nel quale si vive lietamente una spensierata giovinezza prima degli affanni e delle fatiche dell’età matura. Le studentesse della scuola commerciale del film di De sica e le ragazze del collegio femminile per signorine di buona famiglia di mattoli sognano l’amore (che altro sennò?); i giovani studenti del li- ceo romano nel film di emmer si innamorano, studiano (poco) e concludono (ancora meno) fino a superare come tutti gli altri l’esame di maturità; i professori del libro di starnone si duplicano nel film di Luchetti e sono proba- bilmente più desolanti dei loro pur poco en- tusiasmanti allievi; la scuola livornese di Virzì (pronuba una professoressa capace e umana- mente interessante che ha le improbabili fat- tezze di nicoletta Braschi) sarà l’occasione per amori meno fugaci e la presa di consapevolez- za finale che la vita è un’altra cosa; dei film macchiettistici e fin troppo scontati di Brizzi (che hanno solo qualche guizzo – il professo- re carogna interpretato da Giorgio Faletti spic- ca per originalità) è meglio non parlare. C’è però un’eccezione: Nel nome del padre, 1972, di marco Bellocchio. ambientato in un collegio gestito da religiosi, l’atmosfera sembra la stes- sa di Zéro de conduite di vigo ma con una mag- giore ferocia analitica e con la consapevolez- za della dimensione profondamente classista e repressiva dell’istituzione. Invece della ricadu- ta onirica che è presente nel film francese, qui Bellocchio sceglie di sprofondare nell’abisso profondo della corruzione delle istituzioni to- tali e mette in scena un personaggio che in- troduce il germe del dubbio e della rivolta tra i propri troppo inconsapevoli compagni di sven- tura. angelo Transeunti (Yves Beneyton) mette gli studenti gli uni contro gli altri, aizza gli in- servienti alla rivolta (uno di essi, poi, sarà, in- fatti, licenziato) e infine, dopo una festa finita in rissa tra servitori e ospiti della scuola, fugge dal collegio verso destinazione ignota.
* Scuola Normale Superiore di Pisa.
N
elle ultime edizioni del Festival del Cinema Africano d’Asia e America Latina di milano (tra il 2006 e il 2008) sono stati pre- sentati e apprezzati dal pubblico ben tre cor- tometraggi tutti legati in un modo o nell’al- tro al mondo della scuola.il tema della scuola – o meglio, più in ge- nerale, dell’educazione – non costituisce cer- to una novità nella filmografia africana (con questa definizione intendo naturalmente solo quella piccola parte del cinema africano che giunge, anche se defilato, sui nostri schermi;
non ho sufficienti competenze e conoscenze per parlare del cinema africano tout court):
basti pensare a film come Keita, l’héritage du griot di Dani Kouyaté (Burkina Faso, 1995), o a Sango Malo di Bassek Ba Kobhio (Camerun, 1991).
Nel primo, un anziano griot, Djeliba, deposi- tario della tradizione orale fondamentale per la trasmissione della cultura e della storia dei popoli africani – interpretato da una delle fi- gure più carismatiche del cinema africano, sotigui Kouyaté – lascia un giorno il suo vil- laggio per recarsi in città a iniziare il giova- ne mabo alla conoscenza di sé attraverso la storia dei suoi antenati. I racconti di Djeliba sono così avvincenti e carichi di magia che
mabo, alla ricerca della propria identità, ini- zia a trascurare la scuola; il che porterà a uno scontro verbale e a un acceso dibattito tra il griot e il maestro. si tratta quindi di un film che evidenzia la complessità del mondo del- l’educazione ed i diversi modi di trasmettere o acquisire il sapere e la cultura per le nuove generazioni, attraverso la ricerca di un equi- librio, che si può trovare solo affrontando i conflitti in gioco; che sono quelli che riguar- dano la dicotomia tradizione-innovazione; le- game col passato e con le proprie radici- mo- dernizzazione.
nel secondo invece – dall’esplicito titolo, Il maestro Malo – si racconta l’arrivo in un vil- laggio della foresta equatoriale di un maestro alle prime armi, ma animato di idee innova- tive che ad alcuni appaiono addirittura sov- versive: malo malo. il giovane educatore rom- pe le vecchie abitudini, abolisce le punizioni corporali ancora in vigore, passa molto tem- po all’aperto con i suoi allievi, impostando con loro un rapporto educativo moderno, con grande disappunto del direttore della scuola che vede calpestate le abitudini cui si è sem- pre attenuto.
Lo scontro fra i due diverrà perciò inevita- bile.
in entrambi i film la scuola viene presentata come cuore di quella dicotomia fra passato e presente che, attraversando trasversalmen- te tutto il mondo africano, trova espressio- ne nella sua letteratura, e a cui quindi ine- vitabilmente il cinema dà voce: il conflitto tra tradizione e modernità, il contrasto tra vita dei villaggi e vita delle città, la difficol- tà di conciliare cultura dei padri e degli an- tenati con le richieste dei giovani, allettati dagli stimoli – e ovviamente anche dai falsi bisogni – creati dalla società consumistica, l’oscillazione fra il rispetto delle tradizioni e l’impulso a comportamenti anti-conformisti, trovano nella scuola un terreno ideale di rap- presentazione, proprio in quanto luogo di for- mazione delle generazioni future, ambito in cui le scelte educative in una direzione o nel- l’altra diventano ineludibili.
Il mondo infantile, in particolare il mondo della scuola e dell’educazione, sono quindi stati negli scorsi decenni, oggetto di atten- zione e di esame da parte del cinema africa- no (bisognerebbe seppur fugacemente citare anche il precedente di nyamanton – La lezio-
Corto circuito africano Tre recenti cortometraggi africani dai quali
emergono alcuni interrogativi: la scuola è in grado di rispondere alle domande che le nuove generazioni africane, indigene o immigrate in Europa, le rivolgono? È in grado di essere trampolino di lancio per le loro speranze e le loro ambizioni di crescita e di riscatto sociale, o resterà luogo di finta integrazione, e di reale emarginazione? Questioni che il cinema lascia volutamente aperte. E noi con lui
FABIO MANTEGAZZA *
ne dell’immondizia – di Cheikh sissoko, del 1986, in cui Kalifa, un bimbo del mali, viene cacciato dall’aula il primo giorno di scuola, perché non ha i soldi per comprarsi il banco) così come d’altra parte è avvenuto anche per altre giovani cinematografie: si pensi a Dov’è la casa del mio amico (1987) dell’iraniano Kiarostami, o a Non uno di meno (1999) del cinese Zhang Yimou.
se questi sono i precedenti (per lo meno al- cuni), non c’è da stupirsi che anche le rea- lizzazioni più recenti della cinematografia africana, affidate a registi delle ultime ge- nerazioni, legati a formati più agili di rea- lizzazione, produzione e distribuzione come i cortometraggi, e maggiormente inclini ad usare tecniche, forme e stili di linguaggio ci- nematografico più vicine a quelle del cinema europeo o americano, sia per la qualità delle immagini che per i tempi narrativi, non c’è da stupirsi, dicevamo, che tali opere filmiche abbiano posto grande attenzione alla scuola, e alla sua rilevanza sociale.
È il caso appunto dei tre cortometraggi: Amal (di Ali Benkirane, Marocco/Francia, 2004 - 17’), C’est dimanche! (di Samir Guesmi, algeria/Francia, 2007 - 31’), Fooska (di Samy Elhaj, Marocco/ Tunisia, 2007 -26’).
la scuola occasione di riscatto sociale amal, protagonista dell’omonimo film, è una bambina che vive in un povero villaggio nella campagna del marocco e sogna ardentemen- te di diventare medico per «curare le perso- ne che ama». ogni giorno, insieme al fratel- lo minore, percorre a piedi diversi chilometri per arrivare a scuola, e porta con sé in ogni momento lo stetoscopio, oggetto simbolo dei suoi desideri e delle sue aspirazioni. Amal è una bambina fantasiosa, vivace, aperta verso il futuro; ha un sorriso che rivela la ricchez- za del suo animo e la sua voglia di vivere, di crescere, di emanciparsi. una delle figure femminili di bambina più affascinanti e coin- volgenti per me vista sugli schermi in questi anni: lo spettatore non può che schierarsi al suo fianco, solidarizzare con lei, e unirsi al suo maestro quando le augura di tornare a trovarlo fra qualche anno, con la sua laurea di medicina in mano. invece la realtà è di- versa; obbligati a fare i conti con la miseria che li attanaglia e – almeno dal nostro pun- to di vista – incapaci di liberarsi da antichi schemi mentali e pregiudizi, i genitori deci-
dono di farle interrompere gli studi per far- la restare a casa ad aiutare la madre quando la sorella maggiore va a lavorare in città. Lo splendente sorriso del volto di Amal si spe- gne; ma non la sua speranza nel futuro; pas- serà al fratello lo stetoscopio, simbolo dei suoi sogni, affidando a lui il compito di un riscatto nell’avvenire.
amal in lingua araba significa speranza. e il film è proprio la delicata storia di una spe- ranza spezzata.
La scuola vi gioca un ruolo importante. in primo luogo perché essa rappresenta incon- testabilmente l’unica occasione di riscatto sociale per i bambini del villaggio: la consa- pevolezza assoluta di amal di questa possibi- lità e la sua adesione totalizzante al suo so- gno è il punto di forza del filmato; in secondo luogo perché alla descrizione della scuola il regista dedica ampia parte del suo film.
Vi lavorano due maestri (in Marocco eviden- temente non c’è il maestro unico) che non potrebbero essere più diversi uno dall’altra:
un maestro “buono”, anziano, aperto coi ra- gazzi, che favorisce la loro partecipazione, comprende i loro problemi, condivide e so- stiene le loro aspirazioni (è lui che regala ad Amal un libro di medicina in una delle sce- ne più belle del film); e una maestra “catti- va”, dispotica, autoritaria, preoccupata solo di fare bella figura coi suoi superiori e che attua anche meccanismi di ricatto nei con- fronti degli alunni.
Le due possibili anime della scuola – una comprensiva e tutoriale, l’altra punitiva e re- pressiva – rappresentate forse un po’ sche- maticamente (il tempo dei corti non concede d’altronde molti margini), ma efficacemente.
la scuola che esclude
Anche in C’est dimanche! la scuola ha un du- plice aspetto: per ibrahim, adolescente alge- rino che vive a Parigi da solo col padre, è un luogo di fallimenti e tormenti; per il genito- re, immigrato analfabeta, è l’occasione di un possibile riscatto sociale del figlio che spera possa ottenere dalla vita, grazie a un tito- lo di studio, quello che a lui è stato negato.
Così quando ibrahim riceve dalla scuola una pagella disastrosa, che attesta il suo falli- mento, non trova il coraggio di comunicarlo al padre, e anzi, approfittando della sua in- capacità di leggere, gli fa credere che si trat- ti di un diploma. Fuori di sé dalla gioia ed
esaltato per l’orgoglio, il padre si scatena e trascina Ibrahim in un crescendo di situazio- ni imbarazzanti. L’orgoglio del padre cresce parallelamente al disagio del figlio, che non reggendo più la situazione, fugge per le vie della città. Quando tornerà a casa la sera tro- verà non la prevista punizione, ma l’inatteso perdono paterno.
Come ben si comprende, in questo corto la scuola non ha un ruolo centrale come am- bientazione della vicenda, ma svolge una funzione importante, direi anzi fondamen- tale, non solo come motore dell’azione (la scena iniziale ci presenta Ibrahim che ascol- ta sgomento il “verdetto” della preside, non a caso fuori campo) ma in quanto elemento duplice e ambiguo nella vita degli immigrati maghrebini: luogo di integrazione auspicata, purtroppo più spesso luogo di esclusione ed emarginazione reale.
la scuola prigione
Invece in Fooska la scuola ha un ruolo cen- trale: è addirittura il setting di tutto il film.
Che si svolge appunto in un liceo tunisino e si dipana intorno a un episodio in apparen- za banale: il ritrovamento per terra di un bi- gliettino – evidentemente un suggerimento per un compagno – durante un esame scritto di pensiero islamico.
In un clima di incalzante repressione la vi- cenda assume toni quasi polizieschi e le mura della scuola si trasformano in quelle di un carcere (non a caso, il regista ha dichiarato in un’intervista che la sua idea originale era di girare il film in una prigione; modificata dopo aver incontrato su un treno in Tunisia degli studenti di liceo…) dove i ragazzi e i professori si alternano nel ruolo di vittime e carnefici, traditi e traditori, colpevoli e inno- centi, delatori e doppiogiochisti.
il responsabile della trasgressione è in real- tà il “primo della classe”; ma i docenti, forti dei loro pregiudizi, incolperanno invece uno dei ragazzi più vivaci, innocente in questo caso, ma vittima designata, capro espiatorio annunciato.
Scuola come carcere; professori come poli- ziotti; alunni come vittime innocenti desi- gnate: non proprio un quadro esaltante della scuola quello che ci consegna questo film.
* insegnante di Lettere; esperto di didattica del cinema.