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PeR La SCUOLa DeLLa COStItUZIONe

Nel documento idee per l educazione MARZO 2009 (pagine 42-47)

1. Accuse alla scuola e interventi governativi

È convinzione diffusa, nonché erronea, che un incremento del livello di scolarità costituisca un aggravio economico a carico dello stato. molti dati dimostrano che l’assenza di una forma-zione scolastica prolungata produce notevoli danni sociali e, conseguentemente, ripercussioni negative di carattere economico ben più onerose di quanto sia l’investimento per una scola-rizzazione diffusa. Da decenni la scuola continua ad assistere all’alternarsi di governi che – in maniera più o meno convincente – si applicano ad un tentativo di riforma che vede però, quasi comune denominatore, la scuola vittima di tagli economici che non consentono, ovviamente, operazioni ordinamentali e pedagogiche dall’ampio respiro culturale.

se un’idea di scuola presuppone un’idea di società è evidente che le cosiddette riforme della scuola, governo dopo governo, si sono ispirate ad un progetto di asfittica matrice economi-cista.

È prevalsa una logica progressivamente sempre più neoliberista nella quale la mancata mone-tarizzazione del valore-scuola e l’impossibilità di quantificare economicamente l’investimento hanno rappresentato un deterrente ad occuparsi della scuola in modo culturalmente signifi-cativo

Dalla legge sull’autonomia scolastica la scuola è stata progressivamente spostata su un mer-cato che, oltre a rappresentare una sede antitetica a quella che il dettato costituzionale le assegna (dalla scuola-azienda alla scuola-fondazione), configura uno spazio in cui vengono perpetrate gravi disomogeneità ed iniquità di carattere sociale. si è ignorata, cioè, la funzio-ne costituzionale della scuola, e il suo essere concretamente la massima forma di proieziofunzio-ne verso il futuro.

il violento attacco mediatico e politico alla classe docente in atto da qualche anno, poi, evi-l’Associazione “Per la Scuola della Repubblica” da quasi quindici anni rappresenta un punto di riferimento nella resistenza a un nuovo tipo di regime autoritario e personale appoggiato da una informe massa di interessi particolari e nutrito dalla paura e da un conformismo purtroppo non nuovi nella storia italiana. l’”autonomia”, processo che nella scuola è cominciato negli anni novanta, infatti ha causato, dentro la cornice formale della scuola di Stato, una distruzione del senso di appartenenza a una scuola pubblica e nazionale, che esisteva fino allora anche se in modo imperfetto e dentro un quadro fortemente burocratico. la burocrazia peraltro non è stata affatto intaccata, anzi viene quotidianamente riproposta in un intruglio indigeribile di interventismo governativo discrezionale, tagli dei finanziamenti, proliferazione di progetti dettati spesso da logiche di sopravvivenza o di mercato e disordine amministrativo fino all’attuale inedita paralisi dei bilanci scolastici.

il convegno del 17 gennaio 2009 – durante il quale è stato presentato il documento che vi presentiamo – rappresenta un punto avanzato di elaborazione di un progetto comune alle forze costituzionali per difendere la scuola pubblica dall’esterno e dall’interno, cioè dagli stravolgimenti legislativi ma anche dalla deriva della routine e di un’idea soprattutto quantitativa dell’intervento educativo. la difesa della scuola pubblica e di Stato non si appoggia certo sulla nostalgia del passato e richiede l’elaborazione di una nuova alleanza tra etica, scienza e democrazia. Ma l’esempio della scuola elementare italiana insegna a tutti che ci sono innovazioni conquistate con dure lotte, complesse elaborazioni pedagogiche e lunghe pratiche dal basso e che dovrebbero essere estese all’intero corpo della scuola, mentre i provvedimenti governativi vanno esattamente nella direzione opposta. Tra le conquiste da estendere si pone in primo piano la pratica della cooperazione pedagogica e della programmazione comune.

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denzia in maniera strumentale fenomeni di cui si è sempre saputo, di cui occorre occuparsi con urgenza, competenza, rigore e investimenti, rilanciando un’immagine positiva di tutta la scuo-la – in particoscuo-lare di quelscuo-la parte enorme di essa che scuo-lavora con convinzione e competenza, ma che non ha voce sui grandi quotidiani nazionali, – immagine oggi completamente distorta, alimentata esclusivamenete dal bisogno di argomentare la necessità di tagli.

2. Risposte sbagliate alle esigenze di cambiamento

La crisi si è acutizzata a partire dagli anni ’90, quando il sistema scolastico italiano ha mani-festato difficoltà nel rispondere al crescente bisogno di istruzione, di sapere, di cittadinan-za in un mondo in rapida trasformazione, disorientato da spinte contrapposte, da richieste di modernizzazione, sirene del mercato, e da autentica. domanda di cultura. Ne è derivato un bisogno di cambiamento, conseguenza, anche, di una scuola superiore divenuta nel frattem-po scuola di massa, del manifestarsi di un profondo e diffuso disagio giovanile e – come di-menticarlo? – di continuo e progressivo ingresso – anno dopo anno – dei “nuovi” italiani nelle scuole del Paese.

alla necessità di mettere la scuola in condizione di corrispondere a questo bisogno di cam-biamento e alla nuova domanda culturale, da più parti si è risposto non con un’offerta cultu-rale-formativa qualificata in grado di far fronte al crescente disagio giovanile in un contesto di «accoglienza» coerente col problema del suo profondo rinnovamento; si è scelta, invece, la via di un modello socializzante che sembrava attutire le contraddizioni di una generazione di giovani diversa e cambiata.

Da qualche anno sta verificandosi una tendenza ad assegnare alla scuola, trasformata sempre più in contenitore di svariate, generiche attività ed educazioni, una funzione – oltre tutto ina-deguata poiché su un terreno che non le è proprio – solo apparentemente terapeutica, poiché offre risposte al disagio giovanile di basso profilo culturale in chiave individualistica o di grup-po ristretto, e occasionali, senza perciò garantire ai singoli vera cittadinanza. in particolare si è continuato ad ignorare la scuola media, da decenni alle prese con la difficoltà di far fronte al suo compito di scuola precocemente conclusiva dell’obbligo (nonostante le “simulazioni” di innalzamento intervenute nel frattempo), imbalsamando i licei in un modello apparentemente fedele all’impianto gentiliano, in realtà minato da una serie di debolezze interne, che lo rendo-no rendo-non più adeguato finanche a quel modello, di per sè obsoleto, in virtù di un abbassamento del livello di autorevolezza culturale che lo caratterizzava. La trasmissione di un tipo di cultura non più centrale rispetto agli spazi accresciuti, il mutamento delle finalità culturali e sociali di quel modello, il rischio concreto di un impoverimento generalizzato dei livelli di competenza e di conoscenze si sono accompagnati alla difficoltà a modificare, peraltro, in senso cultural-mente significativo e aggiornato, le conoscenze e le competenze scientifiche e tecnologiche dei Tecnici e dei Professionali.

Uno sviluppo non coordinato di tipo liberistico, in una malintesa accezione di autonomia sco-lastica, ha tentato di qualificare l’offerta formativa della scuola attraverso l’erogazione spre-giudicata di progetti, che ne hanno intaccato la qualità sostanziale. si è tentata – di fatto, con la stagione dei tanti progetti, che non hanno però inciso sulla qualità sostanziale della scuola, ma hanno semmai allontanato la presa di contatto delle urgenze della scuola stessa – una scelta di “modernizzazione” senza procedere ad una contestuale azione di riforma. Ciò ha contribuito a creare una forte distorsione dell’interpretazione del principio dell’autonomia scolastica intesa come autonomia delle singole scuole affidate nella gestione ad una “dirigen-za scolastica” subalterna al potere ministeriale e priva di un rapporto collegiale con i docenti.

Oltre ad avvilire la funzione docente si è indebolito, in maniera forse irreversibile, il sistema scolastico.

3. Reazioni del mondo della scuola

e la scuola dove era? Lontana dai luoghi delle decisioni, privata di indicazioni che potessero tracciare un percorso convincente, in attesa di una riforma organica e complessiva, è stata ir-retita nel guado di un processo incompiuto, che l’ha privata non solo della reale capacità di in-cidere, ma anche di prestigio in termini di autorevolezza culturale, mentre nel frattempo – fuo-ri – parole come cultura, educazione, istituzione, ma anche capacità cfuo-ritica, approfondimento, studio erano improvvisamente diventate non tanto impopolari, quanto obsolete.

Tutto ciò ha rinforzato perdita di autorevolezza, di mandato specifico e incoraggiato una visio-ne progressivamente familistica che – di pari passo con la celebraziovisio-ne e il potenziamento del-la scuodel-la privata – ha portato con sé cdel-lamorosi messaggi, come quello deldel-la ministra moratti, che inseriva la famiglia tra i tre “attori” scolastici (famiglie, alunni, insegnanti): la scuola sem-pre più marcatamente ambito di intervento ssem-pregiudicato da parte di chiunque.

ne è derivata una frammentazione all’interno delle scuole che ha reso il “mondo della scuola”

una formula sempre più stereotipata, lontana dalla realtà. Questo, in molti casi, ha rischiato di trasformare le mobilitazioni, i movimenti – anche i più efficaci e costruttivi – in una rea-zione alle circostanze immediate e non in occasione per inaugurare una riflessione comune su un problema culturale complesso e delicato quale quello che investe da anni globalmente la scuola italiana, mentre spesso gli insegnanti italiani hanno derogato alla propria funzione in-tellettuale intesa in senso ampio. Le mobilitazioni, negli ultimi decenni, e recentemente, nei confronti dei provvedimenti del governo Berlusconi, si sono connotate come reazioni a situa-zioni di emergenza. Tale atteggiamento configura un’idea di scuola non come sistema organico sotto il profilo didattico e della cura dello sviluppo dell’emancipazione degli individui – gli stu-denti di oggi e di domani – ma come sistema settoriale, scollato completamente da qualunque

idea di verticalità ; esso marca poi una vistosa lontananza tra ordini di scuola che – attraverso coesione, dialogo, solidarietà – indicherebbero alla politica e all’amministrazione un “mondo della scuola” come interlocutore non solo nominale. un mondo della scuola più forte, perché compatto, sinergico nella rivendicazione della propria funzione culturale, educativa, intellet-tuale, capace di elaborare, comunemente, idee e resistenza.

4. Una scuola per i giovani che chiedono formazione

La Costituzione, nell’imporre l’“obbligo scolastico”, sancisce al tempo stesso il “diritto alla scuola” nella quale assolverlo – non un generico diritto alla formazione – e, per la repubblica, l’impegno a garantirne l’esercizio su tutto il territorio nazionale. ne consegue che la scuola non può essere un’area di parcheggio da lasciar sopravvivere ignorando che si tratta di un’isti-tuzione chiamata a vivere in una società caratterizzata da un’accelerata trasformazione delle forme di comunicazione, da un confronto ravvicinato fra culture diverse e da radicali mutamen-ti nei processi produtmutamen-tivi. Per avviare un reale cambiamento, occorre, quindi, avere il corag-gio di promuovere un patto di riedificazione che veda la collaborazione di una classe politica sensibile, di una società civile attenta, di insegnanti consapevoli, di studenti che abbiano ben chiaro il proprio legittimo ed esigibile diritto a diventare – attraverso la scuola – cittadini con-sapevoli, autonomi, liberi. Per i giovani, soprattutto, un’istanza di cambiamento è contrastan-te con il retrocontrastan-terra di basso livello culturale a cui sono stati addestrati; simbolicamencontrastan-te orfani del padre, del principio di autorevolezza, di un’idea forte e grande; educati in una scuola che spesso ha perso voglia ed energia per convogliare messaggi non strettamente disciplinari, che spesso non dialoga e non risponde ai loro “perché”; spettatori annoiati della pseudo politica, respingente e tossica, priva di contenuti, di propositività, di prospettive, dunque di possibilità di attrarre e appassionare; ebbene, in questo panorama desolante, i ragazzi sono quasi sempre all’altezza della situazione e dimostrano, nelle circostanze importanti, di sapersi organizzare.

sono molti quelli che leggono, si documentano. Comprendono che una delle poche occasioni che hanno per contrastare un destino generazionale è quella di mantenere come valore irrinun-ciabile e diritto esigibile quello allo studio, dimostrando una maturità stupefacente, considera-te le circostanze. a questi ragazzi, tanti, moltissimi, bisogna non solo garantire cultura, cura, ma anche una risposta convincente ai “perché” che essi pongono. in un mondo caratterizzato da diversità e complessità questi perché sono difficilmente risolvibili attraverso gli strumen-ti tradizionali e immutabili che la scuola ha messo a disposizione: un disciplinarismo rigido e intransigente, così come uno psicologismo di basso spessore culturale non possono rappresen-tare più una risposta soddisfacente. rischiano, così, di trasformare la scuola in un “non luo-go” fuori del quale vive, pulsa, si modifica la realtà. Proprio per questo è necessario ripensare la questione degli insegnanti, interrogarsi su quale cultura nella scuola, rivedere il problema dell’autonomia nella sua gestione

5. la questione degli insegnanti

La deroga al proprio ruolo primario di luogo dell’istruzione e la conseguente progressiva perdi-ta di autorevolezza culturale e sociale della scuola hanno investito in particolare la funzione docente, acutizzando una conflittualità sempre meno latente e sempre più esplicita tra inse-gnanti e genitori. La confusione reciproca dei ruoli – il genitore e l’insegnante – di chi deve

“educare” ( il tema del “condurre, del fare strada”) – ci dice il disorientamento di una società le cui tracce, i cui sentieri da percorrere sono sbiaditi, poco riconoscibili. sempre più incer-ta appare la consapevolezza che chi insegna svolge una funzione sociale e culturale all’inter-no di una pubblica istituzione e all’inter-non in un centro educativo privato. È fondamentale avviare una seria riflessione sulla professionalità dei docenti; riflessione decisa, tanto nell’affermare le proprie ragioni, quanto nel rifuggire atteggiamenti di autocommiserazione o rigurgiti ideo-logici che rifiutino tassativamente di prendere atto della diversità di atteggiamenti e di pre-stazioni presenti fra i lavoratori nella scuola. rifiutare a priori soluzioni muscolari e arbitrarie non significa continuare ad avallare l’esistenza di nicchie corporative che tutelino indiscrimi-natamente anche chi vive questa professione non convinto fino in fondo del senso del pro-prio mandato costituzionale. nel contempo è necessario esigere che chi – viceversa – di quel mandato ha fatto e fa la propria bandiera etica e professionale – lungi da ogni idea di “pre-mio” per aver fatto semplicemente il proprio dovere – ottenga un riconoscimento incontrover-tibile e riassapori il senso di una funzione sociale pienamente riconosciuta. Bisogna che tutti – mondo politico e sindacale in primo luogo – comprendano che non esistono buone riforme che possano essere attuate da insegnanti mediocri. il contributo e il lavoro degli insegnanti qualifica la scuola più di ogni altro apporto. occorre assumersi il rischio dell’impopolarità e avere il coraggio di iniziare a scardinare un sistema che è vissuto sull’ambiguità di una scelta – caratterizzata da una sorta di implicito patto scellerato (“vi diamo poco, fate poco”) – che ha talvolta sacrificato la valorizzazione, la difesa dell’autorevolezza degli insegnanti: pubbli-ci funzionari – caso unico nella Pubblica amministrazione – dipendenti ma non subalterni, ai quali la Costituzione garantisce libertà d’insegnamento. una particolare attenzione deve dun-que essere riservata alla formazione (iniziale ed in itinere) dei docenti, ispirata ad un’idea di dignità professionale che tenga dentro le competenze disciplinari, quelle relazionali e la con-sapevolezza del mandato costituzionale.

6. Una nuova cultura

La scuola è posta di fronte al problema dell’aumento vertiginoso delle conoscenze che impone, pena una sua arretratezza e separazione dalla cultura moderna, successive e sempre più

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li scelte per ridefinire via via un sapere scolastico che sia culturalmente significativo, moderno ed efficace sotto il profilo formativo. e faccia tesoro del radicale ripensamento del patrimonio culturale accumulato nel passato nelle diverse società, avviato nel secolo scorso e accelerato – attraverso anche fenomeni quali il ripensamento radicale della cultura al femminile e l’ir-rompere dell’intercultura – che hanno immesso nel sistema tradizionale elementi eterogenei ma qualificanti nell’individuazione di un modello di cultura che faccia i conti con la diversità e la complessità del mondo. il nodo da affrontare sembra decisamente essere quello che con-siste nell’individuare il cosa, il come e “in che modo” insegnare per rispondere da una parte a

“perché” diversificati e divergenti rispetto al passato; dall’altra al cosa sia e cosa debba esse-re oggi la cultura scolastica, elemento attivatoesse-re e acceleratoesse-re di diritti di cittadinanza. Per affrontare questa problematica occorre innanzitutto ipotizzare uno slittamento di prospettiva dalla cultura alle culture, intese non solo come apertura a tradizioni altre, ma anche come rap-porto tra culture (alta, bassa, contaminata): operazione necessaria per arrivare ad un processo di reale scolarizzazione di massa che sia strumento di inclusione per i ragazzi provenienti dal-le fasce più deboli della popolazione. non bisogna dimenticare che il 70% degli studenti deldal-le superiori frequenta i Tecnici e i Professionali.

L’enciclopedia dei saperi deve essere sottoposta, dunque, ad una revisione che tenga presente come e quanto i contenuti delle discipline, adattati agli stili cognitivi e sottoposti ad una in-tenzionalità didattica rinnovata, rappresentino il più potente viatico per interpretare l’esisten-te. in questo tempo, quindi, di costante sviluppo delle innovazioni tecnologiche, del patrimo-nio delle scienze, della ricerca storiografica, della critica letteraria, è necessario più di prima che i contenuti da trasmettere e le metodologie da usare a scuola siano selezionati non sulla base dei criteri dell’accademia, ma della funzione formativa che devono assolvere. La vecchia critica al nozionismo diventa oggi critica allo specialismo e alla parcellizzazione dei “saperi”.

L’individuazione di “luoghi” trasversali alle discipline sui quali riflettere; l’osservazione della omogeneità – diacronica e sincronica – di esiti della produzione umana (in campo scientifico, musicale, letterario, artistico, filosofico) trasferiscono la prospettiva da un affastellamento di nozioni a criterio comparativo, di decodifica e di interpretazione del passato e del presente.

Tale approccio affida alla scuola il compito non solo e non tanto di comunicazione, quanto di mediazione culturale a scopo formativo: cogliere la storicità dell’umano, in rapporto alla lo-calizzazione delle sue fasi evolutive; individuare criteri per districarsi all’interno dell’immagi-nario collettivo, che oggi più di ieri avvolge e mistifica la realtà dei rapporti sociali con una coltre fitta e organica; acquisire competenze per partecipare all’accelerata evoluzione delle conoscenze scientifiche; rafforzare i criteri di decodifica di un mercato che impone dis-valore e affida ai giovani il ruolo di consumatori acritici.

Le tecnologie sono destinate – con un colpevolissimo ritardo – a rappresentare uno strumento imprescindibile per questa riedificazione: a una visione “addestrativa” (prevalente nella scuola italiana) occorre sostituire una dimensione culturale in senso ampio che individui nelle proce-dure tecniche un sostegno per i modelli cognitivi e nel Web la garanzia di un potente sistema di accesso democratico al sapere e al mondo. ad una seria rivisitazione dei paradigmi episte-mologici delle discipline e all’inserimento dei nuovi alfabeti finalizzati a decodificare forme di espressione non verbali deve sempre aggiungersi la cura e la relazione educativa; non come optional volontaristico e temperamentale, ma come conditio sine qua non: svolgere l’impegna-tiva funzione di insegnante presuppone questi punti chiave per una proposta di riforma della scuola che tenti di incidere sulle condizioni del reale.

La scuola dello stato come luogo di formazione culturale, etica, della coscienza critica e del-l’emancipazione ha, infine, come suo presupposto imprescindibile, il rifiuto assoluto di qua-lunque tipo di subordinazione a forme di pensiero unico, soprattutto se ispirate a logiche con-fessionali. ribadire la laicità come elemento fondante della scuola statale significa garantirne e difenderne il mandato costituzionale e rifiutare qualunque forma di ingerenza di carattere ideologico sul principio della libertà di insegnamento, sulla difesa di un reale pluralismo, sul-l’applicazione del principio di uguaglianza.

7. nuovi ordinamenti

La revisione dell’enciclopedia dei saperi in senso non accademico, il superamento del nozioni-smo e un nuovo concetto di autonomia non mercantilistico e non gerarchico trovano accanite, anche se non dichiarate, resistenze che si basano su alcuni principi taciti stabiliti dall’accordo corporativo-ministeriale (l’opposto della logica repubblicana). Questi principi che rappresen-tano il trionfo dell’italia burocratica erano e sono: conferma del percorso quinquennale rigido (bienni separati e strettamente propedeutici ciascuno al proprio triennio; liquidazione delle sperimentazioni di struttura; centralità dell’orario ripetitivo e rigido, con innovazioni qua-si solo aggiuntive; separatezza delle discipline; escluqua-sione di ogni protagonismo dei giovani nella co-determinazione dei propri obiettivi di conoscenza; primato della quantità sulla quali-tà; trasformazione dell’esame di stato in un’entità indefinibile, con risultati non confrontabili, non monitorabili, perché se non è più una prova selettiva e nozionistica non è nemmeno chia-ro quali nuovi standard presupponga.

Gli appelli alla serietà dello studio oggi di moda, spesso intrisi di una concezione punitiva e

Gli appelli alla serietà dello studio oggi di moda, spesso intrisi di una concezione punitiva e

Nel documento idee per l educazione MARZO 2009 (pagine 42-47)

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