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LE UNIVERSITA PER LO SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO

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Academic year: 2022

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LE UNIVERSITA’ PER LO SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO

ALESSANDRO MAIDA Rettore dell’Università di Sassari

Convegno Internazionale

MEZZOGIORNO EUROMEDITERRANEO

Idee per lo sviluppo

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Ritengo che uno dei modi per contribuire a dare contenuti di concretezza a questa sessione su “Le Università per lo sviluppo del Mezzogiorno” ed in vista di formulare proposte prospettiche di interventi e collaborazione, possa essere quello di verificare se e quanto le Università abbiano già fatto in quest’ottica.

É evidente che questa verifica risulti più pertinente per le Università di più antica istituzione (e che quindi hanno avuto molti decenni per svolgere questa funzione) ed in specie per quelle che, insistendo in particolari aree geografiche, sono interlocu- trici quasi obbligate verso i vari livelli di Organi di governo e le altre Istituzioni.

Entrambe le condizioni sono riferibili agli Atenei sardi, in quanto la loro istitu- zione risale a 4 secoli addietro e perché sono ubicati nell’unica vera Regione insulare italiana (lo dico da siciliano!): la distanza più breve dal Continente è di 102 miglia nautiche, quasi 190 Km (fra Olbia e l’Argentario), ed i trasporti hanno sempre co- stituito uno dei fattori limitanti nella comunicazione col resto d’Italia.

Nel tempo pertanto, le due Università sono cresciute fino a divenire fra le princi- pali “aziende” del territorio per bilancio (quasi 450 milioni di Euro), dipendenti (ol- tre 4000 fra docenti e personale t.a.), studenti (oltre 55 mila), competenze (11 Fa- coltà ciascun Ateneo, per un totale di 14 tipologie), un centinaio di differenti Corsi di laurea e quasi 50 tipologie di Scuole di Specializzazione, un frequente transito di docenti verso cariche politiche (cito solo i due Presidenti sardi della Repubblica).

Senza tema di smentite, si può affermare che lo sviluppo della Sardegna (e quindi di quota del Mezzogiorno) è strettamente legato alle sue Università.

Quali i settori nei quali le due Università hanno contribuito maggiormente allo sviluppo della Regione?

Certamente l’agricoltura che, insieme all’allevamento del bestiame, ha costitui- to per secoli la vocazione principale dell’Isola. L’istituzione delle Facoltà di Medicina veterinaria (1928) e di Agraria (1946), entrambe nell’Università di Sassari, ha rap- presentato certamente l’elemento determinante in questo senso.

Oltre a formare i professionisti del settore (oltre 3000 laureati che, in buona parte sono stati occupati negli Enti pubblici regionali operanti nei settori agricolo e zootecnico) le due Facoltà hanno avuto sempre ben presente i vantaggi che po- tevano discendere, sia sotto l’aspetto scientifico che sotto quello applicativo, dal

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mantenimento di eccellenti rapporti di collaborazione con i suddetti Enti, specie nel momento in cui partiva negli anni ’50, con consistenti impegni economici pubblici, il Piano di Rinascita della Sardegna.

I risultati sono stati evidenti nel settore delle colture erbacee con:

- il miglioramento genetico del frumento duro con l’iscrizione al registro na- zionale delle sementi elette di tre varietà, particolarmente resistenti alla siccità primaverile, che hanno avuto larga diffusione in ambito nazionale;

- la definizione di tecniche innovative per la coltivazione del riso che hanno consentito un forte risparmio idrico e un minore impatto ambientale;

- la raccolta, la collezione e la conservazione del germoplasma delle principali colture orticole e la valorizzazione di quelle maggiormente richieste dal mer- cato; rimarchevole lo sforzo compiuto per l’introduzione di tecniche colturali innovative (idonee formule di concimazione e sistemi adeguati di irrigazione) nella coltivazione del carciofo, che hanno comportato una riduzione dei costi di produzione e una notevole espansione della coltura, tanto che negli anni

’70 la Sardegna era la principale regione produttrice;

- il miglioramento dei pascoli con tecniche agronomiche a basso input energe- tico e la selezione di specie tabulari idonee ai differenti ambienti pedo-clima- tici, che hanno permesso un significativo aumento della produzione foraggera e il conseguente incremento del carico di bestiame;

- la positiva sperimentazione di erbai politipi che, ha consentito la loro adozio- ne da parte degli imprenditori-pastori contribuendo a favorire la costituzione di imprese pastorali stabili;

e lo sono stati altrettanto nel settore delle colture arboree nel quale:

- si è sperimentato e favorito l’adeguamento degli impianti frutticoli per l’in- troduzione della meccanizzazione, in particolare della raccolta della frutta e delle olive, e delle tecniche di minima coltivazione;

- si sono realizzate la raccolta, la collezione e la conservazione del germoplasma delle specie arboree da frutto e la valorizzazione di quelle maggiormente ri- chieste dal mercato; tale attività, volta a salvaguardare tutte le vecchie varietà coltivate nella Regione, è stata una significativa anticipazione di quanto sa-

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rebbe poi stato compiuto in diverse aree del globo per salvaguardare la biodi- versità vegetale;

- particolare enfasi è stata posta nello sviluppo dell’agrometereologia, ambito che ha trovato poi applicazione su tutto il territorio regionale grazie all’isti- tuzione del Servizio Agrometereologico Regionale, recentemente confluito nell’Agenzia Regionale per l’Ambiente, che ha fatto della Sardegna una regio- ne capofila nella previsione delle avversità meteoriche;

- sono state messe a punto tecniche di difesa integrata e biologica per le princi- pali specie arboree coltivate nella Regione (olivo, vite e agrumi), la diffusione delle quali ha permesso una significativa riduzione dell’impiego di fitofarmaci di sintesi chimica.

Nel settore delle produzioni animali:

- si è pervenuti ad un controllo delle principali zoonosi: brucellosi, tubercolosi, encefalopatia spongiforme bovina (BSE), salmonellosi (presente soprattutto negli allevamenti avicoli e suinicoli intensivi), listeriosi; ad analogo controllo delle malattie diffusive degli animali quali afta epizootica, pesti suine, in- fluenza aviaria, che spesso hanno condizionato la produttività zootecnica in termini quantitativi fino ad assumere un rilievo nazionale;

- si sono curate la tutela della riproduzione animale e la realizzazione di interventi di sorveglianza nel benessere animale e sulla sostenibilità degli allevamenti;

- sono stati sviluppati sistemi di razionamento alimentare per ovini e caprini, di- ventati sistemi di riferimento a livello nazionale ed internazionale (ad. es. per il National Research Council degli Stati Uniti), che hanno consentito di migliorare l’efficienza economica delle aziende zootecniche mediante un più efficiente uso dei nutrienti e la riduzione dell’impatto ambientale degli allevamenti;

- sono state considerevolmente ampliate le conoscenze sull’alimentazione degli ovini e dei caprini, sulla qualità e sicurezza delle loro produzioni e sul benes- sere degli animali allevati in ambiente mediterraneo; la divulgazione delle conoscenze acquisite si è concretizzata con la pubblicazione di due libri (Dai- ry sheep nutrition. 2004. Pulina G. Ed. CAB International, UK; Dairy goats feeding and nutrition. 2008. Cannas A., Pulina G. Eds. CAB International,

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UK) adottati come testi di studio e di riferimento in molte università italiane ed estere;

- notevoli progressi sono stati compiuti nella gestione degli allevamenti e nella qualità del latte prodotto, grazie all’adozione di fabbricati rurali studiati per l’ambiente mediterraneo e la diffusione di impianti di mungitura con carat- teristiche costruttive e operative definite dalla Facoltà per tutto il comparto ovi-caprino italiano.

Nel settore delle industrie agro-alimentari, oltre a quanto sarà detto per il com- parto viti-vinicolo, è da rimarcare il notevole contributo per:

- l’innovazione tecnologica del settore lattiero-caseario finalizzata alla diversi- ficazione della produzione e al miglioramento dei prodotti tradizionali con l’impiego di batteri lattici probiotici e l’adozione di tecnologie innovative, volte all’ottenimento di prodotti funzionali con elevate qualità organoletti- che e sensoriali, adottate in diversi stabilimenti operanti nella Regione. Si sottolinea in particolare che per il settore caprino è stata messa a punto una nuova tecnologia utile alla produzione di latte alimentare UHT, largamente impiegata in Italia; inoltre sono state messe a punto tecniche di produzione di formaggi freschi e molli a breve maturazione;

- la caratterizzazione microbiologica delle paste acide di alcuni pani tipici della Sardegna per il loro recupero e valorizzazione, soprattutto per le loro caratte- ristiche nutrizionali e salutistiche, dato l’alto contenuto in batteri lattici attivi nella degradazione della gliadina;

- l’adeguamento di molti impianti di trasformazione con sistemi tecnologica- mente avanzati e rispondenti alle norme sulla sicurezza alimentare.

In ambito forestale, nel quale l’Università è impegnata da oltre 15 anni con un corso di laurea gemmato a Nuoro, sono state affrontate soprattutto problematiche connesse alla valorizzazione e salvaguardia delle sugherete, di cui la Sardegna detiene il 90% del patrimonio nazionale, sviluppando in particolare:

- tecniche di previsione delle infestazioni di lepidotteri defogliatori e applica- zioni di lotta biologica, da alcuni anni largamente utilizzate nel contenimento

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delle popolazioni nocive e nella salvaguardia della produzione primaria;

- reti di monitoraggio del fenomeno del deperimento delle querce e tecniche fitosanitarie utili alla limitazione della sua diffusione con l’impiego localizzato di fitofarmaci;

- realizzazione di una macchina agevolatrice il taglio del sughero sulla pianta, che non danneggia i tessuti sottostanti e facilita il lavoro di decortica accor- ciando significativamente i tempi dell’operazione.

Fino agli anni ’70 la Sardegna produceva oltre 4 milioni di ettolitri di vino desti- nato, in gran parte, al taglio dei vini del Nord Italia e del Nord della Francia, caratte- rizzati da una scarsa componente polifenolica e limitata gradazione alcolica. Succes- sivamente alla cosiddetta “guerra del vino” e all’approvazione di norme comunitarie nel settore vitivinicolo e conseguentemente alla drastica riduzione delle superfici vitate, si è posto il problema di migliorare, dal punto di vista qualitativo, tutta la filiera produttiva, a partire dalla vigna fino ad arrivare al vino imbottigliato. Nel far fronte a questa esigenza, un ruolo determinante è stato svolto dai centri di ricerca Universitaria e da quelli sperimentali della Regione Sardegna che hanno lavorato in perfetta sintonia con alcune realtà produttive di eccellenza a livello regionale (prima fra tutte l’azienda Sella e Mosca).

In una prima fase, per quanto riguarda l’aspetto viticolo, si è passati dal clas- sico sistema di allevamento ad alberello (di difficile gestione agronomica) a forme più espanse, che hanno permesso una maggiore meccanizzazione delle operazioni in vigneto, in particolar modo della vendemmia. Sono stati inoltre sperimentati, con buon successo, alcuni vitigni internazionali (Cabernet, Chardonnay, Merlot, ecc.).

Per quanto riguarda l’aspetto relativo alla trasformazione, una delle maggiori novità tecnologiche è stata l’adozione, su larga scala, dei lieviti selezionati, che hanno per- messo di risolvere i problemi connessi con le fermentazioni spontanee. La ricerca in campo viticolo e microbiologico ha quindi permesso di migliorare le caratteristiche chimiche ed organolettiche del prodotto finito ed ha portato alla realizzazione di vini meno alcolici, più fruttati (vini bianchi) e con un’intensità di colore controllata.

Nel corso degli anni ’90, l’ingresso nel mercato vitivinicolo di nuovi Paesi pro- duttori (Stati Uniti, Australia, Cile, ecc.) ha portato alla necessità di differenziare

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maggiormente la produzione vinicola, attraverso l’individuazione di valori aggiunti da conferire al vino. In quest’ottica, particolare attenzione è stata riservata, sia dal mondo della ricerca che da quello produttivo, al recupero e alla valorizzazione di viti- gni autoctoni con buone prospettive commerciali (Cannonau, Vermentino, Cagnu- lari, Carignano, per citarne alcuni di interesse regionale). Anche la Regione Sardegna ha riconosciuto l’importanza di queste azioni finanziando recentemente un progetto nell’ambito di un Accordo di Programma Quadro relativo proprio alla valorizzazione di vitigni autoctoni. In quest’ottica appare superato ormai anche il concetto di lie- vito starter adatto per tutti i vini, a favore del concetto di un lievito per ogni realtà produttiva. Sono state infatti intraprese delle collaborazioni, tuttora in corso, con le più importanti cantine regionali, per la selezione di lieviti autoctoni capaci di mi- gliorare alcuni specifici aspetti del vino, sia salutistici (riduzione di contaminazione da micotossine, produzione di elevate quantità di resveratrolo, ecc.), sia organolettici (riduzione del tenore alcolico, aumento del contenuto in glicerolo, ecc.).

Infine un fenomeno interessante che si sta verificando da qualche anno a questa parte, come conseguenza dell’attivazione del corso di laurea specialistica in Viticoltura ed Enologia dell’Università di Sassari, riguarda la sempre più diffusa applicazione di tec- niche e metodologie innovative anche nelle piccole aziende vitivinicole. Questo avviene proprio in funzione della sostituzione e della collaborazione di giovani laureati nella conduzione delle aziende familiari, che, sebbene di limitate dimensioni, rappresentano una quota molto importante dell’economia regionale nel settore vitivinicolo.

Per la sua singolare struttura geologica la Sardegna ha costituito da sempre un importantissimo bacino minerario, noto fin dal Neolitico; nel periodo del grande sviluppo industriale, nella prima metà dello scorso secolo, l’Isola divenne uno dei poli estrattivi più importanti di tutta l’Europa, fornendo le materie prime per buona parte delle industrie del Continente. Questa spinta economica si è accompagnata con un grande progresso della ricerca nei settori impegnati in questa attività come l’ingegneria mineraria e le Scienze della Terra ed ha rappresentato un momento im- portante non solamente per gli Atenei della Sardegna ma per tanti ricercatori italiani e stranieri che confluivano nell’Isola, divenuta un polo di ricerca di straordinario

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interesse. Nel corso di tanti anni il territorio della Sardegna è stato profondamente esplorato ed in tutte le regioni dell’Isola vi è stata una attività di estrazione con piccoli o medi impianti minerari. Oggi, pertanto, la Sardegna conserva strutture e impianti minerari che documentano, nei secoli, una particolare attività dell’uomo con il progressivo sviluppo delle tecniche estrattive e di lavorazione.

Nel secondo dopoguerra, a partire dalla metà degli anni ’50, inizia un lento ma inesorabile processo di dismissione delle attività minerarie e l’abbandono delle zone di estrazione. Dai 20mila occupati nel settore minerario in quegli anni si è passati ai soli 800 di oggi, 700 dei quali prossimi alla conclusione dell’attività lavorativa.

Anche il settore estrattivo dei lapidei (materiali da costruzione provenienti da cave a cielo aperto, marmi e graniti), in crescita esponenziale nei passati anni, ha visto svilupparsi tecnologie avanzate e sistemi di bonifica prodotti dalle università sarde e da altri atenei italiani; oggi sta lentamente e inesorabilmente riducendosi per la congiuntura mondiale e per la concorrenza dei paesi asiatici.

Dopo anni di abbandono delle strutture minerarie e di conseguente degrado del territorio che spesso, oltre un valore di archeologia industriale, possiedono uno stra- ordinario contenuto di ambiente, cultura e tradizioni delle zone dove insistono, è nato il Parco Geominerario della Sardegna, una iniziativa sostenuta dall’UNESCO e finanziariamente supportata dal governo italiano. L’iniziativa, che si accompagna alla stretta collaborazione con i due Atenei dell’Isola, è finalizzata alla conservazione di questa straordinaria storia di progresso scientifico, culturale e umano non di una sola regione ma dell’intero popolo italiano.

Nell’ambito delle competenze del Parco Geominerario, dell’Amministrazione Regionale della Sardegna, delle Amministrazioni locali dove ricadono gli ambiti minerari, l’impegno delle due università sarde è finalizzato alla ricerca sulle tecniche di bonifica e recupero delle terre e delle strutture sparse nei poli industriali minera- ri dell’Isola, con conseguente valorizzazione ambientale inserita nel contesto della conservazione della presenza dell’uomo e della sua storia.

All’inizio degli anni ‘60, nell’ambito del succitato Piano di Rinascita, la Politica regionale ha ritenuto di individuare uno dei principali strumenti per lo sviluppo

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dell’Isola nell’industrializzazione. Dal nulla e senza alcuna precedente vocazione, si diede luogo alla realizzazione di tre grossi poli, uno al nord (Portotorres), uno al sud (nell’hinterland di Cagliari) ed uno nelle zone interne (provincia di Nuoro), ad impronta essenzialmente petrolchimica, con la presenza di due imponenti raffinerie del “grezzo” e di una serie di settori di lavorazione dei sottoprodotti derivati. Ed ac- canto ad esse due centrali termoelettriche (che potessero affrancare dalla dipendenza energetica dal Continente italiano) per le quali sono stati sperimentati vari tipi di combustibili, tra cui il carbone sardo, la cui estrazione aveva subito una rilevante contrazione per la scadente qualità e la necessità di doverlo sottoporre a costosi pro- cedimenti migliorativi.

Le suddette iniziative diedero luogo all’istituzione di varie migliaia di posti di la- voro, con richiamo di giovani dalle campagne e da altre occupazioni ritenute meno appetibili, con conseguenti consistenti fenomeni di spopolamento delle zone inter- ne, l’inurbamento e la tumultuosa crescita di comuni viciniori alle zone industriali, l’abbandono di attività tradizionali.

Le due Università sono state notevolmente coinvolte nel suddetto processo di indu- strializzazione e a loro volta ne sono state sensibilmente condizionate. Coinvolte, perché ad esse vennero chieste collaborazioni per stimolanti progetti di ricerca e per strutturali consulenze; condizionate, perché in riscontro a tali esigenze vennero istituiti specifici corsi di laurea nelle Facoltà più interessate (in particolare Ingegneria e Scienze MM.FF.

NN.). Per le Facoltà di Medicina e chirurgia fu un periodo di intensa attività, anche per i modelli di sorveglianza che vennero posti in essere per la tutela della salute dei lavoratori e degli abitanti dei comuni limitrofi dalle innumerevoli sostanze immesse nell’aria, nei corsi d’acqua, nel terreno, nei litorali. Per le Facoltà di Scienze MM.FF.NN. si aprì un settore di studi per la prevenzione (e, purtroppo, anche per il recupero) di condizioni di grave inquinamento e degrado ambientale che di lì a poco cominciò a determinarsi. Non trascurando una serie di aspetti di ordine sociologico che il tumultuoso cambiamento economico aveva determinato, a cui si dedicarono i ricercatori del settore.

Dall’inizio degli anni ’80, con il declino dell’industria pesante e l’avvio di un processo di riconversione economica basata sull’“industria” turistica (fino al mo-

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mento a livello artigianale tranne qualche sito di particolare rinomanza, come la Costa Smeralda), comincia per l’Università una nuova fase della collaborazione allo sviluppo della Regione attraverso:

- studi e ricerche sul monitoraggio ambientale e conseguenti proposte di inno- vazione tecnologiche e valorizzazione di risorse alternative, con recupero dei siti degradati dagli insediamenti industriali attraverso metodologie di disin- quinamento, principalmente basate su tecniche elettrochimiche e di compo- staggio, messe a punto da ricercatori delle due Università;

- la proposta di nuovi processi di sintesi bioattive ed ecosostenibili di prodotti per l’agricoltura e di intermedi per la chimica fine;

- studi sperimentali sulla co-combustione di carbone e biomasse nelle centrali elettriche; sull’utilizzo delle biomasse come fonti di energia rinnovabili e lo sviluppo di tecnologie innovative per la loro conversione in energia elettrica e in combustibili alternativi. Vanno in particolare ricordati gli studi sull’utilizzo di bio-oli come combustibili, sulla gassificazione di biomasse per l’alimenta- zione di generatori elettrici e per la produzione di bio-idrogeno da biomasse e di idrogeno da materie prime rinnovabili (quali etanolo o altri alcoli, acido formico, ecc.) utilizzabile come vettore energetico.

Inizia un nuovo capitolo nella collaborazione Politica-Università nell’ottica dello sviluppo del territorio sardo basato sulla valorizzazione ed equilibrato utilizzo del suo patrimonio ambientale.

Vanno in questa direzione:

- la costituzione di due Parchi nazionali, sei Aree marine protette, due Parchi regionali ed altri in itinere, innumerevoli aree SIC e Zone a protezione specia- le, nel cui governo e nelle cui attività di studi e ricerche sviluppate sono lar- gamente coinvolti docenti, personale t.a., ricercatori in formazione e studenti delle due Università. In ciò anche responsabilizzati dalla istituzione, in sede decentrata rispetto alle due sedi storiche, di Corsi di studio strettamente legati alle prospettive di sviluppo economico delle aree protette, con i loro possibili riflessi su nuove attività imprenditoriali legate al turismo ecocompatibile.

Nella promozione dello sviluppo dell’Isola ha acquistato un ruolo significativo l’opera di valorizzazione dei Beni culturali (BB.CC.) da alcuni decenni sistematica-

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mente avviata dallo Stato e di recente direttamente dalla Regione che, in virtù del D.L.vo 42/2004 e successive modifiche, viene chiamata – insieme agli enti pubblici territoriali – alla cooperazione in materia di tutela del patrimonio culturale, al co- ordinamento, l’armonizzazione e l’integrazione col Ministero per i Beni e le Attività culturali, delle attività di valorizzazione dei beni pubblici, oltreché ad assicurare la fruizione, la valorizzazione e la promozione di attività di studio e di ricerca dei Beni culturali anche con il concorso delle Università (art. 118).

Numerosi i siti archeologici portati alla luce negli ultimi decenni – inseriti in percorsi culturali che ben si integrano nel programma di tutela del paesaggio e del- la sua fruibilità e di riqualificazione dell’attività turistica – ed intelligente il Piano regionale della rete museale, di parchi archeologici, ecomusei, biblioteche e archivi storici sulla base di esigenze di differenziazione e di equilibrio territoriale dell’offerta culturale nonché di sostenibilità del progetto.

Si collocano in questo Piano (che comprende anche circa 100 musei locali) i 7 nuovi Musei regionali (ubicati nelle quattro storiche province): Museo dell’arte nuragica e dell’arte contemporanea mediterranea (a Cagliari); Museo della civiltà fenicia della Sardegna, Museo della Sardegna giudicale e Museo delle bonifiche e dell’elettrificazione (nell’Oristanese); Museo dell’identità della Sardegna (a Nuoro);

Museo dell’arte moderna e Museo dell’artigianato e design (a Sassari).

É rilevante il ruolo svolto dalle due Università sarde in questo settore, e in tutti gli aspetti che lo caratterizzano. Ad esse va riconosciuto anche il merito della for- mazione di qualificati archeologi, storici, dell’arte, archivisti, esperti in beni demo- antropologici, archeologi subacquei, restauratori – in collaborazione con le Soprin- tendenze, Carabinieri del Nucleo tutela del patrimonio, della Guardia di finanza, delle Capitanerie di porto e altri Istituti convenzionati – attraverso CdL triennali e magistrali, Masters e Dottorati di ricerca.

L’impegno delle due Università nel settore dei BB.CC. è fra quelli che nell’ambi- to delle iniziative per lo sviluppo va particolarmente evidenziato, anche per l’intensa quantità di rapporti che si sono venuti a creare con altre Università del Mezzogiorno (in particolare siciliane), attraverso le quali si sono estesi interventi anche fuori dal ter- ritorio italiano, in particolare nel Magreb, in specie relativamente all’Africa romana.

Il ruolo dell’Università nel progetto del paesaggio regionale non può essere trattato

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nel caso specifico della Sardegna senza fare riferimento al quadro normativo che negli anni recenti ha modificato e arricchito in modo sostanziale le politiche del territorio.

Con la legge regionale n.8 del 2004, più nota emblematicamente come “legge salvacoste”, la Regione Sardegna attraverso un atto legislativo assai coraggioso ha assunto la tutela del paesaggio ambiente dell’isola – a partire dalle sue parti più a ri- schio, come le coste – come perno di una politica territoriale dell’isola che considera il paesaggio come una risorsa strategica per uno sviluppo futuro sostenibile.

La legge stessa subordinava le trasformazioni alle direttive e alle prescrizioni del Piano Paesaggistico Regionale, che è stato successivamente elaborato, approvato ed entrato in vigore l’otto settembre del 2006.

Il Piano Paesaggistico Regionale è in Sardegna lo strumento centrale del governo pubblico del territorio. Esso si propone di tutelare il paesaggio, con la duplice finalità di conservarne gli elementi di qualità e di testimonianza mettendone in evidenza il valore sostanziale (valore d’uso, non valore di scambio), e di promuovere il suo mi- glioramento attraverso restauri, ricostruzioni, riorganizzazioni, ristrutturazioni anche profonde là dove appare degradato e compromesso. Il Piano è perciò la matrice di un’opera di respiro ampio e di lunga durata, nella quale conservazione e trasformazio- ne si saldano in un unico progetto, essendo volta la prima a mantenere riconoscibili ed evidenti gli elementi significativi che connotano ogni singolo bene, e la seconda a proseguire l’azione di costruzione del paesaggio che il tempo ha compiuto in modo coerente con le regole non scritte che hanno presieduto alla sua formazione.

L’Università assume in questo quadro un ruolo centrale esercitando pienamente le sue funzioni peculiari di ricerca, didattica e servizio al territorio.

Attraverso una intensa e qualificata attività di ricerca, l’Università ha creato le condizioni di conoscenza scientifica della qualità delle risorse del paesaggio ambien- te regionale, che interessano l’assetto ambientale, l’assetto storico-culturale e l’assetto insediativo. Questo patrimonio di conoscenza ha costituito la base informativa che ha consentito di elaborare un Piano Paesaggistico Regionale assai qualificato senza rinunciare alla ricchezza e alla complessità che caratterizzano il territorio regionale.

L’Università ha un compito denso e complesso anche nel campo della didattica, un compito che si dispiega sia nel campo tradizionale dell’educazione dei giovani, sia più in

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generale nella costruzione di un progetto educativo che investe anche le età adulte nella dimensione della formazione permanente. Questo compito viene sviluppato attraverso progetti didattici che sono fortemente orientati a far crescere la sensibilità sul progetto del paesaggio come ambiente propizio per la vita organizzata. Uno di questi è ad esem- pio il progetto Itaca, che ha visto coinvolte nel 2007 e 2008 le due Università sarde in un grande percorso formativo della durata di 18 mesi che è stato svolto per 700 allievi provenienti dalle pubbliche amministrazioni dell’isola che direttamente o indirettamen- te hanno a che fare con il controllo delle trasformazioni del paesaggio regionale.

Questo progetto formativo è evidentemente interconnesso con l’attività di ser- vizio al territorio, una funzione attraverso la quale l’Università cerca di interpretare il bisogno di progettualità che proviene dal territorio. Le linee guida del Piano Pae- saggistico Regionale sono sostenute da un principio ispiratore, un principio guida, che esprime la “nuova frontiera” che il governo regionale indica come prospettiva progettuale per la vita spaziale della società.

Alla progettualità è, infatti, legata la capacità di generare nuovi modi di organiz- zazione e una più forte coesione sociale. Il progetto del paesaggio costituisce un fon- damentale campo d’applicazione sul quale l’Università si misura sia per la crescente rilevanza che le politiche ambientali hanno oggi nel nostro come in altri paesi, sia perché investe la territorialità, cioè le forme e le modalità nelle quali si stabilisce e si rende concreto il patto tra società e spazio, ciò che chiamiamo lo “spazio vissuto”.

In questo quadro, l’Università di Sassari è stata incaricata di elaborare il progetto dell’Osservatorio Regionale del Paesaggio, che si propone di indicare le linee guida per le Amministrazioni Pubbliche per il controllo delle trasformazioni del paesaggio in attuazione degli indirizzi del Piano Paesaggistico Regionale.

Quest’idea di futuro per il paesaggio della Sardegna si identifica con quella che potremmo definire una “grande ricostruzione”. Intendiamo un processo

indirizzato a ricostruire lo spazio insediativo regionale, riscattando i territori di- menticati dell’interno, riqualificando i nostri paesi e le nostre città, recuperando alla vita urbana i villaggi spenti delle nostre coste; al tempo stesso, un processo di rico- struzione dello “spazio ambientale” della città regionale, portando in salvo i territori non ancora toccati dalla trasformazione e riacquistando alla vita regionale i territori smarriti nella crisi dell’agricoltura e della pastorizia.

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L’Università vuole assumere su di sé una parte rilevante di questa responsabilità, consapevole dei propri mezzi e dei propri doveri e anche della inscindibilità della cresci- ta reciproca dell’Università e del territorio in cui sviluppa il suo progetto educativo.

Di fronte al progetto prospettico che si viene a delineare per il territorio sardo ne- gli anni futuri, progetto che è di sicura crescita per la qualità della vita – in rapporto alla promozione che potranno avere i fattori di salute ambientale e conseguente- mente agli effetti che essi potranno esercitare sugli esseri viventi – e, auspicabilmen- te, anche per le condizioni socio-economiche, non posso non considerare che esso è anche la risultante della rimozione di alcuni fattori limitanti, per la quale è stata fondamentale la collaborazione fra Politica e Università. Fra essi, i più significativi, la carenza di acqua e le malattie endemiche tipiche dell’Isola, già largamente evi- denziati dai risultati (1887) della “Commissione Bertani” che, per incarico del Go- verno Cairoli, aveva condotto un indagine sulle condizioni igienico-sanitarie delle popolazioni agricole sul territorio nazionale.

Per quanto riguarda il primo aspetto (l’acqua), non era tanto la quantità in asso- luto ad essere insufficiente, come dimostrano anche i dati sulla piovosità che si attesta mediamente sui 780 mm di pioggia all’anno (circa 18 miliardi di mc), quanto le caratte ristiche dei suoli, in gran parte (più del 50%) impermeabili che, non favorendo 1’impinguamento delle falde freatiche, lasciano scor rere le acque piovane direttamente e velocemente verso il mare.

In presenza nell’Isola di un solo, e peraltro piccolo lago naturale, quello di Baratz (in Provincia di Sassari), la soluzione al problema non poteva che essere quella di adottare una “politica“ di costruzione di invasi artificiali che, migliorando sensi- bilmente l’approvvigionamento idro-potabile delle popolazioni contribuissero a far transitare la Sardegna verso una nuova dimensione sociale. Da qui, a partire dagli anni ‘50, una politica di costruzione di dighe per il rifornimento idrico alle popola- zioni che in Sardegna vantano una tradizione fin dalla seconda metà dell’800, con l’acquedotto di Corongiu a Cagliari e la diga sul Rio Bunnari a Sassari. Il piano ac- quedotti porta ad un vero boom di realizzazioni di bacini artificiali (18 principali ed altri 150 minori) per la raccolta di acqua da adibire ad usi differenziati, tra cui quello civile per la popolazione. Ed i risultati si fanno subito di grandissima evidenza: già al

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censimento del 1971, oltre il 90% delle abitazioni esistenti risulta allacciato ad ac- quedotti, in parte comunali gestiti dall’ESAF ed in parte grossi complessi acquedot- tistici gestiti dalla Cassa per il Mezzogiorno o dall’Ente Autonomo del Flumendosa e nell’arco degli ultimi anni la rete acquedottistica ha coperto la totalità dell’Isola.

In questo contesto, il contributo delle Università, è stato veramente significativo;

il patrimonio di conoscenze e professionalità è stato messo a disposizione di am- ministrazioni locali (Comuni, Consorzi di bonifica, ecc.) o Enti nazionali e regionali (CASMEZ, ESAF, EAF, ecc.) attraverso un costante monitoraggio e controllo del patrimonio idrico, per studiare:

- la distribuzione spaziale delle fonti di approvvigionamento e la loro distribu- zione nel territorio in relazione alle località di effettiva necessità ed utilizzo;

- gli effettivi fabbisogni tramite accurato censimento sul territorio e l’applicazio- ne, per la formulazione di stime previsionali, di modelli predittivi delle richieste di acqua potabile in relazione allo sviluppo demografico e tecnologico;

- il profilo qualitativo delle singole risorse in riferimento all’uso previsto o ipo- tizzabile sulla base di valutazioni socio-economiche, politiche, demografiche e sanitarie, al fine di un loro possibile sfruttamento tenendo conto degli ap- porti di polluenti esistenti o prevedibili nel territorio;

- le modalità di prevenzione o di rimozione di fenomeni di degrado della qualità delle acque invasate, tanto frequenti in rapporto alla composizione dei suoli, agli affluenti, alle elevate temperature ambientali in alcune stagioni;

- la formazione di composti derivanti da trattamenti di potabilizzazione delle acque e la loro rimozione con l’utilizzo, in impianti pilota ed in esercizio, di metodiche alternative di trattamento.

Per quanto concerne l’altro significativo fattore limitante lo sviluppo, le malattie endemiche tipiche, l’insularità ha inciso profondamente nel caratterizzarne il pat- tern, agendo su tutti i versanti del triangolo epidemiologico: sull’ospite, sui parassiti e sull’ambiente. Per quanto attiene all’ospite, la struttura genetica della popolazione sarda, per un effetto di deriva genetica causato dall’insularità, si distingue per distan- za da quella del resto d’Italia, dell’Europa e di tutto l’areale mediterraneo fornendo ancor oggi importanti spunti di ricerca non solo sul versante delle malattie ma anche su quello di possibili determinanti di salute, come ad esempio quello attualmente in

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corso sul fenomeno dei centenari sardi. Con tale peculiare substrato genetico han- no nel tempo interagito i parassiti in una sorta di adattamento fra specie mediato dall’ambiente dell’Isola. Questo ha creato delle interessanti peculiarità che hanno rappresentato, e continuano a rappresentare, per gli studiosi degli Atenei sardi, una valida palestra di ricerche e sperimentazioni dalle quali sono emerse importanti sco- perte non solo sul versante scientifico con contributi di tipo culturale, ma anche su quelli direttamente applicativi della prevenzione, della diagnosi e della terapia.

Un posto di rilievo spetta alla malaria che ha certamente, e più di tante altre malattie, condizionato lo sviluppo socio-economico-culturale dell’Isola e per la cui eradicazione, ad opera della Fondazione Rockfeller e dell’esercito di operatori dell’ERLAAS, si è dovuti giungere al secondo dopoguerra.

Fra le malattie che riconoscono un’origine genetica vanno annoverate quelle del sistema emopoietico, come la talassemia, o le deficienze enzimatiche, come la ca- renza dell’enzima glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (che è alla base del favismo), che hanno in Sardegna valori di prevalenza tra i più elevati al mondo. Esse sono dovute a particolari geni selezionati dalla malaria, che per secoli è stata endemica nell’Isola.

Su tali campi hanno assiduamente lavorato schiere di ricercatori sardi e molto è stato fatto in ambito preventivo, grazie anche all’istituzione di appositi Centri per le malattie sociali, con interventi di screening, di counselling e di educazione sanitaria sulla popolazione generale, fino ad arrivare sul versante terapeutico ai più moderni interventi di trapianto midollare che riconoscono in Sardegna punte di eccellenza e che richiamano pazienti da oltremare.

Un posto di rilievo spetta ad una antropozoonosi, l’echinoccosi-idatidosi, che ha raggiunto fino ad un recente passato picchi di incidenza di malattia elevatissi- mi. Esiste sull’argomento una florida messe di lavori eseguiti dai due atenei sardi, i cui autori hanno contribuito oltre che alla conoscenza della malattia anche al suo contenimento, avvenuto attraverso la pianificazione di diversificati interventi di pre- venzione, eseguiti a più riprese e a diversi livelli del ciclo naturale della malattia, ma anche agendo per la modificazione di quei comportamenti di tipo ancestrale che hanno mantenuto il fenomeno, spingendo al passaggio verso un allevamento di tipo semi-intensivo legato a più moderni modelli di vita.

Da qualche anno è forte l’interesse di ricercatori di entrambe le Università verso

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altre due affezioni, il diabete giovanile e la sclerosi multipla, nelle quali è presente una interazione tra fattori ambientali e genetici, dal momento che le relative inci- denze nell’Isola sono fra le più alte al mondo.

Se questi sono meritevoli interventi delle Università sarde in settori mirati della sanità pubblica, va anche ricordato che i due Atenei hanno attivamente contribuito al potenziamento del sistema sanitario dotandosi di Policlinico autonomo con qua- lificate strutture per reparti di degenza e servizi diagnostici che, solo con la recente istituzione delle Aziende ospedaliero-universitarie, sono state date in concessione d’uso al Servizio sanitario regionale.

Dalla “Commissione Medici” istituita negli anni ’70 per studiare l’allora impe- rante fenomeno del banditismo e proporre adeguati interventi per la sua elimina- zione e prevenzione, le due Università vennero individuate fra le istituzioni idonee a svolgere allo scopo un ruolo significativo. Attraverso una legge dello Stato le Uni- versità di Cagliari e di Sassari vennero chiamate ad istituire alcuni corsi di laurea a Nuoro (ne sono stati istituiti 4), sostenuti da finanziamenti sia ministeriali (il bud- get per 13 ruoli di 1a F) sia regionali e degli enti locali.

Dopo un ventennio di attività, il bilancio di questa esperienza (molto costosa!) presenta poche luci e molte ombre!

Se lo sviluppo di un territorio passa anche attraverso gli strumenti normativi di cui si dotano gli Organi di governo dei vari livelli delle Autonomie locali, le Facoltà giuridiche, politiche ed economiche delle due Università sarde, e col coinvolgimen- to di docenti anche di altre Facoltà, sono state di frequente chiamate a collaborare alla stesura di numerose leggi e significativi atti amministrativi.

Da questa soddisfacente posizione delle due Università sarde di aver contribuito si- gnificativamente allo sviluppo della Regione in cui esse insistono e, conseguentemen- te, del Mezzogiorno d’Italia di cui la Sardegna è parte, quale ruolo possono svolgere gli Atenei di Cagliari e Sassari in un contesto di collaborazione fra Università meridionali (alcune accomunate dalla localizzazione in Regioni facenti parte dell’area dell’Obiet- tivo 1 o dall’usufruire di provvidenze per la costituzione di Centri di competenza tecnologici o di APQ Stato-Regione) per un rilancio del Mezzogiorno?

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La risposta può scaturire mettendo insieme la funzione primaria dell’Università (che è quella di preparare il materiale umano nelle professioni di più alta qualifica- zione: i lavoratori della conoscenza) e la vocazione che si dà ogni territorio (e che quindi condiziona il tipo di formazione nella quale si specializzano le Istituzioni dell’alta formazione del territorio stesso).

É apparsa evidente, da quanto andavo esponendo, la vocazione che – dopo vari aggiustamenti di rotta – sta configurandosi per il territorio sardo: il turismo in un’area geografica fortunatamente poco danneggiata; protetta dalla recente emana- zione del Piano paesaggistico; valorizzata dal punto di vista ambientale dalla politica di realizzazione di Parchi nazionali e regionali, di Aree marine protette, di aree SIC e di zone a protezione speciale; in cui è da tempo avviata la valorizzazione dei Beni culturali (alcuni esistenti solo nell’Isola e ivi comprese le riconversioni in parchi dei dismessi insediamenti industriali e per l’estrazione mineraria); in cui l’attività agricola sta sempre più caratterizzandosi per produzioni di qualità e per allevamenti sostenibili dall’ambiente; nella quale si potenzino le piccole e medie imprese finaliz- zate a produzioni tipiche e conseguenti loro lavorazioni, con marchi di qualità; verso la quale occorrerà potenziare i trasporti, a costi contenuti, peraltro già iniziati; nella quale occorrerà assicurare qualità ai servizi.

La Sardegna può rappresentare un laboratorio “in senso tecnico” dove è possibile sperimentare e studiare il fenomeno turistico lungo le tre dimensioni classiche della sostenibilità: ambientale, economica e sociale. Dietro ciascuna di queste dimensioni è facile immaginare le esigenze di formazione e di ricerca che l’Università può e deve soddisfare. Esigenze che abbracciano tutte le aree scientifiche: dalle scienze naturali, con la loro capacità di svelare il funzionamento degli ecosistemi e i limiti di carico delle risorse, all’architettura, con la sua attitudine a interpretare il paesaggio-ambiente e suggerire modalità d’uso atte a promuoverne la valorizzazione; alle scienze economi- che, con il loro apparato di tecniche per lo studio dei mercati, la gestione delle aziende e l’ottimizzazione degli investimenti; alle scienze umane, archeologiche ed artistiche, indispensabili per salvaguardare e comunicare (anche agli stranieri) il patrimonio cul- turale e produrre eventi capaci di parlare alla sensibilità contemporanea.

Occorrerà procedere lungo la strada della riforma degli ordinamenti didattici e, più in generale, dell’organizzazione dei nostri Atenei, avendo in mente questo

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importante obiettivo. Ma avendo chiara anche la divisione del lavoro fra i tanti diversi momenti dell’offerta formativa: trienni di base, lauree magistrali, master di 1 e 2 livello, corsi di perfezionamento, moduli di apprendimento durevole, summer school, corsi residenziali, formazione a distanza etc. Penso che un grosso contributo allo sviluppo del Mezzogiorno possa venire proprio da una profonda revisione degli attuali assetti, che semplifichi i percorsi triennali e magistrali assicurando standard elevati e di livello internazionale e, nel contempo, arricchisca il ventaglio dell’offerta formativa con modalità di trasferimento delle competenze più snelle e mirate all’in- serimento nel mondo del lavoro e /o all’aggiornamento costante delle competenze (sia in campo pubblico che privato).

Fortunatamente non si parte da zero. In questi anni sono decollati diversi pro- getti di collaborazione interni all’area del Mediterraneo che fanno ben sperare e di cui occorre far tesoro. Ci riferiamo alle ipotesi di gestione integrata delle coste del Mediterraneo (sviluppate nell’ambito del “Programma Regionale Ambientale nel Mediterraneo” della UE) o alle linee di intervento di cui si discute nell’ambito del programma “Bacino del Mediterraneo”, che s’inscrive nel quadro della componente di cooperazione transfrontaliera del nuovo Strumento Europeo di Vicinato e Parte- nariato (ENPI) e di cui la Regione Sardegna è stata designata dai Paesi partecipanti al Programma quale Autorità di Gestione Comune.

Sempre con riferimento al turismo, un approccio scientifico alla gestione delle im- prese turistiche e alla programmazione delle politiche pubbliche può consentire di indi- rizzare gli sforzi per ottenere un duplice risultato. Sotto il profilo dello sviluppo interno, la formazione di una nuova classe dirigente privata e pubblica e l’aggiornamento pro- fessionale delle figure manageriali in una logica di long life learning sono indispensabili per poter competere con efficacia sul mercato globale dei servizi turistici, migliorando la qualità dell’offerta nelle destinazioni regionali e incrementando il peso del settore tu- rismo sul prodotto interno lordo. Sotto l’aspetto del posizionamento sul mercato in- ternazionale della formazione, la presentazione di nuove proposte didattiche destinate principalmente ai Paesi del Mediterraneo e dell’Est europeo, articolate su diversi livelli di apprendimento, è destinata a costituire il futuro più credibile per i nostri centri di formazione, a condizione che sia accompagnata da un adeguato sviluppo della ricerca nelle scienze turistiche e da adeguate esperienze di partenariato.

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In un contesto di riqualificazione delle due Città sedi di Università da parte delle rispettive amministrazioni, la governance dei due Atenei sta con determinazione perseguendo da anni il potenziamento delle strutture didattiche, di ricerca, sportive, di socializzazione e, in collaborazione sinergica con l’Ente regionale per il diritto allo studio universitario, delle strutture residenziali, delle mense, dei servizi vari, delle mobilità studentesca in uscita e in entrata.

É sentita l’importanza di poter disporre di strutture e di Città di qualità, dove opportunità di studio e possibilità di svago abbiano entrambi piena cittadinanza, al fine di evitare che da un lato ci abbandonino i nostri migliori potenziali lavoratori della conoscenza (vedi i dati preoccupanti sui migliori giovani delle Regioni meri- dionali che si iscrivono presso Atenei del resto del Paese) e dall’altro che si possano avere difficoltà, anche a prescindere dalla qualità dei corsi e della ricerca, ad attirare in questa tormentata parte del Paese quel capitale internazionalmente mobile che oggi tutti si contendono.

Quanto sopra non esclude la volontà di impegno dei due Atenei sardi in tutti gli altri settori nei quali la prima parte di questa relazione ha voluto evidenziare le competenze. Auspicabilmente all’interno di un programma coordinato che veda partecipi le Università di tutte le Regioni del Mezzogiorno.

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