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Orari in cui il cane può abbaiare

Autore: Redazione | 08/02/2019

Disturbo della quiete pubblica: tre mesi di reclusione per il padrone che non impedisce all’animale di disturbare i vicini di casa.

Il cane ha diritto ad abbaiare, affermano alcuni giudici. Il cane però non può disturbare la quiete pubblica. Sembrano due affermazioni tra loro in contrapposizione: è del resto impensabile far comprendere a un animale di usare un tono basso di voce quando vuol “cantare alla luna” o comunicare con i propri

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simili. Stando così le cose, qualcuno potrebbe a questo punto chiedersi quali sono gli orari in cui il cane può abbaiare ossia quando può dare fastidio ai vicini di casa.

Proveremo a rispondere in questo articolo. Qui di seguito ti spiegheremo innanzitutto quali sono i limiti del rumore consentito e a quale pena va incontro il padrone se il proprio cane abbaia e disturba il vicinato. Procediamo con ordine.

Abbaiare di cane: limite decibel

La prima cosa da fare è confrontare ciò che dice la legge e poi verificare come questa viene interpretata dai giudici.

Il Codice civile contiene una sola norma – si, hai letto bene: una sola – dedicata al rumore [1]. Il resto è tutta opera dei tribunali.

Secondo la legge, fin quando i rumori rimangono nella normale tollerabilità non possono essere vietati. Se diventano intollerabili invece sono “illegali”. Sembra quasi una tautologia: è intuitivo infatti che il chiasso, quando diventa intollerabile, non può essere conforme a un ordinamento democratico e, quindi, deve considerarsi vietato.

Eppure in questa disposizione si racchiudono numerose implicazioni pratiche.

Una cosa è certa: è chiara l’intenzione del legislatore di lasciare la patata bollente ai giudici. Come dire «Sbrigatevela voi». Ed è così che l’intollerabilità dei rumori viene verificata in base alle particolarità del caso concreto, tenendo conto di una serie di parametri che possono variare a seconda della situazione. Difatti, ciò che è intollerabile alle 2 di notte non è detto che lo sia a mezzogiorno. Tutto quindi dipende dall’orario, dal rumore di fondo della strada intorno, dall’insistenza dei rumori, dalla loro imprevedibilità.

Ad esempio: in un centro abitato, caratterizzato dal traffico delle auto e dei pedoni, un cane che abbaia alle 10 di mattina, quando tutti sono al lavoro o impegnati nelle attività domestiche, non può dare fastidio come un cane che abbaia di notte in una zona residenziale e silenziosa. Un cane che latra per qualche secondo non può considerarsi molesto mentre uno che lo fa per un’ora intera sì.

Per cercare di darsi un criterio oggettivo, i giudici hanno adottato un sistema

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empirico: è intollerabile ogni interferenza acustica che supera di 3 decibel il rumore di fondo dell’ambiente circostante (strada o campagna che sia).

Stando così le cose, si potrebbe dire che lo stesso criterio può essere adottato con i cani. Salvo le normali difficoltà a misurare il superamento del limite, a meno di essere esperti in fonometria.

In sintesi, come abbiamo già spiegato più nel dettaglio in Se il cane del vicino abbaia e fa rumore, il cane ha diritto ad abbaiare di tanto in tanto, ma questo comportamento non può essere tanto assordante da superare i limiti della

«normale tollerabilità».

Cosa rischia il padrone se il cane abbaia

Prima di sviluppare più nel dettaglio il tema portante di questo articolo, ossia quali sono gli orari in cui il cane può abbaiare, vediamo piuttosto a quali pene si va incontro.

Se il cane disturba molte persone (il vicinato, i residenti del quartiere o gran parte dei condomini dello stabile) si configura il reato di disturbo della quiete pubblica. Tale reato è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a

€ 309 (il colpevole però può essere ammesso a pagare, prima dell’apertura del dibattimento, ovvero prima del decreto di condanna, una somma corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento).

Si tratta di un reato procedibile d’ufficio, per cui non è necessaria una querela ma basta una semplice segnalazione o la denuncia da parte di uno solo degli abitanti della zona. I carabinieri o la polizia potranno intervenire e, se c’è anche l’autorizzazione del tribunale, potranno provvedere al sequestro preventivo del cane quando vi è pericolo di reiterazione del reato (si pensi al caso di un padrone costretto ad assentarsi tutte le sere per il lavoro e a lasciare il cane sul balcone a lamentarsi).

Dice la Cassazione in merito [2]:

«Gli animali sono considerati “cose”, assimilabili – secondo i principi civilistici – alle res, anche ai fini della legge processuale, e, pertanto, ricorrendone i presupposti, possono costituire oggetto di sequestro preventivo».

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Se invece il latrato del cane arriva solo a poche famiglie (ad esempio il dirimpettaio o i condomini del piano di sopra e di sotto) siamo in presenza di un semplice illecito civile. In questa ipotesi non si può procedere alla denuncia, né i carabinieri e la polizia sono competenti (né tantomeno il Comune o l’Asl). Bisogna allora, tramite un avvocato, ricorrere in tribunale affinché il giudice, d’urgenza, ordini al padrone di adottare le misure necessarie – ivi compresa l’insonorizzazione dell’appartamento – ad evitare le molestie acustiche. Con una causa ordinaria si può anche chiedere il risarcimento a patto di dimostrare il danno subito.

In un recente caso, la Cassazione [3] ha condannato ad un mese di reclusione il padrone di un cane a causa delle deposizioni rilasciate dagli abitanti dei palazzi intorno. Significative erano state anche le ripetute segnalazioni ricevute dalla Polizia municipale. Proprio i vigili urbani avevano provato a convincere l’uomo a porre rimedio al problema, invito rimasto senza effetti. I giudici hanno rilevato, dalle prove fornite in giudizio, che il cane abbaiava troppo spesso, di giorno e di notte. E per il padrone, che aveva ignorato le lamentele dei vicini di casa, è scattata la condanna penale per il reato di «disturbo della quiete pubblica».

Unica, piccola soddisfazione per l’uomo il fatto che in secondo grado gli sia stata riconosciuta «la sospensione condizionale della pena», fissata «in un mese di arresto».

Orari in cui il cane può abbaiare

Non esiste alcuna legge – né mai potrà esistere un regolamento comunale – che stabilisca in quali orari un cane può abbaiare, proprio perché gli animali non sono destinatari delle norme giuridiche. Lo sono i loro padroni ai quali può essere pertanto imposto di limitare i rumori (qualsiasi essi siano) in determinate fasce della giornata.

Regolamenti di condominio

Il vincolo deriva di solito dal regolamento di condominio. La prima cosa da fare è quindi prendere in mano questo documento e verificare se vengono fissate fasce orarie in cui è necessario osservare il massimo silenzio. In questo caso il limite previsto dalla legge della “normale tollerabilità” viene ulteriormente abbassato dal regolamento. Questo non significa che “non deve volare una mosca” ma che la valutazione della sopportazione dei rumori è effettuata con maggiore severità.

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Nell’intento di prevenire le liti di cui sopra è frequente che nei regolamenti di condominio sia espressamente vietata la detenzione di animali negli appartamenti e nelle pertinenze degli stessi: in tali casi l’amministratore è legittimato ad agire senza ottenere preventiva autorizzazione dell’assemblea per far rispettare la norma regolamentare. Tale divieto, però, non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali approvati a maggioranza, ma solo in quelli all’unanimità.

È quindi valido e vincolante il divieto previsto da una norma voluta dalla totalità dei condomini in sede di approvazione del regolamento assembleare o contenuta in un regolamento predisposto dall’originario unico proprietario o costruttore dello stabile condominiale e richiamato in ogni singolo atto di trasferimento dal compratore, il quale, in tal modo, manifesta in maniera inequivoca la volontà di accettarne tutte le norme, compresa quella in questione.

Tali clausole che limitano i diritti dei singoli condomini, tra cui rientrano quelle che impediscono la detenzione di animali, purché siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, nell’atto di acquisto, si sia fatto riferimento al regolamento di condominio. Non è necessario, quindi, che l’atto di acquisto dell’immobile riporti per esteso il regolamento condominiale, ma è sufficiente che venga in esso richiamato di modo che le sue clausole rientrino nel contenuto dei singoli contratti d’acquisto.

Regolamenti comunali

Anche i regolamenti comunali potrebbero stabilire ulteriori limiti e divieti per determinate zone cittadine, come ad esempio quelle del centro storico o quelle residenziali.

I regolamenti comunali spesso contengono l’espresso divieto di tenere nelle abitazioni animali da cortile, numerosi cani e gatti e altri animali o stabiliscono che nei giardini o simili possono essere tenuti animali da cortile, previo nulla osta rilasciato dal competente ufficio comunale, il quale deve valutare se la zona, l’ubicazione e i mezzi a ciò destinati risultino idonei e soprattutto che gli animali non rechino molestie al vicinato.

Talvolta si specifica che nei centri abitati del Comune è proibita la detenzione nelle abitazioni, negli stabilimenti, negli uffici, nei magazzini, nei negozi, nei cortili e nelle cantine di cani o altri animali che arrechino disturbo alla pubblica quiete con insistenti latrati e guaiti, o, in altro modo, specialmente durante la notte presentino

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pericolo per la pubblica incolumità, per l’ordine e il decoro. Inoltre si aggiunge che gli agenti comunali sono incaricati, oltreché di accertare le contravvenzioni a carico dei proprietari o detentori di animali suddetti, di diffidarli ad allontanare gli animali stessi o a metterli in condizioni di non disturbare. Se, malgrado la diffida, il disturbo continua a verificarsi, il sindaco può ordinare il sequestro degli animali e il loro ricovero a spese del contravventore.

Quello che stabilisce il giudice

Come detto, c’è infine – e sopra tutto – la valutazione del giudice che è tenuto a considerare la normale tollerabilità come criterio guida. Questa va attuata secondo gli usi e le consuetudini delle persone medie. Sicché è ipotizzabile ritenere che, nelle fasce orarie che vanno dalle 10 di sera alle 7 di mattina vi sia l’obbligo di rispettare il massimo silenzio. In altri termini si può perdonare un cane che abbaia per dieci minuti di seguito a mezzogiorno, ma non anche a mezzanotte.

Dice la Cassazione:

«In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, l’effettiva idoneità delle emissioni sonore ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone costituisce un accertamento di fatto rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, il quale non è tenuto a basarsi esclusivamente sull’espletamento di specifiche indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su altri elementi probatori in grado di dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete (riconosciuta la responsabilità della proprietaria di due cani, che erano soliti abbaiare di giorno e di notte, con grande frequenza, in modo da disturbare il sonno, reso assai difficoltoso, e recare evidente disturbo al riposo degli abitanti nelle immediate adiacenze)» [4].

Il che significa che le prove dell’intollerabilità del rumore non devono essere necessariamente basate sui fonometri e sul calcolo dei decibel: bastano anche le testimonianze dei vicini di casa che confermano il fatto di non aver potuto dormire.

L’obbligo di far smettere il cane di abbaiare cade sicuramente sul padrone, il quale non potrà scusarsi dicendo di aver redarguito l’animale. È suo dovere fare di tutto, anche lasciare entrare l’animale e accarezzarlo finché non si rabbonisce.

Dice a riguardo la Cassazione [5]:

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«Il reato di cui all’articolo 659 del Cp è ravvisabile anche in relazione all’abbaiare dei cani, poiché la norma incriminatrice impone ai padroni degli animali di

“impedirne lo strepito”, senza che possa essere invocato, in senso contrario, un

“istinto insopprimibile” ad abbaiare dell’animale per sostenere l’insussistenza del reato».

Questo significa che il proprietario di un appartamento può detenere uno o più animali purché le loro condizioni igieniche non siano tali da provocare esalazioni maleodoranti che oggettivamente, avendo riguardo alla reattività dell’uomo medio, risultino insopportabili.

Naturalmente colui che tiene un animale in casa deve anche evitare che i vicini siano disturbati da rumori molesti: il discorso riguarda il cane che lasciato solo sul terrazzo dell’abitazione o in un giardino provoca gravi fastidi a causa di continui latrati.

Che fare se il cane del vicino abbaia

In tutti i casi in cui gli animali producono rumori molesti insopportabili o, per lo stato di degrado in cui vivono, producono esalazioni illegittime, gli altri condomini o vicini residenti negli edifici circostanti possono rivolgersi:

ai carabinieri o alla polizia se ci sono i presupposti del reato, ossia se viene disturbato un numero indeterminato di persone;

al giudice civile, negli altri casi, per richiedere la cessazione di quanto sopra.

Spesso, prima o contemporaneamente all’azione ordinaria innanzi al giudice, viene chiesto anche un provvedimento d’urgenza per far cessare immediatamente i rumori o gli odori intollerabili.

Il ricorso al provvedimento d’urgenza deve essere adeguatamente motivato e provato sia allegando consulenze di parte sia tutte le testimonianze possibili.

In ogni caso sia nell’ipotesi di provvedimento d’urgenza, sia nella causa ordinaria, il giudice nominerà un consulente tecnico d’ufficio per le opportune indagini.

Se l’esistenza delle immissioni illegittime risulterà accertata, il giudice adotterà le necessarie misure per far cessare i rumori e/o odori molesti (compreso

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l’allontanamento del cane ed il suo affidamento al canile municipale), condannando il proprietario dell’animale al risarcimento degli eventuali danni (danno biologico per l’ansia e stress provocati dal rumore accertabili in sede medica; danno morale).

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Note

[1] Art. 844 cod. civ. [2] Cass. sent. n. 54531/16. [3] Cass. sent. n. 5800/2019. [4]

Cass. sent. n. 5613/2016. [5] Cass. sent. n. 54531/2016.

Sentenza

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 29 novembre 2018 – 6 febbraio 2019, n. 5800 Presidente Cervadoro – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 19/1/2018, la Corte di appello di Firenze, in riforma della

pronuncia emessa il 14/6/2016 dal locale Tribunale, concedeva a E.B. la sospensione condizionale della pena di un mese di arresto, allo stesso comminata

con riguardo alla contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen. 2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi: - inosservanza o erronea applicazione della norma contestata; difetto di

logicità e carenza motivazionale. La Corte di appello avrebbe confermato la responsabilità del ricorrente pur in assenza dei caratteri tipici della contravvenzione in oggetto, per come costantemente individuati dalla giurisprudenza di legittimità; in particolare, il disturbo arrecato sarebbe stato

riferito soltanto da testimoni abitanti nel medesimo immobile od in altro immediatamente contiguo, per di più con argomenti così poco significativi da indurre il Collegio ad avvalersi di astratte nozioni di esperienza comune, come

quella che vorrebbe elevato l’abbaiare di un cane di grossa taglia. Quel che, peraltro, non corrisponderebbe all’animale in oggetto, che l’istruttoria avrebbe accertato esser di taglia media; - inosservanza od erronea applicazione degli artt.

132 e 133 cod. pen.; difetto di logicità e carenza motivazionale. La pena irrogata – pari ad un mese di arresto, ossia il “600% del minimo edittale” – risulterebbe eccessiva rispetto alla gravità del fatto, tale da non destare alcun allarme sociale;

nessun argomento, inoltre, sosterebbe la scelta della sanzione detentiva in luogo di quella pecuniaria, sanzione peraltro applicata in assenza di un’effettiva motivazione. Si chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza. Considerato in diritto Preliminarmente si osserva che la presente motivazione è redatta in forma

semplificata, ai sensi del decreto n. 68 del 28/4/2016 del Primo Presidente di

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questa Corte. 3. Il ricorso risulta manifestamente infondato. Con riguardo alla prima doglianza, in punto di responsabilità, osserva il Collegio che la sentenza

impugnata – con argomento fondato su riscontri istruttori e privo dei vizi denunciati – ha ritenuto provato un decisivo elemento in fatto, ossia che il cane del B. fosse solito abbaiare ripetutamente, a qualsiasi ora, di giorno e di notte, recando disturbo a numerosi soggetti che abitavano nei dintorni dell’abitazione; quel che la

Corte di appello ha tratto da diverse deposizioni assunte, alcune delle quali provenienti da condomini del ricorrente ed altre da soggetti estranei al medesimo

immobile, come i testi L. e C. (e senza che si possa, in questa sede, valutare l’eventuale vicinanza delle loro abitazioni al medesimo immobile, come invero sollecitato dal ricorso). A tale elemento, poi, la sentenza ne ha aggiunto un altro, di

sicuro rilievo probatorio, quale le lamentele che gli stessi abitanti della zona avevano ripetutamente rivolto alla Polizia municipale, sempre con riguardo all’abbaiare del cane del B., tali da sollecitare i vari accessi al condominio eseguiti

dalla stessa Polizia locale. Da ultimo, ma proprio quale elemento meramente ad colorandum, la sentenza ha evocato un dato di comune esperienza, quale la notevole “diffusività” (nello spazio) dell’abbaiare di un cane di grosse dimensioni;

considerazione che il ricorso tende a contestare evocando la taglia media dell’animale, e così inserendo un dato fattuale che questa Corte non è ammessa a

valutare. 4. In forza delle considerazioni che precedono, ecco dunque che il Collegio di appello – come già il Tribunale – ha fatto buon governo: a) del costante principio secondo cui l’affermazione di responsabilità per la fattispecie de qua non

implica, attesa la natura di reato di pericolo presunto, la prova dell’effettivo disturbo di più persone, essendo sufficiente l’idoneità della condotta a disturbarne un numero indeterminato (per tutte, Sez. 3, n. 8351 del 24/6/2014, RV. 262510); 2)

dell’ulteriore principio, del pari consolidato, per cui l’attitudine dei rumori ad arrecare pregiudizio al riposo od alle occupazioni delle persone non va necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica, di tal ché il Giudice ben può fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche

e gli effetti dei rumori percepiti, sì che risulti oggettivamente superata la soglia della normale tollerabilità (per tutte, Sez. 3, n. 11031 del 5/2/2015, RV. 263433); 3)

della piena attendibilità delle deposizioni assunte, invero non contestata con argomenti concreti neppure nel presente ricorso. Sì da risultare – la pronuncia di condanna – coerente con la costante giurisprudenza in materia ed insuscettibile di

censura. 5. Alle medesime conclusioni, poi, perviene la Corte quanto alla seconda doglianza, in ordine al trattamento sanzionatorio. La sentenza impugnata, nel confermare la decisione del primo Giudice, ha infatti motivato l’entità della pena – e, innanzitutto, la sua natura detentiva – con un adeguato percorso argomentativo, sottolineando il ripetersi delle molestie e “la noncuranza con la quale l’imputato ha

reagito ai richiami della Polizia municipale”; quanto precede, peraltro,

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evidenziando che la pena di un mese di arresto è molto più prossima al minimo che al massimo edittale di cui all’art. 659 cod. pen. 6. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte Costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi

per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria

dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000. P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000 in favore della Cassa delle ammende.

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