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Ricerca e sviluppo: credito d imposta in F24 senza alcun limite di importo

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24 Giugno 2015

Ruolo del revisore contabile

Ricerca e sviluppo: credito d’imposta in F24 senza alcun limite di importo

Il credito di imposta per ricerca e sviluppo dribbla i limiti di utilizzo e potrà essere inserito in F24 senza alcun tetto all’importo annuo. L’automatismo dell’agevolazione, per il quale non sarà necessario inviare una domanda preventiva, mette in gioco il ruolo del professionista contabile che dovrà attestare il sostenimento effettivo delle spese con una certificazione da allegare al bilancio. Distinguere tra attività routinarie e di ricerca e sviluppo rimarrà in capo all’impresa e al revisore, ma sarà opportuno rivolgersi ad un tecnico esperto esterno che avvalori la posizione.

di Roberto Lenzi

Il credito d’imposta per ricerca & sviluppo potrà essere utilizzato in F24 senza alcun limite di importo.

E’ questo l’aspetto più interessante in tema di fruizione del credito di imposta per R&S previsto dalla Legge di stabilità 2015 all'articolo 1 comma 35.

Il comma 9 della Legge di Stabilità stabilisce che il credito d'imposta non è soggetto al limite dei 700 mila euro annui, definito nell'articolo 34 della legge 23 dicembre 2000, n. 388.

Inoltre l'agevolazione non è soggetta al limite di 250 mila annui per crediti d'imposta da indicare nel quadro RU della dichiarazione dei redditi, come previsto all'articolo 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

Fondamentale sarà il ruolo del revisore contabile che dovrà attestare le spese sostenute in R&S per le quali è richiesto il beneficio.

Fruizione in F24

Per ciò che riguarda la modalità di fruizione del credito d'imposta, rispetto alle precedenti versioni dell’agevolazione, non è più previsto l'obbligo di presentazione di un'istanza telematica, in quanto l’incentivo spetta in maniera

automatica.

Il credito d’imposta, per il quale non è quindi prevista alcuna procedura di autorizzazione preventiva, è utilizzabile esclusivamente in compensazione con modello F24.

Questo significa che il bonus permette di ridurre i versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali.

L’utilizzo è autorizzato a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in cui i costi sono stati sostenuti, pertanto, in caso di sostenimento dei costi nel periodo d’imposta 2015, il credito può essere utilizzato in compensazione a partire dal 2016.

L’agevolazione non concorre alla formazione del reddito, né della base imponibile dell'imposta regionale sulle attività produttive.

Controlli dell'Agenzia delle entrate

La normativa specifica che qualora a seguito dei controlli venga accertata l'indebita fruizione del credito d'imposta, anche parziale, per il mancato rispetto delle condizioni richieste ovvero a causa dell'inammissibilità dei costi sulla base dei quali è stato determinato l'importo fruito, l'Agenzia delle entrate provvede al recupero del relativo importo,

maggiorato di interessi e sanzioni.

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I controlli sono svolti sulla base di apposita documentazione contabile certificata dal soggetto incaricato della revisione legale o dal collegio sindacale o da un professionista iscritto nel Registro dei revisori legali.

La certificazione deve essere allegata al bilancio.

Le imprese non soggette a revisione legale dei conti e prive di un collegio sindacale devono comunque avvalersi della certificazione di un revisore legale dei conti o di una società di revisione legale dei conti iscritti quali attivi nel registro apposito.

Il revisore legale dei conti o il professionista responsabile della revisione legale dei conti, nell'assunzione dell'incarico, osserva i principi di indipendenza ed obiettività elaborati da associazioni e ordini professionali e approvati dal Ministero dell'Economia e delle finanze, e, in attesa della loro emanazione, quelli previsti dal codice etico dell'International Federation of Accountants (IFAC).

Le spese sostenute per l'attività di certificazione contabile da parte delle imprese sono ammissibili entro il limite massimo di 5 mila euro.

Le imprese con bilancio certificato sono esenti dall'obbligo di presentazione della certificazione.

Il ruolo dei professionisti

Nei confronti del revisore legale dei conti o del professionista responsabile della revisione legale dei conti che incorre in colpa grave nell'esecuzione degli atti che gli sono richiesti per il rilascio della certificazione sono applicate le

disposizioni del Codice di procedura civile secondo il quale il consulente tecnico è punito con l'arresto fino a un anno o con l'ammenda fino a diecimilatrecentoventinove euro.

In ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti.

Questo aspetto suggerisce, a maggior tutela del professionista e dell’impresa, di rivolgersi anche ad esperti nelle diverse discipline scientifiche che possano confermare che l’attività svolta è effettivamente riconducibile ad attività di ricerca e sviluppo; anche se non previsto dalla norma, un documento aggiuntivo di un esperto che avvalora questa posizione, non solo quindi dal punto di vista contabile, rende più forte la posizione della pratica in caso di futuri controlli.

Credito d’imposta incrementale

Il credito d’imposta è riconosciuto “a tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico in cui operano e dal regime contabile adottato” che effettuino investimenti in attività di ricerca e sviluppo a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2019.

Per le imprese neocostituite si prende come riferimento il minor periodo decorrente dalla data della costituzione.

L'agevolazione è riconosciuta nella misura del 25% degli incrementi annuali di spesa nelle attività di ricerca e sviluppo rispetto alla media dei 3 periodi d'imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2015, sempreché siano sostenute spese per attività di ricerca e sviluppo pari ad almeno 30 mila euro in ciascuno dei periodi d'imposta.

Tuttavia, per alcune spese l’incentivo è del 50% per il personale altamente qualificato impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo e per contratti di ricerca stipulati con università, enti di ricerca ed organismi equiparati, e con altre imprese comprese le start-up innovative.

Decreto attuativo per il credito d'imposta

Il decreto attuativo per il credito d’imposta per investimenti in Ricerca e Sviluppo previsto nella Legge Stabilità 2015 adotta le disposizioni applicative necessarie, nonchè le modalità di verifica e controllo dell'effettività delle spese

sostenute, le cause di decadenza e revoca del beneficio, le modalità di restituzione del credito d'imposta di cui l'impresa ha fruito indebitamente.

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La nota di lettura dell’IFEL

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D.L. Enti locali: proroga riscossione al 31 dicembre 2015

Tra le disposizioni dettate dal D.L. Enti locali n. 78/2015, l’art 7 prevede l’estensione anche alla TARES della facoltà di affidamento dei controlli al soggetto gestore del servizio rifiuti e la proroga al 31 dicembre 2015 del termine sulla riscossione, in attesa del riordino del sistema della riscossione locale, previsto dalla legge delega fiscale n.

23/2014. In particolare viene differito al 31 dicembre 2015 il termine entro cui Equitalia, le società dalla stessa partecipate e Riscossione Sicilia S.p.a. cessano di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei Comuni e delle società da essi partecipate.

Nella Gazzetta ufficiale 20 giugno 2015, è stato pubblicato il D.L. 19 giugno 2015, n. 78 (decreto Enti locali).

L’IFEL fornisce una prima nota di lettura del decreto, che contiene novità di rilievo per i Comuni (nuovi criteri di riparto degli obiettivi finanziari 2015, rifinanziamento parziale del Fondo IMU/TASI, istituzione della ZFU Emilia, etc.).

Tra le diverse disposizioni esaminate dall’IFEL nella nota del 23 giugno 2015, si segnala in particolare:

- l’estensione dei termini di gestione dei controlli TARES in caso di affidamento a soggetti terzi, quali il gestore del servizio rifiuti o il concessionario delle entrate (art. 7, comma 4);

Il comma 4 integra il contenuto dell’art. 1, comma 691, della legge di Stabilità 2014, estendendo anche alla TARES la facoltà di affidamento dei controlli al soggetto gestore del servizio rifiuti.

Il D.L. n. 201/2011 dava ai Comuni la possibilità di affidare “fino al 31 dicembre 2013” la gestione del tributo ai soggetti che alla data del 31 dicembre, svolgevano, anche disgiuntamente, il servizio di gestione dei rifiuti e di accertamento e riscossione della TARSU, della TIA 1 e della TIA 2.

Molti comuni già in TIA hanno ritenuto di affidare in prima battuta ai gestori dei rifiuti la sola riscossione ordinaria, e non l’attività di accertamento. Ora, la legge di Stabilità 2014 prevede la possibilità di affidare al gestore in essere al 31 dicembre 2013 sia l’attività di riscossione sia quella di accertamento della sola TARI, “fino alla scadenza del relativo contratto”.

Si è venuto a creare, quindi, un vuoto normativo, relativamente all’attività di accertamento TARES 2013, che i Comuni dovrebbero effettuare direttamente o affidare ad un soggetto terzo, iscritto all’albo dei concessionari. Il gestore dei rifiuti può infatti effettuare attività di accertamento per la TIA 1 e TIA 2 ed anche per la TARI, ma non per la TARES, con evidenti problemi applicativi e rischi di inefficienza, perché le informazioni necessarie all’attività di accertamento (riscossioni e dichiarazioni) sono in possesso del gestore, il quale le dovrebbe trasferire ad altro soggetto per l’emissione di atti di accertamento per un solo anno. Quest’ultimo soggetto poi dovrebbe ritrasferire le informazioni relative agli accertamenti emessi al gestore TARI, visto che il comma 686 della legge n. 147/2013, mantiene ferma ai fini TARI l’efficacia degli accertamenti emessi per la TARES.

- la proroga del termine sulla riscossione al 31 dicembre 2015 (art. 7, comma 7);

In attesa del riordino del sistema della riscossione locale, previsto dalla legge delega fiscale, il D.L. Enti locali proroga al 31 dicembre 2015 l’operatività dell’attuale assetto della gestione della riscossione delle entrate locali in scadenza al 30 giugno 2015. In particolare differisce al 31 dicembre 2015:

- il termine entro cui la società Equitalia, nonché le società per azioni dalla stessa partecipate e la società

Riscossione Sicilia S.p.a. cessano di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei Comuni e delle società da essi partecipate;

- il termine fino al quale le società cessionarie di rami d'azienda relativi ad attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali, possono continuare a gestire dette attività;

- il termine fino al quale le medesime attività, nei casi in cui non si sia proceduto alla cessione dei rami aziendali, sono gestite da Equitalia (ex Riscossione S.p.a), o dalle società da essa partecipate nonché il termine fino al quale possono essere prorogati i contratti in essere con le società iscritte all’albo ex art. 53, D.L. n. 446/1997;

- il termine a decorrere dal quale le stesse società possono svolgere l’attività di riscossione, spontanea o coattiva, delle entrate degli enti pubblici territoriali, nonché le altre attività strumentali, soltanto a seguito di affidamento mediante procedure ad evidenza pubblica.

L’assetto della riscossione locale, in particolare coattiva, dovrà essere oggetto di un auspicabile organico intervento normativo, in termini sia di riorganizzazione dell’offerta (riordino disciplina riscossori privati, ruolo di Equitalia), sia di revisione delle procedure della riscossione - in particolare coattiva - anche in attuazione della delega fiscale.

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- l’estensione ai consorzi dei benefici fiscali già previsti in caso di scioglimento di società comunali, di cui al comma 568-bis della legge di Stabilità 2014 (art. 7, comma 8)

- la possibilità di contabilizzare le quote inesigibili da prelievo sui rifiuti nel Piano finanziario rifiuti (e quindi nel computo delle tariffe TARI), anche con riferimento ai diversi prelievi succedutisi negli ultimi anni (TARSU-TIA-TARES-TARI) (art. 7, comma 9);

Il comma 9 aggiunge un il comma 654-bis alla legge di Stabilità 2014, il quale prevede che tra le componenti di costo della TARI vanno considerati anche gli eventuali mancati ricavi da crediti risultanti inesigibili con riferimento alla TIA 1, alla TIA 2 nonché alla TARES.

- il rinnovo delle procedure per lo smaltimento dei debiti pregressi (art. 8)

Viene rinnovato l’intervento relativo all’erogazione di liquidità già attivato con il D.L. n. 35 del 2013, con riferimento ai debiti commerciali pregressi maturati al 31 dicembre 2014.

Sono destinati 850 milioni di euro per l’erogazione di liquidità finalizzata al pagamento di debiti commerciali pregressi, non necessariamente di parte capitale. I debiti in questione comprendono fatture scadute o documenti equivalenti, nonché debiti fuori bilancio che presentavano i requisiti per il riconoscimento al 31 dicembre 2014 anche se

riconosciuti successivamente. Sono inoltre compresi i debiti contenuti nei piani di riequilibrio finanziario pluriennale ex art. 243-bis TUEL.

Possono accedere alle erogazioni gli enti che abbiano certificato alla Cdp l’avvenuto pagamento per almeno il 75% dei debiti e che abbiano effettuato le registrazioni contabili relative alle anticipazioni di liquidità ricevute precedentemente.

Il comma 5 esclude dai vincoli finanziari regionali i trasferimenti in conto residui da erogare agli enti locali “sottoposti a patto di stabilità”, producendo un potenziale beneficio in termini di facilitazione delle erogazioni pregresse delle Regioni a favore dei Comuni e delle Province.

Non è ancora chiaro se in fase attuativa potrà essere considerata la possibilità di utilizzo di parte dei fondi disponibili anche per enti in disavanzo da nuova contabilità e che registrino necessità di anticipazioni di cassa.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata IFEL, nota 23/06/2015

Reddito d’impresa

La società che vende l’immobile di interesse storico e artistico

Risposte a quesiti su casi pratici di attualità e di interesse generale

Per la società che vende a terzi l’immobile di interesse storico e artistico per il quale sussiste il diritto di prelazione da parte della pubblica amministrazione, il corrispettivo della cessione si intende conseguito al momento della stipulazione dell’atto e non a quello successivo in cui sono scaduti i termini per esercitare il diritto stesso dall’amministrazione interessata.

D. Una società, dopo aver effettuato il restauro di un immobile di interesse storico e artistico di sua proprietà, ha stipulato un contratto di vendita con un’impresa immobiliare nel mese di novembre 2014. Poiché per l’immobile sussiste il diritto di prelazione sulla vendita a favore della pubblica amministrazione ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, la società ha provveduto alla relativa denuncia di trasferimento dello stesso entro 30 giorni. Il termine finale per l’esercizio del diritto di prelazione da parte della pubblica amministrazione è venuto a scadere nel 2015.

La questione che si pone, in base alle regole del reddito d’impresa, è se l’esercizio di competenza in cui si considera conseguito il relativo corrispettivo da parte della società cedente sia l’anno 2014 (in cui è stato stipulato l’atto di vendita) ovvero il 2015 (anno del mancato esercizio del diritto di prelazione e, quindi, del venir meno della condizione

sospensiva).

R. Per le cessioni di immobili di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico, bibliografico nonché di interesse paesaggistico è previsto il diritto di prelazione a favore dello Stato e degli altri enti territoriali

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interessati e, pertanto, il contratto di vendita deve essere denunciato entro 30 giorni dalla stipula dell’atto. Il diritto di prelazione deve essere esercitato entro 60 giorni dalla ricezione, da parte della pubblica amministrazione, della denuncia anzidetta, trascorsi i quali la vendita a terzi si intende perfezionata (cfr.: articoli 59 e 61, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42).

In pendenza del termine per l’esercizio del diritto di prelazione, l’atto di compravendita risulta gravato, per espressa previsione di legge e fino alla scadenza del termine per l’esercizio del diritto medesimo, da una condizione sospensiva degli effetti negoziali.

Ai sensi dell’art. 1353 del codice civile, infatti, la condizione sospensiva è una disposizione che fa dipendere l’efficacia o la risoluzione del contratto dal verificarsi di un evento futuro e incerto.

Nel caso rappresentato trattasi, appunto, di condizione sospensiva in quanto sospende l’efficacia dell’atto di vendita.

In base alle regole del reddito d’impresa, ai fini dell’individuazione dell’esercizio di competenza dei corrispettivi conseguiti per le cessioni di beni immobili o delle spese sostenute per l’acquisto degli stessi, rileva la data della stipulazione dell’atto di compravendita ovvero, se diversa e successiva, la data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale. Non si tiene conto delle clausole di riserva della proprietà (cfr.: art.109, comma 2, lettera a), D.P.R.

22 dicembre 1986, n. 917).

Tenuto conto delle previsioni recate dalla richiamata norma fiscale si osserva che, in forza dell’art. 1360 del codice civile, gli effetti dell’avveramento della condizione retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto salvo che, per volontà delle parti o per la natura del rapporto, gli effetti del contratto o della risoluzione debbano essere riportati a un momento diverso.

In merito al coordinamento e all’interpretazione congiunta della norma civilistica e di quella fiscale sopra citate, si fa riferimento alla risoluzione n. 28/E del 5 febbraio 2003 avente ad oggetto il credito d’imposta per gli investimenti nelle aree svantaggiate, nel particolare caso in cui l’investimento relativo all’acquisto di un immobile strumentale è stato sottoposto a condizione sospensiva.

In tale sede l’Agenzia delle entrate ha affermato che, ai fini della determinazione del momento in cui l’investimento assume rilevanza per fruire del credito d’imposta (ossia, per l’individuazione del momento in cui l’acquisto dell’immobile si intende effettuato), “l’apposizione di condizioni sospensive risulta ininfluente poiché non incide sugli eventi di cui all’art.

75 (attuale art. 109) del T.U.I.R”.

In sostanza la condizione sospensiva non incide sugli effetti traslativi del contratto di compravendita cui si riferisce l’art.

109, comma 2, lettera a) del T.U.I.R, i quali, pertanto, a norma dell’art. 1360 del codice civile, retroagiscono al momento della conclusione del contratto medesimo.

Le conclusioni cui è pervenuto il menzionato documento di prassi concernenti i costi d’impresa sostenuti per l’acquisto di immobili valgono anche per i corrispettivi derivanti dalla loro vendita, considerato che, a norma del citato art. 109, questi ultimi seguono gli stessi criteri di competenza.

A nostro avviso il medesimo trattamento fiscale si rende applicabile anche nel caso in esame in cui la sospensione degli effetti del contratto è stabilita con disposizione legislativa (condicio iuris).

In relazione a quanto sopra esposto si ritiene che il ricavo derivante dalla cessione dell’immobile sia imputabile al periodo d’imposta in cui è stato stipulato il contratto di compravendita (anno 2014).

di Eleuterio Lancia

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Tributi locali

Ravvedimento “sprint”: imminente la scadenza per TASI ed IMU

Scade il prossimo 30 giugno la possibilità di regolarizzare omissioni o pagamenti parziali per Imu e Tasi 2015 utilizzando il cd. “ravvedimento breve o sprint”.

di Carmen Miglino

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Il prossimo 30 giugno è l’ultima data utile per regolarizzare omissioni o parziali pagamenti dei tributi locali 2015; trattasi del ravvedimento breve o sprint, introdotto dalla legge di Stabilità per il 2015, che consente al contribuente di sanare la propria situazione versando l'imposta dovuta entro 14 giorni dalla scadenza con una sanzione dello 0,2% giornaliero del valore dell'imposta più interessi giornalieri calcolati sul tasso di riferimento annuale. Inoltre, entro la stessa data, il contribuente potrà regolarizzare con il ravvedimento operoso (lungo) l’omesso o insufficiente versamento dell’Imu o della Tasi per il 2014, in acconto o in saldo, scaduto lo scorso anno.

Il ravvedimento lungo per l’Imu e la Tasi, infatti, scade con il «termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione» e non «entro un anno dall’omissione» del pagamento.

Questa la posizione espressa dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 23/E/2015, che ha superato la tesi contenuta nella nota Ifel (Fondazione Anci) del 19 gennaio 2015, che, invece, escludeva la natura periodica delle dichiarazioni per Imu e Tasi, ritenendo che i termini delle varie percentuali dei ravvedimenti operosi dovessero decorrere dal momento della scadenza di pagamento del tributo, in acconto o in saldo.

Il ravvedimento lungo, infatti, dove la sanzione ordinaria del 30% viene ridotta al 3,75%, può essere effettuato entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione, solo se è prevista la dichiarazione periodica, altrimenti entro un anno dall’omissione o dall’errore.

Altra questione è la regolarizzazione del codice tributo o del periodo di riferimento errati, laddove il modello F24, sia già stato presentato; in questi casi l’errore può essere corretto mediante un’istanza di rettifica del modello redatta in carta libera, corredata della copia del modello F24 errato e contenente gli elementi necessari per consentire la correzione dell’errore. Trattasi di una violazione formale, non sanzionabile. Queste regole valgono anche se vengono effettuati errori nella compilazione dei righi del modello F24 per pagare i tributi locali, come l’Imu e la Tasi.

In questi casi, possono essere oggetto di rettifica: il codice tributo; il codice catastale del Comune ove è situato l’immobile; l’anno di riferimento; il numero degli immobili o il riferimento al saldo o all’acconto. La correzione dei codici tributo va richiesta al Comune interessato dalla modifica. Anche se è stata errata la ripartizione dell’Imu tra la quota di tributo spettante allo Stato e quella del Comune (fabbricati D), l’istanza va presentata solo al Comune e spetta all’ente locale e allo Stato il compito di effettuare le relative regolazioni. Se, invece, l’errore riguarda il codice catastale del Comune ove è situato l’immobile, per rimediare è necessario presentare la comunicazione a entrambi i Comuni interessati. In definitiva, chi intende regolarizzare omissioni e parziali pagamenti dei tributi locali, potrà avvalersi dell’istituto del ravvedimento, nelle sue differenti applicazioni, quali:

-

il ravvedimento sprint, possibile dal 17.06.2015 al 30.06.2015, che consente di fruire di una sanzione ridotta dello 0,2

% al giorno, pari a 1/15 della sanzione base del 30%;

-

il ravvedimento breve, possibile dal 01.07.2015 al 16.07.2015, che consente di fruire di una sanzione ridotta del 3%, pari a 1/10 della sanzione base del 30%;

-

il ravvedimento medio, possibile dal 17.07.2015 al 14.09.2015, che consente di fruire di una sanzione ridotta del 3,3%, pari a 1/9 della sanzione base del 30% ;

-

il ravvedimento lungo, possibile fino al 30.06.2016, che consente di fruire di una sanzione ridotta del 3,75%, pari a 1/8 della sanzione base del 30%.

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Accertamento

Accertamento induttivo: comportamento antieconomico

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E’ legittimo il ricorso all’accertamento induttivo da parte dell’Amministrazione finanziaria nel caso in cui si riscontri un comportamento antieconomico da parte del contribuente che è quindi tenuto a fornire spiegazioni. Questo è quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 9722 del 13 maggio 2015.

Deve ritenersi sussistente quella grave incongruenza idonea a fondare l’accertamento induttivo, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare, quando l’Ufficio contesti l’antieconomicità della gestione di una società, sulla base della percentuale di ricarico praticata, che ha determinato perdite o guadagni minimi negli anni immediatamente precedenti a quello oggetto di accertamento ed una minima redditività anche per l’annualità controllata.

Peraltro, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di un comportamento posto in essere dal contribuente, poiché contrario ai canoni dell’economia, incombe su quest’ultimo l’onere di fornire, al riguardo, le necessarie spiegazioni, essendo, in difetto, pienamente legittimo il ricorso all’accertamento induttivo da parte dell’Amministrazione finanziaria.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Corte di Cassazione, sentenza 13/05/2015, n. 9722

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