Ex moglie convive con un altro: ha diritto al mantenimento?
Autore: Redazione | 08/09/2020
Quando il coniuge perde il diritto al mantenimento: il caso dell’inizio della convivenza prima e dopo la sentenza di divorzio.
Quando marito e moglie si separano o divorziano, di solito è il primo a versare il mantenimento alla seconda. Non perché lo preveda la legge. La legge dice solo
che chi ha il reddito più elevato deve pagare gli alimenti all’altro. Il fatto è che, nella stragrande maggioranza dei casi, in Italia il reddito più alto ce l’ha sempre l’uomo.
Il marito può, però, esonerarsi da tale obbligo solo se ricorre una delle seguenti cause: a) se la colpa per lo scioglimento della convivenza è della moglie, che ha violato una delle regole del matrimonio (ad esempio, l’obbligo di fedeltà, il dovere di non andare via di casa senza una valida ragione, l’assistenza materiale e morale, ecc.); b) se la donna non dimostra di essere disoccupata per causa indipendente alla propria volontà (ad esempio, perché troppo anziana, malata o per essersi da sempre dedicata solo alla famiglia); c) se la donna è andata a convivere con un altro uomo.
Su questo terzo punto, la Cassazione si è più volte espressa, da ultimo con una interessante ordinanza [1] che, se non compresa correttamente, rischia di creare un grosso equivoco.
Procediamo allora con ordine e vediamo se e quando ha diritto al mantenimento l’ex moglie che convive con un altro.
Se l’ex moglie ha un altro uomo ha diritto al mantenimento?
Il semplice fatto che l’ex moglie abbia intrapreso una relazione con un altro uomo non comporta, per lei, la perdita del diritto al mantenimento. Il marito deve, infatti, continuare a provvedere alle sue esigenze secondo quanto stabilito dal giudice con la sentenza di separazione o di divorzio.
Il mantenimento viene meno se questa relazione si tramuta in una stabile convivenza, ossia in un rapporto duraturo, basato sugli stessi principi della famiglia. In buona sostanza, l’ex moglie deve aver dato origine a una nuova famiglia, indipendentemente se si è risposata o ha preferito una semplice convivenza con il nuovo partner.
Insomma, per modificare le condizioni economiche del divorzio non basta una semplice frequentazione ma serve una stabile convivenza.
A dimostrare che la convivenza è stabile e non occasionale deve essere l’ex marito
che chiede di essere sciolto dall’obbligo del versamento dell’assegno mensile.
Come fare a dimostrare che l’ex moglie convive?
Per dimostrare che la convivenza tra l’ex moglie e il nuovo partner è stabile bisogna ricorrere a indizi come, ad esempio, il cambio di residenza di uno dei due presso l’abitazione comune; la durata della convivenza (che non può essere solo di qualche settimana); il fatto che l’uno partecipi alle spese comuni (come il pagamento della bolletta o la ristrutturazione della casa).
Che succede se l’uomo non sapeva della convivenza?
Potrebbe succedere che la causa di divorzio termini senza che l’ex marito abbia eccepito, nel corso del processo, la stabile convivenza della moglie con il nuovo compagno. Ciò succede se tale convivenza è iniziata già durante il giudizio o ancora prima. In tal caso, ci si è chiesto se sia possibile rimettere le carte in gioco, ricorrere di nuovo al tribunale e chiedere di cancellare l’obbligo del mantenimento.
La risposta fornita dalla Cassazione è stata negativa.
Nel procedimento relativo alla revisione dell’assegno di mantenimento, infatti, è possibile eccepire solo fatti e circostanze sopravvenute dopo la sentenza e non già preesistenti. Queste ultime, infatti, vanno sollevate nel corso del giudizio e non successivamente (dopo cioè che è sceso il cosiddetto “giudicato”).
Diverso sarebbe il caso se la convivenza dell’ex moglie fosse iniziata dopo che il giudice ha depositato la sentenza. In tale ipotesi, si tratta di una circostanza sopravvenuta che consente di rivedere la decisione finale.
Sulla base di tali argomentazioni, la Corte ha detto che l’assegno non va ridotto anche se l’ex moglie vive con un altro uomo da prima della sentenza di divorzio. E ciò perché la pronuncia che scioglie il vincolo matrimoniale diventa definitiva e il giudicato copre anche ciò che non è stato dedotto nel corso del processo.
Risulta dunque escluso che il contributo economico e la relativa entità possano essere rimessi in discussione in base a fatti anteriori alla sentenza del giudice. Il
tutto anche se il marito ne viene a conoscenza dopo.
Note
[1] Cass. ord. n. 18528/20.
Sentenza
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 1 luglio – 7 settembre 2020, n. 18528 Presidente Scaldaferri – Relatore Iofrida Fatti di causa Con ricorso
depositato nell'aprile 2016, Po. Mo. chiedeva la revisione delle condizioni di divorzio nei confronti della ex coniuge Pa. Al., deducendo la sussistenza di fatti sopravvenuti tali da legittimare la modifica delle precedenti statuizioni di cui alla
sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra le parti, pronunciata dal Tribunale di Macerata in data 4-28 dicembre 2002, oggetto di successivo accordo modificativo. Il Tribunale, nella contumacia della Al., revocava
sia l'assegno di mantenimento a carico del Mo. ed in favore del figlio Matteo, per aver quest'ultimo acquisito autonomia economica, sia l'assegnazione della casa
familiare alla madre (in quanto non più convivente con il figlio), mentre veniva rigettata la domanda di revoca dell'assegno divorzile, stante l'insussistenza di
«alcuna rilevante circostanza sopravvenuta tale da incidere sul giudicato formatosi». La Corte d'appello di Ancona, con decreto n. 1509/2016, ha respinto il
reclamo, ex art. 739 c.p.c. proposto dal Mo., rilevando che l'unico motivo addotto quale elemento nuovo idoneo a modificare la situazione esistente era la presunta convivenza dell'ex moglie con tale Francioni, elemento questo che non poteva in alcun modo considerarsi un fatto nuovo sopravvenuto, in quanto, come asserito
anche dallo stesso ricorrente, la relazione della Al. con il Francioni era «nota a tutti» ed andava avanti da «più di 20 anni...», dal 1984, ancor prima della sentenza
di divorzio del 2002; ad avviso della Corte di merito, tale situazione quindi era già assodata e considerata alla data della sentenza di cessazione degli effetti civili del
matrimonio ed anche a quella successiva dell'accordo di modifica delle condizioni di divorzio; le istanze istruttorie formulate dal reclamante venivano ritenute inammissibili perché ininfluenti ai fini del decidere. Avverso il suddetto decreto, Po.
Mo. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi; resiste con controricorso Pa. Al.. E' stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all'art. 380-bis c.p.c. ritenuti ricorrenti i relativi presupposti. Ragioni della decisione 1. Il ricorrente
lamenta: 1) con il primo motivo, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. la violazione dell'art. 9 L. 898/1970 per non aver la Corte d'Appello ritenuto sussistente la stabile convivenza more uxorio della ex coniuge e non averla ritenuta alla stregua
di fatto sopravvenuto, pur essendo essa intervenuta solo nel 2012 (allorché l'ex coniuge aveva lasciato la casa coniugale, per andare ad abitare con il nuovo compagno), confondendo tale sopravvenuta circostanza con il diverso fatto della
pregressa relazione e frequentazione della Al., in essere dagli anni '80; 2) con il secondo motivo, ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio rappresentato sempre dalla convivenza stabile della Al. con
altro uomo, idonea a far venir meno il diritto all'assegno divorzile; 3) con il terzo motivo, ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. la nullità del provvedimento impugnato per
non aver la Corte d'Appello motivato sulle istanze istruttorie formulate sia in primo grado che in sede di reclamo. 2. Il primo ed il secondo motivo possono essere trattati assieme, in quanto connessi, e sono infondati. Il ricorrente ha delineato la differenza tra una semplice frequentazione ed una stabile convivenza, affermando
che solo la seconda è rilevante ai fini della modifica delle condizioni economiche divorzili (cfr. Cass. n. 17195/2011, conf. a Cass. n. 17643/2007). Tuttavia, la Corte d'Appello ha ritenuto la questione come non nuova. Difatti, il Mo. aveva dedotto in sede di ricorso che «la convenuta...intrattiene una stabile convivenza che dura da
molti anni...». La Corte ha ritenuto quindi, interpretando la domanda, che la asserita relazione tra la Al. ed il Francioni quale stabile convivenza fosse elemento
già noto al Mo. in sede di proposizione del ricorso e non fosse quindi idonea a provocare una modifica delle condizioni di divorzio. Infine, nemmeno avrebbe pregio l'eventuale rilievo in ordine alla qualificazione dei fatti come sopravvenuti per essersi gli stessi materialmente verificati in una certa epoca ma conosciuti dal
Mo., solo all'epoca della la richiesta di revisione dell'assegno. Invero, l'ignoranza dei fatti non rende questi fatti sopravvenuti, una volta che se ne abbia la conoscenza. Tale assunto è confermato da questa Corte che ha chiarito come « ai sensi dell'art. 9 legge n. 898 del 1970 (così come modificato dall'art. 2 legge n. 436
del 1978 e dall'art. 13 legge n. 74 del 1987 ), le sentenze di divorzio passano in cosa giudicata "rebus sic stantibus", rimanendo cioè suscettibili di modifica quanto
ai rapporti economici o all'affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane viceversa esclusa in base alla
regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile. Ne consegue che l'attribuzione in favore di un ex coniuge dell'assegno divorzile non
può essere rimessa in discussione in altro processo sulla base di fatti anteriori all'emissione della sentenza, ancorché ignorati da una parte, se non attraverso il
rimedio della revocazione, nei casi eccezionali e tassativi di cui all'art. 395 cod.
proc. civ.» (Cass. n. 21049/2004; v. anche Cass.25 agosto 2005, n. 17320). In sostanza, in forza della particolare natura del giudicato delle sentenze di divorzio,
e delle successive modifiche, deve comunque ritenersi che le stesse passano in cosa giudicata «rebus sic stantibus», rimanendo cioè suscettibili di modifica quanto
ai rapporti economici o all'affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non
addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile. Le censure
risultano peraltro anche inammissibili per carenza di autosufficienza. 3. Il terzo motivo è anch'esso infondato. Non ricorre il vizio di omessa pronuncia o omessa
motivazione sulle richieste istruttorie, avendole la Corte di merito giudicati ininfluenti ai fini del decidere, perché finalizzate alla prova di un fatto che non avrebbe potuto avere avere alcuna incidenza sul giudizio in quanto non idoneo a causare la revisione della situazione divorzile. 4. Per tutto quanto sopra esposto,
va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. PQM La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi
Euro 3.500,00, a titolo di compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di
legge. Ai sensi dell'art.13, comma 1 quater del D.P.R. 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso,
a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.