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VI. I sacramenti, dono di Dio in Cristo

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Academic year: 2022

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VI. I sacramenti,

dono di Dio in Cristo

1. I SACRAMENTI SONO FONDAMENTALMENTE UN DONO

Abbiamo appena detto che la vita del cristiano deve corrispon- dere ai sacramenti. Ma essa è innanzitutto una risposta alla parola che Dio prima ci ha rivolto. Questa parola, che fonda tutti i sacra- menti, è Cristo Sacramento originario. Cristo non è « p r o d o t t o » dal mondo: è «dato» dal Padre al mondo (Gv 3,16); non proviene dal mondo: «è venuto nel mondo» (Gv 1,9). Nessuna mente, nes- suna immaginazione umana poteva neppure raffigurarselo. Piut- tosto egli fu «rivelato» dal Padre «nella carne» ( l T m 3,16) come il mistero accessibile soltanto alla fede. In altre parole: egli non è il risultato di una prestazione e di una conoscenza umana, bensì unicamente e totalmente dono di Dio, donato al mondo «dall'al- to» e «dall'esterno».

Se ciò è vero del Sacramento originario Cristo, dev'esser vero anche dei sacramenti, in cui diventano presenti la sua persona e la sua azione redentrice. Anche i sacramenti sono radicalmente do- no. Per quanto rispondano a un bisogno elementare dell'uomo che cerca la propria soddisfazione nei «sacramenti» delle religioni e nei surrogati di sacramenti delle società moderne, specialmente di quelle totalitarie, i sacramenti cristiani non provengono «dal bas- so», non derivano dall'uomo, né sono prodotti «dall'interno», dal mondo stesso. Al contrario: provengono «dall'alto» e sono inse- riti «dall'esterno» nell'umanità con e per mezzo di Cristo, proven- gono dal Padre con e per mezzo del Figlio. Lo vediamo già dal fatto che non sono semplicemente uno sviluppo dei cosiddetti sa- cramenti naturali — per esempio dei banchetti sacrificali o dei riti di iniziazione delle religioni - , ma se ne differenziano profonda- mente. Né la differenza sta solo nella celebrazione esteriore: sta soprattutto nel loro contenuto intimo, in ciò che la tradizione chia- ma la «realtà del sacramento» (la «res sacramenti», distinta dal

«sacramentum tantum», il segno puramente esteriore). Questa

«realtà» o «nucleo» dei sacramenti, quello che essi alla fin fine donano agli uomini, è la grazia. E la grazia - come dice il senso originario del termine - è libera condiscendenza di Dio verso l'uo-

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mo non già per umiliarlo bensì per fargli dono dell'umiltà dello stesso Figlio di Dio. La grazia dei sacramenti, non meritata né do- vuta all'uomo, fa sì che essi siano intrinsecamente dono.

2 . I SACRAMENTI VENGONO «DONATI» O DISPENSATI

Già la celebrazione dei sacramenti esprime la loro natura di do- no proveniente «dall'esterno» e «dall'alto».

«Dall'esterno»: nessuno può dispensare a se stesso un sacramen- to. L ' u o m o dipende sempre da un altro nel ricevere un sacramen- to, e tale dipendenza dall'altro, dal quale propriamente possiamo solo chiedere il sacramento ma non esigerlo, manifesta in modo simbolico la dipendenza dalla bontà libera e benefica di Dio.

«Dall'alto»: non è un uomo qualsiasi che dispensa i sacramen- ti; solo il prete o il. vescovo ordinariamente li può celebrare, se de- vono essere sacramenti e non riti vuoti. E il fatto che nella Chiesà la dispensazione dei sacramenti avvenga «dall'alto» verso «il bas- so» riflette ancora una volta il loro carattere di dono: dono del Dio che sta al di sopra dell'uomo e che.per libera bontà si abbassa fino a lui in Cristo. Ciò risulta ancora più chiaro se ricordiamo (cf sopra V, 2) che colui il quale dispensa per ufficio i sacramenti, nella celebrazione prende il posto di Cristo non nel senso che lo sostituisca, bensì nel senso che lo rappresenta, con la conseguenza che la dispensazione dei sacramenti essenzialmente non è un'azio- ne umana del ministro, ma un'azione del Signore, il quale agisce con e mediante il ministro. (Prendere sempre più coscienza di ciò è il grande compito della vita del prete). In tal modo egli stesso diventa un segno efficace della presenza di Dio. È forse per questo che nella concezione cattolica il ministero sacerdotale viene confe- rito mediante un sacramento.

Solo due sacramenti costituiscono una specie di eccezione in rap- porto alla dispensazione «dall'alto» e «dall'esterno»: il battesimo e il matrimonio. In caso di bisogno il battesimo può, anzi deve es- sere amministrato anche da un cristiano che non sia diacono, pre- te o vescovo; e persino se è amministrato da un non credente con- tinua ad essere un sacramento valido. Ciò si spiega con la assoluta necessità del battesimo come «porta» che introduce alla vita con la Chiesa e nella Chiesa. Qui Dio «salta» la normale procedura

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«dall'alto» e agisce per mezzo di qualsiasi persona, purché essa intenda donare all'altro solo quel che la Chiesa, quel che Dio gli vuole donare. Nel caso del matrimonio sono l'uomo e la donna a dispensarsi vicendevolmente il sacramento. Ma proprio il fatto che questo solo sacramento - perlomeno secondo la concezione della Chiesa occidentale - non venga mai amministrato da un membro della gerarchia ecclesiastica, mette ancora più chiaramente in luce il suo carattere di dono: il sacramento del matrimonio in- fatti consiste nel dono reciproco di sé tra l'uomo e la donna. Ora se i due sono almeno un poco consapevoli del fatto che si stanno vicendevolmente amministrando un sacramento, sentiranno che alla fin fine è Dio stesso che li dona l'uno all'altra.

3. LA RISPOSTA DELL'UOMO AL DONO DEI SACRAMENTI

A un dono così grande come quello dei sacramenti l ' u o m o può rispondere solo con la gratitudine. Questo dev'essere l'atteggiamen- to fondamentale del cristiano che vive dei sacramenti (e ogni cri- stiano vive di essi, anche chi li dispensa). Tale gratitudine si espri- me nel «ringraziamento» che si dovrebbe fare dopo aver ricevuto un sacramento, ma anche con una vita piena di gratitudine. Euca- ristia, cioè ringraziamento, è infatti il nome forse più importante del massimo dei sacramenti.

Ma come si esplica tale atteggiamento di gratitudine durante la celebrazione del sacramento? Nel movimento interiore di una de- dizione sempre più perfetta a Dio e alla sua volontà, come unica risposta degna alla dedizione di Dio verso di noi nel Figlio, conti- nuamente rinnovata nei sacramenti.

Per la vita personale di colui che dispensa i sacramenti non ba- sta che, celebrandoli, egli intenda fare «ciò che fa la Chiesa», cioè quanto Dio stesso vuole fare secondo la sua volontà manifestata attraverso la Chiesa. Certo, basta questa «intenzione minimale», affinché egli dispensi validamente il sacramento. Se anche questa mancasse, Dio, che non vuol servirsi di una cosa morta m a di una persona viva, non opererebbe il sacramento. Così è evidente che non c'è alcun sacramento se nella celebrazione si tralasciano degli elementi che rientrano nella sua essenza: ad esempio se nel battesi- mo non si versa l'acqua sul capo del battezzando o non ve lo si

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immerge, o se nell'eucaristia si mutano le parole della consacra- zione sino a stravolgerne il senso. Ma quell'intenzione minimale, che si esprime in una celebrazione che non infranga il nucleo es- senziale del sacramento, conduce solo a una dispensazione valida, ma non ancora a una dispensazione degna. (Per il fedele che vuol ricevere il sacramento, tale celebrazione valida è già di inestimabi- le importanza, perché venendo questa condizione nella maggior par- te dei casi soddisfatta dal ministro, il fedele può essere moralmen- te sicuro di ricevere in verità il sacramento e la sua grazia).

Ma sarebbe un assurdo se nella sua vita di fede il ministro dei sacramenti - che è sempre anche uno che li riceve! - si fermasse a quell'intenzione minimale. La vita di colui che dispensa i sacra- menti, muovendo dall'atteggiamento fondamentale di gratitudine, deve mirare ad adempiere in maniera sempre più perfetta la volon- tà di Dio rivelata attraverso la Chiesa anche per quel che riguarda quelle operazioni vitali che sono i sacramenti, di cui è correspon- sabile.

Per il recettore dei sacramenti l'atteggiamento fondamentale du- rante la celebrazione è anzitutto quello di non opporre alcun rifiu- to di principio a questo dono così come Dio e Cristo glielo voglio- no dispensare mediante la Chiesa, cioè nel voler ricevere « quel che la Chiesa fa». Anche qui Dio tiene conto della libertà dell'uomo:

non si dà alcun sacramento se la volontà esplicita e manifesta di un individuo è contraria.

Ma anche nel caso della ricezione l'apertura di principio, la sem- plice accettazione del sacramento è solo un minimo e, a lungo an- dare, troppo poco. La vera «disposizione» interiore deve tendere sempre a un massimo: il recettore non si limiterà a conservare la fede nel sacramento e a non opporgli di nuovo l'ostacolo della col- pa grave che era stato rimosso col battesimo; non eviterà solo que- sto «obex gratiae» (DS 1606; cf DS 1451) che impedisce al sacra- mento di esplicare la sua azione e anzi ne rende la stessa ricezione indegna, trasformandola in colpa; piuttosto cercherà di evitare sem- pre più anche quei peccati meno gravi o veniali, che sono ugual- mente delle barriere opposte a Dio, di modo che il sacramento possa esplicare sempre meglio la sua azione in lui. Tale azione sopranna- turale in fondo consiste nella venuta di Dio Padre e Figlio e Spiri- to Santo nell'uomo: un venire e un «dimorare» (Gv 14,23) che sa- rà tanto più reale e intenso quanto più l'uomo - come avviene in ogni incontro veramente personale - diventerà simile al Dio che

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gli si fa incontro, gli si dona e gli si unisce, e quanto più nel suo intimo più profondo si trasformerà ad immagine di lui.

VII. I sacramenti,

incontro personale con Cristo

1. CELEBRAZIONE PERSONALE, NON MECCANICA

Già dalle precedenti considerazioni sui sacramenti come dono - come atti di reciproca donazione f r a Dio e l'uomo - risulta che essi sono essenzialmente incontri personali e non comunicazioni meccaniche di una salvezza impersonale. Né potrebbe essere altri- menti. Gesù Cristo, il Sacramento originario, è persona, come si può chiaramente vedere dal linguaggio della Sacra Scrittura: Cri- sto è «il mistero (mysterion-sacramentum) della pietà, il quale (al maschile, non al neutro) fu manifestato...» (lTm 3,16); il testo della lettera ai Colossesi (1,27) parla della gloria «di questo mistero tra i gentili, che (al maschile, non al neutro) è Cristo tra di voi».

I sacramenti dunque, essendo attualizzazione dell'azione reden- trice di una persona - non di un processo naturale o meccani- co - , hanno il carattere di un evento personale: in essi Cristo in- contra l'uomo per liberarlo da se stesso, per unirlo a lui, Cristo, e finalmente al Padre e aprirlo allo Spirito, che non è neppure lui una forza della natura bensì una persona.

Poiché anche l'uomo è persona, in questo incontro sacramenta- le Cristo non lo schiaccia con una celebrazione meccanica, esterio- re, e neppure l'uomo può pretendere di catturare Cristo con una specie di magia. E come in tale incontro Cristo compie un atto li- bero di dedizione e di amore, così anche l'uomo deve compiere un atto del genere, se non vuol fraintendere completamente il sacra- mento. Così ogni sacramento deve comportare una nuova, libera decisione dell'uomo per Cristo. Un'osservazione linguistica lo con- ferma. Il termine greco mysterion venne tradotto nel latino eccle- siastico con sacramentum, termine che fu usato sempre di più - alla fine quasi esclusivamente - per indicare i sette sacramenti; or- bene in ciò può avere influito l'accezione particolare del latino «sa-

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cramentum» come giuramento di fedeltà col quale il soldato ro- mano si impegnava a servire con tutta la persona fino alla morte il proprio generale e gli dèi della patria. Il latino sacramentum espri- me dunque in maniera più accentuata che non il greco mysterion l'aspetto della decisione e della dedizione richiesta e prestata dal- l'uomo, non più nei confronti dello stato effimero e dei suoi falsi dèi, bensì nei confronti di Cristo e - mediante lui, nella virtù del- lo Spirito - nei confronti del Padre.

2 . L'IMPORTANZA DEL SINGOLO INDIVIDUO

Il sacramento quale espressione della donazione personale reci- proca tra Dio - che ci viene incontro in e per mezzo di Cristo - e l'uomo deve esprimere questo suo carattere non solo nell'atteg- giamento interiore del fedele al momento della recezione e poi nel- la sua vita, sotto forma di dedizionè personale a Dio e al prossi- mo, ma deve manifestarlo simbolicamente anche all'esterno nella stessa celebrazione, che è sempre ultimamente indirizzata a un sin- golo.

La «personalità» di un uomo consiste non da ultimo nella sua assoluta, irripetibile unicità e quindi nel valore infinito e irrinun- ciabile del singolo, di ogni singolo. Perciò il vero incontro perso- nale può avere luogo solo tra persone singole. E nel sacramento sono appunto Cristo e il singolo cristiano che si incontrano. Tale struttura intrinseca dell'incontro sacramentale si manifesta nel corso della celebrazione concreta nel fatto che un sacramento non può mai essere dispensato a una folla di uomini contemporaneamente, bensì solo e sempre al singolo, che spesso (battesimo, conferma- zione, matrimonio) viene per di più espressamente «chiamato per nome». (Qui notiamo una certa differenza rispetto ai sacramenta- li - specialmente rispetto alle benedizioni - che tendono sì a met- tere in risalto il singolo, ma possono pure essere amministrati con- temporaneamente a un gruppo di persone). Anzi, non solo il sog- getto, ma anche il ministro del sacramento è sempre un singolo, perlomeno nella maggior parte dei casi. E ciò non tanto per motivi pratici ma per la ragione più profonda che il ministro del sacra- mento rappresenta Cristo nell'unicità e singolarità della sua persona.

Se però nei sacramenti avviene l'incontro tra la persona di Cri-

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sto nella sua unicità e l'uomo, e quindi per natura loro i sacramen- ti rendono impossibile la «scomparsa» del singolo cristiano nella massa, da ciò non consegue che l'attività sacramentale della Chie- sa si riduca a una molteplicità di eventi individuali, in cui i fedeli starebbero gli uni accanto agli altri senza legami tra di loro: quan- do molti singoli fedeli insieme ricevono un sacramento, formano già una comunità, la comunità della Chiesa; d'altro canto ognuno di essi non riceve mai il sacramento solo per sé, bensì proprio con lo scopo di «viverlo» nell'incontro con gli altri cristiani. Mediante i sacramenti la Chiesa viene di continuo ricreata come comunità di singole persone. Solo persone capaci di reciproca e libera dedi- zione possono essere in grado di costituire una comunità — qui: la comunità della Chiesa - e non la massa, costituita da coloro che si sono scaricati della propria responsabilità e decisione personale o non ne hanno mai preso coscienza. Così mediante l'incontro con ogni singolo nei sacramenti Cristo costruisce la comunità Chiesa.

Uno dei titoli più onorifici della Chiesa è quello di «sposa» (Ap 21,2; cf 2Cor 11,2; Ef 5,26ss). Ora tale titolo è eminentemente per- sonale, sta a indicare la più alta comunione personale.

3. L'INTIMITÀ DELL'INCONTRO PERSONALE CON CRISTO NEI SACRAMENTI

Nell'incontro personale che ha luogo nei sacramenti tra il singo- lo e Cristo, tra la Chiesa e Cristo, rientra anche un elemento essen- ziale presente in tutte le relazioni personali strette: l'intimità, che pone un simile rapporto personale al riparo dagli occhi del pubbli- co che non vi partecipa.

Ciò vale anzitutto per il singolo rispetto alla Chiesa: se persino nella celebrazione comunitaria dei sacramenti avviene un incontro tra Cristo e il singolo fedele nella sua unicità irripetibile - come succede soprattutto nella ricezione del Signore nell'eucaristia - , anche nella celebrazione comunitaria il singolo cristiano ha diritto a uno spazio per la pietà personale, per parlare personalmente con Dio, diritto che può e deve estendersi fino ad abbracciare anche i gesti. Questo spazio va assicurato al fedele; può essergli limitato solo qualora egli restringesse indebitamente lo spazio della pietà personale di altri o quello della celebrazione comunitaria.

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Ma la legge dell'intimità personale vale anche per la comunità cultuale Chiesa nel suo insieme rispetto ad altri, perché essa pure come entità personale incontra Cristo nei sacramenti: e se avrà con- servato il giusto senso di questo incontro, lo proteggerà sponta- neamente dagli sguardi curiosi e ottusi della gente. Le celebrazioni dei sacramenti sono anche le forme più alte in cui la Chiesa si rea- lizza come comunità, ed essa, lungi dall'essere una società segreta, è il «sacramento universale», il segno della presenza di Cristo nel mondo a favore dei non cristiani. Di conseguenza la Chiesa non può nascondere completamente la celebrazione dei sacramenti nel suo «spazio interno», a meno che non sia costretta a farlo. Ma sarebbe ancor più sconveniente se non garantisse al proprio incon- tro personale con Cristo e a quello altrettanto personale dei singoli fedeli quella protezione, che è un elemento e addirittura una con- dizione fondamentale perché possa realizzarsi un simile rapporto personale intimo. In una società in cui l'impiego dei nuovi mezzi di comunicazione sociale minaccia di distruggere qualsiasi intimi- tà, la Chiesa deve sollecitamente preoccuparsi di proteggere l'in- contro personale con Cristo che ha luogo nei sacramenti e in tutti gli altri campi della pietà. Quello della protezione ha la preceden- za anche sul dovere di « f a r vedere» tale incontro agli occhi del mondo.

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