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Capitolo 2 Le basi microeconomiche della contrattazione in presenza di sindacati.

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Capitolo 2

Le basi microeconomiche della contrattazione in

presenza di sindacati.

2.1 Introduzione

Il mercato del lavoro è caratterizzato dall’esistenza di istituzioni che possono indirizzarne gli equilibri. Tra di esse sicuramente una delle più importanti è rappresentata dai sindacati, dal momento che nella maggior parte dei paesi industrializzati una quota rilevante dei lavoratori è organizzata in associazioni sindacali. I sindacati esistono sin dal tempo della Rivoluzione Industriale. Più di un secolo fa se ne è data questa definizione: “Un sindacato, così come intendiamo il termine, è un’associazione continuativa di salariati con lo scopo di migliorare le condizioni della propria occupazione”. Già allora, quindi, esisteva la visione moderna del sindacato come coalizione di lavoratori che dovevano unirsi per contrattare con le controparti i miglioramenti alla loro situazione di occupati.

Le prime organizzazioni di lavoratori avevano prevalentemente scopi mutualistici, ma a partire dal secondo periodo post-bellico hanno sempre più svolto una funzione rilevante, sia come controparte delle imprese nella definizione delle caratteristiche del contratto di lavoro, che come organizzazione capace di influenzare i comportamenti del decisore pubblico.

I sindacati dei lavoratori hanno caratterizzato lo sviluppo economico della maggioranza dei paesi industrializzati. Differenti tipi di rappresentanza sindacale, e più in generale di relazioni industriali, si sono sviluppati in contesti istituzionali diversi. Si possono infatti osservare macrodifferenze tra i paesi del Nord-America e quelli dell’Europa soprattutto continentale. Nei primi, per esempio, le imprese divengono sindacalizzate solo dopo che il 30% dei lavoratori ha sottoscritto una petizione per indire delle elezioni, e a quelle elezioni ha votato almeno la metà dei lavoratori. I lavoratori, quindi, possono scegliere tra un luogo di lavoro sindacalizzato oppure no.

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In Europa , invece, i sindacati si occupano anche di servizi per i lavoratori che sono in gran parte beni pubblici, nel senso che il contenuto dei contratti collettivi viene, con previsione normativa o de facto, esteso anche ai lavoratori non iscritti.

Le differenze tra i sistemi economici dei paesi industrializzati in termini di presenza dell’attività sindacale possono essere misurate in vari modi; tra gli indicatori più utilizzati per confronti internazionali vi sono la “densità sindacale” e il “tasso di copertura sindacale”.

Il primo indicatore riporta la quota percentuale di lavoratori iscritti ad un sindacato sull’occupazione totale22, il secondo la quota di lavoratori interessati da una forma di accordo collettivo siglato da uno o più datori di lavoro e le organizzazio ni sindacali in rappresentanza dei lavoratori.

Nella Tabella 6 vengono riportati i dati relativi all’evoluzione dei due indicatori negli ultimi decenni. I paesi possono, sulla base del primo indicatore, essere raggruppati tra quelli ad alta sindacalizzazione (tra cui troviamo Danimarca, Finlandia, Svezia e Norvegia), quelli in cui la sindacalizzazione è contenuta (Stati Uniti, Spagna e Francia) e i rimanenti, con una sindacalizzazione moderata (come in Austria, Canada, Germania e Italia). Tuttavia la sindacalizzazione rappresenta solo un aspetto della forza dei sindacati in un paese. In alcuni paesi, sebbene una quota minoritaria dei lavoratori sia iscritta al sindacato, il tasso di copertura sindacale è elevato, grazie a meccanismi di estensione degli accordi tra sindacati e datori di lavoro anche ai lavoratori non sindacalizzati.

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Solitamente dall’occupazione totale vengono esclusi i militari e i lavoratori autonomi. In alcuni paesi, come l’Italia, il sindacato raccoglie molte adesioni tra i pensionati. Per consentire un confronto con gli altri paesi, i pensionati sono esclusi dalle statistiche riportate in Tabella 6.

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Tabella 6: tassi di sindacalizzazione e copertura sindacale, un confronto internazionale.

Tasso di sindacalizzazione Copertura sindacale

1970 1980 1990 1995 2001 1990 1995 2000 Australia Austria Belgio Canada Francia Germania(fed) Giappone Gran Bretagna Italia Norvegia Spagna Stati Uniti Svezia Svizzera 44,2 61,3 47,1 31,0 22,0 33,0 34,7 44,8 36,3 54,9 n.d. 27,3 76,7 28,3 49,9 56,2 55,9 36,1 17,5 35,6 30,8 50,7 49,3 56,9 12,5 22,3 80,0 30,7 40,8 45,9 51,2 35,8 9,5 32,9 25,2 39,1 38,8 56,0 16,1 15,9 84,0 26,6 35,0 24,5 43,0 35,7 53,0 55,6 38,0 28,2 9,0 8,1 30,0 23,5 24,0 20,9 36,0 29,3 38,0 34,8 58,0 52,8 22,0 16,1 16,0 12,8 91,0 78,0 25,0 17,8 80,0 98,0 90,0 38,0 92,0 90,0 23,0 47,0 82,0 75,0 68,0 18,0 83,0 53,0 80,0 98,0 90,0 36,0 95,0 92,0 22,0 47,0 82,0 74,0 66,0 18,0 93,0 50,0 80,0 95,0 90,0 32,0 90,0 68,0 15,0 30,0 80,0 25,0 80,0 14,0 90,0 40,0

Fonti: Brucchi, 2001, Carlin e Soskice, 2006 .

Questi differenti sentieri di sindacalizzazione, oltre a rispecchiare la storia e le scelte sociali e politiche dei paesi, hanno sollecitato il confronto tra i diversi sistemi sindacali dei mercati del lavoro e il loro impatto sull’economia.

In questo secondo Capitolo introdurremo i principali modelli di contrattazione, che insieme allo sciopero è uno degli strumenti tipici del sindacato per raggiungere i propri obiettivi. Essi offriranno la base microeconomica per l’analisi del capitolo successivo, dove si approfondirà il dibattito sulla relazione tra contrattazione salariale e performance macroeconomica, sollecitato sin dagli anni Settanta dalla divergenza dei principali indicatori di performance dei paesi industrializzati, che sembravano essere ricondotte proprio alle differenze tra sistemi di contrattazione, di cui i sindacati sono attori fondamentali.

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Nella letteratura esistono diversi modelli di descrizione teorica della contrattazione che prevedono l’azione di un sindacato; essi si differenziano relativamente alle ipotesi circa la determinazione dell’occupazione e del salario. È possibile individuare tre filoni principali: i modelli di monopolio, i modelli di right-to-manage e i modelli di contrattazione efficiente.

I modelli che prevedono un sindacato monopolista (principalmente Oswald, 1982 e 1985) ipotizzano che il sindacato sia talmente forte da poter decidere unilateralmente il livello del salario, mentre all’impresa è lasciata la scelta del livello di occupazione: non c’è contrattazione tra le due parti, il punto di equilibrio è quello di tangenza tra la curva d’utilità del sindacato e la curva di domanda di lavoro dell’impresa.

In realtà, questo tipo di modello può essere considerato un caso particolare di quello

right-to-manage (Nickell e Andrews, 1983), in cui il sindacato e l’impresa contrattano il

livello del salario, mentre l’occupazione è ancora determinata da una scelta della sola impresa; i due autori ritengono infatti che siano più realistici continui aggiustamenti del livello totale degli occupati, per rispondere ai cambiamenti del mercato, e ciò può avvenire solo se su di esso decide l’impresa autonomamente.

Infine i modelli di contrattazione efficiente (McDonald e Solow, 1981) illustrano che è possibile un miglioramento per entrambe le parti rispetto agli equilibri dei precedenti modelli, se la contrattazione avviene sia sul salario che sull’occupazione.

2.2 Analisi microeconomica del sindacato

Il primo passo da compiere nella nostra analisi è introdurre un framework microeconomico che rappresenti un mercato del lavoro sindacalizzato, con il quale descrivere gli attori principali e il loro comportamento; ci riferiremo ad essi come “sindacato” e “datore di lavoro”/“imprese”, ma dietro queste etichette ci sono altri aspetti importanti; per esempio le persone che occupano il ruolo di datori di lavoro in sede di contrattazione raramente sono i proprietari dell’impresa, ma spesso si tratta di un altro dipendente. Esiste un’ampia letteratura sulla funzione obiettivo dell’azienda appropriata quando proprietà e management sono separati, ma non verrà presa in considerazione in questo lavoro.

Diverse sono le ipotesi su quale sia il contesto di concorrenza sul mercato dei beni più adatto per descrivere una economia sindacalizzata. Per alcuni economisti l’ipotesi deve

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essere quella di concorrenza imperfetta: essa viene ritenuta cruciale affinché il sindacato possa operare. Per essi è improbabile che l’azione sindacale possa prodursi in un contesto di concorrenza perfetta, con piena libertà di uscita ed entrata dal mercato del lavoro ed ext raprofitti nulli, senza che ciò non determini il fallimento delle imprese sindacalizzate. In un contesto di concorrenza imperfetta, invece, le imprese possono esercitare un certo potere nella determinazione dei prezzi nel mercato del prodotto, mentre i sindacati possono influenzare il livello dei salari nel mercato del lavoro (Brucchi, 2001).

Ma altri autori (per esempio Booth, 1995) ritengono che il sindacato possa ottenere un livello del salario più alto di quello concorrenziale anche in un contesto di concorrenza perfetta nel mercato dei beni, grazie ai rendimenti crescenti del lavoro. In questo lavoro verrà seguito questo secondo approccio.

La descrizione del comportamento dei sindacati e delle imprese richiede che siano specificati sia le loro preferenze che i vincoli a cui devono sottostare.

Sindacato: che cosa vuole ottenere il sindacato? Esso si preoccupa di un ampia gamma

di problemi, dalla determinazione di un salario più alto di quello concorrenziale alle condizioni di lavoro in generale. Ma la visione economica tradizionale dei sindacati assume che essi si preoccupino principalmente del salario reale e del livello di occupazione.

La letteratura economica negli anni Quaranta e Cinquanta ha visto svilupparsi un dibattito importante relativo all’analisi di quelli che possono essere gli obiettivi dell’organizzazione sindacale. Le due “visioni” del mondo hanno come punti di riferimento rispettiva mente i lavori di Dunlop, 1950 e Ross, 196023. Da una parte si è sostenuto che gli obiettivi del sindacato, come quelli di una qualsiasi organizzazione collettiva, non possono essere considerati la semplice somma degli obiettivi degli agenti facenti parte dell’organizzazione ma che hanno invece a che fare con gli interessi di coloro che agiscono per l’organizzazione, o quanto meno sono fortemente condizionati da questi interessi. La possibilità di rielezione o più in generale la ricerca del consenso, l’ampliamento delle risorse (monetarie e umane) gestite dai rappresentanti sono state indicate in questa ottica come fattori condizionanti gli obiettivi dei rappresentanti sindacali. Trattando il sindacato come organizzazione si tiene espressamente conto che

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esso è una istituzione complessa, che deve necessariamente essere analizzata anche e soprattutto da un punto di vista sociologico e politico.

Dall’altra parte si è invece analizzato il comportamento dell’organizzazione sindacale con gli strumenti tipici dell’analisi economica, sostituendo semplicemente alla funzione di utilità dell’agente cara alla tradizione neoclassica una funzione di utilità che rappresentasse gli obiettivi del sindacato, di solito visti come aggregazione degli obiettivi dei singoli membri. Nel seguito di questo capitolo ci concentreremo sulla seconda ipotesi. Quanto alla prima “visione” del comportamento del sindacato, si rimanda alle numerose formulazioni di obiettivi dei rappresentanti democraticamente eletti in organizzazioni pubbliche analizzata dal filone di ricerca noto come “teoria della Public Choice”.

Per semplificare l’analisi verrà fatta quindi l’ipotesi che nella funzione di utilità del sindacato entrino solamente i salari, che indichiamo con w, e l’occupazione, indicata con n: si definisce con U(w,n) la funzione d’utilità crescente, quasi-concava del sindacato, dove ?U/?w >0 e ?U/?n >0. Riguardo alla quasi-concavità, molti studiosi hanno dedotto questa forma in modo intuitivo, ma molti altri ne hanno illustrato le basi razionali. Le condizioni sufficienti, comunque, affinché la curva di utilità del sindacato abbia quella forma sono: i) tutti i membri del sindacato sono avversi al rischio, ii) il sindacato ha preferenze utilitaristiche24.

Dunlop è stato il primo ad occuparsi della descrizione della funzione d’utilità del sindacato; egli ha considerato una gamma di possibili obiettivi, e ha argomentato che l’obiettivo sindacale più plausibile sia la massimizzazione del fondo salariale totale (total wage bill) degli appartenenti al sindacato. Il sindacato poteva quindi essere trattato analogamente alle imprese che massimizzano la differenza tra ricavi e costi. I ricavi erano rappresentati dai redditi dei lavoratori, e se i costi d’iscrizione fossero stati trascurabili, allora i profitti attesi del sindacato sarebbero stati solo i ricavi e la funzione d’utilità da massimizzare sarebbe stata

(1) U = wn

Altri autori hanno fatto invece l’assunzione che il sindacato massimizzi la differenza tra il reddito totale del lavoratore dipendente in caso di sindacalizzazione del settore e il reddito in condizioni competitive. La funzione obiettivo da massimizzare è la rendita rappresentata da

24

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(2) U = n (w - b)

dove w è il salario in presenza di sindacato e b quello concorrenziale.

Si noti che sia nel caso della (1) che della (2) la funzione di utilità è assunta lineare rispetto ai salari (cioè i lavoratori sono neutrali al rischio).

Successivamente gli studiosi hanno seguito invece una delle due seguenti assunzioni : i) una funzione di utilità più generale, di solito nella forma strutturale di Stone-Geary; ii) una funzione di utilità attesa o utilitaristica.

L’assunzione i) prevede una funzione d’utilità nella forma (3) U = (w-?)? (n-d)1- ?

dove ? e d rappresentano il livello minimo del salario e occupazione e il parametro ? cattura l’importanza relativa delle due variabili per il sindacato. Ponendo ? = 1 e ? = 0 l’obiettivo della massimizzazione diviene il salario, per ? = 0 e d = 0 l’occupazione. Questo tipo di rappresentazione della funzione d’utilità del sindacato ha alcuni vantaggi, tra cui essere semplice e facilmente utilizzabile in lavori econometrici, ma non consente di rappresentare le preferenze dei singoli lavoratori.

È quindi per questo che si passa al secondo approccio, che prevede funzioni nelle forme (4) U = ( ) ( )u(b) m n m w u m n

+ funzione d’utilità attesa (5) U = nu(w)+(m - n)u(b) funzione utilitaristica

dove u(.) è la funzione d’utilità concava del singolo lavoratore, con u'(w)>0 e u? (w)<0,

m il totale degli iscritti al sindacato e b il salario alternativo per gli iscritti al sindacato

ma non occupati nel settore sindacalizzato, con b < w.

Se, come noi assumeremo, m è fisso, la (4) e la (5) chiaramente si eguagliano, quindi massimizzare la somma delle utilità dei membri equivale a massimizzare l’utilità attesa del membro rappresentativo; ma se il numero di iscritti, la membership, è considerata variabile, allora le due forme non sono equivalenti.

Il vantaggio principale derivante da una rappresentazione dell’utilità del sindacato nelle forme (4) e (5) è quello di consentire una esplicita rappresentazione delle preferenze degli individui e dell’ampiezza della membership. In particolare, si assume che il sindacato consideri tutti uguali i suoi iscritti; la funzione d’utilità riflette i due stati di natura in cui il lavoratore rappresentativo iscritto al sindacato può trovarsi, cioè occupato o disoccupato.

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Per ipotesi tutti i lavoratori iscritti al sindacato sono identici, e gli n occupati sono scelti in modo casuale dal totale m, dove m = n, quindi tutti i lavoratori hanno la stessa probabilità di essere disoccupati e occupati a quel livello di w.

Esistono alcune interessanti generalizzazioni (di cui però non ci occuperemo) delle funzioni di utilità presentate sopra, principalmente riguardanti m, che può essere assunta composta da individui eterogenei e la cui dimensione può non essere fissata. In Booth (1984) troviamo ad esempio una visione alternativa a quella dominante nella teoria microeconomica del sindacato, che prevede un’organizzazione democratica con sistema di votazione a maggioranza e influenza del comportamento sindacale sui livelli di iscrizione.

Entrambe le forme delle funzioni di utilità del sindacato danno luogo a curve di indifferenza nello spazio (w,n), che indicano le coppie di w e n che assicurano al sindacato lo stesso livello di utilità. Differenziando totalmente si ricava la loro inclinazione,

(6) dU = dn[u(w) – u(b)] + nu'(w)dw = 0 da cui

(7) dw/dn = - [u(w) – u(b)]/ nu'(w)

L’equazione (7) rappresenta il saggio marginale di sostituzione tra il salario e la occupazione, che risulta negativo; tanto più è grande b, tanto minore è il saggio di sostituzione, tanto più è piatta la curva di indifferenza: ciò significa che, all’aumentare di b, il sindacato attribuisce maggiore importanza al salario e minore all’occupazione.

Grafico 10: curve d’indifferenza rappresentanti i diversi livelli d’utilità del sindacato.

Tanto più è alta la curva su cui si trova il sindacato, tanto maggiore è l’utilità raggiunta.

w

n

U1

(9)

Impresa : consideriamo ora gli aspetti del comportamento dell’impresa più importanti al

fine della nostra analisi. Come abbiamo già accennato nelle considerazioni iniziali, affinché il sindacato possa negoziare un salario più alto di quello in concorrenza perfetta, devono essere disponibili da parte delle imprese degli extra profitti di cui il sindacato possa appropriarsi almeno in parte. Alcuni economisti hanno supposto, nei loro modelli, che il mercato del prodotto sia imperfettamente concorrenziale: in questo contesto, un sindacato con sufficiente potere può ottenere un aumento dei salari, senza che questo minacci l’esistenza dell’azienda. Quindi ci si può aspettare una più alta probabilità di organizzazione sindacale in industrie non concorrenziali, piuttosto che in mercati del prodotto competitivi.

In un mercato del prodotto perfettamente concorrenziale, l’impresa deve ottenere profitti positivi quando dà lavoro a n lavoratori al salario concorrenziale wc, così da

consentire a un sindacato con un po’ di potere contrattuale di appropriarsi di una parte del surplus. Quindi la funzione di produzione dell’impresa competitiva deve essere caratterizzata da rendimenti marginali del lavoro decrescenti nei dintorni del punto d’equilibrio: il sindacato sarà in grado di contrattare un salario superiore a wc senza far

uscire l’impresa dal mercato. Questo può essere illustrato nel Grafico 11, dove sono rappresentati la funzione dei ricavi totali dell’impresa, indicata da pf(n), dove p è il prezzo del prodotto e f(n) la funzione di produzione. Supponendo i costi fissi uguali a zero, si assume che la funzione di produzione sia caratterizzata, per bassi livelli d’occupazione, da rendimenti crescenti del lavoro, e da rendimenti decrescenti per livelli d’occupazione elevati (Booth, 1995)25. Nel seguito di questo capitolo, assumeremo che l’impresa sia price taker, in un contesto di concorrenza perfetta nel mercato del prodotto.

25

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Grafico 11: profitti di un’impresa competitiva.

Un’impresa che opera in un mercato dei beni concorrenziale massimizza i suoi profitti; se l’impresa è price taker, i ricavi saranno pf(n) e i costi wn:

(8) p = pf(n) – wn

Si noti che la (8) è una formulazione standard per un’impresa che si trova in mercato del prodotto competitivo: essa occuperà lavoratori fino al punto in cui il valore del prodotto marginale del lavoro eguaglia il salario.

I profitti saranno massimi dove la distanza verticale tra la curva dei ricavi totali e quella della spesa totale è massima. Il sindacato può fissare un salario maggiore di quello di concorrenza perfetta fino al livello w*.

Le curve d’isoprofitto nel piano (w,n) rappresentano le combinazioni di salario e occupazione che consentono lo stesso livello di profitto.

La loro inclinazione può essere ottenuta dalla differenziazione totale della funzione dei profitti

(9) dp = pf'(n)dn – wdn – ndw = 0 , da cui (10) dw/dn = [pf'(n) – w]/n

Data la curva decrescente di domanda di lavoro Nd, i punti a sinistra di essa sono caratterizzati da un valore del prodotto marginale maggiore del salario, e quindi la curva di isoprofitto ha inclinazione positiva; per i punti a destra, viceversa, pf'(n) < w, quindi la curva ha inclinazione negativa.

Per la condizione del primo ordine dp/dn = pf'(n) – w = 0; ipotizzando che l’impresa possa determinare unilateralmente l’occupazione, massimizzerà il profitto scegliendo un livello di n tale per cui pf'(n) = w, trovandosi così sulla curva di domanda di lavoro.

w

n

Curva della spesa totale per i fattori, wcn Curva dei ricavi totali da prodotto, pf(n)

profitti w*n

(11)

Grafico 12: curve di isoprofitto per l’impresa. Su curve più basse l’impresa ottiene

profitti più alti.

2.3 I principali modelli

Definite le caratteristiche fondamentali degli agenti che operano nel mercato del lavoro, illustriamo ora alcuni dei modelli per l’analisi della contrattazione e i loro risultati in termini di salario e occupazione.

Essi rappresentano una delle più importanti dimensioni d’analisi del sindacato, ma non l’unica. Sono tuttavia necessari per microfondare l’analisi del prossimo capitolo.

2.3.1 Modello di monopolio

Il modello di sindacato monopolista che illustreremo è quello proposto da Oswald (1982, 1985). Egli immagina che il sindacato abbia il potere di determinare il salario lungo la curva di domanda di lavoro senza dover contrattare con l’impresa, che sceglie autonomamente il livello di occupazione. Queste assunzioni hanno subito delle critiche di eccessiva semplicità, poiché non appare verosimile che il sindacato goda di tale potere e possa fare a meno della contrattazione con l’impresa; per esempio, secondo Layard e al. (2005) “ the union severe gets everything it wants. It bargains. Thus we reject an excessively simple model in common usage – the model of the monopoly union”. Si può condividere questa visione, ma è necessario comunque considerare

w

?1 ?2

n Nd

(12)

questo modello perché ampiamente utilizzato in letteratura, e rappresenta un buon punto di partenza per la nostra analisi.

Impresa: la funzione dei profitti che deve essere massimizzata è

(11) p = pf(n) - wn da cui pf'(n) = w

Sindacato: Oswald assume che i salari dei lavoratori siano soggetti a tassazione, quindi

che il loro reddito netto da lavoro sia ? = w(1 – t) + s, dove t rappresenta la percentuale di imposte sul salario (imposte dirette e per il sistema pensionistico) e s i benefici sociali (per esempio gli assegni familiari).

La funzione d’utilità del sindacato diviene così (12) U = u(w(1 – t) + s)n + [m – n]u(b).

La sua differenziazione totale determina il saggio marginale di sostituzione tra ? e n; (13) dU= [u’(? ) n] d? + [u(? ) - u(b)] dn

In questo modello, una variazione della membership non ha influenza sul livello del salario desiderato dal sindacato.

Possiamo mostrare graficamente i risultati in termini di occupazione e salario:, se il sindacato può determinare unilateralmente il livello del salario agendo da monopolista, il livello di w è più alto e quello di n più basso rispetto a un contesto di concorrenza perfetta (con salario pari a b e livello d’occupazione pari a nb).

Grafico 13: con sindacato monopolista w>be n<nb.

b w n nb n ?1 U1 Nd w

(13)

2.3.2 Modello “right to manage” con contrattazione

Il modello di monopolio di Oswald è strettamente collegato a quello di Nickell e Andrews (1983), di cui può essere considerato un caso particolare. Questo secondo modello è stato definito dagli stessi autori right to manage poiché in esso è previsto “il diritto a gestire” dell’impresa. L’elemento nuovo e sicuramente più realistico, rispetto al modello con sindacato monopolista, è infatti la contrattazione sul livello del salario tra i due attori principali del mercato del lavoro. Secondo i due autori, le imprese mantengono il completo controllo sull’occupazione perché è desiderabile il continuo aggiustamento del totale di n in base all’andamento del mercato; una negoziazione anche su di essa renderebbe troppo costosa la gestione dell’impresa.

Nickell e Andrews partono dall’analisi della situazione della Gran Bretagna: nel periodo considerato nel loro lavoro, 1951-79, la contrattazione collettiva era la via principale per la determinazione dei salari: circa 80% dei operai e il 50% degli impiegati erano coperti dalla contrattazione collettiva.

Una volta definite la funzioni di utilità del sindacato e la funzione dei profitti della impresa come U(w) e p(w), si procede con la ricerca della soluzione della contrattazione. Si suppone che il risultato sia una semplice variante della soluzione di Nash, che caratterizza il processo di negoziazione come un gioco cooperativo e può essere vista come una procedura di arbitraggio.

Il tentativo dell’impresa di fissare un salario ad un livello più basso di quello desiderabile da un sindacato monopolista fa nascere un conflitto, in cui lo sciopero (e la sua durata) ha un ruolo fondamentale.

Supponiamo che in sede di contrattazione del salario il datore di lavoro faccia un’offerta di salario pari a w f . Il sindacato deve quindi affrontare il problema di quanto a lungo sarebbe pronto a scioperare per ottenere un’offerta salariale migliore, pari a wu. Supponiamo che l’utilità degli iscritti al sindacato durante uno sciopero sia pari a U e indichiamo con su la durata massima dello sciopero per il sindacato:

(14) su = log[(U (wu) – U)(U(w f ) – U)-1] 1/ru

Per il sindacato lo sciopero comporta dei possibili guadagni, in termini di salari futuri maggiori, ma anche dei costi, per la diminuzione del valore attuale della sua utilità, scontato a un tasso ru.

Anche l’impresa ha dei costi e guadagni in caso di sciopero: i primi rappresentati da perdite di profitti, i secondi dal valore attuale dei profitti nel caso in cui i lavoratori

(14)

accettassero il salario da essa offerto. Indicando con rf il tasso di sconto per l’impresa, il periodo massimo di sciopero per essa è

(15) sf = log[(p(w f) – p)( p(wu) – p)-1]1/rf

dove p è il profitto in caso di sciopero.

Il problema di massimizzazione, in generale, è rappresentato da (16) Gw = w max{[ p(w) – p] (1-ß)[U(w) - U] ß } ß = u f f r r r + : 26

se ß = 0, il massimando di Nash si riduce alla massimizzazione delle rendite delle imprese, mentre per ß = 1 è massima la forza contrattuale del sindacato.

La condizione del primo ordine è quindi (17) Gw = ß U -U ' U + π π π − ' (1 – ß)

Poiché 0<ß<1, non si massimizzano mai né i profitti dell’impresa né l’utilità del sindacato: si è sempre in una condizione Pareto-inefficiente, sulla curva di domanda di lavoro. Esistono combinazioni di salario e occupazione che permetterebbero ad entrambe le parti di stare meglio: è questo che si propone di dimostrare il modello di contrattazione efficiente.

2.3.3 Modello dei contratti efficienti

Nel modello precedentemente considerato, l’obiettivo principale della contrattazione è la determinazione del salario, mentre il “diritto” di scegliere il livello d’occupazione rimane prerogativa dell’impresa. Dal momento che sia il sindacato che l’impresa hanno come argomenti, nelle rispettive funzioni obiettivo, salario e occupazione, intuitivamente sembrerebbe più efficiente che il processo di contrattazione riguardasse entrambi gli aspetti.

26 Se per esempio su<sf, ciò significa che il sindacato è più debole dell’impresa, quindi dovrà variare wu per ristabilire l’uguaglianza:

log[(U (wu) – U)(U(w f ) – U)-1]1/ ru < log[(p(w f) – p)( p(wu) – p)-1]1/rf ; eliminando i logaritmi ed elevando entrambi i lati della disuguaglianza a rf si ottiene

[U (wu) – U)] rf/ ru[( p(wu) – p)] < [(p(w f) – p)][ (U(w f ) – U)] rf/ ru; se invece su>sf, sarà più alto il tasso di sconto dell’impresa, rendendola più debole rispetto al sindacato. In entrambi i casi viene massimizzata l’espressione G = [p(w) – p][U(w ) - U] rf/ ru

(15)

In un articolo del 1981, McDonald e Solow hanno mostrato che esistono delle combinazioni di salario e occupazione per cui entrambe le parti stanno meglio, raggiungibili se sindacato ed impresa contrattano contemporaneamente sia sul salario che sul livello d’occupazione. Sebbene la realtà suggerisca che in realtà ciò non avviene, questo modello ha assunto importanza nella letteratura per i suoi risultati d’efficienza.

Analizziamo il problema da un punto di vista grafico, indicando con A il risultato di una contrattazione sul solo salario, e con B e C due punti di tangenza tra curva d’isoprofitto e d’indifferenza.

Nell’area in basso a destra rispetto al punto A, tra la curva d’isoprofitto e quella d’indifferenza, si trovano situazioni Pareto-superiori ad A. I punti che rappresentano i contratti efficienti sono quelli di tangenza tra i due tipi di curve (per esempio B e C): l’insieme di tali punti è detta curva dei contratti.

Grafico 14: inefficienza dei modelli right to manage.

Analiticamente la condizione d’uguaglianza tra le pendenze delle curve è data da (18) - [u(w) – u(b)]/ u'(w) = [pf'(n)– w] .

Riscrivendo la (19) come pf'(n) = w - [u(w) – u(b)]/ u'(w), si nota che il prodotto marginale del lavoro è minore del salario di un ammontare pari a tasso marginale di sostituzione tra salari e occupazione del sindacato: quindi la curva dei contratti sta a destra della curva di domanda di lavoro per w>b. Per b = w si ottiene il risultato di concorrenza perfetta: in termini grafici ciò significa che il limite inferiore della curva dei contratti è il livello di salario pari a b.

w

(16)

Differenziando totalmente rispetto al salario e l’occupazione si trova l’inclinazione della curva: (19) dw/dn = )] ( ) ( )[ ( '' ) ( ' ) ( '' 2 b u w u w u w u n pf

Se i lavoratori sono avversi al rischio, l’inclinazione è positiva, perché in questo caso

u?(n) < 0 e la funzione di produzione f?(n) < 0. Una spiegazione intuitiva di questo

risultato è data dalla necessità di compensare il crescente costo opportunità nel caso di disoccupazione, dovuto a un salario più alto di quello competitivo, con una maggiore occupazione. Non esiste quindi un trade-off tra occupazione e salari se c’è contrattazione efficiente: se il sindacato dispone di potere contrattuale, è possibile arrivare ad una situazione paretianamente efficiente rispetto a quella che si determina con contrattazione sul solo salario.

Poiché in questo caso la curva si trova a destra della curva di domanda di lavoro, il livello di occupazione che deriva dalla contrattazione efficiente è sempre maggiore rispetto a quello del modello right to manage.

La curva dei contratti può essere verticale al livello di occupazione di pieno impiego, se i lavoratori sono neutrali al rischio (u?(n) = 0): in questo caso, la soluzione per l’occupazione è la stessa della concorrenza perfetta e il livello di occupazione è indipendente dal salario (McDonald e Solow l’hanno definita “efficienza forte”). Infine può essere inclinata negativamente se i lavoratori sono propensi al rischio (u?(n) > 0), ma questa appare l’ipotesi più improbabile.

Grafico 15: la curva dei contratti con contrattazione efficiente.

n w Curva dei contratti N w = b

(17)

Con questo tipo di contrattazione l’impresa non massimizza i profitti, dato che non si trova sulla sua curva di domanda di lavoro; la negoziazione efficiente spinge quindi verso un’occupazione maggiore rispetto a quella compatibile con l’obiettivo dell’impresa (overmanning). Le curve d’isoprofitto che permettono all’impresa profitti maggiori sono quelle più vicine all’asse delle ascisse, mentre le curve d’indifferenza più alte rappresentano per il sindacato maggiore utilità. A seconda di quale sia il potere contrattuale delle due parti ci si troverà su un punto più alto (maggiore potere del sindacato) o più basso (maggiore potere dell’impresa).

La contrattazione efficiente richiede un notevole sforzo di cooperazione tra le parti, poiché l’obiettivo è quello di un aumento del livello di occupazione oltre quello ottimale per l’impresa: è possibile che vengano adottati degli accordi di sovraoccupazione che però l’impresa è incentivata, una volta stipulati, a non rispettare.

2.4 Un confronto tra i modelli

Qual è il modello migliore, o più appropriato, per un’impresa sindacalizzata? La risposta a questa domanda è importante, poiché essi hanno diverse implicazioni, princ ipalmente in termini d’occupazione.

Nei tre modelli presentati, il salario risulta essere (quasi)27 sempre superiore al salario di concorrenza perfetta b; tuttavia, solo nel caso di contrattazione efficiente il livello di occupazione può risultare superiore a quello che sarebbe emerso in assenza di contrattazione.

Sembrerebbe allora logico scegliere una contrattazione efficiente come descritta da McDonald e Solow. Ma l’impresa, in quel caso, sta al di fuori della sua curva di domanda di lavoro, e se non sufficientemente monitorata potrebbe, una volta stipulato il contratto, essere tentata di non rispettarlo, riducendo l’occupazione rispetto a quella contrattata con i sindacati. È quindi difficile mantenere un accordo efficiente se esiste incertezza circa il comportamento dell’impresa, soprattutto quando gli accordi non sono difendibili legalmente.

Nella letteratura esistono inoltre alcune critiche a questo tipo di contrattazione. Per esempio, Layard e Nickell (1990) hanno messo in discussione il risultato forse più

27

Nel caso di contrattazione efficiente, se il livello d’occupazione è uguale a quello che si avrebbe in concorrenza perfetta, allora anche il salario sarà al livello di concorrenza perfetta, cioè uguale a b.

(18)

importante della contrattazione efficiente, dimostrando che, con un’analisi d’equilibrio generale, il livello d’occupazione ottenuto con essa non è più alto che nel caso di contrattazione sui soli salari.

Rispondere quindi alla domanda su quale tipo di rapporto tra sindacato e impresa sia migliore non è semplice: i paesi industrializzati differiscono tra loro per i livelli di sindacalizzazione, le strutture organizzative, le forme di democrazia interna, le pratiche di sciopero ed altri aspetti. Si può dedurre quindi che difficilmente si può trovare un modello di contrattazione che, ritenuto superiore agli altri, garantisca sempre il miglior risultato possibile.

Esistono tuttavia stime empiriche, che andiamo brevemente ad illustrare, per verificare quale modello di contrattazione sia applicato nei contesti presi in esame.

2.4.1 Stime empiriche

Una modalità di confronto tra i diversi modelli è la loro verifica empirica.

Negli anni, sono stati molti gli studi sul comportamento del sindacato; ma solo verso la fine degli anni Ottanta si è esplicitamente tentato di testare direttamente le relazioni empiriche che tali teorie suppongono si dovrebbero osservare tra le variabili.

Tra i diversi autori che hanno indagato quale sistema di contrattazione fosse utilizzato in particolari contesti e settori dell’economia, utilizzando per i test dati time series dei salari e dell’occupazione in industrie altamente sindacalizzate, ed hanno approssimato il modello con un solo sindacato e datore di lavoro, ricordiamo in particolare MaCurdy e Pencavel (1986), che hanno presentato una procedura empirica per discriminare tra il modello right to manage e di contrattazione efficiente, applicandola al caso dell’industria dei giornali statunitense. Utilizzando i dati circa i salari, occupazione ed altre variabili riferite agli iscritti al più grande sindacato del settore, l’ITO (International Typographical Union), concludono che il modello right to manage è inconsistente con i dati a loro disposizione, mentre il modello dei contratti efficienti è capace di descrivere la realtà di quel settore.

In generale, i principali studi hanno cercato di stimare una relazione empirica del tipo (Brucchi 2001):

(19)

dove Ls rappresenta il livello occupazionale nel settore sindacalizzato, Ws il salario

contrattato, W il salario di concorrenza perfetta (o di riserva) e X un vettore di caratteristiche di controllo che possono influenzare l’occupazione. Il coefficiente ß indica l’effetto del salario contrattato sull’occupazione dei lavoratori sindacalizzati, mentre

f

indica l’effetto occupazionale in presenza di variazioni del salario di riserva. La struttura della relazione consente di sottoporre a verifica le seguenti ipotesi:

1. se i contratti definiscono equilibri, rappresentati dalle coppie (w,n), che giacciono sulla domanda di lavoro: l’occupazione dei lavoratori dipenderà allora dal salario contrattato, mentre sarà indipendente da quello di riserva.

Ciò corrisponde a testare le ipotesi ß < 0 (perché la curva di domanda di lavoro è inclinata negativamente) e

f =

0

;

2. se i salari e l’occupazione determinati dalla contrattazione giacciono sulla curva dei contratti e la curva dei contratti è verticale: in questo caso l’occupazione dei lavoratori è legata al salario di riserva, ma non a quello contrattato.

In questo caso dalla stima ci si attende

f

< 0e ß = 0;

3. se, infine, si suppone che la curva dei contratti sia inclinata positivamente, ci si aspetta che

f

? 0 e ß ? 0.

L’evidenza empirica sembra suggerire che gli equilibri salari-occupazione non appartengono alla curva di domanda di lavoro ma alla curva dei contratti efficienti; tuttavia vi è disaccordo sulla forma della curva dei contratti che (statisticamente) risulta dipendere anche dal salario contrattato, contraddicendo l’ipotesi di indipendenza che sta alla base di una curva dei contratti verticale.

2.5 Conclusioni

In questo secondo Capitolo abbiamo introdotto le basi microeconomiche e i principali modelli di contrattazione, concentrandoci in particolare su uno degli attori principali che opera nel mercato del lavoro, il sindacato, individuandone i principali obiettivi e le diverse specificazioni della sua funzione d’utilità. Le organizzazioni sindacali sono tradizionalmente descritte come associazioni di lavoratori il cui primo obiettivo è quello di migliorare il benessere dei propri iscritti. La presenza del sindacato ha come effetto principale quello di indirizzarne gli equilibri economici rispetto alla condizione

(20)

(puramente ipotetica) di concorrenza perfetta, attraverso le sue due attività principali: lo sciopero e la contrattazione collettiva.

I tre modelli proposti illustrano condizioni alternative di contrattazione: nel caso in cui il sindacato abbia un potere monopolista è in grado di fissare unilateralmente il salario; secondo il modello right to manage (di cui il modello con sindacato monopolista può essere considerato un caso particolare), impresa e sindacati contrattano il livello del salario; infine, il modello di contrattazione efficiente prevede che le due parti contrattino sia sul livello del salario che sull’occupazione.

Dopo aver brevemente discusso quali siano le implicazioni teoriche in termini di salario e occupazione dei diversi modelli di contrattazione, ci si è domandato quale modello sia sostenuto dall’evidenza empirica. In generale, il modello che più si avvicina alle reali contrattazioni nei mercati del lavoro sembra quello di contrattazione efficiente, anche se non esiste un completo accordo tra i diversi studi.

L’analisi finora compiuta sui sindacati e sulla contrattazione è la base necessaria all’approfondimento del prossimo Capitolo, nel quale analizzeremo più nel dettaglio la relazione tra l’istituzione del mercato del lavoro “struttura della contrattazione ” e la performance macroeconomica. La struttura della contrattazione presa in considerazione nei modelli presentati in questo capitolo riguarda le negoziazioni tra una singola l’impresa e un singolo sindacato, ma nella realtà la struttura contrattuale è assai più complessa, prevedendo diversi livelli di organizzazione dei sindacati, diversi livelli di contrattazione collettiva ed in generale diverse strutture contrattuali.

Il terzo Capitolo si occuperà del dibattito che è nato e si è ampliato dagli anni Settanta, partendo dall’osservazione degli indicatori economici di alcuni paesi industrializzati proprio negli anni degli shock petroliferi: le notevoli differenze tra le performance dei diversi paesi possono, secondo la letteratura che andremo a presentare, essere legate alle diverse strutture della contrattazione.

Figura

Tabella 6: tassi di sindacalizzazione e copertura sindacale, un confronto internazionale

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