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LADISCIPLINADEISERVIZIPUBBLICILOCALI.INNOVAZIONIDOVUTIAGLIEFFETTIDELTITOLOVDELLACOSTITUZIONEEALSUCCESSIVORESTYLINGDELGIUDICECOSTITUZIONALE CAPITOLOQUARTO

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CAPITOLO QUARTO

LA

DISCIPLINA

DEI

SERVIZI

PUBBLICI

LOCALI. INNOVAZIONI DOVUTI AGLI EFFETTI DEL

TITOLO

V

DELLA

COSTITUZIONE

E

AL

SUCCESSIVO

RESTYLING

DEL

GIUDICE

COSTITUZIONALE

1. Effetti della modifica del titolo V della Costituzione sulla

riforma della disciplina dei servizi pubblici locali

I servizi pubblici locali sono stati incisi profondamente da alcuni provvedimenti legislativi che hanno avuto una portata innovativa notevole sull’assetto istituzionale ed economico dei servizi pubblici innovando il preesistente quadro legislativo e sociale che si è dimostrato ai margini della concorrenzialità e della competitività.

1.1. Inquadramento della tematica

Sotto il profilo economico il nuovo assetto dei servizi pubblici locali è stato ridisegnato alla luce delle nuove prospettive imprenditoriali ed orientato in maniera più decisa verso l’introduzione dell’apertura del mercato ai privati, la quotazione in borsa delle società

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di gestione dei servizi pubblici locali e la attuazione nel diritto interno di procedure per l’affidamento e per la gestione dei servizi in coerenza con i principi di matrice comunitaria di libera concorrenza, parità di trattamento, trasparenza, economicità, efficienza, etc.

Sotto il profilo giuridico i provvedimenti legislativi mediante i quali il legislatore è intervenuto nel quadro normativo che era divenuto ormai statico avviando il processo riformatore dei servizi pubblici locali sono principalmente tre ciascuna con una differente rilevanza e portata.

Si tratta delle novità introdotte dalla legge costituzionale n.3 del 2001 e di alcune leggi finanziarie1 ovvero: l’art. 35 della legge 28 dicembre 2001 n. 448 (legge finanziaria 2002) e da ultimo le modifiche apportate al suddetto articolo dalla legge 24 novembre 2003 n. 326 di conversione del Decreto Legge 30 settembre 2003 n. 269 e art. 4 comma 234 dalla legge 350/del 2003 (legge finanziaria del 2004)23.

Infine a chiarire il quadro legislativo ed a delineare più nitidamente l’ambito definitorio dei servizi pubblici locali è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale del 27 luglio 2004 n.272 su ricorso presentato dalla regione Toscana che ha stabilito che la disciplina della gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica rientra nella potestà legislativa statale, in quanto ambito attratto dalla

1Legge 28 dicembre 2001 n.448 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria del 2002) in GU 29 dicembre 2001 n.301 art.35; D.L. 29 settembre

2003 n.269 Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e la correzione dell’andamento dei conti

pubblici in GU 2 ottobre 2003 n,229 all’Art.14 convertito con modifiche in legge n. 326 del 2003

che modifica gli articoli 113 e 113 bis del Dlgs 267/2000(TUEL); legge 24 dicembre 2003 n.350

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria del

2004) art. 4 comma 234 ss in GU 27dicembre 2003 n. 299 .

2Per una lettura chiara e lineare della disciplina dei servizi pubblici locali si veda

Giusti M. (a cura di) “ Lineamenti di Diritto dell’economia” manuale per il corso di diritto dell’economia triennale presso Università degli studi di Pisa - A.A. 2004-2005

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materia-funzione “tutela della concorrenza”, riservata alla competenza esclusiva dello Stato, sono esclusi i servizi privi di rilevanza economica, perché con riferimento ad essi non esiste mercato concorrenziale4.

2. Quadro normativo sui servizi pubblici locali e brevi cenni alle prospettive evolutive.“ DDL n. S 772 recante delega al governo per il riordino dei servizi pubblici locali” in esame al Parlamento presentato il 16 agosto 2006

Prima di esaminare il nuovo assetto istituzionale ed economico dei servizi pubblici locali che prende le mosse dall’art.35 legge 448 del 2001 ( legge finanziaria del 2002) occorre precisare che tale norma pone i paletti fondamentali per il completamento di un processo riformatore che era stato avviato già nella precedente XIII legislatura con provvedimenti settoriali (energia, gas e trasporto pubblico) per l’adeguamento alle direttive comunitarie volte a promuovere la creazione di mercati concorrenziali e a favorire il processo di privatizzazione dei soggetti gestori dei servizi e di liberalizzazione dei servizi.

La riforma dei servizi pubblici locali introdotta dall’art.35 legge 448 del 2001 era stata preceduta da diversi disegni di legge presentati in Parlamento mai approvati superati dai successivi interventi legislativi ed attualmente superati dall’ultimo, in ordine cronologico, Disegno di legge che il Ministro per gli Affari Regionali e le

4Corte Costituzionale sentenza 27 luglio 2004 n. 272 sul sito della Corte Costituzionale o

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Autonomie Locali, Linda Lanzillotta, ha presentato il 16 agosto 2006 al Parlamento : “ DDL n. S 772 recante delega al governo per il riordino dei servizi pubblici locali “ . Tale legge all’art.1 stabilisce la finalità di provvedere al riordino della normativa nazionale che disciplina l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali, si propone di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale di rilevanza economica in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) ed m), della Costituzione e di assicurare un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione. Inoltre il DDL attribuisce ai comuni, province e città metropolitane la funzione fondamentale di individuare salvo quanto non già stabilito dalla legge, le attività di interesse generale il cui svolgimento è necessario al fine di assicurare la soddisfazione dei bisogni degli appartenenti alla popolazione locale, in condizioni di generale accessibilità fisica ed economica, di continuità e non discriminazione e ai migliori livelli di qualità e sicurezza, ferma la competenza della regione quando si tratti di attività da svolgere unitariamente a dimensione regionale.

Quindi il legislatore ancora una volta non affronta il problema della individuazione delle attività di interesse generale ma il progetto di legge si pone in un’ottica rispettosa dei principi sanciti dall’art.117 Costituzione e delle competenze regionali e rimette agli enti locali la vexata questio della definizione dei servizi di interesse generale e

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rilevanza economica locali ribadendo tutti i principi caratterizzanti la questione già sanciti dalla giurisprudenza comunitaria (principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ) e nazionale (sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione, soddisfazione dei bisogni della popolazione locale, accessibilità per la generalità degli operatori e non discriminazione, continuità del servizio, miglior livello di qualità). Insomma un inno al mercato, alle liberalizzazioni e alle privatizzazioni dei servizi pubblici locali.

Un disegno di legge che modifica completamente la normativa attualmente in vigore (art.113 TUEL) che prevede tra le modalità di gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica l’affidamento diretto alla Società per azioni pubblica o mediante la gestione ‘in house providing’ attraverso società a capitale totalmente pubblico ed obbligo di gara per la scelta invece della società privata. Infatti il modello dell’affidamento diretto viene considerato dal DDL una involuzione del processo di riforma e contraddittorio con la liberalizzazione dei servizi e con un mercato in libera concorrenza pertanto viene proposta una soluzione che dovrebbe essere più moderna nel senso di più rispettosa dei principi richiamati dalla UE, stabilendo come regola fondamentale il ricorso generalizzato a procedure competitive ad evidenza pubblica per l’affidamento delle nuove gestioni e per il rinnovo delle gestioni esistenti, quindi ritorno all’obbligo di gara.

Mentre la ‘gestione in house’ viene concepita come una procedura eccezionale la cui applicazione dovrà essere adeguatamente motivata e temporanea in vista di una durata transitoria infatti dovrà

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essere specificamente corredata da un piano di superamento entro un arco temporale definito.

3. Tappe della riforma legislativa : un cammino articolato e difficoltoso

La riforma dei servizi pubblici locali è stata impresa difficile sia concettualmente sia per problemi legati ad una preesistente legislazione molto frammentaria e risalente. Un corpo normativo composto da una pluralità di fonti normative emanate per disciplinare delle situazioni createsi di fatto nel mercato dei servizi pubblici locali per l’ingresso di nuovi operatori privati e imprese private competitive e per i numerosi interventi della Comunità europea sanzionatori dell’Italia per infrazione alle direttive comunitarie e sollecitatori della creazione di mercati concorrenziali.

Brevemente ripercorrendo le tappe precedenti nella evoluzione del disegno normativo dei servizi pubblici locali occorre partire dall’art.112 e seguenti del DLgs 18 agosto 2000 n. 267 (TUEL).

Il testo Unico degli Enti locali di riordino della legge 142 del 1990 riproponendo le disposizioni di tale ultima legge poneva fine alla distinzione tra norme sull’ordinamento e sul funzionamento dell’Ente Locale e quelle sull’ordinamento dei servizi.

I Comuni e le Province vengono riconosciuti come Enti Autonomi e responsabili del governo locale ed assumono il ruolo istituzionale di provvedere alle esigenze di sviluppo anche economico degli interessi della collettività che rappresentano.

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Il legislatore nel rimodellare la disciplina dei servizi pubblici locali ha introdotto numerosi elementi innovativi nelle modalità di gestione dei servizi pubblici locali per assicurare una maggiore funzionalità degli stessi nel rapporto fra amministrazione e cittadini.

In tale prospettiva il legislatore ha riformulato la disciplina normativa dei servizi pubblici locali concentrandosi sui vincoli attinenti al perseguimento del risultato e sulla necessità di garantire l’adempimento e la tutela dei diritti degli utenti piuttosto che sui vincoli sugli strumenti organizzativi da impegnare. Ed è proprio in tale contesto che vengono delineati moduli privatistici e regole volte a favorire la privatizzazione dei servizi pubblici al fine di destinare le risorse nuove per il perseguimento dei fini pubblici e attuare misure fortemente garantistiche e di tutela per i diritti degli utenti.

Le modifiche alla legge 142 del 1990 sono infatti finalizzate alla liberalizzazione delle public utilities o meglio alla introduzione di forme di gestione dei servizi e di strumenti organizzativi favorevoli alla liberalizzazione dei servizi pubblici Ad esempio viene creata la forma societaria pubblica non solo a prevalente capitale pubblico già esistente ma anche con capitale pubblico minoritario.

3.1. Il quadro delle fonti

Brevemente ricostruendo le fonti si parte dal TU 14 ottobre 1925 n.2578 e dal Regolamento adottato con il DPR 902/1986 che si è dimostrata incontestabilmente inadeguata alle esigenze dell’ordinamento delle autonomie locali.

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Primi modelli di riforma sono stati introdotti dal Dlgs 267 del 2000, Capo VII, che negli articoli 22 e 23 ha previsto nuovi moduli organizzativi rispetto al precedente TU 2578/1925 e al DPR 904/1986, con un carattere di provvisorietà che ha immediatamente fatto nascere un forte interrogativo circa la immediata operatività di tali articoli e quindi la possibile applicazione delle precedenti fonti normative.

La legge 142 del 1990 è stata successivamente trasfusa nel TU delle autonomie locali, Dlgs 267/2000 che ha innovato le forme di gestione dei servizi pubblici locali e riordinato la materia aggiungendo alle già esistenti forme di gestione della concessione a terzi e della gestione in economia i nuovi strumenti come: l’Azienda Speciale che nasce dalla trasformazione della vecchia azienda municipalizzata e , le istituzioni che riguardano la gestione dei servizi sociali e privi di rilevanza industriale e le società di capitali a prevalente partecipazione pubblica Locale5.

Accanto a tali modelli, qualche anno dopo il legislatore ha introdotto con la legge n.498 del 1992 la società per azioni senza vincolo della partecipazione maggioritaria degli Enti Locali al Capitale Sociale e senza il vincolo del controllo attraverso la detenzione della maggioranza azionaria da parte dell’Ente Locale.

In questo quadro normativo si inserisce l’art. 35 della legge 448/2001 che, tuttavia sotto il profilo dei modelli gestionali non ha

5 La letteratura sui servizi pubblici locali dopo il 1990 è vasta, in particolare R.Cavallo Perin Comuni e province nella gestione dei servizi pubblici , Napoli 1993.e stesso autore La struttura della concessione di servizio pubblico locale Torino 1998, G.Sanviti I modelli di gestione dei servizi pubblici locali Bologna 1995.

Servizi pubblici locali e nuove forme di amministrazione. Milano 1997(Atti del Convegno di

scienza dell’amministrazione Varenna 21-23 settembre 1995).Milano 1997.

Le società miste per i servizi locali (Atti del Convegno Messina 22-23 novembre 1996) Milano

1999.

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introdotto alcuna nuova figura, ma soltanto sotto il profilo delle modalità dell’affidamento del servizio, mentre significative novità vengono apportate dall’art.14 del DL 269/2003 che ha aggiunto la società a capitale interamente pubblico ed in house providing.

La riforma dei servizi pubblici locali risultante dalle fonti normative sopradescritte è stato il punto di arrivo delle evoluzioni succedutesi nell’arco dell’ultimo ventennio e anche più considerando che la legge originaria deve essere considerata la L.142/1990 ed era divenuta necessaria sia per la incompletezza e disorganicità del TU delle autonomie locali sotto il profilo delle forme gestionali dei servizi pubblici locali sia per la opportunità di rivedere tutto l’impianto normativo alla luce della legge La Loggia di delega al Governo (l. 5 giugno 2001 n.131).

4. Effetti del processo legislativo riformatore: Legge 3/2001 e nuovo Titolo V Costituzione; legge finanziaria del 2002 e legge finanziaria del 2004

La riforma costituzionale incide sul quadro normativo preesistente sotto alcuni profili : il primo profilo concerne il ruolo degli enti locali che risulta accentuato.

L’Art 4 della legge costituzionale n.3/2001, che modifica l’art.118 della Costituzione, prevede, infatti che le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, salvo, che per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, di

Successivi alla riforma del titolo V:G.Morbidelli “Scritti in diritto pubblico dell’Economia. Torino 2001;Di Gaspare Servizi pubblici locali in trasformazione Padova 2001.

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differenziazione ( in relazione alle diverse caratteristiche associative, territoriali demografiche degli enti locali), di adeguatezza ( in relazione all’idoneità organizzativa dell’amministrazione ricevente a garantire, anche in forma associata con altri enti, l’esercizio delle funzioni)6

Tali principi, mutuati dall’art.4 della ‘Legge Bassanini’ hanno ricevuto dignità costituzionale con le legge di modifica del titolo V della Costituzione .

Particolarmente rilevante è il principio di sussidiarietà, in base al quale l’attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative avviene, prima di tutto, in favore dell’ente o della Comunità di base, cioè del Comune, e solo successivamente in favore della provincia, della Comunità Montana, della Regione, dello Stato stesso, secondo la dimensione territoriale, associativa ed organizzativa.

Il principio implica che le funzioni amministrative devono essere quindi attribuite all’ente di base, cioè al Comune in via principale e solo per ciò che i Comuni non possono svolgere o realizzare subentra, come ente di sussidio e di aiuto l’altro ente con maggiori dimensioni territoriali, ovvero la Provincia e così via nell’ordine territorialmente di importanza.

Da questo principio deriva che non c’è più l’amministrazione che discende sino al cittadino, ma, al contrario l’amministrazione ha un centro decisionale determinante il più vicino possibile al cittadino, sia sotto il profilo territoriale, sia sotto il profilo delle stesse funzioni

6

Capicotto L.‘’Autonomia Finanziaria delle Regioni e degli Enti locali tra vecchio e nuovo art.119

della Costituzione: effetti sul sistema dei controlli di gestione nelle pubbliche amministrazioni e sulla riforma della contabilità pubblica ’’,pubblicato nella raccolta degli atti del convegno ‘’Le linee di Riforma dei Bilanci Pubblici’’, a cura della professoressa Cavallini, Giappichelli, Torino. Convegno organizzato dalla facoltà di giurisprudenza di Cagliari il 7-8-giugno 2002.

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amministrative ‘locali’ con esclusione delle materie indicate nell’art.117 della Costituzione di competenza legislativa statale.

Il processo di privatizzazione e di liberalizzazione avviatosi in Italia da tempo è stato poi rafforzato dagli interventi legislativi delle finanziarie intervenute in materia di trasformazione e privatizzazione della amministrazione e delle public utilities.

4.1. Art.35 legge 448/2001 e titolo V Costituzione (artt.117-118)

In particolare ci interessa l’art.35 della legge finanziaria del 2002 che ha riformato la disciplina dei servizi pubblici locali restringendo la potestà delle autonomia locali e successivamente il DL 269 del 2003 convertito nella legge 326 del 2003 mediante il quale il legislatore ha introdotto modifiche significative all’art.35 invadendo la autonomia regionale in materia dei servizi pubblici locali in quanto intervento non conforme ai principi di adeguatezza e di proporzionalità a cui deve conformarsi il legislatore statale nel perseguimento e nella tutela della concorrenza.

Il processo descritto si inserisce sempre all’interno del principio di sussidiarietà.

L’art.35 della finanziaria 2002 (L. 448 del 2001) si presenta come norma complessa e restrittiva del principio di sussidiarietà per l’impianto in esso previsto e soprattutto per:

a) il sistema delle gare, le cui modalità sono fissate in modo analitico nella legge;

b) per il divieto per le aziende che gestiscono servizi pubblici locali a concorrere fuori dai loro comuni (art.35 comma 2);

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c) per il divieto per le aziende speciali di partecipare alle gare di assegnazione delle gestioni dei servizi pubblici di rilevanza industriale;

d) per la limitazione della discrezionalità dell’Ente locale nella scelta delle forme di gestione del servizio pubblico a rilevanza industriale.7

Con l’introduzione del nuovo articolo 118 della Costituzione è stato eliminato tutto il sistema delle deleghe delle funzioni da parte dello Stato alle Regioni e dalle Regioni agli enti locali.

Nel settore dei servizi pubblici locali l’organizzazione in forma decentrata dei servizi pubblici è perseguita dal legislatore è finalizzata essenzialmente alla soddisfazione dei bisogni individuali e collettivi in quanto l’ente locale più vicino al cittadino che è identificato nel Comune o nella Provincia è sicuramente l’interprete primario dei bisogni e delle esigenze delle rispettive comunità e pertanto, l’ente si pone come elemento centrale nel sistema dei servizi pubblici.

La centralità attribuita al servizio pubblico a livello locale tuttavia non impedisce allo Stato o alla Regioni di intervenire. Infatti l’art.117 della Costituzione riserva allo Stato la potestà di intervenire in conformità alle proprie competenze in alcuni settori ben specificati, tra i quali la politica economica (lett.e) ed i rapporti internazionali (lett.a).

In ogni caso resta il dato incontestabile secondo cui l’area delle materie di intervento statale risulta notevolmente affievolito dopo la riforma costituzionale.

7

Sull’art.35 della legge 448/2001 si veda Losco V.”La riforma dei servizi pubblici locali secondo

l’art.35 della legge finanziaria del 2002” in Economia Pubblica n.3/2003; Si veda anche sul tema

Perfetti L.R : “ I servizi pubblici locali .Riforma del settore operata dalla legge 448 del 2001

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Il riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni secondo il testo costituzionale precedente alla riforma del titolo V attribuiva alle regioni ordinarie la potestà legislativa concorrente nelle materie tassativamente elencate nell’art.117 Cost. nelle quali spettava alle Regioni dettare le norme legislative nel rispetto dei principi e dei limiti fissati con legge statale. Mentre nelle materie non ricompresse nell’elenco veniva attribuita potestà legislativa residuale esclusiva allo Stato il quale poteva mediante legge attribuire, a sua volta, alle Regioni il potere di emanare delle norme attuative.

Il legislatore statale nel nuovo assetto viene ad avere una potestà legislativa residuale con una inversione di rotta rispetto all’assetto vigente in precedenza in cui lo Stato ha sempre avuto un potere di intervento forte a livello generale nei settori economici-produttivi e nelle materie ora attribuite alla potestà legislativa regionale e da tale inversione di tendenza deriva la necessità di riformare tutto il sistema legislativo adeguandolo alla Legge Costituzionale 3/2001 e ridimensionare alcuni interventi legislativi nazionali che risultano invasivi delle prerogative regionali e locali in settori ancora molto statalisti8.

Emerge in tal modo il secondo profilo di incidenza della riforma del Titolo V della Costituzione sulla disciplina dettata dall’art.113 del D.lgs 267/2000, comma 3, che, appunto, riguarda il netto ampliamento della potestà legislativa delle Regioni in merito alla parte dell’art.113 che prevede che siano le discipline di settore a stabilire i casi di separazione tra l’attività di gestione delle reti e degli impianti e delle attività di gestione dei servizi. Tali normative di settore, a causa della

8

Si veda per una trattazione generale AAVV ”I servizi pubblici locali” Cosa e Come della Giuffrè edizione 2004;

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loro natura di norme di dettaglio, rientrano in base alla attuale impianto legislativo nella competenza regionale.9

Il nuovo articolo 117 della Costituzione inverte il criterio di riparto delle competenze e investe il legislatore regionale di ampia autonomia legislativa e contiene un elenco tassativo delle materie in cui lo Stato dispone di potestà legislativa esclusiva (comma 2).

Nell’Art.117 comma 2 fra le varie materie di competenza esclusiva statale vengono menzionate alla lettera p) la legislazione elettorale, organi di governo, e funzioni fondamentali di Comuni e Province e Città Metropolitane; alla lettera e) la tutela della concorrenza che incidono sulla materia dei servizi dei servizi pubblici insieme ad un’altra ‘competenza trasversale’ che è indicata nella lettera m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Nel comma successivo (comma3) sono elencate le materie di legislazione concorrente10 nelle quali spetta allo Stato la potestà di determinare i principi fondamentali ed alle Regioni emanare la disciplina di dettaglio. In particolare l’ordinamento dei servizi pubblici locali abbraccia le materie indicate dal costituente nel comma 3 art. 117

9

Sul riparto delle competenze legislative, regolamentari ed amministrative tra Stato ed Enti Locali in base al principio di sussidiarietà verticale e quindi individuazione delle fonti normative abilitate a determinare la nuova disciplina si veda Caravita B La Costituzione dopo la riforma del Titolo V,

Stato, Regioni, autonomie fra Repubblica ed Unione federale Torino 2002. Mangiameli La riforma del regionalismo italiano, Torino 2002, Pizzetti F. il nuovo ordinamento italiano fra riforme amministrative e riforme costituzionali, Torino 2002. Poggi A. Le autonomie fra sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale,.Milano 2002.

10 Sulla competenza in materia di servizi pubblici locali dopo la riforma del titolo V della

Costituzione si veda Zito A. “I Riparti di competenze in materia di servizi pubblici locali dopo la

riforma del Titolo V della Costituzione, pubblicato tra gli scritti in onore di G.Berti tratto dal

Convegno sulla riforma dei servizi pubblici locali- Roma 15 0ttobre 2002.

Cammelli M., Amministrazione ed interpreti davanti al nuovo titolo V della Costituzione in Le Regioni 2001 p.1273.

Moscarini A., Competenza e sussidiarietà nel sistema delle Fonti, Padova 2003 e sulle funzioni

amministrative; Follieri E, Profili amministrativi nella individuazione delle materie di cui

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Cost. come l’istruzione, l’ordinamento sportivo, il governo del territorio; grandi reti di navigazione e in generale le procedure di produzione, trasporto, distribuzione nazionale dell’energia, valorizzazione dei beni culturali ed ambientali e proprio in tali ambiti quindi gli Enti regionali possono emanare le norme di dettaglio mentre allo Stato spetta dettare norme quadro, principi e criteri generali che le Regioni devono seguire nella normativa di dettaglio sempre nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e internazionale oltre che della Costituzione italiana.

Si profila così un contesto normativo disorganico e non molto chiaro in cui l’art.35 della legge 448/2001 norma della cui legittimità costituzionale si è dubitato sin dalla approvazione nella finanziaria 2002 per la ragione che l’art.117 non menziona i servizi pubblici locali nelle materie di legislazione concorrente né di legislazione esclusiva dello Stato, con la conseguenza che, a parere di una certa dottrina, dovrebbero rientrare nella potestà legislativa esclusiva regionale proprio in virtù dell’art. 117, comma 4, Cost.

La conseguenza della attribuzione alla potestà legislativa regionale della materia di servizi pubblici implica che spetterebbe soltanto alle Regioni legiferare sulla disciplina dei servizi pubblici locali, sulla organizzazione e sulle modalità di gestione, nel rispetto dei vincoli imposti dallo stesso articolo 117 della Cost., ovvero vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Una parte della dottrina favorevole alla conclusione appena menzionata, argomentava la conclusione in virtù delle competenze di natura trasversale rispetto ai servizi pubblici locali, che l’art.117, secondo comma, riserva allo Stato in via esclusiva, ovvero della tutela

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della concorrenza di cui alla lettera e) e della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lettera m) e funzioni fondamentali di Comuni, Province, Città metropolitane (art. 117 lett.p).

Tuttavia il tema della competenze legislative, regolamentari ed amministrative in merito ai servizi pubblici locali è molto delicato e complesso in quanto da un lato si scontra con la incertezza che in via generale concerne la corretta definizione del riparto delle suddette competenze alla luce delle materie contenute nel Titolo V della Costituzione ( art.117) e dall’altro vi è la circostanza che la materia dei servizi pubblici locali coinvolge interessi sensibili quali i diritti sociali alla cui soddisfazione devono essere finalizzati i servizi pubblici ed tocca la tematica della unità giuridica dell’ordinamento visto che il nostro Stato nasce costituzionalmente come ‘Stato sociale’ basato sulla uguaglianza sostanziale e sulla tutela dei diritti fondamentali e dei valori sociali.11

Da un lato la riforma costituzionale del Titolo V introdotta nel 2001 ha statuito la fine del modello gerarchico nei rapporti tra Stato ed Autonomie Locali in favore di un pluralismo paritetico nel quale lo Stato è soltanto uno degli attori che operano nel sistema e poiché coinvolge il particolare tema della identità nazionale sembrerebbe rinviare alla centralità del ruolo dello Stato nazionale essendo l’unico soggetto deputato appunto alla salvaguardia della identità nazionale

11Sul punto si veda Berti G, I pubblici servizi tra funzione e privatizzazione, in Jus 1999 p.867 ss;

Pastori G Diritti e Servizi oltre la crisi dello Stato Sociale, in scritti in onore di V.Ottaviano I Milano 2003 p,1082 sulla tematica dello Stato sociale e dei servizi pubblici.

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dovendosi escludere da tale ruolo le Autonomie locali compreso la Regione12.13

In particolare la materia dei servizi pubblici locali non rientra tra quelle di competenza esclusiva dello Stato di cui all’art.117 comma 2, Cost. e nemmeno tra quelle oggetto di legislazione concorrente di cui all’art.117 comma 3, Cost., pertanto sarebbe facile attribuire le competenze legislative in via esclusiva alla Regione e conseguentemente le competenze regolamentari dividerle tra Regione ed Enti Locali cui spetta la Titolarità dei servizi stessi e assegnare le competenze amministrative - regolamentari agli enti locali14.

Tuttavia tale postulato è stato alla base di alcuni ricorsi contro l’ art.35 della legge finanziaria 2002. Ad esempio il ricorso della Regione Basilicata per presunta illegittimità della norma dovuto al fatto che la disciplina dei servizi pubblici appartiene alla competenza esclusiva delle Regioni. Sempre sul medesimo motivo si fonda il ricorso della Regione Emilia Romagna, Toscana, Umbria.

Le Regioni hanno fondato i propri ricorsi sui seguenti motivi: A) il riferimento alla lettera e) art.117 Cost. non fosse pertinente perché la disciplina dei servizi pubblici locali implica la promozione della Concorrenza che non è riservata allo Stato. B) la lettera m) art.117 Cost. non riguarda i servizi aventi natura industriale ma solo quelli sociali. La competenza statale per i servizi sociali rimane, comunque limitata alla determinazione dei livelli essenziali, e quindi degli

12

In tal senso Zito op.cit

13Si veda sul punto Pastori G La Funzione amministrativa nell’odierno quadro costituzionale, Considerazioni introduttive, in AIPDA 2002 Merloni Il Destino dell’ordinamento degli enti locali e

del relativo testo unico nel nuovo Titolo V della Costituzione in Le Regioni 2002.

14

Sul tema dell’inquadramento delle materie non ricompresse nell’elenco dell’art.117 e loro inquadramento, si veda in dottrina Gallo G. Le Fonti del diritto nel nuovo ordinamento regionale Torino 2001.

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standard minimi delle prestazioni, e ciò non preclude la competenza regionale per la disciplina dell’organizzazione del servizio. C) non è pertinente il riferimento alla lettera p) dell’art.117 Cost. perché la gestione del servizio pubblico non è una funzione fondamentale dell’ente locale ma attività esercitata generalmente in concorrenza e quindi, sottratta ad una gestione effettuata con strumenti del pubblico potere.

Il richiamo alla legislazione concorrente non appare giustificabile in base al riferimento alla finanza pubblica perché l’art. 35 l.448/2001 non produce effetti su tale piano dal punto di vista delle previsioni di bilancio pluriennali.

Inoltre l’art. 35 l.448/2001 è stato ritenuto incostituzionale nei ricorsi depositato per violazione dell’art.117 comma 6.

Infatti il comma 16 dell’art.35 della legge finanziaria 2002 rinviava ad un successivo emanando regolamento statale la determinazione delle disposizioni di esecuzione e attuazione della norma e individuazione dei servizi a rilevanza industriale.

Allo Stato in base all’art.117 comma 6 Cost. spetta la potestà regolamentare nelle materie di legislazione esclusiva, tra le quali non rientrano i servizi pubblici locali con conseguente competenza regolamentare regionale.

Nella pendenza dei suddetti ricorsi contro l’art.35 della legge 448/2001 la norma è stata modificata dall’art.14 del DL 269/2003 e quindi non è intervenuta alcuna sentenza della Corte Costituzionale.

Come già detto, anche l’art.14 DL 269/2003 convertito in legge con modifiche L. 326/2003 è stato impugnato davanti alla Corte Costituzionale dalla Regione Toscana riproponendo essenzialmente le

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stesse motivazione dell’impugnativa verso l’art.35 della finanziaria 2002 ed il procedimento si è concluso con la sentenza dei giudici costituzionali 272/2004.

L’art.14, legge 326/2003, espressamente dispone che le disposizioni in esso contenute concernono solo la tutela della concorrenza e sono inderogabili ed integrative della disciplina di settore. Il legislatore con la disposizione citata evidentemente non intendeva in alcun modo invadere la sfera di attribuzioni legislativa delle Regioni.

Sul punto è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale 272 del 2004 che ha stabilito che la disciplina della gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica rientra nella potestà legislativa statale, in quanto ambito attratto dalla materia-funzione “tutela della concorrenza”, riservata alla competenza esclusiva dello Stato di rilevanza economica, perché con riferimento ad essi non esiste mercato concorrenziale.

Sulla base di tali premesse, la Consulta ha ritenuto costituzionalmente illegittimi l’art.14 comma 1 lettera e) e comma 2 legge n.326 del 2003, nonché conseguentemente, l’art.113, comma 7, secondo e terzo periodo, e l’art.113 bis del Dlgs 267/2000, come lesivi dell’autonomia regionale in materia di servizi pubblici locali, in quanto non effettivamente conformi ai criteri di adeguatezza e proporzionalità secondo cui devono essere valutati gli interventi legislativi statali rispetto all’obiettivo della tutela concorrenza.

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5. Sentenza della Corte Costituzionale 27/07/2004 n.272 : Gli effetti sul sistema normativo in materia di gestione di servizi pubblici locali.

Dettagliatamente la Corte Costituzionale nella sentenza 272/204 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale a) dell'art. 14, comma 1, lettera e), e comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, là dove stabilisce, dettagliatamente e con tecnica autoapplicativa, i vari criteri in base ai quali la gara viene aggiudicata, introduce la prescrizione che le previsioni dello stesso comma 7 "devono considerarsi integrative delle discipline di settore", poiché l'intervento legislativo statale risulta ingiustificato e non proporzionato rispetto all'obiettivo della tutela della concorrenza; b) dell'art. 113, comma 7, limitatamente al secondo ed al terzo periodo, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali); c) dell'art. 113-bis dello stesso decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267(TUEL) nel testo introdotto dal comma 15 dell'art. 35 della citata legge n. 448 del 2001, poiché si configura come illegittima compressione dell'autonomia regionale e locale, in quanto, relativamente ai servizi pubblici, privi di rilevanza economica, sono inapplicabili i principi comunitari in tema di concorrenza. L’insieme delle disposizioni colpite dai giudici costituzionali è in definitiva da ritenersi lesiva dell’autonomia regionale in materia di servizi pubblici locali, in quanto non effettivamente conformi ai criteri di adeguatezza e proporzionalità secondo cui devono essere valutati gli interventi legislativi statali rispetto all’obiettivo della tutela concorrenza.

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Gli effetti della pronuncia della Corte 272/2004 sono stati incisivi nel diritto dei servizi pubblici locali sia sotto il profilo della definizione della nozione di servizio pubblico a rilevanza economica e privo di tale rilevanza e quindi di servizio locale rientrante nell’uno o nell’altro ( e tale aspetto è stato affrontato nel capitolo secondo e ricostruito nello schema allegato al capitolo stesso) sia sotto il profilo più strettamente inerente alla disciplina applicabile in ordine alle modalità di gestione e di affidamento posto che è stato interamente eliminato l’art.113 bis del TUEL e il comma 7 secondo e terzo periodo dell’art.113 del TUEL con le conseguenze che vedremo. Tuttavia numerose sono le problematiche non risolte dalla sentenza della Corte Costituzionale 272/2004. In particolare:

1) Non si rinviene una definizione dei servizi pubblici privi di rilevanza economica. Il legislatore italiano non affronta il problema e analoga incertezza in merito si rinviene negli indirizzi della Commissione Europea espressi nel Libro Verde 2003 sui servizi di interesse generale che si limita a ribadire il carattere dinamico ed evolutivo della distinzione tra attività economiche e non ma espressamente rileva l’impossibilità di fissare a priori un elenco di tali servizi. (vedi capitolo due della presente tesi di dottorato ).

2) La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea richiamata dalla Corte Costituzionale definisce i servizi privi di rilevanza economica come quelli in cui vi siano “l’assenza dello scopo precipuamente lucrativo, la mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche l’eventuale finanziamento pubblico dell’attività in questione” (Corte Giust. CE, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001). Ma risulta difficoltosa la ricostruzione di tali servizi, infatti,

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diventa raro individuare dei servizi con tali caratteristiche in conseguenza del fatto che anche modeste attività (vedi il caso delle lampade votive nella sentenza TAR Toscana, sez. II, 28/07/03, n°. 2833 o servizi socio-assistenziali: gestione della comunità alloggio per minori, del centro educativo diurno per minori e della mensa sociale, di assistenza domiciliare in favore di persone anziane e/o svantaggiate, consegna di pasti caldi a domicilio, lavanderia e stireria, nonché gestione del centro di aggregazione per anziani v. recentissimo Consiglio di Stato Sez. V 30.8.2006 n. 507215; anche il servizio pubblico di assistenza e ricovero sanitario rientra tra quelli a rilevanza economica(mentre è servizio strumentale l’allestimento di locali e la fornitura di servizi di tipo alberghiero: TAR Lazio, Sez. III, 9/8/2006 n. 7126; Cass. 22 luglio 2002, n. 10726) assumono rilevanza economica in presenza di soggetti imprenditoriali interessati ad assumerne la gestione, nonché i relativi rischi, in cambio di un compenso determinato (corrispettivo o tariffa) perché presentano il carattere anche solo potenzialmente e astrattamente della redditività e della concorrenzialità sul mercato nel senso di suscettibilità a sviluppare la competizione e produrre profitto.

15 Ribadisce il Consiglio di Stato una sentenza precedente chiarificatrice sul punto del TAR

Sardegna: “La distinzione tra servizi pubblici di rilevanza economica e servizi privi di tale

rilevanza è legata all'impatto che l'attività può avere sull'assetto della concorrenza ed ai suoi caratteri di redditività; di modo che deve ritenersi di rilevanza economica il servizio che si innesta in un settore per il quale esiste, quantomeno in potenza, una redditività, e quindi una competizione sul mercato e ciò ancorché siano previste forme di finanziamento pubblico, più o meno ampie, dell'attività in questione; può invece considerarsi privo di rilevanza quello che, per sua natura o per i vincoli ai quali è sottoposta la relativa gestione, non dà luogo ad alcuna competizione e quindi appare irrilevante ai fini della concorrenza.

(23)

3) Terzo aspetto si presenta il pericolo di frequenti conflitti tra Stato e Regioni in materia di servizi pubblici. Considerando che difficilmente il legislatore regionale dichiarerà che taluni servizi pubblici (salvo quelli che tradizionalmente sono riconosciuti come tali: gas, energia, trasporti, igiene ambientale e servizio idrico intergrato) siano a rilevanza economica, sottraendoli così alla propria competenza legislativa esclusiva con conseguente probabile proliferare di tale categoria e della potestà regionale e quindi di leggi sempre più settoriali e rispettose delle esigenze locali, almeno si auspicherebbe tale orientamento. Infine 4) quarto aspetto: la Corte, nel dichiarare che la legittimazione dell’intervento del legislatore statale in tema di servizi va ricondotto alla competenza dello Stato in materia di concorrenza e non in tema di “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” ammette che “la gestione dei servizi pubblici non può certo considerarsi funzione propria ed indefettibile dell’Ente locale” con la conseguenza che mediante tale affermazione viene ribadita esplicitamente la sussidiarietà dell’azione dell’Ente locale rispetto al mercato nel settore dei servizi.

5.1. Sentenza Corte Cost 272/2004 ed i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica

Il principale effetto della sentenza della Corte Costituzionale 27 luglio 2004 n. 272 è di avere prodotto una spaccatura nella disciplina dei servizi pubblici locali tra servizi pubblici locali a rilevanza economica e privi di tale rilevanza creando due segmenti autonomi

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dotati di una propria disciplina 16. L’interrogativo che si pone per i servizi privi di rilevanza economica è quello di individuare i modelli organizzativi e di gestione di questi servizi visto che la materia esula dalla competenza del legislatore nazionale non ponendosi un esigenza di tutela della concorrenza.

Con riferimento alla disciplina dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica deve preliminarmente osservarsi Come l’art. 113-bis del Dlgs 267/2000 (TUEL) nella ultima versione introdotta dall'art. 14, d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (conv. in legge 24 novembre 2003, n. 326) e subito dopo dall'art. 4, comma 234, legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria per il 2004) introduceva una nuova disciplina per la gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, privilegiando fatte salve le disposizioni previste per i singoli settori -l’affidamento diretto a:

a) istituzioni;

b) aziende speciali, anche consortili;

c) società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitassero sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzasse la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.

La norma inoltre ammetteva l'affidamento diretto dei servizi culturali e del tempo libero anche ad associazioni e fondazioni da loro costituite o partecipate, nonché in generale la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio,

16 F

RANCHISCARSELLIG. La gestione dei servizi culturali tramite fondazione,in

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non si potesse, perché non era opportuno, procedere all’affidamento esterno dei servizi.

La sentenza della Corte Costituzionale 272/2004 ha completamento caducato l’art.113 bis del TUEL che aveva una origine particolare. Infatti con atto di messa in mora del 26 giugno 2002, la Commissione europea aveva dato avvio nei confronti dello Stato italiano ad una procedura di infrazione, ai sensi dell'art. 226 del Trattato CE, in riferimento all’art. 35 della l. 448/2001 per illegittimità in quanto contraria ai principi comunitari di libera concorrenza e suoi corollari. L’art.113 bis TUEL si inseriva all’interno dell’ originario testo dell’ art. 113 del TUEL dettando una specifica disciplina per i servizi priva di rilevanza economica(precedentemente detti privi di rilevanza industriale). La modifica della normativa introdotta a fine del 2001 con la finanziaria 2002 era stata nuovamente oggetto di osservazione da parte della Commissione Europea che infatti aveva già da tempo (prima ancora della finanziaria 2002) iniziato tale procedimento con riferimento all'art. 22 della legge 142 del 1990 ( poi art.113 TUEL), nella parte in cui questa disposizione disciplinava gli affidamenti di servizi pubblici senza il rispetto dei principi comunitari, in particolare erano state considerate non solo le lett. b), c) ed e) della norma, ma anche la lett. d) relativa all'Istituzione.17

La Commissione nel nuovo atto di messa in mora data 26 giugno 2002, evidenziava che l’art. 35 della l. 448/2001 “continua(va) a consentire numerose ipotesi di affidamento diretto dei servizi pubblici locali senza il rispetto” della disciplina comunitaria.

17

SCIULLO, I servizi culturali degli enti locali nella finanziaria per il 2002, in www.aedon.mulino.it, n. 1/2002 per alcune riflessioni sul tema in esame.

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Coerentemente con l’impostazione enunciata la Commissione ritenne non conformi a tale disciplina gli affidamenti diretti previsti come regola generale in tema di gestione di servizi pubblici “privi di rilevanza industriale” (art. 113-bis TUEL)18

Il Governo italiano di fronte al nuovo atto di messa in mora si difese replicando che l’omessa emanazione del regolamento previsto nell’art.35 per disciplinare dettagliatamente ed applicare quanto stabilito nella stessa norma(...) “avrebbe privato di alcuna pratica e concreta efficacia l’intero disposto dell’art. 35 e che, quindi, in assenza del regolamento di attuazione da esso previsto al comma 16, non sarebbe stato “ammissibile instaurare una sorta di processo alle intenzioni19” In secondo luogo, riguardo ai servizi privi di rilevanza industriale si segnalava che avrebbero dovuto rientrarci pure taluni marginali servizi sociali destinati alle categorie deboli20.

Il Governo italiano a seguito della segnalazione e della procedura di infrazione comunitaria intervenne disciplinando nuovamente la materia dei servizi pubblici locali con la recente normativa introdotta con l'art. 14, D.l. 30 settembre 2003, n. 269 (conv. in legge 24 novembre 2003, n. 326) e subito dopo con l'art. 4, comma 234, legge 24 dicembre 2003, n. 350. In primo luogo tale normativa eliminava la distinzione fra servizi pubblici locali "di rilevanza industriale" e servizi pubblici locali "privi di rilevanza industriale" sostituendola con quella fra servizi pubblici locali "di rilevanza economica" e servizi pubblici locali "privi di rilevanza economica"

18In particolare pp. 27,28 dell’atto di messa in mora della Commissione 19

pp. 9 e 10 op.sopra cit.

20P.11

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Il giudice costituzionale affronta la problematica questione di chiarire i concetti di rilevanza economica e privi di rilevanza economica e si sofferma non solo sul profilo della compatibilità comunitaria della precedente disciplina ma anche sulla distribuzione delle competenze tra legislatore nazionale e regionale disegnata dalla riforma del Titolo V della Costituzione.

Infatti con la sentenza della Corte Cost. n. 272 del 27 luglio 2004 viene interamente eliminata la disciplina dell’art.113 bis TUEL poiché, a parere della Corte, non si può invocare la tutela della concorrenza e l’inderogabilità della disciplina da parte di norme regionali in riferimento ai servizi "privi di rilevanza economica" previsti dall’art. 113-bis, dal momento che il titolo di legittimazione per gli interventi del legislatore statale costituito dalla tutela della concorrenza non è applicabile a questo tipo di servizi, proprio perché in riferimento ad essi non esiste un mercato concorrenziale.

Inoltre la Corte richiamando la costante giurisprudenza comunitaria ricorda che i servizi privi di rilevanza economica sono caratterizzati in particolare, a) dall’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, b) dalla mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche c) dall’eventuale finanziamento pubblico dell’attività in questione (Corte di giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001).

Non si può a priori determinare tali servizi ma il giudice nazionale è il soggetto a cui spetta la competenza di valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato per accertarne la natura, tenendo conto del soggetto erogatore, dei caratteri e delle modalità della prestazione, dei destinatari. Quindi viene valorizzato il

(28)

ruolo degli Enti locali e si apre un ampio spazio per una specifica ed adeguata disciplina di fonte regionale ed anche locale.

La Corte, dichiara illegittimo l’art. 14, comma 2, in merito alla disciplina della gestione dei servizi pubblici locali "privi di rilevanza economica", di cui all’art. 113-bis del TUEL, in quanto ritiene che esso non possa essere certamente ricondotto alle esigenze di tutela della libertà di concorrenza e quindi, sotto questo profilo, si configura come illegittima compressione dell’autonomia regionale e locale.

L’effetto della pronuncia è stato prorompente con grande incertezza per gli operatori del diritto e per i giudici chiamati ad applicare la legge in quanto la caducazione dell’art.113 bis ha creato un vuoto normativo non facilmente colmabile posto che i soggetti istituzionali chiamati a intervenire (giudici e operatori) rapidamente e ovviamente coerentemente con le indicazioni della Corte Costituzionale e con i principi comunitari e costituzionali in un settore molto delicato dell’economia e della vita economico-sociale del nostro Paese.

Abbiamo già osservato nel capitolo secondo come la giurisprudenza nazionale della Suprema Corte di Cassazione nonché il Consiglio di Stato e i Tribunali Amministrativi richiamandosi ai principi fissati dalla Cassazione sul servizio pubblico e della UE per servizi di rilevanza economica abbiano individuato una vasta tipologia di servizi a rilevanza economica. Un utile criterio inoltre per mettere ordine ed individuare i servizi privi di rilevanza economica discende dalla esistenza per questi servizi di normative speciali che gia prevalevano sul disposto dell’art 113 bis del TUEL in virtù dell’inciso

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del comma 1 che appunto richiamava e faceva salve espressamente tali disposizioni e le singole discipline settoriali.

Vi è anche da considerare che l'ambito di applicazione del regime dei servizi pubblici locali sociali (…) si è nel tempo drasticamente ristretto a causa dell'entrata in vigore di una serie di provvedimenti settoriali (statali e regionali) che ne hanno previsto delle specifiche e distinte forme di gestione per l'esercizio di tali servizi21.

Le normative di settore già numerose prima della emanazione del testo unico degli enti locali hanno continuato a proliferare anche successivamente e tutt’ora in vigenza del TUEL, numerose normative quali quelle che si sono sviluppate per il terzo settore (v. la legge sul volontariato n. 266/91, quella sulle cooperative sociali n. 381/91 modificata dalla legge 52/96 e, infine, quella sull'associazionismo n. 383/2000) dettano disposizioni di principio che le regioni, a loro volta, hanno reso operative con linee di attuazione, per gli enti locali, in ordine alla gestione dei servizi stessi.

Nel dettaglio esse prevedono in particolare ad esempio il ricorso alle convenzioni come provvedimento mediante il quale viene a costituirsi un rapporto bilaterale che funge da atto di regolamentazione con il contraente selezionato attraverso forme che non rientrano nelle procedure di evidenza pubblica né nelle altre forme menzionate del TUEL22e ciò discende dall’essere servizi che non si devono svolgere in regime di libera concorrenza perché non esiste un mercato di riferimento.

21FRANCHISCARSELLIG.O.P.CIT. 22

Ad esempio la giurisprudenza amministrativa ha qualificato la Gestione di una casa di riposo comunale come servizio pubblico locale di rilevanza sociale. Vedasi TAR Marche, 24/5/2004 n. 317

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Tuttavia è curioso osservare che le regole di settore per i servizi privi di rilevanza economica molto spesso vanno al di là dei modelli che prevedeva l’art.113 bis (affidamento diretto se l’ente affidatario era una sorta di longa manus dell’ente locale affidante-controllante e sussistono i requisiti dell’in house providing: subordinazione gerarchica, controllo, prevalenza dell’attività svolta dall’affidatario per l’ente controllante23c.f.r. TAR Sardegna, sez. I, 2/8/2005 n. 1729).

Spesso le leggi di settore istituiscono forme di confronto concorrenziale tra gli aspiranti aggiudicatari del servizio24 in questo modo continua a farsi ricorso alla esternalizzazione dei servizi che viene contemplata dalle norme di carattere speciale che regolano quella tipologia di servizi. Un esempio potrebbe essere l’affidamento dei servizi sociali, sportivi e culturali.

Nonostante la riforma dell’art. 113 bis TUEL fosse ispirata al principio dell’in house providing non discostandosi poi molto dalla disciplina dettata dall’art.113 TUEL per i servizi a rilevanza economica25, la normativa di settore molto spesso, al contrario, si discosta dall’art. 113 bis TUEL, ora caducata dalla Corte Cost., e recepisce lo strumento dell’affidamento ai terzi come criterio generale salvaguardando ed evidenziando il principio della sussidiarietà.

23 Secondo una recentissima sentenza del Consiglio di Stato Sez. V, 30/8/2006 n. 5072, che

conferma l’orientamento precedente ormai consolidato: “ in base all'art. 113, c. 5 lett. c), del D.

Lgs. n°267/2000, anche la gestione dei servizi di rilevanza economica può essere affidata senza gara

"a società a capitale interamente pubblico", ma ciò, "a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano" (c.d. affidamento in house providing). Secondo la giurisprudenza amministrativa e comunitaria, "per controllo analogo si intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente societario" (così Cons. Stato, VI Sez., 25/1/2005 n°168, si veda anche Corte Giust. C. E. 18/11/1999, in causa C-107/98).

24

FRANCHISCARSELLIG.O.P.CIT

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Infine una ultimo problema in ordine al regime applicabile ai servizi privi di rilevanza economica si pone, in particolare, per quei servizi che non sono disciplinati da leggi statali o regionali di settore.

In tal caso, senza ombra di dubbio, continueranno a trovare applicazione le disposizioni di carattere speciale regolanti il servizio.

Qualora, invece, il servizio non risulti disciplinato da alcuna disciplina di settore, statale o regionale, né la regione abbia adottato una disciplina generale in materia, “..ci dovrebbe essere dunque spazio per una specifica ed adeguata disciplina di fonte regionale ed anche locale”.

Quindi in assenza di previsioni statali di settore, ovvero generali o settoriali regionali, gli enti locali, nell’esercizio del proprio potere organizzativo, vedranno il ventaglio della scelta delle forme organizzative.

E’ stato osservato come: “Nel nuovo quadro normativo, gli enti locali risultano quindi legittimati a ricorrere a più forme organizzative per la gestione dei servizi privi di rilevanza economica, anche se non previste direttamente dal D.Lgs.267/2000.

Legittimamente potrà essere costituita, allora, un’istituzione, ma anche un’azienda speciale, figure entrambe disciplinate dall’art.114 D.lgs.267/2000.

Qualora più enti locali intendano addivenire alla gestione associata di uno o più servizi, potrà inoltre essere utilizzato il modello del consorzio, ai sensi dell’art.31 D.Lgs.267/2000.

Deve ritenersi, altresì, consentita la gestione in economia. Un discorso a sé merita la forma societaria.

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All’interno del D.Lgs.267/2000, l’unica norma legittimante la gestione di servizi pubblici locali, economici o non economici, tramite società è ravvisabile nell’art.115 D.Lgs.267/2000 (come evoluzione organizzativo del modello azienda speciale), a cui va ad aggiungersi la particolare ipotesi gestionale prevista dal successivo art.122 , in materia di lavori socialmente utili, di cui all'art. 4, commi 6, 7 e 8, D.L.31/01/1995, n. 26, conv. con L.29/03/1995, n.9526 “.

L’utilizzo della forma societaria risulta problematico osserva l’autore, sotto un altro profilo che già la Consulta aveva individuato evidenziando che ” i servizi privi di rilevanza economica si caratterizzano per l'assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, per la mancata assunzione dei rischi connessi all’attività e per l’eventuale finanziamento pubblico dell'attività in questione, e se quindi la particolarità dei bisogni perseguiti richiedono un soddisfacimento diverso dall'offerta di beni o servizi sul mercato” e quindi il modello societario potrebbe essere inidoneo per la gestione di tali servizi sia se Stato optasse per la gestione diretta sia se preferisse per alcuni servizi mantenere un'influenza determinante27 .

Analoghe perplessità potrebbero, in vero, sollevarsi con riferimento all’azienda speciale e al consorzio, tipici enti pubblici economici, dotati di autonomia imprenditoriale.

Osserva l’autrice che tuttavia potrebbe risolversi la questione “seguendo le indicazioni espresse dalla Commissione Europea nel Libro Verde sui servizi d’interesse generale (per cui i servizi non

26

Per una ampia trattazione in parte riproposta nel presente lavoro: si veda: Caroselli A. “Gli effetti

della sentenza della Corte Costituzionale 27/07/2004, n. 272 sul sistema normativo in materia di gestione di servizi pubblici locali” in www.dirittodeiservizipubblici.it del 17.2.2005

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economici sono caratterizzati dal fatto che, per motivi di interesse generale, lo stato preferisce provvedervi direttamente o sui quali intende mantenere una posizione dominante), devono però ritenersi compatibili con la gestione di servizi non economici, non tutte le forme societarie, ma i soli modelli che costituiscono espressione della gestione diretta dei servizi pubblici locali da parte dell’ente locale” Pertanto “Gli enti locali potranno, quindi, legittimamente provvedere alla costituzione di società a capitale interamente pubblico, purché sussistano le condizioni previste per l’affidamento diretto del servizio, dedotte dalle argomentazioni contenute nella nota sentenza Teckal e riprodotte nello stesso art.113, comma 5, lett.c), D.Lgs.267/2000”. In merito invece alle società mista secondo la giurisprudenza interna, il modulo organizzativo della società mista risulta compatibile con l’affidamento cd. in house del servizio pubblico, in quanto tra comune e società viene ad istaurarsi un rapporto di delegazione interorganica che fa sì che quest’ultima divenga ente strumentale del comune28 .

Anche il Consiglio di Stato è intervenuto sostenendo che “Il

modulo gestorio dell'affidamento del servizio pubblico ad una società per azioni, a capitale misto, appositamente costituita dall'ente locale, esimendo quest'ultimo dallo svolgimento di una selezione pubblica per la scelta del gestore, va qualificato come gestione diretta del servizio da parte dell'Ente locale (Consiglio di Stato Sez. V, 19 febbraio 1998,

n.192), assimilabile all'affidamento c.d. in house di matrice

comunitaria, e che il fondamento della sua attribuzione senza gara dev'essere rinvenuto negli atti costituivi della società ed in quelli di selezione del socio privato”. Consiglio di Stato, Sez. V, 30/6/2003 n.

28

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3864. In merito è recentemente intervenuta la Corte di Giustizia Europea, secondo cui “La partecipazione, anche minoritaria, di

un'impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l'amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi”. (Sentenza della

Corte di giustizia europea, Sez. I, 11/1/2005 n. C-26/03).

5.2.Possibili conclusioni sulla gestione mediante modulo societario

Seguendo la posizione del giudice europeo, dovrebbe quindi escludersi il modello della società mista per la gestione dei servizi privi di rilevanza economica. Analoghe perplessità, dovrebbero, in vero, sollevarsi relativamente alla concessione, laddove diversa disposizione non sia rinvenibile all’interno della normativa di settore.

Un'altra soluzione prospettabile potrebbe essere il ricorso a forme organizzative non citate dal D.Lgs. 267/2000 che potrebbero trovare la legittimazione nell’art.11 codice civile, cioè nella capacità di diritto privato dell’ente locale29.

Una idea potrebbe essere il ricorso al modello della fondazione e dell’associazione, già oggetto di previsione nell’abrogato art.113 bis, e particolarmente diffuse nella prassi per la gestione di servizi di tipo culturale.

Il ricorso dell’ente a tali figure soggettive di diritto privato deve in ogni costruirsi garantendo la congruità tra la causa della forma

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giuridica e la logica del servizio gestito affinché il modello prescelto configuri una modalità di gestione diretta del servizio.

6. Servizi privi di rilevanza economica: Il caso dei servizi sportivi. Collocazione non certa

Un caso emblematico riguarda i servizi sportivi ambito nel quale vi è la tendenza a garantire forme privilegiate di affidamento diretto mediante stipula di una convenzione con le associazioni sportive in linea con l’art.35 Legge 448/2001 30. Tale orientamento risulta confermata dalla nuova norma introdotta dall’art. 90, comma 25, della legge finanziaria 2003 che prevede che “nei casi in cui l’ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata in via preferenziale a società e associazioni dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline sportive associate e Federazioni sportive nazionali, sulla base di convenzioni che stabiliscono i criteri d’uso e previa determinazione di criteri generali e obiettivi per l’individuazione dei soggetti affidatari” così statuendo la norma viene a colmare il vuoto normativo precedentemente esistente.

Sulla natura di concessione di pubblico servizio dell'affidamento della gestione di impianti sportivi comunali, e sull'obbligo di indire procedure selettive per la scelta del concessionario improntate ai principi comunitari

30Questa tendenza di garantire forme privilegiate di affidamento diretto, alle associazioni sportive

era stata confermata dal testo redatto dal comitato ristretto della VII Commissione Permanente del Parlamento in data 12.3.1998, il cui art. 8 come sottotitolo aveva “gestione degli impianti sportivi”

ed affida ancora la gestione degli impianti “in via prioritaria a società o associazioni sportive dilettantistiche, sulla base di convenzioni che ne stabiliscono i criteri d'uso, e previa determinazione di criteri generali ed obiettivi per la individuazione dei soggetti affidatari”

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è intervenuta una importante sentenza del TAR Lombardia Milano Sez III, 20/12/2005 n.563331 dalla quale emerge la qualifica di servizio pubblica e la rilevanza economica della gestione di impianti sportivi comunali. Ciò conferma che la classificazione del servizio nell’ambito delle attività prive di rilevanza economica dovrà essere valutata nel singolo caso concreto non potendosi trarre una conclusione definitiva univoca.

7. Servizi Culturali non a rilevanza economica e a rilevanza economica: Il caso delle attività di valorizzazione dei beni culturali

Ancora in materia di servizi culturali che non rientrerebbero nei servizi a rilevanza economica ma piuttosto in quelli privi di rilevanza

31Precisa il TAR Milano che “La fattispecie avente ad oggetto l'affidamento a terzi del centro sportivo

comunale, nella quale i costi sostenuti dal gestore del centro sportivo sono a carico dell'affidatario il quale potrà contare sui proventi derivanti dall'esercizio commerciale (bar) presente nell'impianto rientra nell'istituto della concessione in quanto: una parte del rapporto è rappresentato da un ente pubblico che è titolare del bene e responsabile in via diretta del servizio da affidare in gestione; l'alea relativa alla gestione viene trasferita al concessionario che si assume il "rischio economico" nel senso che la sua remunerazione dipende strettamente dai proventi che potrà trarre dall'utilizzo del bene.

In particolare, si tratta di concessione di pubblico servizio posto che, sul piano oggettivo, per pubblico servizio deve intendersi un'attività economica esercitata per erogare prestazioni volte a soddisfare bisogni collettivi ritenuti indispensabili in un determinato contesto sociale (cfr., in termini generali, Cons St., sez. IV, 29 novembre 2000, n. 6325 e Cons. St., sez. VI, n. 1514/2001).

Anche nel caso di concessioni pubbliche, per la scelta del concessionario è necessario ricorrere a procedure selettive in grado di garantire trasparenza (anche attraverso un'adeguata pubblicità), imparzialità e parità di trattamento. L'obbligo di dare corpo a forme idonee di pubblicità deriva in via diretta dai principi del Trattato dell'Unione Europea, direttamente applicabili a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie o interne.

La norma contenuta nell'art. 90, comma 25, della n. 289/2002 secondo cui "…nei casi in cui l'ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata in via preferenziale a società e associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline sportive associate e Federazioni sportive nazionali, sulla base di convenzioni che ne stabiliscono i criteri d'uso e previa determinazione di criteri generali e obiettivi per l'individuazione dei soggetti affidatari…", non esclude affatto che l'amministrazione sia tenuta ad indire una procedura selettiva improntata ai principi di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento e ciò risulta confermato dal contenuto della stessa disposizione citata secondo cui l'ente territoriale, nell'affidare la gestione degli impianti in argomento, deve comunque predeterminare criteri per l'individuazione degli affidatari”.

(37)

economica ma sono dotati di una specifica disciplina prevalente sull’art.113 bis del Dlgs 267/2000, possiamo trarre le medesime conclusioni dei servizi sportivi sulla base del recente introduzione del Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con Decreto legislativo n.42 del 22 gennaio 200432

La giurisprudenza amministrativa e la sentenza Corte Cost 272/2004 ancor prima hanno ribadito cosa debba intendersi per servizi privi di rilevanza richiamando il Libro Verde del 2003 (v.sentenza 272/2004 già cit.) A questo proposito la Commissione europea, nel «Libro verde sui servizi di interesse generale» (COM-2003-270) del 21 maggio 2003, ha affermato che le norme sulla concorrenza si applicano soltanto alle attività economiche, tuttavia dato il carattere dinamico ed evolutivo della distinzione tra attività economiche e non economiche non sarebbe possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse generale di natura «non economica»”dovrà essere il giudice nazionale a valutare “circostanze e condizioni in cui il servizio viene

prestato, tenendo conto, in particolare, dell'assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dell'eventuale finanziamento pubblico dell'attività in questione (Corte di giustizia C.E., sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001).” e (c.f.r. sentenza Corte Cost. 272/2004).

Inoltre, prosegue il TAR Lazio “In tale contesto, il legislatore

nazionale ha emanato l’art. 113 bis del T.U. degli enti locali che avrebbe potuto avere una sua rilevanza rispetto al caso di specie soltanto in assenza di una disciplina speciale di settore”. E ancora

precisa il giudice laziale “Tale evenienza invece si desume,, proprio

32

D.Lgs. n. 42 del 2004, recante il “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”

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dall’emanazione del citato D.Lgs. n. 42 del 2004 che ha assegnato alle attività di valorizzazione del patrimonio culturale di cui all’art. 6 ed alle attività connesse di cui all’art. 117 una valenza essenzialmente pubblica, più che economica e concorrenziale”. (TAR Lazio, sez. II, 17/11/2005 n. 11741).

In merito alle modalità di gestione l’articolo 115 del Codice dei bei culturali, infatti, prevede due distinte forme di gestione delle attività di valorizzazione del patrimonio culturale nazionale ad opera della pubblica amministrazione: la prima in forma diretta e la seconda in forma indiretta.

La normativa (art.6, art.115, art.117 Codice dei beni culturali, D.lgs 22.1.2004 n.42 Codice dei beni culturali) non fa altro che attribuire agli enti pubblici territoriali la facoltà di ricorrere ad una pluralità di modelli di gestione diretta ed indiretta per la organizzazione delle attività di valorizzazione di beni culturali, già definite dai primi osservatori come costituenti il "servizio pubblico della valorizzazione". In questo modo per la valorizzazione viene introdotta una disciplina speciale, integrativa di quella generale dei servizi pubblici per costituire un unicum rispetto alla gestione del patrimonio pubblico, privilegiando la partecipazione del privato e le forme associate a prevalenza pubblica, ammettendo affidamenti diretti in house o alternativamente indiretti attraverso la concessione a terzi, nel rispetto della concorrenza ma anche della convenienza economica, ma soprattutto progettuale con ampi margini di discrezionalità amministrativa in capo al titolare del bene, per garantire il profitto in termini di efficacia ed efficienza, di mezzi, di metodi e di tempi.

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Riguardo proprio alla valorizzazione è intervenuto recentemente il TAR Lazio, sez. II, 23/8/2006 n. 7373 riconoscendo la natura di servizi a rilevanza economica dei restauri e della valorizzazione e promozione dei beni culturali ed ha ribadito che in tale settore l'affidamento in house può concernere soltanto il servizio relativo alla valorizzazione.

Infatti il TAR Lazio ha sancito che ”Il settore dei restauri e

quello della valorizzazione e promozione dei beni culturali costituiscono servizi a rilevanza economica, secondo la regola evincibile dalle norme comunitarie e nazionali. Una società in house dei servizi di progettazione, conservazione, manutenzione, documentazione e catalogazione dei beni culturali aggira le regole dell'evidenza pubblica di cui agli artt. 1 e 7 del Dlg 30/2004, forzando le norme ex artt. 6, 101 e 117 del Dlg 42/2004”

Aggiunge il TAR” L'art. 113, c. 5, lett. c) del Dlg 267/2000

consente sì l'erogazione del servizio pubblico con l'affidamento in house, ma nel rispetto delle normative di settore che, dunque, dettano il contenuto ed i limiti del servizio da erogare in tal modo. Dal canto suo, l'art. 115, c. 3, lett. a) del Dlg 42/2004 riguarda non tutte le possibili competenze in tema di beni culturali, ma solo le attività di valorizzazione degli stessi, secondo le regole, per vero assai generali e programmatiche, di cui ai precedenti artt. 6 e 112”

In definitiva secondo il Giudice amministrativo “L'affidamento

diretto non può dunque che concernere il servizio relativo alla valorizzazione, non anche, in difetto di specifiche ed inequivocabili norme derogatrici, le attività di progettazione, conservazione e manutenzione. Ove tali attività non siano sicuramente ascrivibili alla

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