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Capitolo 2 La Biomeccanica delle Fratture

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Academic year: 2021

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La Biomeccanica delle Fratture

L’apparato scheletrico viene continuamente sottoposto ad un’ampia gamma di sollecitazioni; la frattura si configura come l’espressione del fallimento meccanico dell’osso di fronte a un carico (Acierno, 2006).

La localizzazione di una frattura all’interno di un osso (diafisi, metafisi o epifisi) e il tipo di frattura (spirale, trasversale, obliqua, comminuta) sono determinate da numerosi fattori. Le forze di compressione, flessione, tensione, torsione e forze trasversali alle quali viene sottoposto un osso, determinano specifici modelli di frattura; inoltre, le caratteristiche materiali del tessuto osseo influenzano i diversi quadri di frattura (Radasch, 1999, Hulse & Hyman, 2005).

Le caratteristiche meccaniche del tessuto osseo dipendono da numerosi fattori quali:

1) il tipo di osso (corticale o spugnoso); 2) la densità apparente o porosità dell’osso;

3) la velocità del carico al quale l’osso viene sottoposto;

4) l’orientamento della microstruttura ossea in relazione alla direzione della forza;

5) l’età del paziente e quindi dell’osso;

6) lo stato generale del soggetto (Radasch, 1999).

Infine, la grandezza e la forma di un osso e la presenza di difetti ossei o processi patologici, locali o sistemici, possono influenzare le proprietà meccaniche e i modelli di frattura (Radasch, 1999).

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Proprietà meccaniche dell’osso corticale e spugnoso

Tutte le ossa sono costituite dalla combinazione di osso compatto o corticale e trabecolare o spugnoso.

L’osso corticale circonda sempre l’osso spongioso ma la relativa quantità di ciascun tipo è variabile a seconda della specifica localizzazione all’interno dell’osso (diafisi, metafisi o epifisi) (Radasch, 1999).

Nelle ossa lunghe, la parte intermedia, definita diafisi, è rappresentata da un cilindro cavo che presenta una parete spessa di osso compatto e una voluminosa cavità midollare centrale occupata da midollo osseo. Le estremità sono costituite principalmente da osso spongioso rivestito da una sottile corteccia di osso compatto. Nell’adulto gli spazi intercomunicanti tra le trabecole dell’osso spongioso sono direttamente in continuità con la cavità midollare diafisaria. Nell’animale in crescita, le estremità delle ossa lunghe, denominate epifisi, originano da centri di ossificazione separati e sono divise dalla diafisi tramite un disco epifisario cartilagineo, a sua volta unito alla diafisi per mezzo di colonne di osso spongioso in una regione di transizione chiamata metafisi (Fawcett, 1996).

L’osso è composto da una matrice inorganica mineralizzata chiamata idrossiapatite, costituita prevalentemente da fosfato di calcio, legata ad una matrice organica non mineralizzata di collagene (soprattutto di tipo I), glicosaminoglicani, acqua, ed elementi cellulari. La matrice inorganica impartisce resistenza e rigidità all’osso, mentre la matrice organica dona flessibilità ed elasticità (Fawcett, 1996; Radasch, 1999).

La robustezza e la rigidità dell’osso sono maggiori di quelle del collagene o dell’idrossiapatite da sole; il collagene, infatti, impedisce che la rigida apatite sottostia ad una frattura fragile, mentre l’idrossiapatite previene il collagene flessibile da una eccessiva deformazione (Hulse & Hyman, 2005).

Le maggiori differenze tra l’osso corticale e spugnoso sono la relativa porosità e le caratteristiche meccaniche, determinate prevalentemente dalla

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percentuale di matrice organica e inorganica presenti in ciascun tipo di osso. Per porosità si intende il volume dell’osso occupato da tessuto non mineralizzato; l’osso corticale è composto principalmente da matrice inorganica mineralizzata e quindi possiede una bassa porosità variabile dal 5% al 30%. In contrasto, l’osso spugnoso è composto da un’alta percentuale di matrice organica non mineralizzata che lo rende maggiormente poroso rispetto all’osso corticale; possiede, difatti, il 30-90% di porosità (Radasch, 1999; Hulse & Hyman, 2005).

Dal punto di vista meccanico, l’osso spongioso è destinato ad assorbire un’elevata quantità di energia, mentre l’osso corticale impartisce robustezza e rigidità alla struttura (Radasch, 1999).

Grazie alla sua più alta densità apparente (la massa del tessuto osseo diviso il volume del campione in esame, includendo l’osso mineralizzato e gli spazi midollari) l’osso corticale possiede maggior robustezza e rigidità, assorbe meno energia e può tollerare meno tensione prima dell’insorgenza di frattura rispetto all’osso spugnoso (Radasch, 1999; Schwarz, 2001).

La resistenza alla compressione di tutti i tessuti ossei dello scheletro è all’incirca proporzionale al quadrato della densità apparente. Il modulo elastico del tessuto osseo trabecolare è approssimativamente proporzionale al cubo della densità apparente. Queste relazioni tra le proprietà meccaniche e l’apparente densità del tessuto osseo sono molto importanti (Acierno, 2006). Esse indicano, fondamentalmente, che piccoli cambiamenti della densità apparente comportano alterazioni sostanziali di forza, rigidità, tolleranza allo sforzo e capacità di assorbire energia da parte dell’osso. Dal punto di vista radiografico, non sono visibili modificazioni apprezzabili prima che la variazione dell’ apparente densità ossea non scenda al di sotto del 30-50%, quando ormai la perdita di robustezza e rigidità dell’osso risulta elevata e può portare quindi all’insorgenza di fratture patologiche (Radasch, 1999).

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Effetti della velocità della forza applicata

Robustezza e rigidità dell’osso sono relative alla velocità alla quale la forza viene applicata: se l’osso subisce un carico ad alta velocità sia la rigidità che la robustezza al cedimento aumentano. Quando ciò si verifica, la quantità di energia assorbita prima delle fratture ossee è significativamente aumentata. Quando questa energia viene liberata a livello del focolaio di frattura, si verifica la frammentazione dell’osso e un significativo trauma dei tessuti circostanti (Radasch, 1999; Hulse & Hyman, 2005).

Nella figura 2.a viene rappresentato l’effetto della velocità del carico sull’assorbimento dell’energia. L’energia assorbita prima della frattura e liberata nel tessuto molle è l’area sotto la curva. Da questa si evince, inoltre, che un impatto ad alta velocità libera considerevolmente più energia ai tessuti molli di quanto faccia una lesione a bassa velocità (Hulse & Hyman, 2004).

Figura 2.a: Effetto della velocità del carico sull'assorbimento dell'energia (Hulse & Hyman, 2005).

Materiali come l’osso, il cui assorbimento energetico dipende dalla velocità del carico applicato, vengono definiti viscoelastici. Il significato clinico che ne deriva è che in presenza di lesioni ad alta velocità possono essere attesi un considerevole rilascio di energia e un trauma tissutale (Hulse & Hyman, 2005; Radasch, 1999).

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In base alla velocità del carico applicato che ha provocato la frattura, le fratture si definiscono: a bassa energia, ad alta energia e ad altissima energia (Radasch, 1999).

Un esempio di frattura a bassa energia è quella che si può provocare un cane saltando da un’altezza poco elevata, che può esitare in una frattura diafisaria traversa distale radiale con minimo danno tissutale. Una frattura ad alta energia, invece, può essere conseguente ad un incidente automobilistico che determina una moderata comminuzione e danno tissutale. Infine, un colpo d’arma da fuoco può causare estrema comminuzione e traumatismo dei tessuti molli circostanti creando una frattura ad altissima energia (Radasch, 1999).

Direzione e modi di carico

La microstruttura dell’osso corticale è orientata parallelamente all’asse longitudinale dell’osso; il comportamento sollecitazione-deformazione dell’osso è fortemente dipendente dall’orientamento della microstruttura ossea rispetto alla direzione d’applicazione del carico (Acierno, 2006).

L’osso corticale è più resistente e più rigido nel senso longitudinale per l’orientamento predominante degli osteoni in questa direzione, rispetto alla direzione trasversa. Materiali come l’osso, le cui caratteristiche di resistenza dipendono dalla direzione della forza applicata in relazione all’orientamento della propria microstruttura, vengono detti anisotropi (Radasch, 1999; Schwarz, 2001; Hulse & Hyman, 2005; Acierno, 2006).

Alla complessità delle proprietà tissutali si deve aggiungere che l’osso (così come il legamento) non è omogeneo, cioè, la sua struttura e proprietà meccaniche variano all’interno del segmento osseo stesso (Hulse & Hyman, 2005).

Anche i vari modi di carico influenzano le proprietà meccaniche dell’osso corticale e spugnoso: per esempio, l’osso corticale resiste meglio alle forze

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compressive, possiede una tolleranza intermedia alle forze tensili ed è fragile quando sottoposto a forze trasversali (Radasch, 1999).

L’osso spugnoso, sottoposto a forze di tensione, possiede una capacità significativamente minore di assorbire energia rispetto a quando è sottoposto ad una forza di compressione della medesima intensità. Tuttavia quando si considerano le sue caratteristiche meccaniche di sollecitazione-deformazione, la sua riposta a forze di compressione e tensione è simile (Radasch, 1999). La resistenza alla tensione e compressione dell’osso corticale è significativamente maggiore rispetto all’osso spugnoso (Radasch, 1999).

Influenza dell’età

L’età del paziente influenza le proprietà meccaniche delle sue ossa. Il contenuto minerale delle ossa giovani è basso, ma incrementa rapidamente con la maturità del soggetto (Radasch, 1999; Schwarz, 2001).

L’osso corticale immaturo possiede la capacità di assorbire maggior energia, tollera maggiormente la tensione e la deformazione elastica prima dell’insorgenza di fratture, ma possiede minor rigidità rispetto all’osso corticale adulto. Questo spiega perché le fratture a legno verde sono comuni nei giovani animali; il medesimo carico in un soggetto adulto esita, generalmente, in una frattura completa (Radasch, 1999; Schwarz, 2001). Per la presenza delle cartilagini metafisarie di accrescimento nei soggetti giovani, questi vanno facilmente incontro a fratture delle fisi che possono portare a difetti di accrescimento e deformazioni angolari. Le cartilagini di accrescimento, infatti, rappresentano la porzione dell’osso meccanicamente e strutturalmente più fragile (Radasch, 1999).

L’osso maturo diventa più duro e resistente, assorbe meno energia e possiede una tolleranza minore alle forze di tensione a causa del legame crociato esistente tra le fibre di collagene e della mineralizzazione dell’osso (Radasch, 1999; Schwarz, 2001).

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Nei soggetti geriatrici si ha un progressivo deterioramento delle proprietà meccaniche dell’osso corticale a causa dei cambiamenti nella microstruttura e composizione; esso possiede, infatti, minor resistenza, rigidità ed è in grado di assorbire minor energia. Questo in conseguenza di un incremento della porosità dell’osso, del legame crociato delle fibre collagene nonchè della mineralizzazione che portano progressivamente ad una maggior fragilità ossea (Radasch, 1999; Schwarz, 2001).

Poiché l’osso corticale nei pazienti anziani può diventare eccessivamente fragile, è riscontro clinico comune, in caso di ossa fratturate, avere più rotture, fessurazioni e comminuzione rispetto a fratture provocate da un medesimo carico in un giovane animale (Radasch, 1999).

Influenza delle malattie e difetti ossei

Ogni processo patologico che modifica le proprietà materiali o la geometria dell’osso può alterare le normali caratteristiche meccaniche (Radasch, 1999). In particolare l’iperparatiroidismo di origine nutrizionale o renale, l’uremia cronica, l’iperadrenocorticismo, l’osteogenesi imperfetta, le osteomieliti di origine fungina o batterica, e le neoplasie sono alcuni esempi di malattie che possono causare (Radasch, 1999):

1) inibizione dei normali legami crociati tra le fibre di collagene; 2) alterazione della normale microstruttura del collagene;

3) riduzione del contenuto minerale dell’osso.

Le ossa affette da queste od altre condizioni patologiche sono suscettibili a frattura quando sottoposte ai normali carichi fisiologici (Radasch, 1999). Neoplasie, cisti ossee e procedure chirurgiche, come innesti ossei, biopsie ossee, fissatori esterni, viti, ecc., cambiano la geometria ossea alterando le caratteristiche meccaniche dell’osso che diviene più fragile (Radasch, 1999).

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Effetti della geometria ossea

Il comportamento dell’osso dipende sia dalle sue proprietà materiali che dalla sua geometria (Hulse & Hyman, 2005; Acierno, 2006). Da questi elementi derivano, infatti, proprietà biomeccaniche quali il modulo di elasticità, la capacità di assorbire energia, la resistenza alla fatica (fatigue strength), che insieme rappresentano i fattori intrinseci che si confrontano con le forze applicate (Evans, 1961).

Quando le ossa sono soggette a carichi in aumento, esse si deformano fino a che se ne verifica il cedimento (Hulse & Hyman, 2005; Acierno, 2006).

Un osso di grandezza maggiore si deforma in maniera minore ad un determinato carico e cede sotto un carico maggiore rispetto ad un osso di dimensioni più piccole. Questo è semplicemente il risultato del fatto che le orze interne generate caricando l’osso più grande sono distribuite su un’area di sezione trasversa maggiore in modo tale che gli stress in ogni punto sono ridotti (Radasch, 1999).

È possibile sviluppare una curva forza-deformazione (figura 2.b) per rappresentare le proprietà strutturali di due ossa con grandezza diversa (Hulse & Hyman, 2005).

Da questa si può desumere che le proprietà strutturali dipendono non solo dalla composizione del materiale, ma anche dalle dimensioni di ciascun osso. Le dimensioni geometriche importanti sono l’area della sezione trasversale, la distribuzione dell’osso attorno all’asse neutro (forma) e la lunghezza dell’osso. Se le ossa sono normalizzate considerando la forza per unità di area (stress), ciascun osso possiede caratteristiche simili. Quando le dimensioni di ciascun osso sono normalizzate dalla registrazione dell’area della sezione trasversale e della lunghezza, è possibile produrre una curva stress-sforzo (figura 2.b) per rappresentare le proprietà materiali di ciascun osso (Hulse & Hyman, 2005).

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Figura 1.b: Figura in alto: Curva forza-deformazione; Figura in basso:Curva stress-distensione

(Hulse & Hyman, 2005).

In base alle proprietà strutturali, la robustezza è definita come il carico finale a cui un osso può resistere prima di rompersi; mentre secondo le caratteristiche materiali è definita come lo stress finale al quale il materiale si rompe. Analizzando le curve di forza-deformazione e stress-sforzo, si può notare come inizialmente, ciascun osso reagisce ad una data forza in maniera lineare, cioè la deformazione è in relazione diretta alla quantità della forza. Questa sezione della curva forza-deformazione prende il nome di regione

elastica poiché quando la forza viene rimossa, l’osso ritorna alla sua forma

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permanente nella forma è indicato come il punto di cedimento. A questo punto, quando la forza viene rimossa la deformazione permane; nell’osso vivo, il rilevamento di una deformità permanente è solitamente indice della presenza di un danno microstrutturale. La sezione della curva dal punto di cedimento a dove l’osso si rompe viene chiamata regione plastica e rappresenta una deformazione aggiuntiva. Il punto di rottura è il carico finale o stress estremo. La rigidità strutturale è rappresentata dalla pendenza della curva di forza-deformazione nella regione elastica; allo stesso modo, la rigidità materiale (modulo) è la pendenza della curva di stress-sforzo nella regione elastica. Più è grande la pendenza (inclinazione) della curva, maggiore è la rigidità strutturale o materiale dell’osso e minore è la deformazione che l’osso subisce sotto carico. L’area compresa sotto la curva di forza-deformazione o di stress-sforzo rappresenta l’energia assorbita da parte dell’osso prima del cedimento (Hulse & Hyman, 2005).

La forma della maggior parte delle ossa lunghe è, in sezione trasversale, una via di mezzo tra un cilindro e un quadrato, caratteristica molto importante da un punto di vista meccanico e rappresenta un adattamento funzionale dell’osso: una struttura con una forma puramente cilindrica resiste meglio agli stress di torsione, mentre una puramente quadrata è più resistente alle forze di piegamento. La forma quadrata con margini arrotondati o triangolare, che possiedono la maggior parte delle ossa lunghe, crea un’alta resistenza ad entrambe le forze di torsione e piegamento (Schwarz, 2001, Radasch, 1999). Un altro adattamento meccanico è rappresentato dalla struttura tubulare della diafisi delle ossa lunghe che offre maggior efficienza per contrastare le forze di compressione, flessione e torsione rispetto ad una struttura solida (Schwarz, 2001, Radasch, 1999).

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Effetti delle forze applicate sulle ossa lunghe

Le ossa lunghe sono soggette a forze fisiologiche (forze intrinseche) e non fisiologiche (forze estrinseche).

Le forze fisiologiche sono una combinazione tra forze dinamiche e statiche che agiscono sulle ossa lunghe come risultato del sostegno del peso, della contrazione muscolare e dell’attività fisica associata. Vengono trasmesse all’osso attraverso le superfici articolari e la contrazione muscolare. Le forze fisiologiche sono uniassiali (tensione o compressione) ma possono dare origine anche a momenti di torsione o di piegamento. Le forze fisiologiche, di solito, non superano la forza massima dell’osso e non sono responsabili di fratture; un’eccezione si ha nel caso di fratture patologiche in quanto i carichi agiscono su un osso più fragile (Radasch, 1999; Hulse & Hyman, 2005). Le forze non fisiologiche si verificano in situazioni insolite come incidenti automobilistici, ferite da arma da fuoco o cadute. Esse possono essere trasmesse all’osso direttamente e possono facilmente superare la forza massima dell’osso, provocando una frattura (Hulse & Hyman, 2005).

La forza fisiologica di sostegno del peso si manifesta non appena i piedi vengono a contatto col suolo; contemporaneamente, il suolo risponde con una forza uguale ma opposta indicata come forza di reazione al suolo. Gli elementi importanti che caratterizzano l’effetto della forza (e quindi la produzione delle fratture in seguito a un evento traumatico) sono quelli relativi alla grandezza, alla durata e alla direzione delle forze che agiscono sull’osso (Radasch, 1999; Johnson & Hulse, 2004; Hulse & Hyman, 2005). Nei cani durante una deambulazione lenta, la forza di reazione al suolo è uguale al 30% del peso corporeo con ciascun arto anteriore e del 20% con ciascun arto posteriore. A causa dell’accelerazione e dell’impulso del carico, tuttavia, la forza (forza = massa x accelerazione) di reazione al suolo può aumentare di cinque volte o più il peso corporeo ad un trotto rapido o ad una

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corsa o al momento di spiccare un salto (Schwarz, 2001; Radasch, 1999; Hulse & Hyman, 2005).

La somma delle forze fisiologiche è trasmessa alle ossa attraverso le superfici articolari e causa compressione assiale, tensione assiale, piegamento e torsione sulla colonna dell’osso (Hulse & Hyman, 2005).

La percentuale del carico articolare trasmesso come compressione assiale o piegamento è determinata dal punto e dalla direzione dell’applicazione della forza a livello della superficie articolare relativa alla colonna d’osso, alla normale curvatura dell’osso e alla posizione dell’arto. Se la forza è applicata eccentricamente rispetto alla colonna ossea, si verificano sia una compressione che un piegamento; una forza concentrica applicata (in linea) con la colonna ossea produce una compressione. Da questo deriva che le ossa caricate più eccentricamente (femore, omero) sono soggette ad un piegamento maggiore, mentre quelle caricate più concentricamente sopportano una forza compressiva maggiore (Hulse & Hyman, 2005).

Un secondo fattore che determina la quantità del piegamento rispetto alla forza compressiva assiale è la normale curvatura dell’osso; sebbene il radio e l’ulna siano caricati attraverso una superficie articolare che è più in linea con l’asse longitudinale della colonna ossea e siano soggetti a carichi compressivi, la normale curvatura di queste ossa determina significativi carichi di piegamento (Hulse & Hyman, 2005).

Una torsione origina dalla contorsione del corpo quando il piede è saldamente piantato sul terreno. Anche le forze muscolari contribuiscono significativamente alla torsione, poiché i loro punti d’inserzione sono periferici all’asse di rotazione dell’osso che generalmente corrisponde al centro della cavità midollare (Hulse & Hyman, 2005).

Stress interni (intensità della forza interna) e distensioni interni (deformazioni locali) sono normali se sono diretti perpendicolarmente alla superficie di una sezione trasversale dell’osso. Sono indicati come stress e distensione di

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slittamento se sono diretti obliquamente o parallelamente alla superficie della sezione trasversale dell’osso (Hulse & Hyman, 2005).

I vari modi di carico ai quali le ossa sono soggette determinano specifici

modelli di fratture (figura 2.c). Nelle numerose esperienze cliniche riportate

in bibliografia, tuttavia, la maggior parte delle fratture è determinata dalla combinazione di molte forze che agiscono contemporaneamente (Radasch, 1999; Hulse & Hyman, 2005).

Poiché l’osso è più debole quando è soggetto ad uno stress di slittamento o tensile, il cedimento si verifica nelle zone di alta deviazione o stress tensile (Hulse & Hyman, 2005).

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Quando sollecitato in tensione, l’osso diafisario normalmente si frattura su di un piano approssimativamente perpendicolare alla direzione del carico che, nella maggior parte dei casi, comporta l’avulsione di una porzione di osso su cui è inserito un robusto tendine o legamento (Tencer, 2001; Acierno, 2006). Generalmente, le ossa soggette a compressione si rompono obliquamente rispetto all’asse longitudinale che corrisponde al piano di massima forza di slittamento interno (Hulse & Hyman, 2005).

I carichi di piegamento (flessione o incurvamento) danno inizio ad una frattura trasversale che corrisponde ad un alto stress tensile interno sulla superficie convessa dell’osso. Un piccolo frammento, iniziato a livello della zona di alta forza di slittamento interno, può manifestarsi sulla superficie di compressione dell’osso. Se la compressione e il piegamento si verificano nello stesso momento, la forza di slittamento interna (dovuta alla compressione netta) è accentuata sulla superficie concava, determinando un più grande frammento “a farfalla” o una comminuzione sulla superficie concava (Tencer, 2001; Hulse & Hyman, 2005; Acierno, 2006).

I carichi di torsione si creano da forze di slittamento interno parallele alla colonna d’osso e possono iniziare una frattura nel punto di massima forza di slittamento. Le fratture generalmente iniziano a livello di un piccolo difetto osseo superficiale e successivamente il crack si approfondisce secondo una distribuzione a spirale attraverso l’osso secondo piani di alto stress in tensione (Hulse & Hyman, 2005; Acierno, 2006).

Le fratture che avvengono a seguito di traumi ad alta energia sono caratterizzate da una ulteriore comminuzione causata dalla ramificazione e propagazione di vari piani di frattura (Radasch, 1999; Tencer, 2001; Acierno, 2006).

Come già discusso, anche la velocità della forza determina il tipo di frattura e l’entità del danno dei tessuti molli ad essa associato. Le forze a bassa velocità o di carico esitano in fratture singole, con scarsa dissipazione dell’energia nei

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tessuti molli. Al contrario, le forze ad alta velocità sono causa di fratture comminute in cui l’elevata energia presente viene dissipata attraverso la propagazione della frattura ed il danneggiamento dei tessuti molli circostanti (Radasch, 1999; Johnson & Hulse, 2004).

Il carico ripetuto può portare a fratture da stress in cui il danno osseo risulta più rapido della risposta mediante osteoproduzione (Johnson & Hulse, 2004). Le ossa stabilizzate e i loro sistemi di impianto vengono sottoposte ad analoghe forze di compressione, curvatura e torsione generate dal carico dell’arto e dalla contrazione della muscolatura adiacente. Per riuscire a trattare con successo le fratture, è essenziale che il tipo di fissazione prescelto sia in grado di contrastare i carichi applicati all’osso stabilizzato (Johnson & Hulse, 2004).

Figura

Figura 2.a : Effetto della velocità del carico sull'assorbimento dell'energia (Hulse & Hyman, 2005)
Figura  1.b:  Figura  in  alto:  Curva  forza-deformazione;  Figura  in  basso:Curva  stress-distensione
Figura 2.c:  Linee di frattura create dall'applicazione di forze all'osso (Johnson & Hulse, 2004)

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