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Mi specchio nei tuoi gestiMichela Perrone

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Academic year: 2021

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La scoperta dei neuroni a specchio si deve a Giacomo Rizzolatti, che poco più di venti anni fa mise in relazione il sistema visivo dei macachi con quello motorio.

Qualche anno dopo fu dimostrato che questo meccanismo funziona- va anche negli esseri umani; ma ciò che ha reso popolari i neuroni a specchio è principalmente la capacità di spiegare l’empatia

«I neuroni specchio sono per le neuro- scienze ciò che il DNA è stato per la bio- logia». È questa l’ormai celeberrima af- fermazione di Vilayanur Ramachandran, neurologo e neuroscienziato indiano che da anni lavora negli Stati Uniti.

Ramachandran è stato tra i più entusia- sti nell’accogliere la scoperta dei neuro- ni specchio, avvenuta circa 20 anni fa in Italia, a Parma.

Era il 1992 quando il gruppo guidato da Giacomo Rizzolatti pubblicò il suo primo paper. Rifiutato dalla prestigiosa rivista Nature per «lack of general inte- rest» (mancanza di interesse generale), uscì su Experimental Brain Research. Per la prima volta si metteva in relazione il sistema visivo (dei macachi) con quel- lo motorio. La scoperta è stata possibile grazie a un gioco di rimandi: i ricercatori hanno osservato che alcuni neuroni di un macaco si attivavano mentre l’animale stava guardando un ricercatore afferrare del cibo. Queste cellule erano localizza- te in un’area della corteccia premotoria, la stessa che si attiva quando la scimmia compie il gesto dell’afferrare che ha os- servato. Questo significa che esistono neuroni che si attivano sia quando l’ani- male compie un gesto, sia quando lo vede eseguire. Dopo la prima pubblicazione la vera sfida diventò dimostrare se questo meccanismo funzionasse anche negli es- seri umani.

Qualche anno dopo, grazie anche alle tecniche di brain imaging, poco invasive e in grado di mostrare quale parte del cer- vello si attivi in seguito a un determinato stimolo, arrivò la risposta tanto attesa: i neuroni specchio - questo il nome ela- borato nel frattempo - non solo esistono anche negli uomini, ma sono localizzati in diverse zone, non solo in quella moto-

ria. Da quel momento i neuroni specchio hanno goduto di una popolarità enorme negli ambiti più disparati, dall’arte al ci- nema, passando per le teorie delle emo- zioni. «Eravamo convinti della rilevan- za scientifica della nostra scoperta, ma mai avremo pensato a un successo così grande anche tra i non esperti» sorride oggi Giacomo Rizzolatti, che continua il suo lavoro come professore di fisiologia umana al Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma. Una popolarità tale si è vista raramente in Italia per una scoperta scientifica. A dimostrazione dell’eccezionalità dell’evento, qualche mese fa è stato assegnato a Rizzolatti il Premio De Sica, un riconoscimento

“pop” che ogni anno riconosce il lavoro di personalità italiane e straniere che si siano distinte in vari ambiti, da quello artistico alle scienze appunto (in passa- to in quest’ambito sono stati premiati, tra gli altri, Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia).

 

empatIa

Ciò che più di ogni altra cosa ha con- tribuito a rendere popolari i neuroni specchio è il fatto che spiegano biolo- gicamente l’empatia. Quella capacità di identificarci nelle situazioni e emozioni altrui, quel sentimento che tutti abbia- mo provato piangendo di fronte a un film triste oppure gioendo per una bella notizia raccontata da un amico. Ebbene, queste emozioni sarebbero connatura- te dentro di noi e i neuroni specchio ne sarebbero la conferma. «Siamo riusciti a dimostrare che l’empatia esiste per dav- vero, che normalmente proviamo amore per il prossimo, anche se poi la vita può modificare questa attitudine» afferma

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Rizzolatti. Meccanismi fisiologici per l’empatia era- no stati ipotizzati in precedenza, senza tuttavia mai riuscire a dimostrarli. È grazie al sistema specchio che riusciamo per esempio a codificare le espressioni facciali. I visi sono molto diversi tra loro e di conse- guenza lo sono anche le manifestazioni di gioia, do- lore, preoccupazione. Eppure, spesso anche di fronte a una semplice fotografia, riusciamo senza troppa difficoltà a ricondurre le smorfie facciali a emozioni che ci appartengono. 

Riconoscere le espressioni degli altri e “immedesi- marsi” in loro, tuttavia, non è l’unico aspetto inte- ressante dei neuroni specchio. Essi permettono an- che di capire l’intenzionalità di un’azione. «Se per esempio in treno una ragazza passa il giornale al suo fidanzato, un osservatore esterno è in grado di capire l’armonia della coppia a partire da quel semplice ge- sto» spiega Rizzolatti. Se infatti i due sono reduci da un dissapore, il quotidiano sarà passato in modo più brusco, mentre se non ci sono tensioni il movimen- to sarà più morbido. Si tratta di un’abilità che molti di noi danno per scontata e attuano senza pensarci troppo, ma che è molto complessa dal punto di vista neurobiologico.

 

autISmo

Infatti, non tutti riescono a discernere l’intenzione e l’emozione che accompagnano i gesti delle persone.

Chi è affetto da autismo, per esempio, non è in grado di effettuare questa distinzione.

Rizzolatti negli ultimi anni si è occupato molto della

possibile correlazione tra malfunzionamento del si- stema specchio e disturbi dello spettro autistico (così si chiama quell’insieme di patologie caratterizzate da isolamento e incapacità di partecipare al mondo degli altri). «Abbiamo rilevato che nei soggetti au-

tistici i neuroni specchio non si attivano nello stesso modo dei soggetti a sviluppo tipico, cioè privi della malattia» osserva Rizzolatti. Questo potrebbe signi- ficare aver trovato almeno una delle possibili cause di questa malattia.

In questo momento, a Parma stanno studiando le vi- tality form, «una particolare forma di comunicazio- ne umana descritta da Daniel Stern, famoso psico- logo e psicoanalista. È una sorta di comunicazione inconscia tra persone, per esempio tra quelle che si vogliono bene, come possono essere madre e figlio o una coppia di fidanzati. Tuttavia queste vitality form non si localizzano nelle stesse aree delle grandi emozioni (come odio, rabbia, amore ecc.), ma a livel- lo di organizzazione cerebrale formano un circuito particolare» evidenzia lo scienziato.

Ebbene, proprio questa forma di comunicazione è quella deficitaria nei soggetti autistici, come stan- no dimostrando gli studi del gruppo di Rizzolatti.

Anche di fronte a un esperimento molto semplice, che consiste nell’osservare una ragazza che passa un biscotto a un’altra persona, soggetti affetti da auti- smo non riescono a stabilire se si tratti di un gesto gentile o meno (l’esperimento viene invece svolto senza difficoltà dai bambini a sviluppo tipico).

Rizzolatti evidenzia come in queste persone sia il rapporto comunicativo con gli altri a mancare: la loro comprensione è di tipo letterale e non si spinge all’interpretazione dei gesti altrui. Sanno benissimo che la ragazza sta passando un biscotto, ma non rie- scono a decodificare l’atto motorio capendo con che

“spirito” sta compiendo l’azione. È lo stesso motivo per il quale le persone affette da autismo spesso non riescono a cogliere le metafore: interpretano il lin- guaggio in modo letterale senza riuscire a scorgere l’immaginifico della figura retorica.

Per avere margine di intervento sulla malattia è fondamentale la diagnosi precoce. «I nostri esperi- menti hanno questo fine ultimo - ricorda Rizzolatti.

Effettuare una valutazione efficace entro un anno di vita. Una volta accertata la predisposizione all’auti- smo, potremmo sottoporre il bambino a una mag- giore ricchezza di stimoli rispetto alla normale in- Le persone affette da autismo spesso non

riescono a comprendere le metafore nella loro dimensione immaginifica

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terazione madre-figlio. In questo modo si riuscirà a limitare se non a guarire il disturbo». Per Rizzolatti infatti esiste un periodo critico superato il quale i miglioramenti diventano difficili anche con terapie appropriate: «Riprendendo una similitudine non mia, è come imparare una lingua straniera. Se la si apprende da bambini, la si parlerà senza accento. Se invece la si studia da adolescenti o da adulti, indipen- dentemente dalla conoscenza del lessico, non si avrà la stessa capacità di pronuncia.

Questo perché si è appresa dopo la soglia critica».

Lo stesso succede nell’autismo: c’è una predisposi- zione genetica che, se scoperta in tempo, può essere attenuata e si possono spingere i bambini a isolarsi meno. Superato il periodo critico, invece, l’interven- to è molto meno efficace.

RoBot

I neuroni specchio, tuttavia, non interessano solo la medicina, ma anche la robotica. All’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit), dove attualmente lavora uno dei membri del team iniziale di Rizzolatti, Luciano Fadiga, si sta studiano iCub, un robot bambino.

L’istituto ha infatti messo a punto questa piatta- forma per simulare l’apprendimento nei primissimi anni di vita dell’essere umano. «Serve per diverse ricerche nel campo dell’intelligenza artificiale e del- la robotica in senso stretto, ma il progetto ha radici nei risultati ottenuti dalle neuroscienze sui neuroni specchio, di cui iCub è un banco di prova» affer- ma Giorgio Metta, direttore del dipartimento iCub

Facility dell’Iit. L’idea è nata una decina di anni fa, da una chiacchierata tra Fadiga, Metta e Giulio Sandini, oggi direttore del dipartimento di robotica, cervello e scienze cognitive dell’Iit. «Pensavamo che sarebbe stato interessante costruire una macchina

Lo studio dei neuroni specchio ha confermato che l’articolazione del linguaggio è un’evoluzione dei gesti

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con una risposta simile a quella fornita dai neuroni specchio» ricorda Metta. Detto fatto, i tre si sono messi al lavoro prima su un robot semplificato e poi, seguendo le ricerche di Fadiga sul linguaggio, hanno focalizzato il loro interesse sulla correlazione movi- mento-parola in un robot umanoide più complesso, quale è l’attuale iCub. Tra le scoperte più affascinanti legate ai neuroni specchio, infatti, vi è la conferma che l’articolazione del linguaggio non sarebbe un’e- voluzione di suoni pregressi, ma dei gesti. Questa teoria esisteva da tempo, ma grazie alla scoperta dei neuroni specchio ha avuto la prova neurobiologica:

parlare è un atto motorio, poiché i neuroni specchio sono stati trovati anche nell’area di Broca, una delle zone dove avviene la comprensione e la generazio- ne del linguaggio. La conferma definitiva è arrivata grazie a studi dell’attività cerebrale tramite stimola- zione transcranica: dati alcuni fonemi da riconosce- re, si è osservata l’attivazione delle aree motorie del cervello. In iCub l’apprendimento si basa sull’imita- zione dei meccanismi che il cervello umano mette in pratica, in particolare, l’attivazione dei neuroni specchio. Il passaggio successivo allo sviluppo del

robot è stato quindi quello di concentrarsi su un’in- terazione tra uomo e robot basata sulla parola. Sono due i filoni di ricerca che si stanno portando avanti in questo momento. Il primo riguarda la creazione di un riconoscitore di fonemi che permetta di parla- re al robot a distanza, senza utilizzare un microfono.

Questo strumento dovrà essere in grado anche di rendere possibile l’interazione con iCub in ambienti dove c’è rumore, come negli ambienti affollati, una stazione, o un aeroporto. Il secondo filone riguarda la comprensione delle azioni eseguite dall’uomo, tra- mite la loro osservazione, in modo da poterle repli- care. Metta sa che gli obiettivi sono ambiziosi: «È un lavoro lungo, ma fondamentale per l’interazione del robot con le persone. Non ci accontentiamo più dell’esperimento dimostrativo, vogliamo mettere a punto un sistema completo».

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I neuroni specchio affascinano anche per le loro ap- plicazioni nei campi più disparati. Alcuni studi di frontiera stanno cercando di applicarli alla politica,

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per il momento con risultati giudicati di scarso valo- re. Sul fronte del marketing, invece, sembrano fun- zionare molto bene. Le tecniche di neuroimaging, che permettono di vedere le diverse aree del cervello colorarsi in risposta a uno stimolo, non hanno aiu- tato solo la ricerca, ma anche il marketing. È infat- ti possibile ipotizzare le motivazioni che portano all’acquisto di un determinato prodotto piuttosto che di un altro in base all’area del cervello coinvolta nel processo decisionale. «Abbiamo svolto un espe- rimento per una ditta alimentare sull’efficacia di una pubblicità - fa sapere Rizzolatti. Si trattava di capire se il prodotto rimanesse più impresso se porto con gentilezza oppure strappato di mano. Ebbene, abbia- mo trovato che in questo secondo caso lo spettatore aveva l’attivazione cerebrale più forte; la pubblicità era più efficace se c’era una piccola “violenza”».  

Grazie alla risonanza magnetica funzionale, tra le tecniche non invasive più utilizzate per studi di que- sto tipo, il marketing potrà avere ampi margini di sviluppo, arrivando forse anche a sostituire i focus group organizzati dalle aziende per testare la prefe- renza di un loro prodotto nel consumatore. Proprio i

neuroni specchio possono infatti influenzare negati- vamente quest’ultima tecnica, ampliamente utilizza- ta, che consiste nel riunire piccoli gruppi di persone per rispondere a una serie di domande da parte di un intervistatore.

Marco Iacoboni, che dirige il laboratorio di stimo- lazione magnetica transcranica all’Università della California di Los Angeles ha a lungo studiato questi meccanismi e propone una sostituzione dello stru- mento focus group con uno più efficace. Secondo i suoi studi, infatti, un’attività del sistema specchio di fronte a un certo prodotto significa identificazione con esso e dunque maggiore propensione all’acquisto.

Bibliografia

Greco Pietro, I nipoti di Galileo - Baldini&Castoldi, 2011 Iacoboni Marco, I neuroni specchio - Bollati Boringhieri, 2008

Rizzolati G. et al., Understanding motor events: a neurophysiological study - Experimental Brain Research, 1992

Rizzolatti Giacomo, Vozza Lisa, Nella mente degli altri - Zanichelli, 2008

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