1
INTRODUZIONE ALLE GEOMETRIE NON EUCLIDEE UNITA' 1
LA COSTRUZIONE EUCLIDEA E IL METODO IPOTETICO DEDUTTIVO La geometria (come del resto tutta la matematica) ha avuto origine da esigenze pratiche. Gli Egizi, ad esempio, furono spinti a studiare le caratteristiche delle figure geometriche dalla necessità di dover ricostruire periodicamente, a seguito delle stagionali inondazioni del Nilo, i confini dei loro campi. I Babilonesi avevano bisogno di coltivare conoscenze geometriche per eseguire opere di bonifica nelle zone paludose prossime al Tigri e all'Eufrate. Tutti i popoli dovettero creare sistemi di misura per poter praticare attività commerciali.
Lo sviluppo delle conoscenze risvegliò però ben presto nella mente dell'uomo l'esigenza di vedere la geometria non più soltanto come uno strumento volto a risolvere questioni pratiche e particolari del vivere quotidiano, ma anche come ricerca di leggi generali, deducibili mediante ragionamento da pochi concetti primitivi e da alcune semplici ipotesi.
II più antico trattato di matematica, per quanto ci è noto, è costituito dagli Elementi di Euclide, i quali comprendono quasi per intero il campo che ancor oggi si considera relativo alle matematiche elementari.
Dei tredici libri, che costituiscono la trattazione euclidea, i primi sei riguardano la geometria elementare del piano.
È ormai storicamente accertato che gli Elementi di Euclide non sono opera interamente originale del loro autore, ma sono il frutto di una lunga evoluzione di idee, che, in tre secoli, per opera di diversi geometri precedenti ad Euclide (come Talete di Mileto, Pitagora di Samo, Democrito di Abdera, Permenide d'Elea, Eudosso di Cnido ed altri) ha realizzato il passaggio della geometria da un complesso di regole pratiche e di nozioni empiriche a quello di scienza razionale.
La grande importanza che ha la trattazione euclidea, non soltanto per la geometria ma per tutta la scienza, sta nel perfetto ordinamento deduttivo, mediante il quale, partendo da alcuni concetti e proposizioni fondamentali, tutte le altre vengono successivamente e logicamente dedotte senza ricorrere (almeno nell'intenzione dell'autore) ad alcuna nuova nozione.
La cosiddetta Geometria Euclidea è la prima organica costruzione di un sistema teorico di tipo ipotetico deduttivo. Nei suoi Elementi, da alcuni assiomi e da alcuni postulati, Euclide deduce, mediante ragionamento logico, un grande numero di proprietà delle figure geometriche.
La presentazione rigorosa di una teoria di tipo ipotetico-deduttivo basata sul metodo assiomatico è essenzialmente costituita da:
un elenco di concetti primitivi, a partire dai quali si possono poi introdurre, mediante
definizione, ulteriori concetti, detti concetti derivati.
Una definizione è una frase nella quale si spiega esplicitamente qual è la natura di un certo ente e si attribuisce ad esso un nome che lo contraddistingue.
I concetti o enti primitivi non vengono definiti esplicitamente; in geometria euclidea per esempio i concetti primitivi sono il punto, la retta, il piano, ecc..
Un elenco di proposizioni primitive (assiomi o postulati), a partire dalle quali si possono poi dedurre, mediante dimostrazione, ulteriori proposizioni, che denominate teoremi.
Gli assiomi caratterizzano gli enti primitivi, dandone una definizione implicita.
Un insieme di regole di deduzione (procedimenti logici) considerate legittime nella conduzione di una dimostrazione.
Relativamente agli assiomi dobbiamo rilevare che essi devono possedere le seguenti caratteristiche:
Essere coerenti o compatibili cioè non contraddittori, deve valere cioè il principio della non contraddizione: non si deve dedurre sia la proposizione p che la sua negazione non p.
Possedere il requisito della completezza, cioè risultare sufficienti per l'effettiva deduzione di tutti i teoremi contenuti nella teoria: l'aggiunta di una qualunque formula non dimostrabile a partire dagli assiomi renderebbe il nuovo sistema di assiomi contraddittorio.
Essere indipendenti, nel senso che non dovrebbe accadere che da un assioma se ne possa dedurre un altro.
L'ultima condizione non è però rigorosa come quelle della compatibilità e della completezza, è più che altro una questione di eleganza logica e di semplicità della struttura di base.
In una teoria ipotetico deduttiva gli assiomi costituiscono, per così dire, i "sostegni" a cui "appendere"
tutte le cascate di nessi dimostrativi.
Queste proposizioni, per le quali non è richiesto di dimostrarne la verità, possono venir accettate per due diversi motivi:
perché la loro verità è ritenuta a tutti evidente;
perché sono state convenzionalmente scelte, al di là del loro contenuto, come punti di partenza della teoria.
Nel primo caso il contenuto (con significato) degli assiomi fa assumere a essi un ruolo semantico; nel secondo caso il ruolo degli assiomi è puramente sintattico.
Negli Elementi di Euclide gli assiomi sono scelti per la loro evidenza cioè la loro "verità" è a tutti evidente.
L'assiomatica moderna, invece, pone gli assiomi su un piano sintattico, proponendoli come punti di partenza formali per iniziare il processo dimostrativo, senza porsi quesiti relativi alla loro verità.
3
UNITA' 2
I POSTULATI DI EUCLIDE E LE MODIFICHE DI HILBERT
Nel corso del XIX secolo attraverso l'aritmetizzazione dell'analisi e gli assiomi di Peano, gran parte della matematica, ad eccezione della geometria, aveva ottenuto una fondazione rigorosamente assiomatica. Nel XIX secolo la geometria aveva realizzato progressi che non trovavano paragone in nessun altro periodo precedente; fu però David Hilbert (1862 – 1943) il primo che si sforzò di darle un assetto puramente formale e assiomatico quale era riscontrabile nell'algebra e nell'analisi. Gli Elementi di Euclide avevano, certo, una struttura deduttiva ma essi erano pieni di assunzioni tacite, di definizioni prive di significato, e di difetti dal punto di vista del rigore logico.
Hilbert si rendeva perfettamente conto che nella matematica non tutti i termini possono essere definiti, e pertanto all'inizio della sua trattazione della geometria assunse:
tre oggetti indefiniti: punto, retta e piano; ciò permise ad Hilbert di superare le definizioni date da Euclide: punto è ciò che non ha parti; linea è lunghezza senza larghezza;
sei relazioni indefinite: essere su, essere in, trovarsi tra, essere congruente con, essere parallelo a, essere continuo;
Hilbert intervenne anche sui cinque assiomi (o nozioni comuni) e sui cinque postulati dì Euclide che sono riportati nella tabella seguente.
assiomi (o nozioni comuni) postulati
1) Cose eguali ad una stessa, sono eguali tra loro;
2) Se a cose eguali si aggiungono cose eguali, le somme sono eguali;
3) Se a cose eguali si tolgono cose eguali., i resti sono eguali;
4) Se a cose diseguali si aggiungono cose eguali, le somme sono diseguali;
5) I doppi di una stessa cosa sono eguali tra di loro;
6) Le metà di una stessa cosa sono eguali tra di loro;
7) Le cose che si sovrappongono l'una all'altra sono eguali tra di loro;
8) II tutto è maggiore della parte.
1) Da qualsiasi punto si può condurre una retta ad ogni altro punto;
2) Ogni retta "terminata" si può prolungare continuamente per diritto;
3) Con ogni centro e con ogni distanza si può descrivere un cerchio;
4) Tutti gli angoli retti sono eguali;
5) Se una retta, incontrando due altre rette, forma con esse, da una medesima parte, angoli interni la cui somma sia minore di due retti, quelle due rette prolungate indefinitamente, si incontrano dalla parte da cui stanno gli angoli la cui somma è minore di due retti.
Hilbert formulò per la sua geometria un insieme di 21 assunzioni, noti come assiomi di Hilbert. Di questi, otto riguardano la relazione di incidenza e comprendono il primo postulato di Euclide;
quattro concernono proprietà di ordinamento; cinque vertono sulla congruenza; tre riguardano la relazione di continuità (assunzioni tacitamente presenti in Euclide, ma non esplicitamente dichiarate), e infine un assioma è un postulato delle parallele essenzialmente equivalente al quinto postulato di Euclide. Riportiamo l'enunciato dato da Hilbert che è solitamente quello riportato negli attuali testi didattici e che comunque è del tutto equivalente a quello formulato da Euclide:
data una retta ed un punto non appartenente ad essa è unica la retta passante per il punto parallela alla retta data.
formale e deduttivo della geometria, come per le altre branche della matematica, è risultato definitivamente acquisito dall'inizio del XX secolo in poi.
L'assetto della geometria elaborato da Hilbert consolidò una concezione decisamente anti-kantiana di questa disciplina. Esso metteva in rilievo il fatto che i termini non definiti della geometria devono essere assunti senza attribuire loro altre proprietà oltre quelle indicate negli assiomi. Bisognava abbandonare il livello empirico-intuitivo delle vecchie idee geometriche, e si dovevano concepire i punti, le rette e i piani semplicemente come elementi di certi insiemi dati.
5
UNITA' 3
IL RUOLO DEL POSTULATO DELLE PARALLELE
II quinto postulato degli Elementi di Euclide, detto anche postulato delle parallele, svolge un ruolo centrale nella nascita delle geometrie non-euclidee.
Le prime perplessità nei confronti di questo postulato sono da attribuirsi probabilmente allo stesso Euclide. In effetti, nelle prime 28 proposizioni del libro primo degli Elementi egli non fa uso del postulato delle parallele, quasi che voglia limitare e rimandare il più possibile il ricorso a esso.
I primi tre postulati hanno un'evidenza intuitiva pressoché immediata: chiunque abbia lavorato con riga e compasso non ha alcuna difficoltà ad ammettere che:
si possano unire con un segmento due punti qualsiasi (postulato 1);
si possa prolungare un segmento (postulato 2);
si possano tracciare circonferenze con raggio e centro prefissati (postulato 3).
Il quarto postulato (postulato d'eguaglianza degli angoli retti) non è neppure necessario: esso si potrebbe dimostrare, come teorema, a partire dai primi tre; si potrebbe pertanto eliminare il quarto postulato senza pregiudicare i risultati della geometria euclidea.
L'evidenza del postulato delle parallele, invece, non è affatto immediata: esso non rimanda a una costruzione geometrica.
Inoltre i primi quattro postulati restano validi se limitiamo la nostra attenzione a una porzione finita di piano (come fa chi, disegnando, considera solo un foglio).
Così non è per il quinto postulato: il rettangolo nella figura 3.1 a fianco rappresenta il foglio su cui sono tracciate le due rette r e s e la trasversale t, la somma angoli coniugati interni
e β è minore di un angolo piatto come prescrive il quinto postulato, ma le rette r ed s non si incontrano nella parte di piano delimitata dal foglio.
FIGURA 3.1
r
t s
Tuttavia non è possibile rinunciare a tale postulato, poiché da esso dipendono numerosi risultati di grande importanza tra cui segnaliamo:
Il teorema sulla somma degli angoli interni di un triangolo (congruente a un angolo piatto).
I teoremi sui parallelogrammi.
La teoria dell'equivalenza delle superfici piane.
Il teorema di Pitagora.
La teoria della similitudine delle figure piane.
Inoltre, senza il postulato delle parallele, resterebbero senza basi teoriche importanti settori della matematica come la trigonometria piana e la geometria analitica.
Per oltre duemila anni si sono succeduti numerosi tentativi di eliminare il ricorso al postulato delle parallele senza pregiudicare l'edificio teorico euclideo.
Tali tentativi si possono classificare in tre categorie.
1. Il quinto postulato di Euclide è sostituito da altri postulati che abbiano maggiore evidenza intuitiva. Tali tentativi però non sono molto interessanti, in quanto richiedono sempre un apposito postulato per il parallelismo. Inoltre l'evidenza intuitiva degli enunciati proposti è sempre molto discutibile. Perciò la maggior parte dei matematici preferisce mantenere l'originario postulato di Euclide oppure quello, del tutto equivalente, formulato da Hilbert.
2. Si riformula la definizione di parallelismo in modo da rendere superfluo il postulato delle parallele.
3. Si cerca di dimostrare il postulato delle parallele, in modo da inserirlo, come teorema, nell'edificio teorico euclideo.
Tuttavia nessuno di tali tentativi resiste alle critiche successive.
L'OPERA DI PADRE SACCHERI
I tentativi di dimostrare il quinto postulato di Euclide continuarono con scarsi successi fino al XVII secolo.
Il gesuita italiano Gerolamo Saccheri (1667-1733) ebbe il merito di aprire una nuova strada, che si rivelò molto fruttuosa anche se portò a risultati del tutto opposti a quelli che il gesuita si era prefisso.
Saccheri, convinto dell’assoluta verità del V postulato, tenta di dimostrarlo per assurdo.
Egli impostò la questione nella maniera seguente:
ammessi i primi 4 postulati di Euclide e, di conseguenza le prime 28 proposizioni, si neghi il V postulato e si continui a sviluppare logicamente la teoria sino a che non si giunga a un assurdo rispetto alle premesse. Se otterremo un assurdo, risulterà non solo dimostrato il V postulato, ma anche che esso è una conseguenza logica delle premesse; se invece l'assurdo non scaturirà mai, il V postulato non sarà logicamente deducibile dalle premesse, cioè risulterà indipendente dai primi quattro postulati.
Purtroppo padre Saccheri, come vedremo in seguito, pur avendo impostato in modo quanto mai precisa la questione, non seppe egualmente bene condurla a termine; assolutamente convinto della verità del 5° postulato, credette di aver trovato l'assurdo in una conseguenza che, se pur sembrava contrastare con l'intuizione non era affatto in contraddizione logica con le premesse.
Riassumiamo sinteticamente la dimostrazione del Saccheri.
Padre Saccheri, parte dalla considerazione di una particolare configurazione detta quadrilatero birettangolo isoscele, FIGURA 4.1, ottenuta innalzando negli estremi A, B di un dato segmento le perpendicolari e prendendo su esse due segmenti congruenti AD, BC. Il quadrilatero ABCD che così si ottiene, si chiama appunto quadrilatero birettangolo isoscele.
FIGURA 4.1
Se si assume il V postulato, tale quadrilatero altro non è che un rettangolo, ma senza non si può affermare che i lati AB e CD siano paralleli.
II Saccheri, prima di tutto, dimostra (mediante il ribaltamento attorno alla retta MN, asse della base AB), che i due angoli in C e D risultano congruenti.
Successivamente osserva che tali angoli possono essere ottusi, retti oppure acuti e chiama queste tre possibilità: l'ipotesi dell'angolo ottuso, dell'angolo retto e dell'angolo acuto.
Quindi dimostra la seguente proprietà:
se per un solo quadrilatero birettangolo isoscele vale una delle tre precedenti, ipotesi, altrettanto vale per qualsiasi altro quadrilatero birettangolo isoscele.
Poi fa vedere che, in corrispondenza dell'ipotesi
dell'angolo ottuso, la somma degli angoli interni di un triangolo risulta maggiore di due angoli retti;
dell'angolo retto, la somma degli angoli interni di un triangolo risulta congruente a due angoli retti;
dell'angolo acuto, la somma degli angoli interni di un triangolo risulta minore di due angoli retti.
Da ciò segue il corollario:
7
L'affermazione che in un triangolo la somma degli angoli interni è congruente a due angoli retti equivale al V postulato.
Siccome queste tre ipotesi sono tra loro disgiuntive (cioè il verificarsi di una di esse esclude il verificarsi delle altre due) ed una di queste deve sempre verificarsi, se ne deduce che se sarà possibile escludere l'ipotesi dell'angolo ottuso e quella dell'angolo acuto, resterà valida quella dell'angolo retto e così verrà dimostrato il V postulato.
A questo punto Saccheri tenta di dimostrare che le ipotesi dell'angolo ottuso e dell'angolo acuto portano a una contraddizione, riuscendoci però solo in parte.
Egli riesce in maniera rigorosa ad escludere l'ipotesi dell'angolo ottuso, non altrettanto bene riesce ad escludere quella dell'angolo acuto.
Nel tentativo di mostrare che l'ipotesi dell'angolo acuto porta a una contraddizione, Saccheri presenta una classificazione delle rette del piano secondo il loro comportamento rispetto a una retta r data, distinguendo i seguenti tipi:
tipo A: rette incidenti;
tipo B: rette non incidenti ma che hanno con r una perpendicolare comune;
tipo C: rette non incidenti senza perpendicolare comune.
FIGURA 4.2
Mentre le rette dei primi due tipi corrispondono alle secanti e alle parallele della geometria euclidea, quelle del terzo tipo presentano caratteristiche che sfuggono all'intuizione immediata. Le rette del tipo C hanno un comportamento asintotico cioè rette che si avvicinano indefinitamente alla retta r senza incontrarla.
Saccheri non riesce a dedurre dall'ipotesi dell'angolo acuto una vera e propria contraddizione; si
«accontenta» perciò di concludere la ricerca con un risultato, cioè l'esistenza di rette asintotiche, che, secondo le sue parole, «ripugna alla natura di linea retta».
Rigettando in tal modo anche l'ipotesi dell'angolo acuto, Saccheri ritiene di aver dimostrato il quinto postulato di Euclide. L'esistenza di rette dal comportamento asintotico non dimostra niente, perché (se è vero che appare in contraddizione con l'intuizione e con l'esperienza), non rappresenta affatto un'impossibilità logica rispetto alle premesse cioè rispetto alle prime 28 proposizioni di Euclide.
Così che, in quest'ultima parte, l'opera di Saccheri resta del tutto inficiata da un'irrimediabile errore logico; pur tuttavia risulta egualmente importante in sé, perché contiene tutta una serie di proprietà quanto mai interessanti (valevoli sotto l'ipotesi dell'angolo acuto) che costituiscono il primo e più importante nucleo di una geometria non euclidea (e precisamente di quella che ormai suole chiamarsi geometria iperbolica o del Lobacewskij).